Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1115, del 5 marzo 2015
Urbanistica.Sul diritto di piantar legalmente o sostanzialmente le radici in un luogo determinato

Il “diritto di piantar legalmente o sostanzialmente le radici in un luogo determinato” (come è stato definito in dottrina), riconosciuto dall’art. 16 Cost., va inteso secondo ragionevolezza, nel senso che il cittadino ha il diritto di risiedere in ogni comune del territorio nazionale, ma non in ogni singola parte di ciascun comune. Se così non fosse, difatti, occorrerebbe riconoscere anche il diritto di risiedere in aree militari o in aree destinate a verde pubblico: conclusione, questa, palesemente assurda, che svela la debolezza dell’interpretazione “massimalistica” del contenuto della libertà di circolazione e di soggiorno da cui prende le mosse. Fatto si è che la libertà sancita dall’art. 16 va letta anche alla luce del contenuto normativo di altre disposizioni costituzionali, a partire dall’art. 117 Cost. che - nel testo introdotto dalla riforma costituzionale del 2001 - fa del “governo del territorio” materia di competenza concorrente fra Stato e Regioni (e poi enti locali). Il “governo del territorio” non si esaurisce nei poteri urbanistici secondo la configurazione tradizionale di questi ultimi (potere di regolare l’ordinato sviluppo edilizio del territorio in considerazione delle diverse tipologie di edificazione distinte per finalità), che trapela pure nella ricordata ordinanza cautelare della Sezione, ma implica il potere di conformare il territorio governato in vista della realizzazione contemperata di una pluralità di istanze pubbliche, secondo l’interesse complessivo - ragionevolmente e motivatamente apprezzato - delle comunità di riferimento. Da ciò, dunque, la possibilità che, facendo uso degli strumenti urbanistici, intesi in senso ampio, i Comuni legittimamente escludano nel proprio territorio la costruzione di case destinate all’uso solo saltuario. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).

N. 01115/2015REG.PROV.COLL.

N. 02713/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2713 del 2006, proposto da: 
Comune di Uta, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Piero Franceschi, con domicilio eletto presso Stefano Di Meo in Roma, via G. Pisanelli, 2; 

contro

Baire Angela, Baire Bruno, Baire Carlo, Baire Maria Luisa, Baire Paolo, Baire Santina, Lussu Gianfranco, Lussu Maria Alessandra, Edil Base s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Giovanni M. Lauro, Giuseppe Lai, con domicilio eletto presso Francesco Asciano in Roma, Via G. Bazzoni, 4; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. SARDEGNA - CAGLIARI: SEZIONE II n. 02440/2005, resa tra le parti, concernente approvazione dello schema di convenzione annesso a un piano di lottizzazione

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Baire Angela, Baire Bruno, Baire Carlo, Baire Maria Luisa, Baire Paolo, Baire Santina, Lussu Gianfranco, Lussu Maria Alessandra e Edil Base s.r.l.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 febbraio 2015 il cons. Giuseppe Castiglia e uditi per le parti gli avvocati Franceschini e Cecilia Savona (su delega di Lauro);

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con deliberazione n. 32 dell’8 ottobre 2002, il Consiglio comunale di Uta ha adottato il piano di lottizzazione denominato “Collina degli ulivi”, approvando anche lo schema di convenzione allegato.

Con le delibere n. 10 e n. 12 del 21 giugno 2004, il Consiglio comunale ha approvato definitivamente il piano e modificato lo schema di convenzione allegato.

I signori Angela, Bruno, Carlo, Maria Luisa, Paolo e Santina Baire, i signori Gianfranco e Maria Alessandra Lussu e la società Edil Base s.r.l. - proprietari di lotti ricadenti nell’ambito dei comparti C e D della lottizzazione - hanno impugnato gli atti ora ricordati. I ricorrenti hanno censurato le nuove clausole inserite nello schema, per effetto delle quali il Comune intenderebbe consentire un uso solo stagionale delle case di abitazione, prevedendo che “gli abitanti che vi si insedieranno non potranno ottenere la residenza negli edifici realizzandi, ad alcun effetto di legge, e ciò a prescindere dal fatto che le abitazioni rispettino tutti i requisiti igienico-sanitari”.

Con sentenza 23 dicembre 2005, n. 2440, il T.A.R. per la Sardegna, sez. II, respinte le eccezioni di irricevibilità e di inammissibilità opposte dal Comune, ha accolto il ricorso, ritenendo violato l’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (per non avere l’Amministrazione dato avviso dell’avvio del procedimento volto alla modifica delle clausole della convenzione) e l’art. 16 Cost. (per essere stato indebitamente compresso il diritto di alcuni cittadini a fissare la propria residenza in qualsiasi parte del territorio nazionale). I ricorrenti sarebbero comunque tenuti al rispetto dei parametri stabiliti per la zona F (turistica); per la realizzazione dell’intervento edilizio e l’eventuale fissazione della loro residenza in tale zona non potrebbero giustificare alcuna pretesa al mutamento di quei parametri e neppure all’ottenimento da parte del Comune delle infrastrutture proprie delle zone residenziali.

Il Comune ha interposto appello contro la sentenza.

A seguito di alcune iniziative intraprese dai ricorrenti (diffida ad adempiere, con prospettazione di un giudizio di ottemperanza; istanza alla Regione per la nomina di un commissario ad acta, citazione per danni del responsabile dell’U.T.C.), il Comune ha anche chiesto la sospensione dell’efficacia esecutiva della decisione impugnata, formulando una domanda cautelare che la Sezione ha respinto con ordinanza 13 giugno 2006, n. 2960.

Nel merito, il Comune contesta entrambi gli argomenti in base ai quali il T.A.R. ha accolto il ricorso introduttivo.

1. L’avvio del procedimento sarebbe stato comunicato a buona parte degli originari ricorrenti. Si sarebbe trattato, comunque, di un adempimento dovuto a eccesso di zelo, dato che l’approvazione definitiva del piano di lottizzazione e della relativa convenzione sarebbe inserita in un procedimento complesso, inteso alla realizzazione della lottizzazione convenzionata.

2. Inoltre non vi sarebbe obbligo di comunicazione, poiché la definizione de procedimento sarebbe avvenuta proprio a seguito di un’iniziativa degli odierni appellati. Sarebbe irrilevante la circostanza che il procedimento non si sia infine concluso nel senso auspicato dagli interessati e, riguardo agli atti impugnati, erroneamente il T.A.R. avrebbe parlato di provvedimento di secondo grado. Peraltro, dalla semplice adozione del piano e dello schema di convenzione non discenderebbe alcuna posizione di aspettativa qualificata a vantaggio dei privati, che deriverebbe derivante solo da un piano di lottizzazione approvato e convenzionato; in mancanza di questo, non vi sarebbe neppure alcun obbligo di specifica motivazione.

3. Non vi sarebbe nessuna violazione dell’art. 16 Cost., posto che gli atti impugnati non contrasterebbero con il diritto costituzionale alla libertà di circolazione e di soggiorno, limitandosi a ribadire un divieto di residenza al solo fine di consentire il rispetto delle linee guida del P.U.C., del quale il piano di lottizzazione costituirebbe lo strumento attuativo. Infatti, l’art. 18 delle relative N.T.A. stabilirebbe che nella zona F turistica, in cui ricadono le proprietà degli appellati, le case di abitazione abbiano esclusivo carattere stagionale, con ciò escludendo qualunque altra destinazione d’uso, proprio per evitare che nelle aree finisca per realizzarsi un quartiere residenziale satellite.

4. Nella sentenza di primo grado mancherebbe qualsiasi motivazione circa l’annullamento di alcuni articoli dello schema di convenzione, in particolare di quelli privi di qualunque attinenza con le clausole volte a stabilire il divieto di residenza.

5. Quanto all’impugnazione dell’art. 18 delle N.T.A. al P.U.C., il Tribunale territoriale - nel rigettare un’eccezione di decadenza - non avrebbe considerato che la copia in atti della relativa deliberazione ne attesterebbe l’avvenuta pubblicazione nell’albo pretorio, avrebbe dovuto semmai disporre l’acquisizione del documento completo e sarebbe incorso in ultrapetizione, posto che la controparte si sarebbe limitata a negare che l’onere di impugnazione fosse sorto prima dell’adozione della delibera sul piano di lottizzazione. Non avendo annullato l’art. 18, la sentenza sarebbe intrinsecamente contraddittoria, perché le clausole dello schema di convenzione impugnate sarebbero il logico sviluppo della disposizione di piano.

6. Una volta annullato l’art. 17 dello schema di convenzione (divieto di residenza), non vi sarebbe stata ragione di annullare anche l’art. 18 (disposizioni da applicarsi nel caso in cui il Comune riconoscesse la residenza a taluni abitanti della zona).

7. Infine la sentenza, nei suoi passaggi finali, non avrebbe considerato che il progetto di lottizzazione prevedrebbe talune ipotesi di realizzazione di opere di urbanizzazione secondaria da parte del Comune, il quale peraltro - ove gli appellati fossero ammessi alla residenza nella zona - non potrebbe non assicurare alcune prestazioni essenziali, come la raccolta dei rifiuti o il servizio di scuolabus.

I ricorrenti in primo grado si sono costituiti in giudizio per resistere all’appello, affidando le proprie difese a una memoria successiva.

Essi premettono che dall’art. 18 delle N.T.A. non discenderebbe affatto, in via interpretativa, il divieto di prendere la residenza negli immobili realizzati nella zona: la vera ragione della modifiche introdotte dal Comune allo schema di convenzione sarebbe quella di evitare gli oneri di urbanizzazione secondaria, addossandoli ai futuri abitanti-residenti delle lottizzazioni ricadenti in zona F.

Nel merito dei motivi dell’appello, osservano:

• sarebbe stata necessaria la comunicazione dell’avvio del procedimento di approvazione dello schema di convenzione, che sarebbe un procedimento autonomo, distinto da quello di approvazione del piano di lottizzazione e a iniziativa d’ufficio. Inoltre il Comune avrebbe modificato unilateralmente una regolamentazione consensuale, già accettata in sede di “approvazione” del piano di lottizzazione e degli stralci funzionali (comparto C e D), esposta alla valutazione del pubblico e non oggetto di controdeduzioni, e pertanto fonte di affidamento per i destinatari; al contrario, le modifiche allo schema di convenzione non sarebbero state messe a disposizione del pubblico e dell’avvenuta pubblicazione non sarebbe stata data notizia;

• l’art. 16 Cost. tutelerebbe anche la libertà di fissare ovunque la propria residenza, che non potrebbe essere limitata dall’autorità amministrativa in violazione della riserva di legge e in contrasto con la previsione dell’art. 18 delle N.T.A.

Le parti private replicano poi agli altri motivi dell’appello e, in via subordinata, rinnovano le ulteriori censure dedotte con il ricorso di primo grado, riproposte meramente per relationem.

In vista della discussione della causa, le parti si sono scambiate memorie.

Il Comune, oltre a ribadire le proprie tesi, considera in parte nuove e inammissibili le difese della controparte, evoca il potere di autotutela, contesta l’ammissibilità della riproposizione di tutti i motivi del ricorso di primo grado mediante semplice rinvio, afferma di avere ritualmente riproposto tutte le eccezioni rigettate dal T.A.R.

Replicano gli appellanti.

All’udienza pubblica del 24 febbraio 2015, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Nella memoria conclusionale del 23 gennaio 2015, il Comune di Uta sostiene di avere ritualmente riproposto tutte le eccezioni rigettate dal T.A.R., sia in rito (mancanza di specifica procura per i motivi aggiunti), sia di merito (decadenza dell’impugnazione dell’art. 18 delle N.T.A. del P.U.C., in quanto rivolta ad un atto generale).

Quanto all’eccezione di rito, l’affermazione dell’avvenuta riproposizione è infondata in punto di fatto: l’appello del Comune (pag. 14) dichiara espressamente di considerare “tralasciata la questione della procura”.

Quanto all’eccezione di merito - in disparte il profilo dell’effettiva pubblicazione della relativa delibera di approvazione all’albo pretorio - è evidente che l’interesse al ricorso è nato solo a seguito dell’approvazione dello schema di convenzione nella sua versione definitiva, cosicché i motivi aggiunti di primo grado devono ritenersi tempestivi.

2. E’ dunque possibile valutare l’appello nel merito.

Come detto in narrativa, il Tribunale regionale ha accolto il ricorso dei privati contro la delibera di approvazione del definitivo schema di convenzione, allegato al piano di lottizzazione “Collina degli ulivi”, per la mancata comunicazione dell’avviso di avvio del procedimento e per violazione dell’art. 16 Cost.

Con il proprio appello, il Comune di Uta si impegna nel contestare il ragionamento della sentenza di primo grado.

3. Sul primo punto, verrebbe fatto di osservare che lo schema di convenzione è un atto di pianificazione di carattere generale, sottratto come tale - a norma dell’art. 13 della legge n. 241 del 1990 - agli obblighi di comunicazione previsti dall’art. 7 della stessa legge.

Tuttavia tale argomento non è stato proposto dal Comune, né nelle difese scritte, né nella discussione in udienza se non in modo indiretto e generico, sviluppando una tesi (l’approvazione dello schema di convenzione non sarebbe l’esito di un procedimento autonomo, ma si inserirebbe nel complessivo procedimento di piano, inteso alla realizzazione della lottizzazione) che i privati tuttavia contestano, sostenendo la reciproca autonomia dei due procedimenti.

Si tratta di un profilo che non occorre però approfondire.

A tale riguardo, il Collegio ritiene infatti che l’appello comunale sia fondato, in quanto - come osserva l’appello stesso alle pagg. 7 e segg. - le clausole contestate si pongono in rapporto di necessaria consequenzialità con l’art. 18 delle N.T.A. del P.U.C. vigente. Ne segue che l’omissione della comunicazione, anche quando la si voglia considerare dovuta, è comunque un’infrazione solo formale e non ha carattere viziante a norma dell’art. 21 octies, comma 2, della citata legge n. 241 del 1990.

4. Secondo tale disposizione, infatti, nella zona F – turistico collinare, dove sono anche le aree controverse, il 50% della superficie territoriale è destinato a residenze ed “è possibile costruire case di abitazione a carattere stagionale”.

I privati contestano che la norma delle N.T.A.:

precluda la residenza nella zona;

in subordine, se interpretata in tal senso, sia conforme all’art. 16 Cost.

Il primo argomento rileva che il carattere stagionale andrebbe apprezzato secondo il possibile utilizzo del bene in ragione della concreta situazione dei luoghi. Nella specie, trattandosi di una località collinare, le abitazioni potrebbero essere utilizzate tutto l’anno e la stagionalità non sarebbe incompatibile con la fissazione della residenza, cioè con l’elezione dell’immobile a luogo di dimora abituale (art. 43, secondo comma, c.c.).

Si tratta di un espediente dialettico, brillante ma infondato.

L’art. 18 delle N.T.A. adopera un concetto tecnico (“residenza”) secondo il linguaggio comune e un concetto (“stagionalità”) tendenzialmente atecnico (se si prescinde dalla materia delle locazioni). Peraltro, proprio l’accezione corrente delle parole fa ritenere che non sia stagionale l’utilizzo di un’abitazione che potenzialmente arrivi a coprire tutto l’arco dell’anno e non solo quella di una stagione. In altri termini, è evidente che, nella previsione dell’art. 18 delle N.T.A., in zona F debbano essere costruite “seconde case” e non case di ordinaria abitazione.

5. Resta allora la critica di difformità rispetto alla Costituzione, che pure il giudice di primo grado ha fatto propria; ma neppure questa ha pregio.

In primo luogo, il “diritto di piantar legalmente o sostanzialmente le radici in un luogo determinato” (come è stato definito in dottrina), riconosciuto dall’art. 16 Cost., va inteso secondo ragionevolezza, nel senso che il cittadino ha il diritto di risiedere in ogni comune del territorio nazionale, ma non in ogni singola parte di ciascun comune. Se così non fosse, difatti, occorrerebbe riconoscere anche il diritto di risiedere in aree militari o in aree destinate a verde pubblico: conclusione, questa, palesemente assurda, che svela la debolezza dell’interpretazione “massimalistica” del contenuto della libertà di circolazione e di soggiorno da cui prende le mosse.

Fatto si è che la libertà sancita dall’art. 16 va letta anche alla luce del contenuto normativo di altre disposizioni costituzionali, a partire dall’art. 117 Cost. che - nel testo introdotto dalla riforma costituzionale del 2001 - fa del “governo del territorio” materia di competenza concorrente fra Stato e Regioni (e poi enti locali).

Il “governo del territorio” non si esaurisce nei poteri urbanistici secondo la configurazione tradizionale di questi ultimi (potere di regolare l’ordinato sviluppo edilizio del territorio in considerazione delle diverse tipologie di edificazione distinte per finalità), che trapela pure nella ricordata ordinanza cautelare della Sezione, ma implica il potere di conformare il territorio governato in vista della realizzazione contemperata di una pluralità di istanze pubbliche, secondo l’interesse complessivo - ragionevolmente e motivatamente apprezzato - delle comunità di riferimento. Da ciò, dunque, la possibilità che, facendo uso degli strumenti urbanistici, intesi in senso ampio, i Comuni legittimamente escludano nel proprio territorio la costruzione di case destinate all’uso solo saltuario (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 10 maggio 2012, n. 2710 e v. anche, nel solco di questa decisione, sez. IV, 28 novembre 2012, n. 6040) o a tal fine impongano una dimensione minima degli alloggi (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 6 maggio 2013, n. 2433; sez. IV, 17 febbraio 2014, n. 747).

Nella vicenda ora controversa, la situazione è bensì rovesciata (il Comune non vuole impedire le seconde case, ma le case di abitazione residenziale), ma mutatis mutandis non cambiano le conclusioni finali: il Comune ha fatto uso dei poteri urbanistici riconosciuti dalla legge e la prescrizione urbanistica censurata appare di per sé legittima, salvo che se ne voglia contestare la ragionevolezza, l’adeguatezza, la congruenza allo scopo.

6. Non è però infondato il dubbio che il Comune, pur volendo apparentemente escludere l’utilizzo residenziale dell’area lottizzata per evitare il formarsi di un “quartiere residenziale satellite” (il che sarebbe legittimo), abbia voluto in realtà solo traslare a carico dei privati i relativi oneri di urbanizzazione secondaria. In questo senso, appare significativa la relazione del Sindaco di Uta riportata nelle premesse della delibera n. 10 del 2004, di approvazione definitiva dello schema di convenzione, e, di questo, gli artt. 17 e 18.

L’art. 17 consente l’edificazione di case di abitazione solo a carattere stagionale, senza possibilità, per coloro che vi si insedieranno, di ottenere la residenza negli edifici realizzandi.

L’art. 18 pone a carico dei lottizzanti gli oneri per la realizzazione degli standard “per l’ipotesi che, nonostante quanto sopra, il Comune dovesse trovarsi costretto a concedere o a riconoscere la residenza ad abitanti insedianti nell’ambito del piano di lottizzazione”.

L’ambiguità e la perplessità del combinato disposto delle richiamate clausole dello schema di convenzione rendono suggestivo il dubbio di uno sviamento di potere.

Tale profilo era stato oggetto di censura in primo grado da parte dei privati, ma non è stato riproposto specificamente in questa sede di appello, dato che la memoria degli appellati si limita a richiamare genericamente gli ulteriori motivi del ricorso introduttivo, non valutati dal T.A.R.

Il motivo è dunque inammissibile.

7. Gli appellati contestano tale inammissibilità sul rilievo che la disposizione dell’art. 101, comma 2, c.p.a., da cui quella discenderebbe, non si applicherebbe agli appelli depositati prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo per testuale disposto dell’art. 3, allegato 3, del codice stesso.

La replica non è convincente.

Nulla fa supporre che la disposizione transitoria abbia inteso rovesciare un indirizzo consolidato di questo Consiglio di Stato che, ritenendo applicabile anche all’appello presso il giudice amministrativo la disposizione dell’art. 346 c.p.c., aveva da tempo escluso che fosse ammissibile ripresentare in appello i motivi del ricorso di primo grado attraverso una pura e semplice relatio (cfr. per tutte sez. IV, 20 aprile 2006, n. 2233; sez. IV, 16 aprile 2010, n. 2178; sez. VI, 10 aprile 2012, n. 2060; sez. VI, 7 febbraio 2014, n. 590).

Anche alla luce del raffronto con l’art. 2 che lo precede, l’art. 3 dell’allegato 3 va inteso solo nel senso che per gli appelli già introitati non valgono le forme e i termini prescritti dall’art. 101, comma 2, c.p.a., mentre nulla è innovato circa la necessità di un’espressa rinnovazione dei motivi di gravame, in difetto della quale - come nel caso di specie - è precluso l’esame dei motivi non ritualmente riproposti (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 590 del 2014, cit.).

8. Dalle considerazioni che precedono discende che l’appello è fondato e va perciò respinto, con riforma della sentenza impugnata e rigetto del ricorso di primo grado.

Tutti gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati ritenuti dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso.

La complessità della vicenda costituisce ragione sufficiente per compensare fra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.

Compensa fra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 febbraio 2015 con l'intervento dei magistrati:

Paolo Numerico, Presidente

Sandro Aureli, Consigliere

Raffaele Greco, Consigliere

Fabio Taormina, Consigliere

Giuseppe Castiglia, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 05/03/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm