I SITI DI PRE-RACCOLTA DEI RIFIUTI: ECOPIAZZOLE, ISOLE ECOLOGICHE, ECOCENTRI. NUOVI SPUNTI DI RIFLESSIONE PER UNA SINTESI TRA DIRITTO PENALE E PRASSI ATTUATIVE.

di Corrado Carrubba ed Emanuele Quadraccia




L’occasione per tornare sull’argomento ci è offerta dai recenti orientamenti giurisprudenziali intervenuti sul tema oggetto del nostro precedente articolo, pubblicato su questa Rivista nel gennaio del 2005. In quella occasione, sospinti da una cogente necessità di sistematizzazione che mettesse in evidenza le differenze, gestionali ed autorizzatorie, intercorrenti tra le varie aree destinate alla raccolta preliminare dei rifiuti solidi urbani (in seguito, RSU), addivenimmo ad una quadripartizione dei siti predisposti per la gestione dei rifiuti in una fase antecedente allo smaltimento e/o al recupero. Proponemmo a tal uopo, sulla scorta di una prassi amministrativa consolidata[1] e di una autorevole giurisprudenza[2], di suddividere le menzionate aree di conferimento e gestione degli RSU in quattro categorie: ecopiazzole, isole ecologiche “semplici”, isole ecologiche con pre-trattamento o gestione (c.d. ecocentri), stazioni di traferimento di rifiuti. In estrema sintesi, a nostro avviso, le prime due categorie (ecopiazzole ed isole ecologiche semplici) non configurerebbero alcuna ipotesi gestionale di rifiuti e non sarebbero pertanto suscettibili di alcuna preventiva autorizzazione o comunicazione ai sensi del decreto Ronchi (si confrontino, oggi, Titolo I, Capi III e IV del recente D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152), purché in regola sul versante urbanistico territoriale ed a condizione che non diano luogo a discariche incontrollate o (rectius) a depositi incontrollati ex art. 14, 1° co. della normativa testé menzionata (attualmente, art. 192, 1° co., nuovo T.U. Ambientale). Per converso, gli ecocentri e le stazioni di trasferimento costituirebbero un’ipotesi di stoccaggio di rifiuti in senso stretto e, per tale ragione, necessiterebbero delle autorizzazioni prescritte[3].

A poco più di due anni di distanza dal nostro precedente intervento, ecopiazzole, isole ecologiche ed ecocentri, si confermano argomenti di un certo “appeal”, stando almeno al costante incremento della produzione dottrinaria sul tema ed alle molteplici richieste chiarificatorie pervenuteci dagli operatori del settore, spiazzati e, probabilmente, intimoriti dalle altalenanti risposte fornite dalla giurisprudenza al fondamentale quesito: “I siti di pre-raccolta dei rifiuti sono soggetti ad autorizzazione ex D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22?” (ed oggi, ex D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152).
Sotto l’egida della precedente normativa in materia, la giurisprudenza della Suprema Corte è intervenuta sul punto con le sentenze 18 luglio 2005, n. 26379 e 28 settembre 2005, n. 34665, recependo integralmente la tesi della necessaria autorizzazione delle ecopiazzole. In particolare, nella sentenza n. 26379/05, la Corte ha sancito l’infondatezza giuridica della tesi secondo la quale “[…] l’ecopiazzola altro non sarebbe che un centro di raccolta di rifiuti urbani, che i Comuni possono gestire in regime di privativa e disciplinare con regolamento e quindi in assenza di autorizzazione”. Da una attenta lettura della sentenza in esame, però, non sfugge il passaggio in cui è stato affermato che, nella specie, il Tribunale di Savona, in primo grado, aveva accertato che l’ecopiazzola sottoposta ad indagini non era “[...] destinata esclusivamente al conferimento di rifiuti urbani ingombranti da parte dei cittadini”, ma costituiva un “sito ove lo stesso servizio pubblico” conferiva “rifiuti in vista del loro smaltimento definitivo o recupero” e compiva “un’attività di cernita e separazione degli stessi” e infine li accumulava provvisoriamente “in attesa della periodica attività di smaltimento”. Alla stregua delle cennate considerazioni della Cassazione, se ne deduce a contrariis che, qualora il conferimento presso l’area de qua, sia essa da considerarsi, indifferentemente, un’ecopiazzola piuttosto che un’isola ecologica semplice, avvenga esclusivamente da parte dei cittadini, non vi è bisogno di alcuna autorizzazione ex D.Lgs. n. 22/1997. E’ fonte per noi di soddisfazione poter rilevare, dunque, come già nel nostro precedente contributo di analisi avevamo “centrato” il nodo gordiano, passato poi al vaglio del Giudice di legittimità. Ed invero, laddove nel 2005 parlavamo di isola ecologica “semplice” intendevamo riferirci ad “una struttura attrezzata e in varia maniera presidiata, o altrimenti circoscritta, avente l’obiettivo di “intercettare” rifiuti, voluminosi e non, conferiti dalla cittadinanza, per i quali la costruzione di un apposito circuito di raccolta risulterebbe oltremodo oneroso, oltre che di non indifferente aggravio per la circolazione stradale qualora si desse vita ad una incontrollata proliferazione di contenitori per le vie cittadine”. Di talché, ad avviso di chi scrive, appare di tutta evidenza la distinzione intercorrente tra questo modello, più blando, di raccolta di RSU e quello, più incisivo, rappresentato dalle isole ecologiche con pre-trattamento o gestione (ecocentri). Oggi come allora, rimaniamo infatti della convinzione che gli ecocentri necessitino di autorizzazione, espressa o tacita, per essere questi adibiti a centri di raccolta ove, i cittadini come le ditte incaricate, conferiscano rifiuti ed ove, differentemente che dalle isole ecologiche tout court, vengano effettuate altresì in loco operazioni di gestione, quali la cernita, lo smontaggio, il recupero dei materiali, ecc. Riprendendo una riflessione sul tema di un attento Autore, se ne deduce che il discrimine tra necessità o meno di autorizzazione, ai fini della rilevanza penalistica dell’attività svolta è rappresentato non solamente dal fatto che il servizio pubblico si faccia o non si faccia carico della raccolta, bensì, ed a fortiori, che predisponga sul posto attività di movimentazione e di separazione degli RSU accumulati provvisoriamente in attesa della periodica attività di smaltimento (o di recupero)[4]. L’impostazione tracciata dalla sentenza 18 luglio 2005, n. 26379 della Corte di Cassazione, quindi, non sposta il fuoco della nostra analisi, conferendo probabilmente maggior valore alla quadripartizione all’epoca proposta e della quale, in questa stessa sede, se ne ribadisce oggi l’attualità[5].
Ai fini di un efficace e puntuale inquadramento dell’impianto giurisprudenziale sottostante il tema oggetto dell’odierna analisi, non si può però sottacere la portata di un’altra sentenza della terza sezione penale della Suprema Corte. Se da un lato, infatti, la sentenza n. 26379/05, come anche rilevato da altra dottrina “[…] sembrava lasciare uno spiraglio alla possibilità che non dovessero essere qualificati come centro di stoccaggio, bensì come depositi temporanei, le isole ecologiche destinate esclusivamente al conferimento, da parte dei cittadini, dei rifiuti urbani in frazioni omogenee[6], dall’altro la più recente sentenza 28 settembre 2005, n. 34665/2005, sembrerebbe escludere l’assimilabilità dell’isola ecologica alla figura, normativamente prevista, del deposito temporaneo. Ad avviso della Corte, dunque, anche la più semplice forma di piazzola ecologica destinata alla raccolta differenziata dei rifiuti urbani ivi conferiti, sua sponte, dal cittadino qualunque e da noi, a scopo meramente classificatorio, definita ecopiazzola, costituisce un vero e proprio centro di stoccaggio, trattandosi di luogo ontologicamente distinto da quello di produzione e raccolta dei rifiuti domestici, individuato dall’art. 7, co. 2, lett. a) del D.Lgs. n. 22/1997 nei locali e nei luoghi di civile abitazione. Dalla rigorosa lettura della norma effettuata dalla Cassazione, pertanto, ne discenderebbe che dette ecopiazzole (e, in misura ancor maggiore, le isole ecologiche semplici) abbisognerebbero del preventivo controllo da parte dell’autorità amministrativa ad esso deputata, esercitabile oggigiorno attraverso l’autorizzazione unica di cui artt. 208 ss., ovvero in procedura semplificata ex artt. 214 ss., D.Lgs. n. 152/2006[7].
Un’interpretazione eccessivamente rigoristica del citato orientamento giurisprudenziale conduce però, a nostro modo di vedere, ad una evidente contraddizione. Se si considera l’ecopiazzola come centro di stoccaggio in funzione del ragionamento in forza del quale i rifiuti urbani “viaggiano” dal luogo di produzione ad altro luogo, distinto, di conferimento, assoggettandola pertanto a permesso rilasciato dalla competente P.A., non si vede come la predisposizione lungo il ciglio delle strade di appositi contenitori (“cassonetti” e/o “campane”) per il conferimento di rifiuti prodotti (ovviamente) altrove non debba essere anch’essa considerata alla stregua di uno stoccaggio, da sottoporsi ad autorizzazione ad hoc.
Più corretta e, probabilmente, più meditata nelle sue applicazioni pratiche, appare ancor oggi la posizione espressa dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 609/2004, già brevemente illustrata nel nostro scritto, precedentemente pubblicato su questa Rivista. Vale la pena di ricordare come il Supremo Consesso, in quella sede, abbia segnalato che non costituisce impianto di smaltimento e di recupero dei rifiuti e non richiede quindi procedura di valutazione di impatto ambientale alcuna l’area ecologica nella quale i rifiuti siano conferiti dai privati cittadini e gli operatori in loco procedano a semplici operazioni di pesatura, raggruppamento, smistamento, ecc., senza che vengano svolte ulteriori e diverse operazioni di smaltimento definitivo e/o recupero. Riteniamo che siffatta tesi sia tuttora da condividere, nella prospettiva di un giusto contemperamento tra la tutela dell’ambiente e le necessità della produzione industriale. Per tale ragione, siamo del parere che non si possa a priori catalogare le aree ecologiche come dei centri di stoccaggio di RSU al fine di assoggettarle ad autorizzazione regionale o a procedura semplificata. Appare evidente la necessità di sottoporre ad accertamento la natura delle operazioni in concreto svolte in codesti spazi per verificare se siano incluse tra quelle da autorizzare o tra quelle pacificamente esercitabili in regime di privativa ex art. 198, D.Lgs. n. 152/2006.
Interessante ma, per certi aspetti, difficilmente percorribile ci sembra la tesi proposta da Paone, che rappresenta probabilmente un’efficace sintesi di praticità e salvaguardia dell’ecosistema, ma al contempo porge il fianco ad alcune obiezioni di merito. L’Autore, infatti, pur inquadrando le attività di pre-gestione che avvengono nelle aree ecologiche (raggruppamento, cernita, ecc.) nella duplice tipologia dello stoccaggio previsto dall’art. 6, co. 1, lett. l) del D.Lgs. n. 22/1997 (deposito preliminare e messa in riserva)[8], le considera esenti dal rilascio dell’autorizzazione o dall’attivazione della procedura semplificata perché, secondo una prospettiva che ci sentiamo di condividere solo in parte, “[…
] sono strutturalmente e logicamente connesse alla fase della raccolta, e quindi rappresentano una modalità di effettuazione di un servizio obbligatorio per il comune” – il cui mancato espletamento comporterebbe esso si violazione della legge penale – “e perché non presentano profili di pericolosità per l’ambiente maggiori di quelli derivanti da un sistema di raccolta dei rifiuti effettuato con il loro prelievo diretto presso il luogo di produzione e con il trasporto all’impianto deputato all’esercizio delle operazioni descritte nell’Allegato B o C del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22[9].
Dal canto nostro, viceversa, riteniamo che le isole ecologiche con pre-trattamento e gestione (ecocentri) ove si realizzino quindi attività ulteriori a quelle necessarie per un ordinato conferimento ed accumulo dei materiali differenziati, quali la messa in riserva o il deposito preliminare, con operazioni connesse alle varie tipologie di rifiuti, vadano autorizzate secondo quanto previsto dal T.U. Ambientale, trattandosi queste, senza dubbio alcuno, di operazioni di gestione post-raccolta, rientranti pertanto nel regime di regolamentazione pubblicistica.
In conclusione, pur nel “tumultuoso” panorama che si è cercato sommariamente di delineare, rimaniamo intimamente convinti della persistente attualità delle conclusioni rassegnate e della quadripartizione delle aree ecologiche proposta all’inizio del 2005 (ecopiazzole, isole ecologiche “semplici”, isole ecologiche con pre-trattamento o gestione, stazioni di trasferimento di rifiuti), per essere la stessa stata avvalorata e resa vieppiù opportuna dall’incremento della produzione dottrinale e giurisprudenziale riguardo un tema che, oggi più di ieri, necessita di semplificazioni e di pratiche schematizzazioni per ovviare al comprensibile disagio percepito quotidianamente dagli operatori, e contribuire in tal guisa a dirimere le incertezze relative alla legittimità del loro modus operandi.


Corrado Carrubba Emanuele Quadraccia





[1] Cfr., ex multis, Piano di Gestione Rifiuti Regione Lazio, approvato con deliberazione del Consiglio n. 112 del 10 luglio 2002; Atto di indirizzo concordato in sede di Unione Regionale delle Province Marchigiane, 15 febbraio 2002.
[2] Consiglio di Stato, V Sezione, sentenza 17 febbraio 2004, n. 609.
[3] Per una bipartizione, si veda l’articolo di E. Dello Vicario, Ecopiazzole: isole ecologiche o ecocentri? Un contributo al dibattito (sul filo del lessico), in http://www.dirittoanbiente.com/. Approfondita l’analisi di L. Filippucci, Il deposito di rifiuti, le ecopiazzole e i centri per la raccolta differenziata dei Raee, in Rifiuti – bollettino di informazione normativa, nn. 125 e 126, gen-feb. 2006. Sulla questione, cfr. anche P. Milocco, Le ecopiazzole devono essere autorizzate?, in Riv. Giur. Ambiente, 2002. Sostanzialmente in disaccordo con l’impostazione da noi proposta, M. Santoloci, “Ecopiazzole”, la disciplina normativa dello stoccaggio comunale per la raccolta differenziata, in Rifiuti – bollettino di informazione normativa, n. 110, ago.-set. 2004 e P. Ficco, Le ecopiazzole comunali devono essere autorizzate, in www.reteambiente.it.
[4] V. Paone, Le Ecopiazzole all’esame della Cassazione, in Il Foro Italiano, n. 1/2006 e in www.lexambiente.it
[5] Puntuale e convincente è l’analisi che fa della sentenza n. 26379/05 V. Paone, Per le “piazzole ecologiche” occorre l’autorizzazione, in Ambiente&Sviluppo, n. 6/2006. Interessante è la posizione di G. Garzia, Osservazioni sul problema della qualificazione giuridica delle c.d. ecopiazzole comunali. Riflessione dopo la sentenza della Cassazione del 18 luglio 2005, in www.giuristiambientali.it.
[6] L. Filippucci, Il deposito di rifiuti, le ecopiazzole e i centri per la raccolta differenziata dei Raee, cit..
[7] V., in precedenza, artt. 27-30 e artt.31-33 del decreto Ronchi.
[8] Cfr., ora, art. 183, co. 1°, lett. l), D.Lgs. n. 152/2006.
[9] V. Paone, Le Ecopiazzole all’esame della Cassazione, cit..