Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1511, del 13 marzo 2013
Beni Ambientali.Il termine di sessanta giorni, assegnato alla Soprintendenza per pronunciarsi sulla domanda di rilascio diretto, in via suppletiva, dell’autorizzazione non è perentorio.

È principio generale, derivante da quello di legalità, che i termini stabiliti dalla legge sono di principio ordinatori, salvo che la legge stessa espressamente li dichiari perentori o colleghi esplicitamente al loro decorso un qualche effetto decadenziale o comunque restrittivo. L’art. 159, comma 2, del Codice dei beni culturali e del paesaggio stabilisce espressamente che il termine di sessanta giorni assegnato all’Amministrazione per esercitare il potere di annullamento è “perentorio”. Ma nulla poi dice, al successivo comma 4, in relazione all’altro termine di sessanta giorni, assegnato alla Soprintendenza per pronunciarsi sulla domanda di rilascio diretto, in via suppletiva, dell’autorizzazione. Nel difetto di una delle dette caratterizzazioni di legge, questo termine non può che essere considerato meramente ordinatorio. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

 

N. 01511/2013REG.PROV.COLL.

N. 02192/2011 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2192 del 2011, proposto da
Gaetani Liseo Giovanni, rappresentato e difeso dagli avvocati Maurizio Mansutti, Marco Di Camillo e Alessandro Tozzi, con domicilio eletto presso lo studio Placidi in Roma, via Cosseria, 2; Edil Dg 2004 s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Maurizio Mansutti, Alessandro Tozzi e Marco Di Camillo, con domicilio eletto presso lo studio Placidi in Roma, via Cosseria, 2;

contro

Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro pro tempore; Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Roma, Rieti e Viterbo, in persona del Soprintendente pro tempore, entrambi rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Regione Lazio, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
Comune di Nazzano, non costituito nella presente fase di giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE II QUA n. 499/2010, resa tra le parti;



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i beni e le attività culturali, della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Roma, Rieti e Viterbo e della Regione Lazio;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 febbraio 2013 il Cons. Claudio Boccia e uditi per le parti l’avvocato Pappalepore per delega dell’avvocato Mansutti e l’avvocato dello Stato Maddalo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso n. 9112 del 2008, proposto al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, il signor Giovanni Gaetani Liseo e la Edil DG 2004 s.r.l. chiedevano l’annullamento delle note del 29 maggio 2008, con le quali la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Roma, Rieti e Viterbo, agendo nei poteri suppletivi di cui all’art. 159, comma 4, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), aveva negato l’autorizzazione paesaggistica per la realizzazione di due villini bifamiliari da erigersi in località Monte Piccolo, nel comune di Nazzano (Roma).

In particolare, i ricorrenti avevano presentato nell’aprile del 2006 al Comune due distinti progetti, domandando le autorizzazioni paesaggistiche prima alla Regione Lazio, che non provvedeva nei termini dell’art. 159, comma 2; poi, stante quest’inerzia della Regione, alla Soprintendenza ai sensi dell’art. 159, comma 4. Quest’ultima, con atto del 24 maggio 2007, rilasciava il suo provvedimento dal contenuto negativo, rilevando carenze nella relazione paesaggistica e il mancato rispetto delle prescrizioni rilasciate in passato dall’amministrazione per la zona e il mancato rispetto del profilo naturale del terreno boscato, caratterizzato da forte pendenza che esigeva particolari interventi, onde non arrecare danno al bosco e al paesaggio circostante.

I ricorrenti predisponevano, quindi, due ulteriori progetti, rinnovando con questi la domanda delle autorizzazioni, che rivolgevano prima alla Regione Lazio, in data 20 settembre 2007, e poi, analogamente a quanto sopra e in relazione al fatto che anche in questa circostanza la Regione non provvedeva in tempo utile, alla Soprintendenza in data 24 gennaio 2008. Questa opponeva, in data 29 maggio 2008, un nuovo atto negativo, basato sull’impossibilità, in base alle previsioni del Piano Territoriale Paesistico Regionale (P.T.P.R.) intanto adottato dalla Giunta regionale il 14 febbraio 2008, di realizzare interventi edificatori radicali comportanti tagli alle alberature esistenti o modificazioni del pendio dei terreni della zona interessata, nella quale erano invece consentite solo operazioni di completamento dei manufatti esistenti.

2. Con la qui impugnata sentenza 19 gennaio 2010, n. 499, il Tribunale amministrativo respingeva il ricorso, ritenendo, quanto al lamentato decorso del termine di sessanta giorni entro il quale la Soprintendenza avrebbe dovuto, ai sensi dell’art. 159, comma 4, del Codice, concludere il procedimento di autorizzazione paesaggistica, che quel termine del comma 4 è solo ordinatorio e non perentorio; e che il suo decorso non avrebbe potuto comportare la formazione di un silenzio-assenso in base all’art. 20 [comma 4] della legge 7 agosto 1990, n. 241, che esclude la formazione del silenzio assenso in materia di patrimonio paesaggistico.

Quanto alla censura che la domanda non andava esaminata in base alle norme vigenti al momento dell’adozione del provvedimento, la sentenza ha rilevato che correttamente l’Amministrazione ha operato in base al principio deltempus regit actum, applicando la disciplina del P.T.P.R. adottato il precedente 14 febbraio 2008.

Quanto alla violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990, la sentenza assume che, trattandosi di un atto vincolato, la mancata partecipazione dei soggetti interessati non poteva comportare il sovvertimento del provvedimento: sicché, sensi dell’art. 21-octies della stessa legge, il fatto non poteva rappresentare un motivo di annullamento.

Quanto, infine, all’eccessiva lunghezza del procedimento la sentenza ha rilevato che in realtà i procedimenti erano due e ognuno dei due si basava su differenti progetti; quindi le censure sulla durata potevano riguardare solo il secondo, iniziato il 20 settembre 2007 con la presentazione del progetto alla Regione Lazio; e che gli stessi interessati avevano contribuito all’allungamento temporale con l’aver lasciato trascorrere un lasso di tempo maggiore dei sessanta giorni presupposti dall’art. 159, comma 4, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 per presentare direttamente all’Amministrazione statale la domanda di autorizzazione .

3. Avverso questa sentenza il signor Giovanni Gaetani Liseo e la società Edil DG 2004 s.r.l. hanno presentato il ricorso in appello (R.G. n. 2192 del 2011).

4. Con la memoria del 18 dicembre 2012 gli stessi appellanti hanno precisato le censure alla sentenza impugnata, sottolineando che il P.P.T.R. adottato il 14 febbraio 2008, alle cui disposizioni l’Amministrazione aveva fatto riferimento, prevede espressamente anche l’applicazione dell’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990, e hanno reiterato la richiesta di risarcimento danni quantificandola in euro 20.000,00.

In pari data l’Amministrazione ha presentato una relazione della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici del 31 agosto 2008, che fornisce alcuni chiarimenti sul P.T.P.R. approvato dalla Regione Lazio, l’indicazione delle delibere di riferimento e delle relative date di pubblicazione sul Bollettino ufficiale della Regione e descrive il contenuto, allegandone il testo, della norma di cui all’art. 7, comma 4, del P.T.P.R..

Con memoria di replica del 16 gennaio 2013, gli appellanti rilevano che su tale documento era stata formulata in primo grado una censura di tardività e che tale censura si riverbera sul deposito del documento nel presente giudizio, essendo l’atto una copia di quello presentato in primo grado.

5. All’udienza del 5 febbraio la causa è stata trattenuta in decisione.

6. Preliminarmente per il Collegio va affrontata la censura di tardività della documentazione presentata a suo tempo dall’Amministrazione, e ne va rilevata l’infondatezza, posto che la norma per cui “le parti possono produrre documenti fino a venti giorni liberi anteriori al giorno fissato per l’udienza e presentare memorie fino a dieci giorni”, di cui all’art. 23 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (vigente al tempo del giudizio di primo grado) non è dichiarato perentorio dalla legge e non può essere considerato in sostanza tale, perché è volto a facilitare il contraddittorio e non è comunque preclusivo della possibilità del giudice stesso di esaminare gli atti esibiti fuori termine, quando siano rilevanti per il giudizio e possano essere comunque acquisiti in via istruttoria (Cons. Stato, VI, 6 aprile 2007, n. 1560). La circostanza poi, dedotta dagli appellanti, che il documento prodotto in appello non altro è che una copia di quello così legittimamente prodotto in primo grado (e che dunque nulla al riguardo viene innovato in appello dal punto di vista del contraddittorio e del diritto di difesa), valgono a risolvere alla base ed assorbono ogni questione circa il valore di analoghe considerazioni, ove mai occorressero, per l’odierna previsione dell’art. 46, comma 2, Cod. proc. amm., riguardo al presente giudizio di appello.

7. Quanto al merito, con il primo motivo gli appellanti deducono la violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 ed eccesso di potere per difetto d’istruttoria e violazione del procedimento, rilevando che l’Amministrazione, nel respingere la richiesta di autorizzazione paesaggistica, avrebbe dovuto preavvisare gli istanti, comunicando loro le motivazioni del rigetto, onde garantire una sorta di precontenzioso fra le parti, proprio ai sensi dell’art. 10-bis.

A supporto essi citano alcuni precedenti, in particolare Cons. Stato, VI, 11 maggio 2007, n. 2299, secondo cui vi è l’obbligo statale di dar notizia dell’avvio del procedimento preordinato all’eventuale annullamento del nulla osta paesaggistico, e non può considerarsi equipollente l’avviso, da parte dell’ente autorizzante, di aver trasmesso il nulla osta all’autorità statale per il controllo.

Gli appellanti ricordano che il primo giudice aveva, invece, ritenuto si dovesse applicare l’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, atteso che il provvedimento aveva un contenuto vincolato. Quanto precede, tuttavia, non era stato né provato in giudizio dall’Amministrazione né acclarato dalla sentenza impugnata.

Gli appellanti aggiungono che la comunicazione di avvio del procedimento non era stata effettuata né dalla Regione Lazio né dalla Soprintendenza, neanche in occasione dell’ultimo diniego del maggio del 2008, che, alla luce di una modifica parziale del progetto presentato, non poteva essere definito atto vincolato.

Il diniego, peraltro, è viziato anche per difetto di istruttoria, non avendo l’atto fatto riferimento al precedente esame al quale i progetti erano stati sottoposti dalla Soprintendenza, e alle conseguenti modifiche da quella richieste.

7.1. Il motivo è infondato.

Premesso che solo le norme di legge sono abilitate a regolare la materia trattata dall’art. 10-bis della l. n. 241 del 1990 (sicché è fuor di luogo addurre che la sua applicazione sarebbe imposta da atti diversi dalla legge), va considerato che l’art. 7 (misure di salvaguardia del PTPR e dei piani paesistici vigenti e adottati), comma 3, del P.T.P.R., adottato dalla Giunta regionale del Lazio il 14 febbraio 2008, ha previsto, in via di salvaguardia, che dopo l’adozione del P.T.P.R. sono - ai sensi dell’art. 23-bis (Misure di salvaguardia in pendenza dell'approvazione del P.T.P.R.) l.r. Lazio 6 luglio 1998, n. 24 (Pianificazione paesistica e tutela dei beni e delle aree sottoposti a vincolo paesistico) - da applicare le disposizioni del piano territoriale paesistico adottato. Inoltre, al comma 4, per i beni paesaggistici dell’art.134, lett. a) e b) del Codice dei beni culturali e del paesaggio (cioè per le zone vincolate o in via amministrativa o ex lege), ha previsto che persiste l’applicazione delle previsioni dei precedenti piani paesistici, e che comunque in caso di contrasto tra il vecchio ed il nuovo piano, “prevale la disposizione più restrittiva” .

Così era nel caso di specie. Per la zona in cui avrebbero dovuto essere costruiti i due villini bifamiliari, infatti, le norme dell’adottato P.T.P.R. consentono solo il completamento di immobili già esistenti su aree di sedime già compromesse e che non comportino ulteriori tagli delle alberature esistenti e/o modificazioni del pendio dei terreni.

I progetti presentati dagli appellanti, come rilevato dal giudice di primo grado, non corrispondono a siffatte caratteristiche, perché riguardano nuovi interventi edificatori o modificativi dell’assetto paesaggistico: come tali, senz’altro non erano, alla luce di quanto testé rammentato, autorizzabili.

Da un tale risultato si deve già trarre la conclusione che la partecipazione del privato non avrebbe potuto comportare un esito diverso del procedimento, considerato che l’Amministrazione era non poteva che emettere un atto a lui sfavorevole.

In un tal caso, infatti, il difetto della comunicazione del preavviso di diniego dell’autorizzazione paesaggistica domandata ai sensi dell’art. 159, comma 4, d.lgs. n. 42 del 2004 non comporta ex se l’illegittimità del provvedimento, posto che l’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990 va dal giudice valutato avendo riguardo al successivo art. 21-octies, sulla non annullabilità degli atti per violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

8. Con il secondo motivo gli appellanti lamentano la violazione dell’art.159, comma 4, del detto Codice, atteso che la Soprintendenza (investita della diretta richiesta di autorizzazione dopo l’inerzia comunale sulla richiesta di autorizzazione) si è pronunciata oltre il suo termine, che è perentorio, di sessanta giorni: cioè quando non aveva più il potere di emanare il suo provvedimento. Con tale comportamento, peraltro, l’Amministrazione appellata avrebbe consentito il formarsi del silenzio-assenso, dando un sostanziale via libera alla richiesta autorizzazione paesaggistica.

La sentenza, distinguendo la natura del termine di sessanta giorni in perentorio o ordinatorio a seconda che la Soprintendenza sia investita del potere di annullamento (art. 159, comma 3, del Codice) o - come nel caso presente - di diretta autorizzazione (art. 159, comma 4), avrebbe posto in essere una decisione contraddittoria e fuori della ratio legis.

Analogamente, nell’escludere l’applicabilità del silenzio-assenso in procedimenti in materia paesaggistica, ai sensi dell’art. 20 della legge n.241 del 1990, la sentenza per gli appellanti non ha tenuto conto della facoltà del legislatore d’individuare in alcuni specifici casi (a basso tasso di discrezionalità) deroghe alla predetta regola generale; e un esempio va rinvenuto proprio nell’art. 159, comma 4, del d.lgs. n. 42 del 2004 (Cons. Stato, VI, 29 dicembre 2008, n. 6591).

8.1. Il motivo è infondato.

È principio generale, derivante da quello di legalità, che i termini stabiliti dalla legge sono di principio ordinatori, salvo che la legge stessa espressamente li dichiari perentori o colleghi esplicitamente al loro decorso un qualche effetto decadenziale o comunque restrittivo (cfr. art. 152, secondo comma, Cod. proc. civ.).

L’art. 159, comma 2, del Codice dei beni culturali e del paesaggio stabilisce espressamente che il termine di sessanta giorni assegnato all’Amministrazione per esercitare il potere di annullamento è “perentorio”. Ma nulla poi dice, al successivo comma 4, in relazione all’altro termine di sessanta giorni, assegnato alla Soprintendenza per pronunciarsi sulla domanda di rilascio diretto, in via suppletiva, dell’autorizzazione. Nel difetto di una delle dette caratterizzazioni di legge, questo termine non può che essere considerato meramente ordinatorio.

Correttamente quindi, il giudice di primo grado ha così giudicato ritenendo, non violato l’art.159, comma 4, pur avendo l’Amministrazione superato i sessanta giorni per emettere l’atto di sua competenza.

Ne deriva che , analogamente, non va condivisa l’opinione degli appellanti che il decorso dei sessanta giorni previsti dallo stesso art. 159, comma 4, avrebbe dato luogo alla formazione di un silenzio-assenso. È ultroneo pertanto rilevare, ove mai, che l’art. 20, comma 4, della legge n. 241 del 1990 esclude espressamente la formazione del silenzio assenso in materia di patrimonio paesaggistico; e che qui, a tutto concedere all’assunto degli appellanti, certo non ricorre il caso per cui il legislatore avrebbe previsto, in un tal specifico caso, il silenzio-assenso perché non v’è traccia di una siffatta volontà legislativa.

9. Con il terzo motivo gli appellanti hanno lamentato la violazione dell’art. 159 del Codice, la violazione del procedimento e l’eccesso di potere per disparità di trattamento con particolare riferimento alla lunghezza del procedimento.

Quest’ultimo era iniziato nel 2006 e a causa dei ritardi dell’Amministrazione gli interessati avevano ricevuto la risposta alla loro istanza non in base alla normativa vigente al tempo della domanda ma in base ad una normativa sopravvenuta, che non avrebbe potuto trovare applicazione in quanto non ancora adottata, se l’Amministrazione avesse concluso nei tempi prescritti dalle norme vigenti il procedimento autorizzatorio. Se fossero stati rispettati i termini previsti dalla normativa vigente all’epoca della domanda, infatti, il procedimento si sarebbe dovuto concludere al massimo entro il 20 gennaio 2008: mentre per le ragioni dette si è concluso nel maggio del 2008 e nelle more era entrato in vigore, dopo l’adozione 14 febbraio 2008 da parte della Giunta regionale, il nuovo Piano Territoriale Paesaggistico Regionale.

In tal modo i ritardi dell’Amministrazione sono ricaduti sul cittadino e hanno dato luogo anche a una disparità di trattamento rispetto ad altri, nei confronti dei quali sono stati rispettati i termini del procedimento.

Gli appellanti, infine, osservano che la sentenza non ha applicato correttamente neanche il principio del tempus regit actum, poiché in base ad esso ogni fase del procedimento amministrativo dovrebbe essere retta dalle norme vigenti al momento dello svolgimento della fase stessa, e le eventuali modifiche normative sopravvenute dovrebbero trovare applicazione solo nelle fasi successive non ancora concluse, conservando gli atti emessi nei sub procedimenti la loro validità.

In altri termini, per gli appellanti il giudice di prime cure non ha tenuto conto del fatto che se non fosse inutilmente decorso, per inerzia dell’Amministrazione, il termine dato alla Regione per porre in essere gli atti di sua competenza, la Soprintendenza non avrebbe potuto vagliare l’istanza in base al disposto della nuova normativa, ma avrebbe dovuto definirla secondo quanto stabilito da quella precedente: le cui prescrizioni avrebbero dovuto vincolare anche le decisioni di competenza della stessa Regione, la quale avrebbe dovuto istruire l’istanza in base in base alla normativa vigente al momento della sua presentazione.

9.1. Il motivo è infondato.

Per consolidato orientamento e per principio generale dell’azione amministrativa, anch’esso espressione del più generale principio di legalità, l’Amministrazione deve assumere i provvedimenti di sua competenza in base alla normativa vigente al momento dell’adozione del provvedimento, proprio perché il procedimento amministrativo è regolato dal principio tempus regit actum (ex multis: Cons. Stato, IV, 28 settembre 2009, n. 5835; VI, 3 settembre 2009, n. 5195). Correttamente, dunque, l’Amministrazione ha assunto le sue determinazioni in base alle norme dell’adottato nuovo P.T.P.R., entrato in vigore in data antecedente all’emanazione del provvedimento conclusivo del procedimento (29 maggio 2008).

Infine, quanto all’additata eccessiva lunghezza del procedimento, causa del rallentamento della decisione conclusiva del procedimento e della conseguente applicazione della più restrittiva normativa nel frattempo intervenuta, osserva il Collegio che il termine da cui partire per computare il tempo intercorso prima dell’approvazione definitiva del provvedimento di diniego delle richieste autorizzazioni è quello relativo alla data di presentazione alla Regione Lazio del secondo progetto, contenete le modifiche richieste in precedenza dalla Soprintendenza in occasione dell’esame del primo progetto presentato dall’appellante.

Come correttamente rilevato dal giudice di primo grado, se si considera che l’indicata presentazione ha avuto luogo presso la Regione solo il 20 settembre 2007 e che i progetti sono stati trasferiti alla Soprintendenza il 24 gennaio 2008, nonché che il nuovo P.T.P.R. è entrato in vigore a seguito dell’atto di adozione del 14 febbraio 2008, emerge con evidenza che, anche prima dello scadere dei sessanta giorni dell’art.159, comma 4, la Soprintendenza non avrebbe, comunque, potuto applicare norme diverse da quelle con cui ha assunto le contestate decisioni.

10. Per quanto sin qui esposto l’appello è infondato e, conseguentemente, va respinto insieme alla richiesta di risarcimento dei danni.

11. Le spese seguono il principio della soccombenza e sono stabilite nella misura indicata nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte appellante al pagamento delle spese, dei diritti e degli onorari di giudizio che quantifica in euro 2.000,00 (duemila/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 febbraio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Claudio Contessa, Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

Andrea Pannone, Consigliere

Claudio Boccia, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 13/03/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)