Cass. Sez. III n. 458 del 12 gennaio 2007 (ud. 23 nov. 2006)
Pres. Vitalone Est. Sarno Ric. Tempesta
Beni culturali. Confisca
In tema di omessa denuncia all’autorità di cose
mobile di interesse storico, artistico archeologico l'annullamento
della confisca non comporta anche l'annullamento
dell'ordine di restituzione dei beni allo Stato ed è
comunque possibile per la parte ottenere la revoca o la modifica di
esso in sede di esecuzione fornendo la
dimostrazione della sussistenza delle condizioni che legittimano la
detenzione dei beni medesimi.
458/07
UDIENZA PUBBLICA DEL 23/11/2006
SENTENZA n. 18891
REGISTRO GENERALE
N. 009945/2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.
Dott. VITALONE
CLAUDIO
PRESIDENTE
1.Dott. SOUASSONI
CLAUDIA
CONSIGLIERE
2. Dott. GENTILE
MARIO
“
1.Dott. FRANCO
AMEDEO
“
4.Dott. SARDO
GIULIO
“ REL.
ha pronunciato la Seguente
SENTENZA / ORDINANZA
sul ricorso proposto da
1) TEMPESTA NICOLA N. il 28/06/1935 avverso SENTENZA del 01/06/2005
TRIB. SEZ. DIST. di AMALFI
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere SARNO
GIULIO
Udito il Procuratore Generale in persona deL dott. Baglioni T.
che ha concluso per rigetto del ricorso
Udito, per la parte civile, l'Avv. //
Udito il difensore Avv. Mario Farace (Minori)
Tempesta Nicola, per il tramite del suo difensore, propone ricorso per
cassazione avverso la sentenza emessa dal giudice del tribunale di
Salerno, sezione distaccata di Amalfi, con la quale veniva prosciolto
per intervenuta prescrizione dal reato di cui all'articolo 48 della
legge 1089/39 - concernente la omessa denuncia all'autorità
di cose mobili di interesse storico artistico archeologico (anfore,
frammenti marmorei, ecc.) allocate presso l'albergo di cui era
proprietario - e disposta la confisca e l'acquisizione dei beni
sequestrati in favore dello Stato.
Il ricorrente eccepisce:
I) L'abrogazione dell'art. 48 della legge 1089/39;
2) la violazione e la erronea interpretazione della legge penale
mancando elementi probatori dai quali desumere la scoperta fortuita dei
beni e risultando per contro che i beni si trovavano nell'albergo
già al momento dell'acquisto di esso avvenuto nel 1981:
3) assoluzione per non aver commesso il fatto o perché il
fatto non costituisce reato;
4) violazione delle norme processuali non emergendo la prova che il PM
di udienza avesse prodotto documentazione giustificante la richiesta di
prescrizione e non essendo stata assunta la prova decisiva richiesta
dell'imputato;
5) annullamento della sentenza nella parte in cui è stata
disposta la confisca.
Motivi della decisione
Appaiono infondati i primi quattro motivi di ricorso.
1) Per quanto concerne l'art. 48 della legge 1089/39, effettivamente
abrogato per effetto dell'art. 166 del d.lvo n. 490/99, osserva il
Collegio che si verte non già in ipotesi di "abolitio
criminis", bensì di successione di leggi nel tempo ex art, 2
cod. pen.
E' riscontrabile, infatti, certamente un rapporto di
continuità normativa tra la predetta disposizione e quelle
degli articoli 87 del d. Ivo n. 490/99 e 90 del d.lvo n. 42/2004 ad
essa rispettivamente succedute costituendo queste ultime, per l'oggetto
della tutela, la sostanziale riproposizione della norma precedentemente
in vigore.
Gli articoli 87 d. Ivo n. 490/99 e 90 d.lvo n. 42/2004, infatti, pur
introducendo il termine di ventiquattro ore per la denuncia della
scoperta delle cose immobili o mobili che presentano interesse
archeologico, riproducono per il resto in maniera pressoché
identica il testo dell'art. 48 della legge 1089/39.
2 - 3. 4) Per quanto concerne il secondo, il terzo ed il quarto motivo
di ricorso correttamente il giudice di merito si conforma in premessa
all'orientamento di questa Corte secondo cui in presenza della causa
estintiva della prescrizione del reato, l'obbligo del giudice di
immediata declaratoria ex art. 129 cod. proc. pen. postula che le
circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la rilevanza
penale di esso e la non commissione del medesimo da parte dell'imputato
emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, senza
necessità di ulteriore accertamento, sicché la
valutazione che in proposito deve essere compiuta appartiene
più al concetto di constatazione che a quello di
apprezzamento e che, pertanto, qualora le risultanze processuali sono
tali da condurre a diverse ed alternative interpretazioni, senza che
risulti evidente la prova dell'estraneità dell'imputato al
fatto criminoso, non può essere applicata la regola di
giudizio ex art. 530, comma secondo, cod. proc. pen. la quale equipara
la prova incompleta, contraddittoria od insufficiente alla mancanza di
prova, ma deve essere dichiarata la causa estintiva della prescrizione
(Sez. 6, n. 48527 del 18/11/2003 Rv. 228505).
Non può in questa sede essere peraltro riproposta una
valutazione di merito sugli elementi che hanno indotto il giudicante ad
escludere la possibilità di pervenire ad una pronuncia
più favorevole all'imputato, ne appare censurabile sono l
profilo della legittimità la decisione del tribunale che, in
presenza della già maturata causa estintiva, ha ritenuto di
non potere procedere ad ulteriori accertamenti istruttori.
5) Per quanto concerne il quinto motivo di ricorso, dall'esame della
motivazione si rileva che il tribunale ha disposto la confisca e
l'acquisizione al patrimonio dello Stato dei beni in sequestro sul
rilievo che nell'ipotesi di scoperta di cose di interesse artistico o
storico esse appartengono allo Stato sin dal loro rinvenimento entrando
a far parte del patrimonio indisponibile dello Stato in quanto il loro
materiale rinvenimento coincide con la formazione di un titolo
originario di acquisto per lo Stato medesimo.
Il ricorrente eccepisce: a) che le cose mobili in questione non
rientrano nel patrimonio dello Stato per difetto dei requisiti
sostanziali e di identificazione formale non essendo intervenuta la
notifica nelle modalità di legge e b) che, comunque, il
provvedimento di confisca è inammissibile a seguito della
decisione di proscioglimento.
Ciò premesso ritiene il Collegio che vadano separatamente
trattati i due aspetti della confisca e della restituzione dei beni
stante l'autonomia dei due provvedimenti costantemente ribadita da
questa Corte.
Ciò posto ritiene il Collegio che la confisca non poteva
comunque essere disposta nella specie.
Ed, invero, a prescindere dal rilievo che ai sensi dell'art. 240 cp
essa può in caso di proscioglimento essere ordinata solo se
obbligatoria, va considerato che, rispetto ai beni in sequestro, si
rendono in astratto prospettabili due ipotesi: a) l'accertamento della
loro legittima acquisizione e detenzione da pane dell'imputato -
evenienza questa che di per se stessa esclude la possibilità
della misura ablatoria - ovvero, in alternativa, b) la mancata prova
della legittimità del loro acquisto.
In quest'ultimo caso i beni si devono necessariamente ritenere ancora
nella proprietà dello Stato e, quindi, secondo il
consolidato orientamento di questa Corte, proprio la considerazione che
i beni in questione appartengono a titolo originano allo Stato
determina "a monte", l'inapplicabilità della misura di
sicurezza della confisca ex art. 240 cp, anche in caso di condanna, sul
rilievo che non è possibile acquisire la
proprietà di una cosa già propria (da ultimo Sez.
3 n. 2395 del 2004 rv 229427 che richiama sul punto i precedenti).
La statuizione della confisca va, pertanto, annullata.
Residua, pertanto, il problema della restituzione dei beni.
Rileva il Collegio che la decisione assunta al riguardo dal tribunale
in quanto coerente con le premesse sviluppate in motivazione e conforme
alle conclusioni cui è pervenuta, anche di recente, la
giurisprudenza civile della Corte, debba trovare sul punto conferma.
Sul piano l'attuale va anzitutto premesso che la tesi del ricorrente si
fonda in sostanza unicamente sulla inesistenza di un provvedimento
formale di notifica dei beni e sulla considerazione che, al momento
dell'acquisto dell'albergo - asseritamene risalente al 1981 - i beni
erano già nella struttura.
E, dunque, nulla si dice nei motivi di ricorso sull'origine dei reperti
e sulla legittimità della loro acquisizione a seguito del
rinvenimento.
Ciò posto, per rispondere alle doglianze dell'imputato,
ritiene utile il Collegio richiamare le motivazioni espresse da Sez. 1
civile, n. 2995 del 10.2.2006. In tale decisione si è
infatti ribadito che "nell'azione di revindica di beni archeologici
promossa dall'amministrazione statale, il ritrovamento o la scoperta
dei beni stessi in data anteriore all'entrata in vigore della L. n. 364
del 1909, non é fatto costitutivo negativo del diritto
azionato, ma fatto impeditivo che deve essere provato da chi
l'eccepisce: dal complesso delle disposizioni, contenute nel codice
civile e nella legislazione speciale, regolante i ritrovamenti e le
scoperte archeologiche, ed il relativo regime di appartenenza, si
ricava il principio generale della proprietà statale delle
cose d'interesse archeologico, e della eccezionalità delle
ipotesi di dominio privato sugli stessi oggetti, onde qualora
l'amministrazione intenda rientrare in possesso dei beni detenuti da
soggetti privati, incombe al possessore l'onere della prova della
dedotta scoperta e appropriazione anteriormente all'entrata in vigore
della L. n. 364 del 1909, a partire dalla quale le cose ritrovate nel
sottosuolo appartengono allo Stato".
Si è anche precisato nell'occasione che la circostanza che
"dopo il compimento dei necessari rilievi e l'inventario degli oggetti
rinvenuti, parte di essi possa essere scartata, ed eventualmente ceduta
a terzi, non toglie che in linea di principio la cosa debba appartenere
allo Stato, al fine di impedire che attraverso la libera occupazione da
parte dei privati, si distrugga la stratificazione di dati conoscitivi,
accumulati nei secoli", e si è aggiunto che, "anche con
riferimento al Codice dei beni culturali, di cui al d.lgs. 42/04, resta
il principio fondamentale per cui, fino al compimento della verifica di
"culturalità" (qualora questa dovesse avere esito negativo),
le cose sono comunque sottoposte alla legislazione di tutela" e che "la
verifica concernente i beni di proprietà pubblica, non si
estrinseca in una formale "dichiarazione" (art. 13, comma 2, Codice) in
quanto il riconoscimento di culturalità non è
provvedimento costitutivo, che si basi sull'esercizio della
discrezionalità amministrativa, ma solo atto di certazione,
che rivela prerogative che il bene possiede per le sue caratteristiche
e che, ove l'atto di certazione non sia intervenuto, ciò non
significa che il bene sia di proprietà privata, od oggetto
di libera apprensione ed usucapione".
Ne, come peraltro già affermato da questa Sezione (sentenza
n. 23295 del 2004, citata), si può sostenere la
necessità di apposita istanza di restituzione dei beni da
parte dell'organo statale.
Va ancora una volta richiamata Sez. I n. 2995 citata, la quale in
proposito rileva che già la denuncia da cui è
scattata la misura probatorio-cautelare del sequestro, dimostra di per
se stessa che l'amministrazione, ha agito per riavere la
disponibilità dei reperti, nella convinzione che il possesso
dei medesimi da parte del privato sia illecita.
L'annullamento della confisca non comporta, pertanto, anche
l'annullamento dell'ordine di restituzione dei beni allo Stato ed
è comunque possibile per la parte ottenere la revoca o la
modifica di esso in sede di esecuzione fornendo la dimostrazione della
sussistenza delle condizioni che legittimano la detenzione dei beni
medesimi.
PQM
La Corte Suprema di Cassazione
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione sulla
confisca che elimina.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma il 23.11.2006
Beni Culturali. Confisca
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