Testo Unico in materia di beni ambientali: una conferma dalla Corte di Cassazione sull’individuazione delle sanzioni. di Luca RAMACCI Cass

Cass. Sez. 3 n. 08359 del 28/02/2001 (UD.16/01/2001)
PRES. Postiglione A REL. Novarese F
IMP. Giannone R PM. (Conf.) Meloni VD

In tema di costruzione senza autorizzazione paesaggistica in zona soggetta a vincolo, la violazione dell'art. 1 'sexies' Legge 8 agosto 1985 n. 431 e' punita con la sanzione prevista dall'art. 20 lett. c) Legge 28 febbraio 1985 n. 47, anche dopo l'entrata in vigore dell'art. 163 D.L.G. 490 del 1999, atteso che tale ultima fonte ha carattere compilativo e non e' idonea a introdurre una nuova disciplina sanzionatoria in materia penale, vuoi perche' manca una espressa delega legislativa (art. 1 Legge n. 352 del 1997) vuoi perche' una diversa interpretazione sarebbe contraria a quella fornita dalla Corte costituzionale sulla valenza del vincolo paesistico

Massima ufficiale CED cassazione

Testo Unico in materia di beni ambientali: una conferma dalla Corte di Cassazione sull’individuazione delle sanzioni.

La decisione della Corte di cassazione si segnala perché ripropone, in maniera decisamente condivisibile, alcuni principi fondamentali per la corretta applicazione delle vigenti disposizioni in materia di tutela del paesaggio.

Gli argomenti affrontati sono già stati oggetto di disamina in precedenti pronunce ma, come era facilmente prevedibile, sono stati prontamente riproposti dopo l’entrata in vigore del D.Lv. 49099 evidentemente allo scopo di ottenere un mutamento di indirizzo che peraltro mal si concilia con la funzione di riunione e coordinamento di tutte le disposizioni vigenti affidata dalla legge delega al citato decreto legislativo.

Ciò nonostante, come si dirà, con riferimento alle sanzioni applicabili per le violazioni ora contemplate dall’articolo 163 D.Lv. 49099, vi è stata un’immediata (e, aggiungiamo subito, poco convincente) presa di posizione della Corte di cassazione che viene ora efficacemente confutata dalla decisione in rassegna[1].

Oltre alla questione relativa all’impianto sanzionatorio dell’articolo 163 citato, la Corte ripropone altri principi a suo tempo formulati.

E così, viene in primo luogo richiamata l’ininfluenza delle questioni di legittimità costituzionale invocate nei motivi di ricorso in quanto già dichiarate in più occasioni manifestamente infondate.

Altrettanto chiaramente viene ricordato il consolidato orientamento secondo il quale deve escludersi ogni coincidenza tra la sanatoria degli abusi formali prevista dagli articoli 13 e 22 della legge 4785 e quella conseguente al condono edilizio.

Si tratta, in tale ultimo caso, di questione sollevata in base ad una interpretazione dell'articolo 39 L.7241994 introdotto in più riprese dalla giurisprudenza di merito subito dopo l’entrata in vigore della legge predetta e con il quale si attribuiva alla medesima una efficacia non limitata esclusivamente ai casi di "condono edilizio" ritenendola, al contrario, estensibile a tutte le violazioni di norme di tutela paesaggistica tanto da considerare introdotta dal legislatore una generale forma di sanatoria degli interventi abusivi eseguiti in zona vincolata[2].

Altra questione, già affrontata e richiamata nella decisione in esame, riguarda la possibilità di sostituzione delle sanzioni detentive previste dalla normativa in materia di tutela del paesaggio ai sensi della legge 24 novembre 1981 n.689.

Anche in questo caso si sono registrate, nel tempo, opinioni difformi nella giurisprudenza della Corte sebbene l’orientamento ormai prevalente (e più recente) propenda, come ricordato in motivazione, per l’esclusione dell’applicabilità delle sanzioni sostitutive con riferimento alla fattispecie contravvenzionale in esame.

Come è noto, l’articolo 60 L. 68981 esclude l’applicabilità delle sanzioni sostitutive alle “leggi in materia edilizia ed urbanistica” senza richiamare in modo specifico la disposizione che determina tale esclusione.

Il riferimento alla sola materia trattata ha, dunque, indotto parte della giurisprudenza ad escludere la sostituibilità della pena detentiva prevista dalle disposizioni paesaggistiche considerando in modo ampio, come pure ricordato nella decisione in rassegna, la nozione di urbanistica[3].

Un diverso orientamento, risalente nel tempo ed ormai minoritario, favorevole alla sostituibilità delle sanzioni viene, al contrario, fondato su una nozione meno estesa di “edilizia e urbanistica” e sulla diversità dell’oggetto di tutela che ha indotto a riconoscere la possibilità di concorso formale tra le due discipline[4].

Nel ribadire il principio ormai consolidato la Corte si è premurata di escludere esplicitamente ogni possibile interpretazione innovativa sulla base del contenuto della citata legge in materia di condono edilizio e della Costituzione.

Sebbene le argomentazioni fin qui affrontate dalla Corte assumano particolare rilievo per una corretta soluzione dei problemi interpretativi inerenti la disciplina di tutela del paesaggio anche dopo l’entrata in vigore del citato Testo Unico in materia di beni culturali ed ambientali, in quanto evidenzia la sostanziale continuità tra la vecchia e la nuova disciplina, ciò che rileva in modo particolare – peraltro per le stesse ragioni – è il riferimento alle sanzioni in concreto applicabili.

Si tratta, infatti, di una nota dolente e spesso ricorrente nelle questioni che riguardano la tutela del paesaggio per i reiterati tentativi di accreditare un indirizzo interpretativo, assolutamente non condivisibile, che consenta al giudice il ricorso anche alle sanzioni pecuniarie previste dall’articolo 20 lettera A) della Legge 4785.

Verosimilmente tale atteggiamento pare motivato dalla necessità di comminare sanzioni meno gravi rispetto a quelle previste dalla lettera C) del medesimo articolo. Tale indirizzo trovava peraltro taciti consensi allorché, antecedentemente alla sostituzione dell'articolo 135 C.P. con l'articolo 1 della Legge 5 ottobre 1993 n. 402, pur applicando la pena minima prevista dalla lettera C) dell'articolo 20 si superavano comunque i limiti di pena per l'applicazione della sospensione condizionale.

La questione relativa alle sanzioni in concreto applicabili alle violazioni della c.d. Legge Galasso vennero sollevate, anche innanzi alla Corte Costituzionale, immediatamente dopo la sua entrata in vigore.

A fronte di tali incertezze interpretative, la Cassazione si indirizzò senza indugio verso una lettura della disposizione tale da ritenere applicabili esclusivamente le sanzioni previste dalla lettera C) dell’articolo 20 Legge 4785 in considerazione del fatto che solo questa contiene un esplicito richiamo agli interventi eseguiti in zone sottoposte a vincolo paesaggistico ed ad essa è evidentemente rivolto il richiamo quoad poenam effettuato dal legislatore[5], confermando poi il principio anche in successive pronunce[6].

All’iniziale mancanza di incertezze seguiva, tuttavia, una prima voce discorde che riconosceva l’applicabilità anche delle sanzioni previste dalla lettera A) e fondata tanto sulla lettura dei lavori preparatori quanto sul fatto che il richiamo alle sanzioni previste dall’articolo 20 veniva effettuato senza alcuna specificazione, cosicché doveva intendersi riferito a tutte le ipotesi previste dall’articolo 20 Legge 4785[7], con la conseguenza che le sanzioni della lettera C) dovevano essere applicate agli interventi in zona vincolata in assenza della preventiva autorizzazione ovvero in totale difformità o variazione essenziale dalla autorizzazione medesima, facendo invece ricorso alle meno rigorose sanzioni contemplate dalla lettera A) in tutti gli altri casi.

Come prontamente riconosciuto dalla dottrina[8], la decisione era censurabile perché fondata, in parte, su una inaccettabile trasposizione di istituti propri della normativa urbanistica in quella di tutela del paesaggio, peraltro incompatibile con la accertata diversità tra le due materie. Il riferimento riguardava, in particolare, la nozione di “variazione essenziale” tipica della disciplina urbanistica ed avente singolari caratteristiche

Altrettanto decisiva appariva l’ulteriore osservazione secondo la quale gli interventi in zona vincolata potevano essere distinti tra quelli potenzialmente idonei – secondo i principi stabiliti - ad arrecare nocumento alla integrità del paesaggio ed eseguiti in assenza o difformità dell’autorizzazione aventi, per tale motivo, rilevanza penale e tutti gli altri, inidonei a determinare tali negative conseguenze, del tutto indifferenti alla norma penale.

In una successiva decisione[9] il riferimento alla lettera A) della disciplina urbanistica veniva invece riconosciuto nelle ipotesi di inosservanza delle modalità esecutive dell'autorizzazione paesistica, riservando alla lettera C) gli interventi eseguiti in assenza di atto autorizzatorio.

A queste prime pronunce di segno contrario facevano seguito altre decisioni che riprendevano l’originario indirizzo momentaneamente abbandonato [10].

Non sono mancate, anche successivamente, voci discordi con riferimento a casi specifici quali, ad esempio, l'occupazione di una vasta zona sottoposta a vincolo e destinata all’attività agricola[11] ovvero l’esercizio dell’attività di cava non preceduta dall’autorizzazione paesaggistica[12], subito seguite da ulteriori pronunce che riproponevano l’orientamento maggioritario richiamando, ancora una volta, i principi in precedenza illustrati[13].

Tali conclusioni, sicuramente convincenti e maggiormente rispondenti ai criteri interpretativi in base ai quali è stata in più occasioni evidenziata la netta distinzione tra la disciplina urbanistica e quella di tutela del paesaggio[14], sono state richiamate anche in decisioni successive pur non mancando ulteriori richiami all’indirizzo minoritario[15].

Tra questi, si inserisce la recente decisione, in precedenza richiamata, della quale la sentenza in rassegna fornisce una prima e dettagliata critica.

Come chiaramente indicato in motivazione, le argomentazioni poste a sostegno della citata pronuncia, fondate su una non condivisibile lettura del richiamo effettuato dal legislatore alle “pene previste dall’articolo 20” possono essere agevolmente confutate, come effettivamente fanno i giudici di legittimità in modo estremamente chiaro e lineare, ponendo tra l’altro in evidenza le contraddizioni in cui essa cade.

La sentenza si evidenzia, infine, per la critica – in realtà non isolata, come ricordato in motivazione – alla nota pronuncia n. 24797 della Corte Costituzionale[16] con la quale sorprendentemente si affermava che "l'individuazione delle sanzioni da applicarsi è operata, secondo un indirizzo giurisprudenziale ormai prevalente, conseguente alla sentenza di questa Corte n.122 del 1993, mediante il rinvio e la progressiva estensione dell'intero regime sanzionatorio previsto dall'articolo 20 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, commisurando la quantificazione della pena a seconda del tipo di intervento o di attività realizzata in contrasto con i vincoli, ovvero in totale difformità o senza autorizzazione o nulla osta previsti, ovvero con inosservanza delle prescrizioni o del contenuto della autorizzazione, alle lettere A), B) e C) dell'articolo 20 della legge n.47 del 1985".

La Corte Costituzionale sosteneva tale lettura della norma in quanto rispondente ai precetti di determinatezza della sanzione penale ed alle esigenze di adeguatezza e congruità della pena rispetto al caso concreto ed al bene tutelato dalla norma violata e riportava un richiamo alla lettera B) dell’articolo 20 Legge 4785 mai effettuato dalla Cassazione, contrariamente a quanto affermato ed evidentemente frutto di errore.

La medesima decisione è stata, peraltro, ritenuta non condivisibile anche da altra sentenza successiva a quella in esame ove si afferma, sinteticamente, che la stessa non appare decisiva “in quanto conclude per l’applicabilità di tutte le previsioni della norma incidenter tantum, in modo meramente esplicativo, tenuto conto della diversità della questione sottoposta al suo vaglio” e si ribadisce la applicabilità delle sole sanzioni contemplate dalla lettera c) dell’articolo 20 L. 4795[17].

Attraverso le argomentazioni svolte viene dunque confermata, qualora vi fossero dubbi, la applicabilità dei principi già fissati sotto la vigenza della legge 43185 anche con riferimento all’articolo 163 D.Lv. 49099 di nuova formulazione fornendo, conseguentemente, una risposta che si spera definitiva ad ogni equivoco riferimento ad un solo apparente diverso contenuto della norma.

Luca RAMACCI



[1] Ci si riferisce a Cass. Sez. III 7122000, Panattoni in Rivistambiente n. 7-82001 pag. 843 e Riv. Pen. 52001 pag. 456

[2] Sul punto si vedano, ad es., Cass. Sez. III Sent.1692 del 17101995, Del Favero citata nella decisione in rassegna e pubblicata (con la nota di L. RAMACCI “Nuovo condono edilizio: l’intervento della Cassazione in tema di sanatoria degli abusi in zone sottoposte a vincolo paesaggistico”) in Il Nuovo Diritto n. 11996 e Cass. Sez. III sent. 1821998, Cappelli ed altri in in Rivista Penale n.51998 con nota di L. RAMACCI "Legge 72494 ed ambito di efficacia delle disposizioni contenute nell'articolo 39 comma ottavo"

[3] Sul punto si vedano le decisioni richiamate nella motivazione della sentenza in rassegna

[4] V. per tutte Cass. Sez. sez. III 991996, P.M. in proc. Stefanini ed altre precedenti conformi.

[5] Così Cass. Sez. III 2251987, Di Iorio

[6] Cass. Sez. III 851990, Giovannoni in Cass. Pen. 1991, pag. 1825; Sez. III 131991, Ventura in Giur. It. 1991, Parte II, pag. 488; Sez.III 2551991, Paddeu.

[7] Cass. Sez. III 551992, Ferrero in Cass. Pen. 1993 pag. 659 e ss.

[8] V. MENDOZA "Normativa urbanistica e legge Galasso: profili comuni ed aspetti differenziali" in Cass. Pen. 1993 pag. 662 e ss.

[9] Cass. Sez. III 1641994, Capparelli in Cass. Pen. 1995 pag. 1605 e ss. Nello stesso senso Cass. Sez. III 13111995, Romano in Riv. Giur. Ed., 1996 Parte I pag. 403

[10] Cass. Sez. III 2141994 P.M. in proc. Morrea. Vedi anche Sez. III 2351994, P.M. in proc. Solla

[11] Cass. Sez. III 2341994, Fanelli in Riv. Pen., 1994, pag. 1240 . L’applicabilità della sanzione prevista dall’articolo 20 lettera A) si fondava sul presupposto che la "modificazione ambientale", pur non avendo dato luogo ad un intervento edilizio in senso proprio, aveva comunque inciso sull’ originario assetto del territorio e del paesaggio.

[12] Cass. Sez. III 1971994, Cinotti in Riv. Pen., 1996, pag. 72

[13] Si veda, ad es. Cass. Sez. III 931995, P.M. in proc. Ceresa ove la Corte, nel richiamare ancora una volta l’attenzione sullo specifico riferimento della lettera A) alla disciplina urbanistica evidenziava la irrazionalità dell’orientamento criticato individuabile nell’esempio secondo il quale, accedendo a tale interpretazione della norma, sarebbe stato sanzionato con pena mite (prevista dalla lettera A) l’abbattimento di alberi ad alto fusto in zona vincolata, mentre la costruzione di un piccolo vano sarebbe stata sottoposta alle sanzioni previste dalla lettera C) nonostante il palese minor impatto ambientale. V. anche Cass. Sez. III 2991997, Bussalai in Riv. Penale 111997 pag. 1002 e ss.; Sez. III 23102000, Raguccia in Rivistambiente n. 12001 pag.53; Sez. IIII n. 3336 dell’1122000, P.M. in proc. Menazza.

[14] Tra le più recenti v. Cass. Sez. III 2632001 P.M. in proc. Matarrese ed altri

[16] Corte Cost. n. 247 del 1871997 in G.U. n. 30 del 2371997

[17] Cass. Sez. III 1562001, Visco