La rimozione degli impianti pubblicitari alla luce delle vigenti disposizioni di legge in materia di pubblicità lungo, e in vista delle strade   di Giovanni Fontana LE PRINCIPALI FONTI DI INQUINAMENTO

Legislazione:

d. Lgs. 30 aprile 1992, n. 285

d.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495

d. Lgs. 10 settembre 1993, n. 360

d.L. 4 ottobre 1996, n. 517, conv. in legge 4 dicembre 1996, n. 611

L. 23 dicembre 1996, n. 662

Legge 15 maggio 1997, n. 127

d. Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446

Legge 30 marzo 1999, n. 83

d. Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490

Legge 7 dicembre 1999, n. 472

 

Circolari Ministeriali:

direttiva Min. LL.PP. n. 1381 del 17 marzo 1998

circolare Min Finanze 17 marzo 1994, n. 10

circolare Min. Finanze 3 novembre 1998, n. 256/E

 

PARTE I

 

Introduzione

 

L’articolo che segue, è una rivisitazione di un mio precedente articolo pubblicato sul n. 7-8/2000 de L’Amministrazione Italiana (che si consiglia di confrontare con il presente elaborato), riproposto a Codesti lettori, alla luce delle recenti modificazioni apportate dalle coeve Legge n. 472 in materia di trasporti e d. Lgs. n. 490, recante il T.U. delle leggi in materia di beni ambientali e culturali.

Nell’intento di realizzare una nuova monografia sull’argomento, è gradito l’eventuale confronto con tutti coloro i quali hanno un particolare interesse alla materia, scrivendo all’indirizzo di Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

 

Premessa

 

Come ho già avuto modo di argomentare ([1]), a far data dal 1.1.1999, le norme di cui al Titolo II del d. Lgs. 285 del 1992 (in seguito, richiamato più semplicemente con il termine di codice o N. C.d.S.), giuste le disposizioni di cui all’art. 234 dello stesso codice ([2]), divengono pienamente efficaci: più semplicemente, ciò significa che l’applicazione della norma prevista dall’art. 23 del codice non ammette più alcun tipo di deroga.

Bisogna appena accennare il fatto che con la decretazione d’urgenza e la successiva conversione il Legge del d.L. 517 del 1996, il legislatore ha “salvato” in extremis una situazione di fatto nella quale si trovava (e per quanto si possa conoscere, si trova) buona parte del demanio stradale. Cosa questa che non si è realizzata al termine di quest’ultimo anno utile di transizione, per il corretto adeguamento degli impianti di pubblicità alle nuove disposizioni di legge. E tutto ciò era abbastanza intuibile, anche tenuto conto dell’intervento ritardato ma, paradossalmente affrettato, del Ministero dei LL. PP. che con propria Direttiva n. 1381 del 1998 ([3]) ha disposto le metodiche di controllo e di adeguamento degli impianti pubblicitari alla normativa vigente.

Vero è che ogni norma in deroga tende a porre su un piano di equità di trattamento soggetti che in tempi diversi hanno goduto di distinta tutela giuridica. Ma è altresì ovvio che la transitorietà - quindi, ed in buona sostanza, la salvaguardia dei “vecchi” impianti pubblicitari - dell’applicazione della legge, non potrà andare oltre un ragionevole tempo di adeguamento giuridico, ciò determinando, in caso contrario, la mancata applicazione di quell’invocato principio equitativo.

Semmai è qui da dire, che possono sorgere ben validi sospetti sul come i cittadini — pur non ammettendo in capo a loro, giustificazioni di comodo (quali l’ignoranza della legge) — possano comunque invocare a loro discolpa un’ignoranza scusabile derivante dall’inefficienza della P.A. e dall’inefficacia dell’azione amministrativa.

Infatti, qui mi domando (ma domando!): dove finisce la responsabilità della Pubblica Amministrazione e dove inizia quella dell’utenza?

In concreto: che cosa hanno fatto, o per essere più precisi, quali strumenti hanno attuato gli enti proprietari delle strade per mettere in condizione i cittadini di adeguarsi, senza eccessivi “traumi” alle nuove disposizioni di legge (sempre che le vecchie siano già state rispettate)?

In conclusione: sino a che punto i cittadini “irrispettosi” delle norme di legge sono (non tanto giuridicamente, quanto) giustamente sanzionabili?

Anche a queste domande dovrebbe rispondere la coscienza di chi serve lo Stato e tutto ciò che esso rappresenta, sia a livello centrale, che periferico. Ma qui è dato di rispondere più che all’etica del servizio, alla prassi professionale; quindi, alle domande precedenti è giusto che ognuno di noi le mediti tra le quattro mura... del proprio corpo o servizio di polizia municipale.


Il decreto Legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 in materia di riordino della disciplina dei tributi locali e di canone per l’installazione di mezzi pubblicitari

 

Abbiamo parlato poc’anzi di termine ultimo di adeguamento degli impianti pubblicitari alla data del 31.12.1998.

Ora è avvenuto che a seguito della delega di cui alla Legge 23 dicembre 1996, n. 662, il Governo ha emanato il d. Lgs. 446 del 1997 inerente il riordino della disciplina dei tributi locali, disponendo tra l’altro la possibilità per i comuni di disapplicare l’imposta sulla pubblicità di cui al Capo I del d. Lgs. 507 del 1993 e di sostituirla con un canone di autorizzazione, in base a tariffa ([4]). Ed è altresì sintomatico, che pur trattandosi di altro settore di pertinenza del richiamato decreto n. 446 (l’occupazione del suolo pubblico), sono state poste in chiave critica, le conseguenze connesse alla abrogazione della T.O.S.A.P. e all’istituzione della C.O.S.A.P.; fatto questo che ha determinato il ripristino del sistema previgente, con l’entrata in vigore della legge collegata alla Finanziaria 1999, n. 448 del 1998 ([5]).

Ebbene, con un po’ di fantasia giuridica, c’è chi ha fatto proprio il contenuto degli artt. 52 e 62 del decreto in parola ([6]) disponendo oltre all’abolizione della imposta sulla pubblicità, ulteriori termini di adeguamento per gli impianti pubblicitari alla normativa vigente.

Ecco che allora, prima di proseguire oltre, verso il nostro discorso principale, vorrei addentarmi nell’ambito della vexata quæstio e richiamare fortemente il rispetto delle regole, prima fra tutte quella relativa alla gerarchia delle fonti.

E’ di fondamentale importanza che specialmente i dirigenti o i responsabili dei servizi, si attengano a quelle regole giuridiche preordinate che stanno alla base del sistema democratico; questo non solo in ordine alla possibilità di inficiare la legittimità dell’atto amministrativo sul piano dell’eccesso di potere ([7]), ma ben anche in riferimento alla nuova formulazione dell’art. 323 del c.p. ([8]).

Vero è che i comuni necessitano di una sempre più ampia autonomia regolamentare, ma non si deve neppure dimenticare che i valori forti dello Stato unitario e della salvaguardia della sicurezza e della incolumità delle persone, debbono giocoforza, rimanere proprio in capo allo Stato centrale e non certo a quello periferico.

Ci sono elementi e particolarità locali (che tutti noi conosciamo) che troppo influiscono sulla libera determinazione della volontà politica locale, tanto da renderle eccessivamente influenzabili e condizionabili. Basti pensare oggi, a questo “nuovo” fatto.

Ebbene e per concludere questo paragrafo, c’è una legge dello Stato - il Nuovo Codice della Strada, appunto - che ha come oggetto giuridico la tutela della salvaguardia della sicurezza della circolazione stradale. E questa ha il medesimo valore ad Aosta, come a Palermo, a Firenze, come a Pescara... in tutti i comuni d’Italia ed in ognuno in particolare.

Il semplice fatto che l’amministrazione dello Stato ha affidato all’amministrazione degli enti locali la gestione delle proprie entrate (ex art. 62, comma 1, d. Lgs. n. 446), non sta certamente a significare che le amministrazioni locali possano fare tutto ciò che vogliono nell’ambito del proprio territorio comunale, ivi compresa la disapplicazione delle norme giuridiche preordinate: cosa questa che la Costituzione riserva a ben altre Autorità!

Appare certamente giusto e corretto che i regolamenti locali, approntando e richiamando il principio costituzionale della efficienza della P.A. e dell’efficacia dell’azione amministrativa, vadano a migliorare le condizioni di esercizio degli interessi legittimi della popolazione locale, ma questo, si badi bene, nel pieno rispetto delle preordinate regole giuridiche.

E se ciò non bastasse, è giusto qui richiamare i principi informatori del nuovo regolamento comunale eventualmente adottato in forza del decreto n. 446 (ex art. 62, comma 2 e 4):

a) l’individuazione della tipologia dei mezzi, sulla base delle caratteristiche di cui al N. C.d.S.;

b) un sistema sanzionatorio più efficace ([9]) che vada a privilegiare il procedimento sanzionatorio previsto dall’art. 23 del N. C.d.S., nell’ambito dell’area di pertinenza stradale.

Quindi niente di nuovo, se non una maggiore autonomia impositiva per i Comuni.

Come infatti precisa al riguardo il Ministero delle Finanze ([10]), «parimenti, ha natura di entrata non tributaria il canone per l’installazione di mezzi pubblicitari, di cui all’art. 62 dello stesso d. Lgs. n. 446/1997» e quindi non devono essere trasmessi allo stesso Ministero per la pubblicazione in G.U. e per l’eventuale esercizio del potere d’impugnativa i regolamenti locali che disciplinano tali entrate.

 

Gli impianti pubblicitari abusivi

 

Ciò detto, ci domandiamo adesso quando gli impianti pubblicitari sono da considerare abusivi, ai fini della tutela della salvaguardia della circolazione stradale e di altri valori indirettamente tutelati dalle disposizioni contenute nelle norme giuridiche sopra richiamate e quando sono applicabili i rimedi previsti dalle medesime norme giuridiche.

Ciò che rileva ai fini del nostro studio, sono ovviamente le disposizioni contenute nel nuovo codice della strada, divenendo quindi le altre, strumentali a queste, ai fini di una sistematica e generale interpretazione giuridica.

Appare evidente, in ordine di tempo, che il d. Lgs. 285 del 1992, così come ampiamente modificato ed integrato dal d. Lgs. 360 del 1993, ha dato luce a tutta un’azione giuridica di controllo e d’intervento sugli impianti pubblicitari, integrata poi dai richiamati dd. Lgs. n. 507 del 1993 ([11]) e 446 del 1997 ([12]).

 

L’azione integratrice del decreto n. 507 del 1993, in materia di tributi locali e del decreto n. 446 del 1997, in materia di entrate comunali

 

Ora, la tutela giuridica offerta dal decreto n. 507 appare ben diversa da quella del precedente decreto n. 285, ma idonea a determinare il “blocco” del rilascio di nuove autorizzazioni. Dispone infatti il comma 8, dell’art 36, del citato decreto sull’imposta sulla pubblicità che «il comune non dà corso alle istanze per l'installazione di impianti pubblicitari, ove i relativi provvedimenti non siano già stati adottati alla data di entrata in vigore del presente decreto, né può autorizzare l'installazione di nuovi impianti fino all'approvazione del regolamento comunale e del piano generale previsti dall'art. 3» ([13]).

Appare quindi evidente che una delle forme di abusiva collocazione di un impianto pubblicitario è quella che si concretizza nella diffusione di messaggi pubblicitari in carenza di autorizzazione, stante il fatto evidente che «l’imposta comunale (e l’autorizzazione dalla quale ne scaturisce il presupposto giuridico di esistenza e non di sanzione ex artt. 23 e 24 stesso decreto, N.d.A.) sulla pubblicità è uno dei tributi comunali e viene corrisposta in ragione della facoltà che è data al singolo operatore economico di diffondere messaggi pubblicitari effettuata attraverso forme di comunicazione visive od acustiche, diverse da quelle assoggettate al diritto sulle pubbliche affissioni» ([14]).

Per completezza, è infine da sottolineare il fatto - in parte già detto - che il decreto 446 segue tutto sommato la medesima logica giuridica, tendendo peraltro a privilegiare l’autonomia degli enti locali ([15]) in materia delle sole entrate.

 

L’abusivismo nell’ambito della tutela della sicurezza della circolazione stradale e di altri valori

 

Per quanto già detto al paragrafo precedente è quindi formalmente abusivo, quel messaggio pubblicitario posto in luogo pubblico o aperto al pubblico o che sia da tali luoghi percepibile (ultima ipotesi riferibile ai messaggi acustici) senza che per lo stesso sia stata rilasciata adeguata autorizzazione amministrativa.

 

L’abusivismo formale

 

Ora, il rilascio di un’autorizzazione amministrativa presuppone il riconoscimento di un interesse legittimo, intendendo tale «la posizione di vantaggio fatta ad un soggetto dell’ordinamento in ordine ad un bene oggetto di potere amministrativo e consistente nell’attribuzione al medesimo soggetto di poteri atti ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile l’interesse al bene» ([16])

Parrebbe qui evidente che il diritto all’espressione di un messaggio ideologico e quindi il frutto della elaborazione mentale, possa ben comprendere qualsivoglia messaggio pubblicitario e come tale sia dotato di quella particolare tutela costituzionale che scaturisce dalla lettura del comma 1 dell’art. 21 della nostra Carta fondamentale.

Da tutto ciò si comprende bene che con il rilascio dell’autorizzazione amministrativa, non si riconosce tanto un interesse ad esercitare una determinata attività (che nel caso di specie è propria di ogni cittadino), quanto piuttosto la «pretesa alla legittimità dell’atto che viene riconosciuta a quel soggetto che si trovi rispetto all’esercizio di un potere discrezionale dell’amministrazione in una particolare posizione legittimante» ([17]).

Certamente, se con lo strumento del regolamento comunale emanato in forza del potere riconosciuto all’ente locale dai decreti n. 507 o 446 precitati, si è voluto anche ed indirettamente limitare certe forme di pubblicità (esplicitamente ritenute abusive), con lo strumento dell’autorizzazione amministrativa rilasciata ai fini della salvaguardia della circolazione stradale (ex art. 23, comma 4, N. C.d.S.), dei beni ambientali e/o culturali (ex art. 23, comma 3, N. C.d.S.) ([18]), dell’autonomia degli enti locali e delle aree ferroviarie (ex art. 23, comma 5, N. C.d.S.), si è semplicemente previsto uno strumento di legittimazione di quell’interesse ad esercitare alcune particolari forme pubblicitarie, nell’ambito più generale di quelle già previste dal regolamento comunale.

Ed in effetti, lo stesso tenore letterale del comma 6, dell’art. 23 del d. Lgs. 285 del 1992, così come modif. dall’art. 13 del d. Lgs. 360 del 1993 ([19]), tende a qualificare il regolamento comunale emanato (anche) in forza di tale dispositivo, piuttosto come un regolamento meramente tecnico che giuridico (lato sensu).

Lo abbiamo detto e lo ribadiamo, che garanzia per il lecito esercizio dell’attività pubblicitaria lungo le strade o in vista di esse è l’avvenuto rilascio dell’autorizzazione amministrativa.

Richiamando un precedente accenno, dobbiamo anche dire che il rilascio di un palese atto amministrativo illegittimo non inficia l’efficacia dell’atto stesso, se non quando quest’ultimo è posto al competente giudice ordinario o amministrativo per l’eventuale disapplicazione o annullamento dell’atto stesso. Vale peraltro il caso di ricordare che compito della polizia municipale, in quanto organo della P.A., è anche quello di segnalare tempestivamente all’autorità amministrativa emanante l’eventuale ipotesi di vizio dell’autorizzazione rilasciata e, in quanto organo di polizia giudiziaria, alla medesima autorità, l’eventuale ipotesi dell’abuso d’ufficio ascrivibile al funzionario responsabile del procedimento che abbia partecipato dolosamente al procedimento di rilascio dell’autorizzazione in violazione di legge, procurando un danno od un vantaggio patrimoniale ([20]).

Ora è pure da ribadire quanto già espresso dal Cigolini ([21]) in vigenza dell’art. 11 del d.P.R. 393 del 1959 ed oggi ripreso dal Protospataro ([22]) e quindi che vada applicata la sanzione (ora amministrativa) anche a chi sia munito di autorizzazione nulla ([23]), perché un tale atto è da equipararsi giuridicamente a mancanza di autorizzazione, mentre se trattasi di autorizzazione annullabile, produce i suoi effetti giuridici sino a che non sia dichiarata illegittima ([24]).

«Devesi ritenere caducata l’autorizzazione quando il titolare di essa non abbia ottemperato alle condizioni alle quali essa era stata subordinata, e pertanto il titolare si dovrà considerare sprovvisto dell’autorizzazione e soggetto quindi alla sanzione penale (ora amministrativa, N.d.A.)» ([25]).

In questo caso particolare, trova specifica applicazione la norma contenuta nell’art, 56 del d.P.R. 495 del 1992, inerente la vigilanza degli enti proprietari delle strade in materia di pubblicità.

Vale la pena di ricordare e richiamare il principio di ordine generale contenuto nel comma 1 del più volte citato art. 23 del nuovo codice stradale, che come tale ha comunque un chiaro significato teleologico.

Si può quindi ritenere che sotto l’aspetto formale, il concetto di abusivismo sia stato ampiamente e sufficientemente argomentato.

Ciò che adesso è da comprendere è il suo concreto significato, anche sotto l’aspetto sostanziale e quindi, quando un messaggio pubblicitario necessita di ottenere il rilascio dell’autorizzazione amministrativa.

La ricerca potrebbe essere ritenuta banale, ma non a caso si fa, perché non pochi sono quei funzionari pubblici, dirigenti o responsabili del servizio, che affermano con assoluta certezza che soltanto determinati messaggi pubblicitari necessitano di un’autorizzazione amministrativa, rispetto alla variegata presenza dei messaggi pubblicitari: ipotesi questa, assolutamente non condivisa da chi scrive.

 

L’abusivismo sostanziale

 

Come già detto, la parte iniziale dell’art. 21 della Costituzione sancisce che «tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».

Al termine poi di pubblicità si assegnano svariati significati quali la divulgazione della pubblica conoscenza, mediante la diffusione di messaggi e, per converso, far diventare una notizia di pubblico dominio; l’insieme delle attività e dei mezzi attraverso cui si richiama l’attenzione del pubblico, a fini promozionali, su prodotti, servizi, prestazioni di vario tipo, predisponendo messaggi adatti alla fascia di popolazione che più interessa. Fornite queste definizioni, forse si sarebbe più propensi a stabilire che la regolamentazione giuridica della pubblicità risulti essere più conforme alla seconda delle due definizioni: ma questo, almeno per chi scrive, sarebbe assai riduttivo.

Se è vero, come è vero, che ciò che si è voluto regolamentare è senz’altro l’abusiva utilizzazione dei mezzi di comunicazione realizzata per il tramite dei cartelli ed altri mezzi pubblicitari, è altresì evidente che l’oggetto giuridico che si vuole tutelare — lo ribadiamo — è la sicurezza della circolazione stradale.

Ed in questo, ciò che rileva, non è tanto il fatto che sia o meno presente lungo una strada una forma di divulgazione del pensiero ai fini pubblicitari — così descritti —, quanto piuttosto che vi sia un messaggio rivolto all’utenza stradale, realizzato con un mezzo di percezione ottica, idoneo di per se ad ingenerare confusione con la segnaletica stradale, ovvero a renderne difficile la comprensione o a ridurne la visibilità o l’efficacia, ovvero ad arrecare disturbo visivo o a distrarne l’attenzione con conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione (ex art. 23, comma 1, N. C.d.S.).

Ma esiste pure il fatto che, in quanto libera manifestazione del pensiero, la pubblicità non possa essere vietata ma anzi, debba essere garantita a tutti coloro che ne vogliano disporre, sia per uso personale e nell’interesse del privato, sia come uso pubblico e nell’interesse della collettività. E beh, ma adesso domandiamoci pure, sino a che punto la pubblicizzazione di un prodotto assolva esclusivamente a fini privati (e cioè ad uso esclusivo dell’azienda) e non anche per fini pubblici. La conoscenza dei prodotti e delle regole di mercato, non è forse una garanzia per lo sviluppo economico-sociale del Paese?

Ma come già in altra occasione abbiamo avuto modo di ricordare, la Consulta ha avuto modo di argomentare, che l’attribuzione di un diritto — anche costituzionalmente tutelato — non esclude a priori il regolamento dell’esercizio di esso ([26]).

Questo per dire che è vero che a ciascuno è data la facoltà di esprimere il proprio pensiero, mediante la divulgazione di scritte od immagini, determinanti un richiamo visivo, ma per ben garantire questo diritto è necessario che il suo esercizio venga in qualche modo disciplinato e quindi si escluda la possibilità dell’abusivo esercizio di quello stesso diritto. Ed un po’ di attenzione a quanto accade sulle plance pubblicitarie, è molto più incisiva che non tanti giochi di parole: chi di noi non ha avuto occasione di osservare manifesti pubblicitari coperti e ricoperti da altri manifesti? Hanno realmente esercitato costoro il loro diritto costituzionale o forse, non si è avuto l’effetto contrario, se non quello peggiore di chi ha ottenuto tale diritto a danno degli altri e molto più spesso, con l’arroganza di chi non pone limiti alla propria autodeterminazione?

Ed allora, dopo questo lungo giro di parole, torno a dire che in generale è necessario garantire a tutti l’esercizio di questo diritto, applicando delle regole che coinvolgano tutti e lo rendano fruibile a tutti, in modo equo e quindi in modo proporzionale alle reale esigenze locali.

Questo metodo, è quello del riconoscimento formale di questo interesse pubblico (qui inteso come interesse d’ogni persona fisica e/o giuridica) da parte della pubblica amministrazione, mediante il rilascio delle autorizzazioni.

E’ altresì ovvio, che all’origine di questa potestà amministrativa deve essere presente una regola fondamentale, conosciuta da tutti ed approvata dai rappresentanti della comunità locale, che noi chiamiamo regolamento comunale.

Ma è pure evidente, che a questo atto formalmente amministrativo, si deve associare un altro obbligo giuridico che scaturisce dalla normativa speciale o gerarchicamente sovraordinata, quale appunto il N. C.d.S., il suo regolamento e quello locale; regolamento (tecnico) questo che si forma sulla chiara volontà del legislatore di non stravolgere l’equilibrio economico-sociale interno all’ente locale, senza peraltro perdere di vista, neanche per un sol attimo, quei principi teleologici rinvenuti nel più volte richiamato comma 1 dell’art. 23 del d. Lgs. 285 del 1992.

E’ per questo che a conclusione di questo ragionamento, contrappongo quello di certi odierni sofisti ed ostinati “burocrati” che con troppa semplicità accusano la (stessa) burocrazia di essere il male della P.A., dimenticando che non questa, ma proprio il loro particolare modello di burocrazia — per meglio dire, burocratismo — assilla i rapporti dei cittadini con la pubblica amministrazione: la burocrazia di chi costruisce le regole al di là di una scrivania e non già nell’aula consiliare; la burocrazia di chi si sente elargitore e dispensatore di diritti, quanto piuttosto il pubblico garante di questi.

Ed è a costoro che l’attività della polizia municipale dovrebbe rivolgere l’attenzione, purtroppo anche in modo indiretto; anche andando a colpire quell’utenza disinformata, ma convinta di esercitare un diritto mai formalmente riconosciuto.

L’applicazione delle sanzioni è un male che oggi — a parere di chi scrive — si rende necessario, non solo per ristabilire ordine ma anche perché i cittadini si assumano in prima persona l’onere di partecipare alla vita del Paese e di pretendere che i funzionari pubblici seguano regole di diritto e non di circostanza o di opportunità (falsamente) politica.

L’applicazione di quelle sanzioni di non facile comprensione, che andremo ad analizzare nel dettaglio.


PARTE II

La rimozione degli impianti pubblicitari, alla luce delle disposizioni di legge vigente

 

Tra sanzione principale e sanzione accessoria

 

La forza della norma giuridica o se vogliamo, ciò che differenzia una regola giuridica da una qualsivoglia altra regola di comportamento, sta nella previsione di una sanzione. La sanzione, è quindi quell’elemento idoneo a dare alla regola di condotta, la dignità di regola giuridica ([27]).

Fatta questa breve premessa, in tutti i decreti sino ad ora citati, si rinvengono due tipi di sanzioni delle quali le prime, quelle pecuniarie (rappresentate dal pagamento di una somma di denaro) hanno natura afflittiva e risarcitoria, al fine di prevenire l’evento contrario all’ordinamento cui si riferiscono, mediante la minaccia della sanzione e per il danno procurato alla P.A. e alla collettività; le seconde, quelle accessorie e ripristinatorie per riportare ordine allo stato dei luoghi e delle cose.

Quelle che qui interessano, sono quelle accessorie.

Ora, la definizione di sanzione accessoria non ci deve condurre fatalmente ad un grossolano errore di valutazione e cioè far credere che questo tipo di sanzione possa o non possa essere applicata. L’accessorietà della sanzione sta proprio nel fatto che questo tipo di sanzione assieme alla principale, concorre a ripristinare lo stato giuridico e di fatto precedente all’evento scaturito dalla consumazione dell’illecito. In chiave strettamente etimologica, si ha infatti una derivazione dal latino medioevale accessòrium, con il significato di accedere, aggiungersi. E se per altri campi vale il brocardo latino accessòrium sèquitur principale ovvero, che la cosa accessoria segue la cosa principale, possiamo meglio comprendere l’attuale significato giuridico della sanzione accessoria.

Ma rimanendo nell’ambito della scienza giuridica, giova ricordare la chiara e diretta derivazione penalistica della sanzione accessoria dove si stabilisce (ex art. 20 c.p.) che le sanzioni accessorie «conseguono di diritto alla condanna, come effetti penali di essa».

Vedremo ora, come nell’ambito del diritto della circolazione stradale, della regolamentazione delle entrate tributarie e non tributarie degli enti locali, questo tipo di sanzione assuma connotati del tutto particolari.

 

Le sanzioni accessorie  previste  per la collocazione degli impianti pubblicitari abusivi

 

V’è da dire, come diremo, che le recenti integrazioni al sistema sanzionatorio contenuto nell’art. 23 del N. C.d.S., sembrano sublimare le disposizioni già contenute nell’art. 211 del medesimo codice e che sono state il punto di riferimento dell’originale stesura del presente intervento. Peraltro, ho ritenuto giusto non cassare la parte che segue, onde evitare di privare di senso storico-giuridico il presente lavoro.

 

La sanzione accessoria dell’obbligo di ripristino dello stato dei luoghi o di rimozione di opere abusive di cui all’art. 211 del d. Lgs. 285 del 1992

 

La violazione alle disposizioni di cui all’art. 23 del nuovo codice della strada ed alle norme contenute nel relativo regolamento, viene sanzionata (pecuniariamente) nei termini di cui ai commi 11 e 12 dello stesso articolo e dalle predette violazioni consegue (ex art. 23, comma 13, N. C.d.S.) la sanzione amministrativa accessoria dell’obbligo a carico dell’autore e a proprie spese di rimuovere l’opera abusiva, secondo le norme del Capo I, Sez. II, del Tit. VI.

Le norme che qui interessano sono quelle di cui all’art. 211 del medesimo codice, così come modificato dall’art. 111 del d. Lgs. 360 del 1993.

Prima di procedere oltre, si deve tenere conto del fatto che l’art. 194 del codice stradale — uno dei pochi che non abbia subito modificazioni od integrazioni da parte di leggi successive ed in particolare il d. Lgs. 360 del 1993 — dispone che «in tutte le ipotesi in cui il presente codice prevede che da una determinata violazione consegua una sanzione amministrativa pecuniaria, si applicano le disposizioni generali contenute nelle Sezioni I e II del Capo I della legge 24 novembre 1981, n. 689, salve le modifiche e le deroghe previste dalle norme di questo Capo».

Da questo primo approccio giuridico, sorge spontanea la domanda sul corretto significato da ascrivere a questa norma. Infatti, nel descrivere la fonte di riferimento necessaria per interpretare in via sistematica le norme che seguono (la Legge 689, appunto), il legislatore ha fatto un chiaro e preciso riferimento alle sole ipotesi di violazione dalle quali consegue una sanzione amministrativa pecuniaria. Cosa significa questo?

A parere di chi scrive, il richiamo alle “sole” ipotesi di violazione cui consegue l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, comprende anche la regolamentazione ex lege 689 del 1981 dell’applicazione delle sanzioni amministrative accessorie, in quanto queste ultime sono, per definizione, aggiunte alle prime.

L’altra domanda è del come le norme codicistiche che seguono, sono da rapportarsi alla Legge 689 del 1981.

Sempre a parere di chi scrive è ovvio che le norme appartenenti al Capo in commento, possono derogare alla Legge (in questo caso principale) n. 689 del 1981 giusto per il caso considerato, il brocardo latino in toto iure generi per speciem derogatur, ma ovviamente quando ciò sia chiaramente espresso dal tenore letterale della norma derogatrice o modificatrice.

Tutto ciò premesso, il primo obbligo in capo all’organo dell’accertamento è quello di fare menzione nel verbale di contestazione da redigere ai sensi dell’art. 200 o, in mancanza, nella notificazione prescritta dall’art. 201 del N. C.d.S., dell’obbligo di rimuovere i messaggi pubblicitari abusivi (ex art. 211, comma 1).

Dal fatto, possono conseguire quattro diverse situazioni:

   A) il trasgressore adempie all’obbligo e provvede a estinguere la violazione mediante il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria;

   B) il trasgressore adempie all’obbligo, ma non provvede ad estinguere la violazione, né presenta ricorso al Prefetto competente per territorio;

   C) il trasgressore, non adempie all’obbligo, né provvede ad estinguere la violazione, né presenta ricorso al Prefetto;

   D) il trasgressore, non adempie all’obbligo, né provvede ad estinguere la violazione, ma presenta ricorso al Prefetto.

Ora, è ben evidente che per i casi di cui ai punti A) e D) suddetti non dovrebbero sorgere particolari difficoltà interpretative stante nel caso della ipotesi A), la cessazione del procedimento sanzionatorio in conseguenza della estinzione della violazione amministrativa e, nel caso della ipotesi B) la chiara disciplina dettata dagli artt. 203 e 204 del codice, in combinato disposto con i commi 2 e 3 dell’art. 211 del medesimo testo legislativo.

Nel caso prospettato nelle ipotesi B), l’adempimento dell’obbligo non sembrerebbe comportare di per sé particolari effetti sul procedimento sanzionatorio pecuniario, ma semmai pone a carico dell’organo dell’accertamento l’obbligo di informare il Prefetto.

Infatti, quello che ci domandiamo è se, decorsi sessanta giorni dalla contestazione o notificazione, l’organo dell’accertamento debba o meno informare il Prefetto ed informarlo per l’emissione dell’ordinanza-ingiunzione di pagamento, o piuttosto seguire l’iter procedurale normale previsto dal comma 3, dell’art. 203 del richiamato codice e quindi far sì che il verbale costituisca comunque titolo esecutivo per una somma pari alla metà del massimo della sanzione amministrativa edittale e per le spese di procedimento.

In effetti, il precetto testé richiamato dà luogo ad una delle norme in deroga previste in generale dall’art. 194 più sopra richiamato. Ma è anche pur vero che leggendo con maggiore attenzione il comma 2 dell’art. 211 in commento, ci accorgiamo che al secondo periodo si esclude implicitamente l’applicazione della norma prevista dal comma 3 del più volte citato art. 203, lì affermandosi che «si applicano le disposizioni dei (soli) commi 1 e 2 dell’art. 203».

Sembrerebbe chiaro per chi scrive che in questo particolare caso, l’accessorietà della sanzione, ancorché rispettata negli obblighi giuridici che ne derivano, comporta non già la semplice informativa al prefetto dell’avvenuto adempimento dell’obbligo giuridicamente previsto, quanto piuttosto la materiale trasmissione dei relativi atti del procedimento, per l’emissione di adeguata sanzione amministrativa. Si potrebbe anzi concludere, che proprio l’adempimento dell’obbligazione da parte del trasgressore, possa in certo senso dare luogo ad una sua affermazione di ravvedimento e che il Prefetto, in tal senso, potrebbe valutare in senso riduttivo, rispetto alla prevista sanzione amministrativa pecuniaria di cui al comma 3, dell’art. 203 N. C.d.S.

Nel caso previsto nella ipotesi C), all’inerzia del trasgressore consegue d’obbligo l’attivazione del procedimento sanzionatorio da parte dell’organo dell’accertamento e quindi, la trasmissione degli atti al Prefetto entro il termine (ordinatorio) di trenta giorni, dalla scadenza del termine per ricorrere (ex art. 211, comma 2, ultimo periodo, N. C.d.S.).

Una volta informato (in conseguenza dei due diversi comportamenti di cui ai punti C) e D) il Prefetto, nell’ingiungere al trasgressore il pagamento della sanzione pecuniaria, gli ordina l’adempimento del suo obbligo di rimozione delle opere abusive, nel termine fissato in relazione all’entità delle opere da eseguire ed allo stato dei luoghi. Nell’ipotesi in cui questi non ritenga fondato l’accertamento, provvede ad emettere relativa ordinanza di archiviazione che si estende, di diritto, alla sanzione accessoria.

L’esecuzione delle opere viene effettuata sotto lo stretto controllo dell’ente proprietario o concessionario della strada che, una volta accertato l’adempimento, ne dà comunicazione al Prefetto. In caso contrario, a seguito di autorizzazione di quest’ultima autorità, l’ente proprietario o concessionario provvede d’ufficio, rimettendo le note per le spese sostenute sempre al Prefetto il quale provvede di seguito ad emettere la relativa ordinanza-ingiunzione di pagamento.

In casi di particolare gravità ed urgenza, l’agente accertatore, ai sensi del comma 6 del citato articolo 211, trasmette senza indugio al prefetto il verbale di contestazione per l’emissione dell’ordinanza ingiunzione urgente.

Una singolare situazione è quella prescritta dalla direttiva per il controllo della pubblicità abusiva (3). E’ infatti previsto che in seguito al censimento degli impianti pubblicitari abusivi (ad essentiam, quelli sprovvisti di autorizzazione ex art. 23 N. C.d.S.) l’organo accertatore informi quanto prima il prefetto per l’emissione urgente dell’ordinanza di ripristino dello stato dei luoghi.

 

La sanzione accessoria della copertura del messaggio pubblicitario e della rimozione delle opere abusive di cui al’art. 24 del d. Lgs. 507 del 1993.

 

Anche al comma 1 dell’art. 24 (Sanzioni amministrative) del d. Lgs. 507 del 1993, così come modificato dall’art. 12 del d. Lgs. 473 del 1997 e dall’art. 4, comma 3), lett. a) del d. Lgs. 203 del 1998, per l’applicazione delle sanzioni amministrative è esplicitamente previsto che vengano osservate le norme contenute nelle Sezioni I e II del capo I della richiamata legge n. 689 del 1981.

Più in particolare, al successivo comma 2 dell’articolo de qua è prevista la possibilità per il comune di procedere alla rimozione dei mezzi pubblicitari abusivi. Come già detto, la sanzione accessoria consegue di diritto (ed anzi la completa) alla sanzione principale ed infatti, il tenore letterale dell’ultimo periodo qui analizzato è idoneo a far ritenere che l’ente deve provvedere a rimuovere l’impianto abusivo, dalla cui esistenza scaturisce l’illecito.

Ora è da dire che la dizione letterale del precetto in commento non è delle più felici, tenendo presente che qui si prevede che «il comune dispone altresì la rimozione degli impianti pubblicitari abusivi facendone menzione nel suddetto verbale». E’ ovvio che il comune, in quanto tale, non può certamente fare alcuna menzione, se non tramite i propri pubblici ufficiali. Ed è altrettanto ovvio, come già detto, che quella della rimozione è un atto a contenuto vincolato e quindi non necessita di alcuna motivazione da parte dell’organo dell’applicazione se non nel fatto, che deve necessariamente conseguire all’accertamento dell’illecito.

Ciò detto, si ritiene che il dirigente o il competente responsabile del servizio (rectius il funzionario responsabile ([28]) ex art. 11 d. Lgs. 507 del 1993) provvederà in seguito all’accertamento ad intimare al trasgressore di provvedere a rimuovere l’impianto. E’ infatti evidente che la rimozione d’ufficio avviene in seguito alla mancata osservanza dell’ordine di rimozione e non già in seguito al semplice accertamento dell’illecito ([29]).

Rèbus sic stàntibus, l’organo dell’accertamento, in sede di stesura del verbale di contestazione provvede anche a far menzione dell’obbligo della rimozione dell’impianto pubblicitario abusivo e quindi, provvede ad informare l’ufficio del funzionario responsabile per l’emissione dell’ordinanza di rimozione.

Il funzionario responsabile, una volta appurato la validità dell’accertamento dispone con propria ordinanza (ex art. 51 Legge 142 del 1990) la rimozione dell’impianto abusivo entro un congruo termine. Qualora infine il trasgressore non provveda ad ottemperare all’obbligo impostogli con l’ordinanza, il comune provvede d’ufficio, addebitando ai responsabili le spese sostenute.

Ovviamente, se l’impianto oggetto dell’accertamento risulta essere non solo abusivo ma anche posto lungo la strada o da questa semplicemente visibile, i procedimenti amministrativi di cui al d. Lgs. 285 del 1992 e d. Lgs. 507 del 1993, vanno a concorrere, dando luogo a due procedimenti separati e con azioni di tute