Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 234, del 22 gennaio 2015
Beni Ambientali.Legittimità annullamento autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dal Comune

Tenuto anche conto della documentazione fotografica integrativa, proprio la visibilità dei manufatti avrebbe dovuto formare oggetto di una valutazione specifica da parte del Comune, riferita ai valori complessivi della località. La motivazione dei due nulla osta ambientali del Comune, basandosi in via esclusiva sulle ridotte dimensioni dei due manufatti e sul parziale occultamento degli stessi ad opera della vegetazione del giardino, risulta carente di un’effettiva e seria valutazione circa la compatibilità tra le opere da autorizzare in sanatoria e lo specifico vincolo paesaggistico imposto a suo tempo. Nel caso in questione non risulta essere stato considerato in modo adeguato l’interesse pubblico di quella zona specifica di territorio. In un contesto collinare, in cui si alternano rilievi e declivi con profonde cavità naturali, appare illogico osservare che la vegetazione del giardino opera una benefica mascheratura dei manufatti le cui caratteristiche confliggono col fabbricato principale e con l’architettura rurale del paesaggio nel quale sono inseriti. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 00234/2015REG.PROV.COLL.

N. 10209/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10209 del 2010, proposto da Francesco Cupo e Ornella Bernardi, rappresentati e difesi dall'avv. Silva Gotti, con domicilio eletto presso l’avv. Camilla Bovelacci in Roma, Via Q. Sella, 41; 

contro

il Ministero per i beni e le attivita' culturali -Mibac (gia' Ministero per i beni culturali e ambientali), in persona del Ministro “pro tempore”, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, Via dei Portoghesi, 12; 

nei confronti di

Comune di San Lazzaro di Savena, n. c. ; 

per la riforma

della sentenza n. 5144 del 18 marzo -28 maggio 2010 con la quale il Tar Emilia –Romagna –Bologna ha respinto il ricorso promosso dai signori Francesco Cupo e Ornella Bernardi per l’annullamento dei decreti nn. 14378 e 14377 del 29.7.1998 con i quali la Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Bologna ha annullato le autorizzazioni paesaggistiche nn. 184 e 173 del 17.1.1998 rilasciate dal Comune di San Lazzaro di Savena (BO) ai ricorrenti, ex art. 7 della l. n. 1497/1939, contestualmente al rilascio di concessione edilizia in sanatoria relativamente a due manufatti rispettivamente adibiti a garage con tettoia e chiusura laterale in p.v.c. e box in metallo;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Mibac;

Vista la memoria difensiva di parte appellante;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del 18 dicembre 2014 il cons. Marco Buricelli e uditi per le parti gli avvocati Bovelacci, per delega di Gotti, per gli appellanti, e Gerardis per il Mibac;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1.Giunge in decisione l’appello in epigrafe, proposto avverso la sentenza n. 5144/2010 con la quale il Tar di Bologna ha respinto il ricorso dei signori Cupo e Bernardi diretto a ottenere l’annullamento dei decreti, sopra specificati, con i quali la Soprintendenza per i Beni Ambientali, Architettonici e Paesaggistici di Bologna ha annullato le autorizzazioni paesaggistiche assentite dal Comune di San Lazzaro di Savena (BO) ai ricorrenti / appellanti, ai sensi dell’art. 7 della l. n. 1497/1939, ancora vigente all’epoca dell’emanazione dell’autorizzazione, contestualmente al rilascio di una concessione edilizia in sanatoria relativamente a due manufatti rispettivamente adibiti a garage con tettoia e chiusura laterale in p.v.c. e box in metallo.

Il Ministero si è costituito e ha svolto una difesa di mera forma concludendo per il rigetto dell’appello e per la conferma della sentenza di primo grado.

All’udienza del 18 dicembre 2014 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

2. Appare opportuno un succinto riepilogo dei fatti.

2.1. I signori Francesco Cupo e Ornella Bernardi espongono di essere comproprietari di un’ “autorimessa –piccola tettoia” e di un “accessorio di abitazione –piccolo deposito –deposito attrezzi per l’orto e materiali vari”, manufatti così definiti negli atti di causa, inseriti nell’àmbito di una corte di un edificio bifamiliare in via Jussi, 168/B) nel Comune di San Lazzaro di Savena, in una zona dichiarata di notevole interesse pubblico in base alla l. n. 1497 del 1939 e al d. m. 3 marzo 1976.

Con atti di “nulla osta ambientale” nn. 184 e 173 del 17.1.1998 le opere sopra descritte, realizzate in modo abusivo, sono state autorizzate ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 7 della l. n. 1497/1939 con le seguenti, identiche motivazioni: “pur essendo un elemento architettonicamente avulso rispetto all’edificio principale, il box (la tettoia) costituisce un episodio di dettaglio giustificato dalle sue modeste dimensioni, sia in pianta che in altezza, e dalla sua collocazione ampiamente mascherata dalla vegetazione del giardino e quindi impercettibile, e non in grado di menomare i valori paesaggistici che si intende tutelare”. E’ stato quindi dato parere favorevole al rilascio della concessione edilizia in sanatoria ex art. 32 della l. n. 47/1985 ed è stata disposta la trasmissione di nulla osta, domanda di concessione in sanatoria e allegati al Mibac –Soprintendenza di Bologna.

Con nota in data 26.3.1998 la Soprintendenza ha comunicato di non poter dare corso agli adempimenti previsti dalla l. n. 431/1985 a causa della carenza della documentazione trasmessa, facendo presente in particolare che la singola foto in fotocopia in bianco e nero trasmessa all’organo statale non era sufficiente per valutare l’inserimento ambientale del manufatto oggetto di sanatoria; e ha invitato pertanto il Comune “a presentare foto aggiornate ad ampio campo visivo su 360° dell’intorno ambientale nel quale l’abuso è inserito …foto del fabbricato bifamiliare esistente da cui si evinca con chiarezza il rapporto esistente con il manufatto abusivo adiacente (indicando) in planimetria i punti di ripresa fotografica”.

Con nota in data 23.6.1998, pervenuta alla Soprintendenza il giorno 30 successivo, il Comune ha trasmesso alla Soprintendenza la documentazione fotografica richiesta (otto foto, a quanto consta) corredata dalla planimetria con i punti di ripresa fotografica.

Dopo di ciò, con i decreti in epigrafe, la Soprintendenza ha annullato le autorizzazioni nn. 184 e 173 del 1998 rilevando in particolare che gli interventi sono inseriti nell’area adibita a giardino e a frutteto di un edificio, a due piani fuori terra, d’impianto architettonico tradizionale, ben inserito nel contesto ambientale; che i manufatti risultano incongruenti rispetto al fabbricato principale e in contrasto, per materiali costruttivi, forma e dimensioni, con il contesto storico –architettonico rurale bolognese della zona pedecollinare; che la permanenza in essere disturba e compromette il godimento del quadro naturale circostante, essendo visibile dai rilievi prossimi e ledendo gli aspetti paesaggistici e ambientali della località; che le autorizzazioni, qualora attuate, comprometterebbero l’alterazione di tratti caratteristici della località protetta, che sono la ragione stessa per cui la località medesima è sottoposta a vincolo in base alla normativa di tutela ambientale vigente; che attraverso l’autorizzazione ex art. 7 della l. n. 1497/1939 si consente una modifica del vincolo paesaggistico posto col d. m. del 3.3.1976, in violazione dell’art. 82, comma 3, del d.P.R. n. 616/1977 e che per quanto sopra le autorizzazioni sono viziate da eccesso di potere per carenza di motivazione e violazione di legge per contrasto con l’art. 82, comma 3, del d.P.R. n. 616/1977.

2.2. Il Cupo e la Bernardi hanno impugnato i decreti di annullamento dinanzi al Tar di Bologna con due serie di motivi.

Con la prima censura è stata dedotta la tardività dei decreti.

Con un secondo gruppo di doglianze parte ricorrente ha censurato i decreti impugnati sostenendo che la Soprintendenza avrebbe formulato una propria valutazione di merito, contrapponendola a quella del Comune, con ciò esorbitando dai limiti del potere attribuitole dalla legge, che le consente soltanto un controllo di legittimità nei confronti dell’autorizzazione comunale.

Con la sentenza in epigrafe il Tar, nella resistenza del Mibac, ha respinto il ricorso condannando la parte ricorrente al rimborso delle spese di lite, nella misura onnicomprensiva di € 2.000,00.

Il giudice di primo grado ha ritenuto insussistente la lamentata “tardività dell’adozione dei provvedimenti impugnati, in quanto … il termine di 60 giorni previsto … per l’annullamento dell’autorizzazione paesaggistica da parte della competente Soprintendenza inizia “ex novo” a decorrere dalla data in cui a tale organo statale perviene l’autorizzazione comunale e la relativa documentazione completa. Nella specie, ove la Soprintendenza si è avvalsa della possibilità di richiedere al Comune l’integrazione della documentazione che non era stata prodotta contestualmente alla trasmissione di ambedue gli atti autorizzatori, detto termine di sessanta giorni ha incominciato “ex novo” a decorrere dal 30.6.1998, vale a dire dal momento in cui risulta pervenuta la documentazione integrativa richiesta. A ciò consegue la tempestività dei gravati provvedimenti di annullamento, in quanto adottati dalla Soprintendenza il 29.7.1998 e, quindi, entro il termine di 60 giorni previsto dall’art. 82, comma 9, del D.P.R. n. 616 del 1977… Inoltre, secondo il consolidato… orientamento della giurisprudenza amministrativa sul punto, la tempestività del decreto di annullamento va misurata esclusivamente con la data di adozione del provvedimento, dato che, trattandosi di atto non recettizio, non è in alcun modo rilevante, al predetto scopo, l’ulteriore fase procedimentale di comunicazione dell’atto…”.

Quanto all’asserito sconfinamento della Soprintendenza “nel merito della valutazione ai fini paesaggistici effettuata dal Comune, mediante l’indebita sovrapposizione e sostituzione della propria valutazione di compatibilità tra l’intervento edilizio e il contesto paesaggistico oggetto di tutela a quella precedentemente resa dalla competente autorità comunale…(il Tar ha osservato) che la Soprintendenza…non ha solamente espresso una propria valutazione circa la compatibilità paesaggistica dell’intervento edilizio con il vincolo in parola ma ha anche annullato l’autorizzazione rilevandone l’evidente difetto di motivazione riguardo alle effettive ragioni per le quali l’ente ha ritenuto che l’intervento edilizio fosse compatibile con il vincolo istituito sull’area (nel 1976. Il Tar ha soggiunto che) l’annullamento ministeriale di un’autorizzazione paesaggistica concernente la costruzione di opera edilizia in zona a tale fine protetta può riguardare tutti i vizi di legittimità dell’atto ampliativo in questione ivi compresi pertanto, trattandosi di atto amministrativo discrezionale, quelli costituiti dalle varie figure sintomatiche dell’eccesso di potere…l’autorizzazione ben può essere sindacata, quindi, anche sotto il profilo del difetto di motivazione tanto più che in sede di autorizzazione … comunale in forza di delega regionale, (ex) art. 7 della L. n. 1497 del 1939, l’atto autorizzatorio necessita di adeguata motivazione sulla effettiva compatibilità dell’intervento edilizio con gli specifici valori paesistici dei luoghi oggetto di tutela… (nella specie) pertanto, ove la motivazione delle due autorizzazioni comunali consiste unicamente nell’affermare la compatibilità dei due manufatti dei ricorrenti con il vincolo, basandosi esclusivamente sulle ridotte dimensioni degli stessi e sul loro parziale occultamento ad opera della vegetazione del giardino, risulta in effetti mancare proprio un’effettiva e seria valutazione circa la compatibilità tra le opere da autorizzare in sanatoria e lo specifico vincolo paesaggistico imposto a suo tempo perché “…la zona predetta ha notevole interesse pubblico in quanto si identifica in un pregevole quadro naturale determinato dalla presenza di profonde cavità naturali e da caratteristici aspetti che si manifestano in movimenti di masse collinari”: di qui la sostanziale legittimità del provvedimento di annullamento che, nello spiegare diffusamente le ragioni di pubblico interesse che hanno indotto l’autorità ministeriale a tutelare la zona “de qua” ha inoltre evidenziato la palese carenza di motivazione – su tale essenziale aspetto – dell’autorizzazione comunale”.

“Anche a volere per ipotesi sostenere… che tale valutazione della Soprintendenza non fosse consentita, in quanto direttamente impingente nel merito di attribuzioni di esclusiva competenza comunale, il provvedimento impugnato parimenti non cadrebbe, reggendosi esso ugualmente sull’autonomo capo di motivazione costituito dall’accertata carenza motiva dell’autorizzazione comunale, con conseguente inammissibilità della relativa censura, per mancanza di alcun interesse all’accoglimento della stessa…” .

2.3. Il Cupo e la Bernardi hanno affidato l’appello a tre motivi.

Con il motivo sub I), intitolato violazione dell’art. 82, comma 9, del d.P.R. n. 616/1977, e dell’art. 2 del d. d. 18.12.1996, viene riproposta la tesi della tardività dei decreti gravati in primo grado.

Il motivo sub II), intitolato eccesso di potere per insussistenza dei presupposti di fatto e per difetto di motivazione, motivazione incongrua, illogica e contraddittoria, s’incentra sul rilievo per cui le valutazioni della Soprintendenza sarebbero state espresse –inammissibilmente- in sostituzione delle valutazioni effettuate dal Comune.

La sentenza sarebbe poi viziata poiché il Tar avrebbe in modo erroneo omesso di pronunciarsi sugli adempimenti comunali conseguenti alla reiezione del ricorso.

Infine parte appellante ha richiamato l’attenzione del collegio di secondo grado sull’ingiustizia della statuizione di condanna della parte privata al rimborso delle spese di causa, giacché nessuna responsabilità potrebbe imputarsi ai ricorrenti in merito al difetto di motivazione della valutazione paesaggistica rilasciata dal Comune e che costituisce il fulcro della motivazione che sorregge l’annullamento ministeriale.

2.4. L’appello è infondato e va respinto.

La sentenza impugnata resiste alle critiche che le sono state rivolte.

2.4.1. Con il primo motivo gli appellanti, nel contestare la statuizione del Tar sul punto, ripropongono la tesi difensiva in base alla quale le richieste istruttorie avanzate dalla Soprintendenza al Comune non avrebbero interrotto il termine di 60 giorni previsto “ex lege” per l’annullamento dell’autorizzazione paesaggistica.

Più in particolare, ad avviso degli appellanti, premesso che per giurisprudenza pacifica il termine di 60 giorni, assegnato alle Soprintendenze per l’esercizio, ex art. 82 del d.P.R. n. 616/1977 (v., in seguito, l’art. 159, comma 3, del t. u. n. 42/2004) del potere di annullamento delle autorizzazioni paesaggistiche assentite dalle regioni o dagli enti –sub delegati, ha natura perentoria, le richieste istruttorie fatte presenti al Comune, in quanto rivolte a ottenere documentazione chiaramente strumentale all’espressione di una valutazione di merito, non avrebbero interrotto il termine di 60 giorni assegnato all’Amministrazione statale dall’allora vigente art. 82, comma 9, del d.P.R. n. 616/1977. Nell’atto di appello si parla di richiesta di integrazione documentale pretestuosa ed effettuata a mero scopo dilatorio, con conseguente tardività dei decreti di annullamento emanati, dato che la documentazione inviata dal Comune era pervenuta alla Soprintendenza il 6.2.1998 e la Soprintendenza aveva adottato l’atto di annullamento soltanto il 29.7.1998, a nulla potendo valere in senso interruttivo del termine la richiesta di integrazione documentale della Soprintendenza datata 26.3.1998, alla quale il Comune aveva risposto con una nota del 23.6.1998.

La censura è infondata e va respinta.

Gli atti del Comune di nulla osta ambientale del 17.1.1998 sono pervenuti alla Soprintendenza il 6.2.1998 in maniera incompleta mancando, in particolare, qualsiasi rappresentazione del contesto nel quale erano inseriti gli abusi.

La Soprintendenza ha ricevuto dal Comune la documentazione fotografica e la planimetria richieste con nota del 26.3.1998 soltanto il 30.6.1998 e ha provveduto all’annullamento contestato il successivo 29.7.1998, ossia entro il termine di 60 giorni di cui all’art. 82 del già citato d.P.R. n. 616 del 1977.

Detto termine, avente carattere perentorio (Cons. Stato, VI, 12 agosto 2002, n. 4182 e 3 febbraio 2000, n. 629) ben poteva infatti essere interrotto in caso di manifestate esigenze istruttorie, con nuova decorrenza dall’acquisizione dei chiarimenti richiesti e conclusiva necessità che, prima della relativa scadenza, avesse luogo anche soltanto l’adozione, non anche la comunicazione agli interessati, dell’eventuale annullamento (giurisprudenza pacifica: cfr., fra le tante, Cons. Stato, VI, 11 agosto 2000, n. 4465, 24 maggio 2000, n. 3010, 8 marzo 2000, n. 1162, 17 febbraio 2000, n. 885).

Nel caso di specie, la richiesta della Soprintendenza del 26.3.1998 non poteva ritenersi pretestuosa o dilatoria, come affermato dalla parte appellante, riguardando la trasmissione di documentazione fotografica relativa all’inserimento ambientale dei manufatti in questione. Si trattava, invece, di richiesta basata su necessità effettive di carattere istruttorio, di una richiesta interlocutoria, insomma, tenuto anche conto dell’àmbito –e dei limiti- di sindacabilità in sede giudiziale delle modalità di esercizio della facoltà di acquisire elementi istruttori integrativi, tutt’altro che strumentale o dilatoria o diretta ad aggravare il procedimento o rivolta ad acquisire documentazione di cui –asseritamente- non vi sarebbe stato alcun bisogno.

Le predette acquisizioni documentali erano cioè funzionali alla natura del controllo affidato all’autorità statale, in relazione agli atti autorizzatori emessi dall’autorità locale sub-delegata, “in quanto – come riconosciuto da ampia e consolidata giurisprudenza – deve ritenersi affidata all’organo statale una compiuta valutazione di legittimità, anche sotto il profilo del ponderato bilanciamento degli interessi tutelati, quale espressione di un potere non di mero controllo di legalità, ma di vera e propria attiva cogestione del vincolo, funzionale all’ “estrema difesa” dello stesso (Corte cost., 27 giugno 1986, n. 151; 18 ottobre 1996, n. 341; 25 ottobre 2000, n. 437). L’eventuale annullamento dell’autorizzazione paesaggistica, pertanto, risulta riferibile a qualsiasi vizio di legittimità, riscontrato nella concreta valutazione espressa dall’ente territoriale, ivi compreso l’eccesso di potere in ogni figura sintomatica (sviamento, insufficiente motivazione, difetto di istruttoria, illogicità manifesta: cfr. in tal senso Cons. Stato, Ad. plen., 14 dicembre 2001, n. 9, nonché, fra le tante, Cons. Stato, VI, 25 marzo 2009, n. 1786 e 3557, 11 giugno 2012, n. 3401, 23 febbraio 2010, n. 1070, 21 settembre 2011, n. 5292; Cons. Stato, V, 3 dicembre 2010, n.8411). In tale contesto, appare evidente come la Soprintendenza non solo potesse, ma dovesse valutare la congruità dell’atto autorizzativo di cui trattasi sotto l’aspetto motivazionale, in rapporto all’effettivo stato dei luoghi, di cui anche la richiesta rappresentazione fotografica poteva fornire riscontro. La richiesta istruttoria di cui trattasi non sembra dunque presentare carattere dilatorio, con conseguente idoneità della stessa ad interrompere la decorrenza del termine perentorio, per l’adozione dell’atto ministeriale conclusivo (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. Stato, VI, 3 aprile 2003, n. 1740 e 18 aprile 2005, n. 1755)…” (così, in modo testuale, Cons. St. , sez. VI, n. 3845/2014, con riferimento a un appello –respinto- avverso una sentenza di rigetto di un ricorso promosso contro un decreto della Soprintendenza di Bologna di annullamento di un’autorizzazione ambientale assentita dallo stesso Comune di San Lazzaro di Savena nel 1997 relativamente a una piscina scoperta: vicenda, sotto taluni aspetti, simile a quella per la quale è causa. Conf. , inoltre, Cons. St. , sez. VI, n. 5642/2005, p. 3. , in particolare là dove si precisa che l’introduzione, “con D. M. 19 giugno 2002, n. 165, (del) comma 6-bis del D. M. 13.6.1994 n. 495, (secondo cui) “Qualora, in sede di istruttoria, emerga la necessità di ottenere chiarimenti o di acquisire elementi integrativi di giudizio, ovvero di procedere ad accertamenti di natura tecnica, il responsabile del procedimento ne dà immediata comunicazione ai soggetti indicati all’articolo 4, comma 1, nonché, ove opportuno, all’amministrazione che ha trasmesso la documentazione da integrare. In tal caso, il termine per la conclusione del procedimento è interrotto, per una sola volta e per un periodo non superiore a trenta giorni, dalla data della comunicazione riprende a decorrere dal ricevimento della documentazione o dall’acquisizione delle risultanze degli accertamenti tecnici”; (e la previsione dell’applicabilità dell’art. 6 bis da parte) dell’art. 159, comma 2, del D. Lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 con specifico riguardo al procedimento ai autorizzazione paesaggistica in via transitoria (vigente fino all’entrata in vigore del nuovo procedimento introdotto dall’art. 146 del medesimo D. Lgs.)…(benché) temporalmente (non) applicabili agli atti oggetto della presente controversia … possono ritenersi ricognitive del principio della possibilità da parte delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo di effettuare richieste istruttorie idonee ad incidere sul decorso dei termini: oltre all’ipotesi di documentazione non trasmessa ed utilizzata in sede di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, tali richieste possono riguardare anche accertamenti, chiarimenti ed elementi integrativi di giudizio (senza che ciò significhi) che ogni richiesta istruttoria è idonea a interrompere il termine perentorio, in quanto resta anche ferma la possibilità di dedurre in giudizio la insussistenza dei descritti presupposti in base ai quali la richiesta può essere ritenuta legittima…” –fattispecie in cui la Sezione ha affermato che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, le foto panoramiche richieste erano necessarie ai fini di una compiuta valutazione della compatibilità dell’intervento con le norme di attuazione del Piano Territoriale di Coordinamento Paesistico della Regione Liguria).

Tornando alla presente controversia, la richiesta istruttoria era necessaria per consentire alla Soprintendenza di esercitare il sindacato di legittimità alla stessa spettante (sul carattere non dilatorio della richiesta in via istruttoria di una documentazione fotografica completa v. anche, di recente, Cons. St. , sez. VI, n. 300/2012), con la conseguenza che, come correttamente rilevato nella sentenza di primo grado, il termine di 60 giorni entro il quale annullare l’autorizzazione comunale, sussistendone le condizioni, era incominciato a decorrere “ex novo” dal 30.6.1998, ossia dal momento in cui la documentazione integrativa richiesta al Comune era pervenuta alla Soprintendenza: di qui, la tempestività dei decreti di annullamento, adottati dalla Soprintendenza il 29.7.1998 anche sulla base, giova ripeterlo, della documentazione fotografica giunta in Soprintendenza il 30.6.1998.

2.4.2. Come si è accennato sopra al p. 2.3. gli appellanti, nel dedurre sub II) eccesso di potere per insussistenza dei presupposti di fatto e per difetto di motivazione, motivazione incongrua, illogica e contraddittoria (v. pagine 6 e 8 ric. app.), hanno rilevato che le valutazioni della Soprintendenza sarebbero state espresse –in modo inammissibile- in sostituzione delle valutazioni effettuate dal Comune. Gli atti impugnati conterrebbero riferimenti evidenti al merito degli abusi. La ragione degli annullamenti sarebbe costituita dai giudizi negativi che la Soprintendenza ha opposto alle valutazioni positive date dal Comune.

Anche il motivo suindicato non può trovare accoglimento.

Si può prescindere dal rilevare che il motivo suesposto, così come formulato, potrebbe essere direttamente dichiarato inammissibile dato che la censura sembra concretizzarsi nella mera riproposizione del corrispondente motivo dedotto avanti al Tar –e disatteso in maniera argomentata dal giudice di primo grado (si vedano le pagine da 5 a 7 sent. )- , senza una critica specifica delle statuizioni del giudice medesimo.

In disparte ciò, richiamate le motivazioni dei nulla osta ambientali del Comune e dei decreti di annullamento della Soprintendenza, trascritte sopra al p. 2.1. , sicché non appare il caso di riportarle nuovamente “in extenso”; e ribadito (v. sopra, p. 2.4.2. ) che per giurisprudenza consolidata l’eventuale annullamento dell’autorizzazione paesaggistica risulta riferibile a qualsiasi vizio di legittimità, riscontrato nella valutazione concreta formulata dall’ente territoriale, ivi compreso l’eccesso di potere in ogni sua figura sintomatica (sviamento, insufficiente motivazione, difetto di istruttoria, illogicità manifesta: cfr. in tal senso Cons. Stato, Ad. plen. , 14 dicembre 2001, n. 9 e, più di recente, Cons. St. , sez. VI, n. 300/2012), il collegio sottolinea in primo luogo, in maniera decisiva ai fini della soluzione della controversia, che la Soprintendenza ha negato l’adeguatezza della motivazione dei nulla osta ambientali del Comune in quanto inidonei a rendere comprensibile “come e perché” gli interventi autorizzati fossero stati ritenuti compatibili con “le caratteristiche e le peculiarità paesaggistiche dell’area tutelata”: una zona “di notevole interesse pubblico in quanto si identifica in un pregevole quadro naturale determinato dalla presenza di profonde cavità naturali e da caratteristici aspetti che si manifestano in movimenti di masse collinari” (così, in modo testuale, il d. m. 3 marzo 1976), all’interno della quale la presenza dei manufatti in questione è risultata incongruente rispetto al fabbricato principale (“un edificio a due piani fuori terra, d’impianto architettonico tradizionale, ben inserito nel contesto ambientale”), e in contrasto, per materiali costruttivi, forma e dimensioni, con il contesto storico –architettonico rurale bolognese della zona pedecollinare; la cui permanenza in essere disturba e compromette il godimento del quadro naturale circostante, essendo visibile dai rilievi prossimi e ledendo gli aspetti paesaggistici e ambientali della località, con un’alterazione di tratti caratteristici della località protetta, che sono la ragione stessa per cui la località medesima è sottoposta a vincolo in base alla normativa di tutela ambientale, tanto da modificare sostanzialmente il provvedimento di vincolo paesaggistico al di fuori della procedura, all’epoca prevista dall’art. 82, comma 3, del d.P.R. n. 616 del 1977.

Nei termini sopra sintetizzati, gli atti statali di annullamento appaiono dunque motivati in maniera ragionevole.

I profili censurati dall’autorità statale, con l’annullamento dei due nulla osta ambientali del Comune, si riferiscono, in primo luogo, ed essenzialmente, alla mancata rappresentazione, da parte dell’amministrazione locale, dell’impatto delle opere realizzate sul paesaggio circostante e si traducono, pertanto, non in una indebita sovrapposizione della valutazione dell’autorità statale a quella dell’autorità locale, ma nel rilievo della insufficienza del giudizio di compatibilità paesaggistica formulato da quest’ultima amministrazione.

Tuttavia, i profili d’illegittimità delle autorizzazioni comunali rilevati dalla Soprintendenza, anche alla luce della documentazione fotografica integrativa prodotta, non si riducono alla insufficiente motivazione dei nulla osta ambientali nn. 184 e 173 del 17.1.1998, ma si estendono all’illogicità ravvisata dall’autorità statale di controllo negli atti comunali, in relazione alla ritenuta (dal Comune) assenza di menomazione di valori paesaggistici.

Ciò in quanto, tenuto anche conto della documentazione fotografica integrativa, proprio la visibilità dei manufatti avrebbe dovuto formare oggetto di una valutazione specifica da parte del Comune, riferita ai valori complessivi della località (conf. sent. Tar, pag. 6, là dove si afferma che la motivazione dei due nulla osta ambientali del Comune, basandosi in via esclusiva sulle ridotte dimensioni dei due manufatti e sul parziale occultamento degli stessi ad opera della vegetazione del giardino, risulta carente proprio di “un’effettiva e seria valutazione circa la compatibilità tra le opere da autorizzare in sanatoria e lo specifico vincolo paesaggistico imposto a suo tempo” : di qui, prosegue in modo condivisibile la sentenza, la sostanziale legittimità dell’annullamento statale che spiega in modo diffuso le ragioni di pubblico interesse che hanno indotto l’autorità ministeriale a tutelare la zona “de qua” ed evidenzia inoltre la carenza di motivazione dei nulla osta comunali su tale essenziale aspetto.

Detto altrimenti, nel caso in questione non risulta essere stato considerato in modo adeguato l’interesse pubblico di quella zona specifica di territorio.

In un contesto collinare, in cui si alternano rilievi e declivi con profonde cavità naturali, appare illogico osservare che la vegetazione del giardino opera una benefica mascheratura dei manufatti le cui caratteristiche confliggono col fabbricato principale e con l’architettura rurale del paesaggio nel quale sono inseriti.

Per le ragioni su esposte, la conclusione del Tar sulla sostanziale legittimità degli impugnati decreti della Soprintendenza va condivisa (in disparte la plausibilità della considerazione finale del giudice di primo grado sulla –pacifica- giurisprudenza in base alla quale, ai fini della legittimità di un atto amministrativo fondato su di una pluralità di ragioni tra loro autonome, basta che anche una sola fra esse sia riconosciuta idonea a sorreggere l’atto medesimo cosicché, anche a voler sostenere, per ipotesi, che la valutazione della Soprintendenza avesse travalicato il merito di attribuzioni di esclusiva competenza del Comune, i decreti non cadrebbero, reggendosi ugualmente “sull’autonomo capo di motivazione costituito dall’accertata carenza di motivazione dell’autorizzazione comunale”, con conseguente inammissibilità della seconda censura per carenza d’interesse), e da ciò consegue il rigetto dei principali motivi d’appello.

Per quanto riguarda l’adeguamento del Comune ai decreti della Soprintendenza, l’Amministrazione locale, nell’eventuale riesercizio del potere, dovrà considerarsi vincolata ad attenersi alle indicazioni contenute nei decreti medesimi.

2.4.3. Quanto infine all’impugnazione della statuizione del Tar relativa alla condanna alle spese, precisato in via preliminare che i ricorrenti / soccombenti sono stati condannati a rimborsare al Mibac la somma onnicomprensiva di € 2.000,00, somma tutt’altro che elevata, basterà dire che all’epoca della pronuncia della sentenza impugnata la regola della condanna alle spese a favore della parte vincitrice e a carico di quella soccombente era derogabile soltanto in presenza di gravi ed eccezionali ragioni: evidentemente il Tar, nell’esercizio dell’ampio potere discrezionale riconosciutogli in materia di statuizione sulle spese, ha ritenuto di non dover disporre la compensazione, e tale scelta non appare certo manifestamente irrazionale.

2.4.4. Con riferimento al giudizio d’appello, tuttavia, nelle peculiarità delle questioni trattate e nella difesa di mera forma svolta dal MIbac il collegio ravvisa, in base al combinato disposto di cui agli articoli 26, comma 1, c. p. a. e 92, comma 2, c. p. c. , eccezionali ragioni per l’integrale compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge confermando, per l’effetto, la sentenza impugnata.

Spese del grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 18 dicembre 2014 con l'intervento dei magistrati:

Filippo Patroni Griffi, Presidente

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere

Gabriella De Michele, Consigliere

Marco Buricelli, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 22/01/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)