Presidente: Lupo E. Estensore: Ianniello A. Imputato: Grillo ed altro.
(Dichiara inammissibile, App. Bari, 13 Gennaio 2006)
PATRIMONIO ARCHEOLOGICO, STORICO O ARTISTICO NAZIONALE (COSE D'ANTICHITÀ E D'ARTE) - IN GENERE - Reato di impossessamento illecito di beni culturali - Concorso con il reato di violazione in materia di ricerche archeologiche - Possibilità - Fondamento.
In tema di cose d'antichità e d'arte, il reato di cui all'art. 124 D.Lgs. 29 ottobre 1999 n. 490, ora sostituito dall'art. 175 D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (ricerche archeologiche in difetto di concessione), concorre con il reato di cui all'art. 125 del citato D.Lgs. n. 490 del 1999, ora art. 176 D.Lgs n. 152 del 2004 (impossessamento, illecito di beni culturali appartenenti allo Stato), atteso che l'impossessamento può avvenire in un contesto diverso dall'effettuazione delle ricerche o dal fortuito ritrovamento di beni culturali.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. LUPO Ernesto - Presidente - del 12/01/2007
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - SENTENZA
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - N. 00085
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere - N. 026432/2006
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) GRILLO FRANCESCO, N. IL 17/05/1957;
2) VISCONTI ANTONIO, N. IL 22/04/1972;
3) GRILLO CLAUDIO, N. IL 15/08/1964;
avverso SENTENZA del 13/01/2006 CORTE APPELLO di BARI;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr.
IANNIELLO ANTONIO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dr. IZZO Gioacchino, che
ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udito il difensore avv. LOMBARDI Domenico (Roma).
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 20 dicembre 2004, il Tribunale di Foggia, giudicando
Francesco Grillo, Antonio Visconti e Claudio Grillo, per i reati di
cui agli: a) art. 61 c.p., n. 2, art. 110 c.p., D.Lgs. 29 ottobre
1999, n. 490, art. 124, lett. a), (ora D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42,
art. 175), per avere, in concorso tra di loro, in Cerignola il 24
agosto 2001, eseguito abusivamente ricerche per il ritrovamento di
beni di interesse archeologico, effettuando degli scavi in zona
archeologica, al fine di eseguire il delitto di cui al capo seguente;
b) art. 110 c.p., D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490, art. 125, comma 1,
(ora D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 176), per essersi impossessati di
materiali di interesse archeologico risalenti al 475 secolo A.C.,
descritti nel capo di imputazione, aveva dichiarato gli imputati
colpevoli dei reati loro contestati, unificati dal vincolo della
continuazione, ritenendo peraltro quello sub b) rimasto a livello di
tentativo e li aveva condannati alla pena di mesi sette di reclusione
ed Euro 200,00 di multa ciascuno (pena sospesa).
Su impugnazione proposta dagli imputati, la Corte d'appello di Bari
con sentenza del 13 gennaio 2006 ha respinto gli appelli, dichiarando
peraltro gli appellanti responsabili anche del delitto consumato di
cui al capo b), ma senza procedere alla modificazione della pena, in
assenza di impugnazione da parte del P.M..
Avverso tale sentenza propongono distinti, identici ricorsi per
Cassazione gli imputati personalmente, deducendo:
a - la violazione di legge per avere la Corte territoriale ritenuto
il concorso formale e materiale tra i due reati, mentre la ricerca
archeologica non potrebbe costituire reato autonomo, perché
costituirebbe l'antefatto dell'impossessamento.
Inoltre non sarebbe stato neppure realizzato il tentativo del reato
di cui al capo b), essendosi gli imputati limitati ad accantonare il
materiale archeologico occasionalmente rinvenuto nel corso di lavori
di scavo non per occultarlo e impossessarsene, ma per conservarlo
momentaneamente per denunciarne poi il ritrovamento al termine della
giornata lavorativa;
b) la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione relativa
alla sussistenza del reato di impossessamento di materiale
archeologico.
I ricorrenti concludono chiedendo concordemente l'annullamento, con o
senza rinvio, della sentenza.
All'udienza del 12 gennaio 2007 le parti hanno concluso nei termini
in epigrafe indicati.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è in parte generico e in parte manifestamente infondato.
È assolutamente generico nelle censure relative alla motivazione,
meramente assertive nell'assunto riferito alla valutazione delle
prove, senza alcun riferimento all'uno o l'altro snodo argomentativo
della sentenza che sarebbe da censurare, ma sovrapponendo in maniera
inammissibile una propria incompleta e già ritenuta poco credibile
spiegazione della vicenda a quella congruamente motivata dai giudici
di merito con riferimento alle inequivoche risultanze istruttorie.
Il ricorso è inoltre manifestamente infondato laddove ipotizza un
rapporto di specialità tra il primo ed il secondo reato, nel senso
che quest'ultimo assorbirebbe necessariamente il primo, cosi evocando
il tema del concorso apparente di norme incriminatrici disciplinato
dall'art. 15 c.p..
Secondo tale norma "Quando più leggi penali o più disposizioni
della medesima legge penale regolano la stessa materia, la legge o la
disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione
di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito".
Al riguardo devesi ribadire che, ai sensi della norma citata, ricorre
l'ipotesi in cui più disposizioni penali regolano la stessa materia,
con la conseguenza che le relative fattispecie incriminatrici non
possono concorrere tra di loro ma deve applicarsi quella in rapporto
di specialità rispetto all'altra, quando la una delle due comprende
in sè tutti gli elementi costitutivi dell'altra, oltre ad uno o più
elementi specializzanti (cfr., per tutte, Cass. S.U. 7 giugno 2001 n.
23427).
Esaminando la struttura delle due norme incriminatrici indicate nella
contestazione formulata ai ricorrenti, si rileva che la prima, per
quanto qui interessa, riguarda "chiunque esegue ricerche
archeologiche o, in genere, opere per il ritrovamento di beni
indicati all'art. 2" (beni culturali) "senza concessione".
La seconda fattispecie astratta è invece riferita a "chiunque si
impossessa di beni culturali indicati nell'articolo 2 appartenenti
allo Stato a norma dell'art. 88...".
È allora evidente che, contrariamente a quanto affermato dai
ricorrenti, la seconda fattispecie non contiene gli elementi
costitutivi della prima neppure implicitamente, essendo possibile che
l'impossessamento di beni archeologici avvenga in contesti diversi
dall'effettuazione di ricerche o in genere di opere per il loro
ritrovamento e indipendentemente da queste, con la conseguenza che i
due reati possono concorrere tra di loro.
Sulla base delle considerazioni esposte, i ricorsi vanno dichiarati
inammissibili, con la conseguente condanna, ai sensi dell'art. 616
c.p.p., al pagamento in solido delle spese processuali e di ciascuno
dei ricorrenti alla somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa
delle ammende.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili i ricorso e condanna i ricorrenti in
solido al pagamento delle spese processuali e ciascuno al pagamento
della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2007.
Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2007