Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 1100, del 5 marzo 2015
Urbanistica.Illegittimità vincolo di inedificabilità su un immobile di proprietà

Non appare conforme ai canoni di correttezza e congruità nell’esercizio del potere che, dopo anni di carenza di interventi di tutela, in un territorio oramai intensamente urbanizzato, l’autorità intervenga con un vincolo di tutela indiretta, nel corso della realizzazione di un intervento edilizio debitamente e legittimamente autorizzato: intervento consistente nella demolizione di un preesistente fabbricato e nella ricostruzione di altro manufatto, in base ad un titolo abilitativo unitario, nella fattispecie solo parzialmente eseguito ed in via di regolare completamento. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)

N. 01100/2015REG.PROV.COLL.

N. 08422/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8422 del 2012, proposto dal signor Giuseppe Labate, rappresentato e difeso dall'avv. Lorenzo Durano, con domicilio eletto presso l’avv. Marco Gardin in Roma, Via L. Mantegazza 24; 

contro

Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali, Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Puglia, Soprintendenza per i Beni.Architettonici e Paesaggistici per le Province di Lecce Brindisi e Taranto, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato e presso la medesima domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi, 12; 

nei confronti di

Comitato Regionale di Coordinamento del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Comune di Brindisi, Italia Nostra - Sez di Brindisi; 

per la riforma della sentenza del T.A.R. PUGLIA - SEZ. STACCATA DI LECCE, SEZIONE I, n. 01238/2012, resa tra le parti, concernente vincolo di inedificabilità su un immobile di proprietà;

 

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni statali appellate;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 gennaio 2015 il Cons. Gabriella De Michele e uditi per le parti l’avvocato Durano e l’avvocato dello Stato Varone;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

 

FATTO

Con sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Lecce, sez. I, n. 1238/12 del 12 luglio 2012 è stato respinto il ricorso proposto dal signor Giuseppe Labate avverso il decreto del Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali n. 4183 del 3 maggio 2011, con cui veniva apposto vincolo indiretto di in edificabilità assoluta su un immobile di proprietà dello stesso, a tutela di un bene di interesse storico-artistico (“Fontana Tancredi”), nonché avverso atti presupposti, fra cui la relazione storico-artistica della Soprintendenza ed il parere del Comitato regionale di coordinamento.

Sull’immobile in questione era stato rilasciato, il 31 marzo 2010, permesso di costruire, avendo il Dirigente dell’Ufficio tecnico comunale osservato come la salvaguardia del bene tutelato potesse essere assicurata anche “attraverso la piantumazione di vegetazione nella parte retrostante la fontana…al fine di schermarla totalmente dall’edificazione presente e futura, senza necessità di apposizione del vincolo di legge”. Detto vincolo era dunque reso oggetto di impugnativa, ma nella citata sentenza si ravvisava un “uso corretto” del potere ministeriale, non risultando carenze sul piano istruttorio, né inadeguatezza della motivazione. In particolare, era considerata priva di pregio la censura, riferita ad avvenuta imposizione del vincolo stesso dopo il rilascio del permesso di costruire e la demolizione di un precedente fabbricato, al posto del quale avrebbe dovuto essere realizzato il nuovo edificio, di “considerevole impatto visivo sul monumento”, tanto da indurre a ritenere che il potere del Ministero non potesse essere precluso dall’attività compiuta dal Comune in ordine all’istanza edilizia, presentata il 12 dicembre 2007.

Avverso le conclusioni in precedenza sintetizzate veniva proposto l’atto di appello in esame (n. 8422/12, notificato il 10 novembre 2012); nell’impugnativa veniva specificato come a lungo la Soprintendenza avesse preannunciato la sussistenza di ragioni di tutela indiretta del sito, circostante alla “Fontana Tancredi”, senza tuttavia che l’Amministrazione comunale potesse negare i titoli abilitativi richiesti, in base alla normativa vigente e senza che nemmeno potessero attivarsi le misure cautelative, di cui all’art. 46, comma 4 del d.lgs. n. 42/2004 (non essendo stata emessa una vera e propria comunicazione di avvio, per la procedura al riguardo prevista). Su tale base venivano reiterati i seguenti motivi di gravame, già prospettati in primo grado di giudizio:

I) violazione o falsa applicazione del combinato disposto, di cui agli articoli 46 del d.lgs. n. 42 del 2004 e 19 del d.P.R. n. 233 del 2007; violazione del giusto procedimento e delle garanzie partecipative, previste dalla legge n. 241 del 1990, tenuto conto anche dell’omessa comunicazione al signor Labate del parere obbligatorio del Comitato regionale di coordinamento;

II) violazione o falsa applicazione delle disposizioni in tema di tutela indiretta dei beni culturali; difetto assoluto di motivazione; difetto di istruttoria, non essendo state evidenziate, nel caso di specie, le “reali, verificate compromissioni” che si sarebbe tentato di scongiurare attraverso l’imposizione del vincolo; la stessa relazione della Soprintendenza, inoltre, non descriverebbe in modo circostanziato il reale stato dei luoghi, limitandosi a richiamare la “necessità di scongiurare ulteriore impropria urbanizzazione di un’area, già quasi totalmente edificata”;

III) violazione o falsa applicazione dell’art. 45 del d.lgs. n. 42 del 2004; violazione del principio di proporzionalità e congruità; difetto di motivazione e di istruttoria sotto ulteriore profilo; illogicità ed irrazionalità dell’azione amministrativa, dovendo l’interesse pubblico, finalizzato alla tutela del bene di interesse storico-artistico, essere perseguito col minimo possibile sacrificio degli interessi privati, con ampia riscontrabilità dell’effettuato bilanciamento di interessi nella motivazione dell’atto, senza trascurare la preesistenza di un fabbricato, nella medesima area di proprietà del ricorrente.

Il Ministero dei Beni, delle Attività Culturali e del Turismo, costituitosi in giudizio, rilevava in primo luogo l’infondatezza della censura, riferita ad omessa comunicazione all’interessato del parere obbligatorio, emesso dal Comitato regionale di coordinamento, ai sensi dell’art. 19 del d.P.R. n. 233 del 2007, in quanto detto parere risultava comunque emesso e menzionato nell’atto impositivo del vincolo, con possibilità per l’interessato di prenderne visione, previa istanza di accesso agli atti. Ugualmente infondata sarebbe stata la censura di difetto di motivazione, sia per l’ampio margine di discrezionalità delle valutazioni effettuate, non sindacabili nel merito, sia per l’evidente sussistenza dei presupposti per l’emanazione del provvedimento, tenuto conto dello stato reale dei luoghi: solo l’apposizione di un vincolo di in edificabilità, infatti, avrebbe potuto impedire la definitiva compromissione delle “condizioni di prospettiva, luce, cornice ambientale e decoro”, ancora attualmente sussistenti, nonostante le numerose costruzioni, realizzate negli anni ’80 e ’90.

Irrilevante dovrebbe ritenersi, infine, l’intervenuta apposizione del vincolo quando – in attuazione del permesso di costruire ottenuto – il proprietario aveva iniziato a dare esecuzione al progetto assentito, tramite demolizione del fabbricato preesistente: non sarebbe stata ipotizzabile, infatti, una sorta di “ultrattività dei provvedimenti comunali”, in modo tale da consentire l’edificazione anche dopo l’esercizio di una potestà, attribuita dalla legge all’Amministrazione per la salvaguardia dei beni culturali ed ambientali, nel prevalente interesse della collettività.

DIRITTO

E’ sottoposta all’esame del Collegio una delicata problematica, riferita all’imposizione – a norma dell’art. 46 del d.lgs. n. 42 del 22 gennaio 2004 (Codice dei beni cuturali e del paesaggio) di un vincolo indiretto di inedificabilità assoluta, a tutela di un bene di interesse storico e culturale (cosiddetta “Fontana Tancredi” o “Fonte grande di Brindisi”, ritenuta esempio di ingegneria idraulica e architettura civile normanna in Puglia). Detto vincolo, imposto con decreto ministeriale n. prot. 4183 del 3 maggio 2011, viene contestato non solo per difetto di motivazione e incongruità, in rapporto al reale stato dei luoghi, ma anche nella parte in cui risulta apposto con specifico riferimento ad un’area, non edificata solo perchè – in attuazione di un permesso di costruire, rilasciato il 31 marzo 2010 – era stata già effettuata la demolizione di un fabbricato preesistente, quale fase prodromica alla realizzazione di un nuovo edificio, “composto da piano seminterrato per garage e locale tecnico, piano terra per uffici e servizi….piani primo, secondo ed attico, per una abitazione a piano con annessi balconi”. Come emerge dagli atti processuali, peraltro, l’Amministrazione comunale non aveva omesso di considerare la vicinanza della nuova costruzione al bene direttamente tutelato (Fontana Tancredi), con conseguente coinvolgimento della Soprintendenza, che tuttavia – pur avendo in passato manifestato l’intenzione di sottoporre l’area a vincolo indiretto (ma senza formale avvio del relativo procedimento, che avrebbe comportato le misure cautelari, di cui al quarto comma dell’art. 46 del citato d.lgs. n. 42 del 2004), con conseguente assenza di qualsiasi regime vincolistico in atto – non forniva nel caso specifico alcun riscontro alla richiesta del Comune. Quest’ultimo non poteva ravvisare, pertanto, la sussistenza di ragioni impeditive dell’intervento edilizio ed individuava la possibilità di non compromettere la fruizione del bene tutelato, grazie alla realizzazione di “una cortina di verde, nella parte retrostante il lotto, in corrispondenza del sito della Fontana Tancredi”.

Nel momento in cui veniva apposto il vincolo di inedificabilità, per le ragioni di tutela indiretta in precedenza ricordate, era dunque già in corso di realizzazione un intervento edilizio, corrispondente a permesso di costruire richiesto più di tre anni prima e rilasciato, legittimamente, da oltre un anno.

In tale situazione avrebbe potuto imporsi, secondo l’Amministrazione statale resistente, la potestà autoritativa alla medesima attribuita, esercitata nel prevalente interesse pubblico e quindi, secondo quest’ultima, senz’altro in grado di prevalere sull’interesse privato.

Gli articoli 41 e 42 della Costituzione subordinano, in effetti, sia la libera iniziativa economica, sia le facoltà del titolare, in ordine all’utilizzo dei propri beni, all’” utilità” o alla “funzione sociale” dell’attività imprenditoriale e della proprietà, con riconosciuto carattere di valore primario dell’ordinamento delle esigenze di tutela dei beni ambientali o culturali, ovvero della salute dei cittadini, quali interessi pubblici idonei a giustificare il sacrificio di singoli interessi privati (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. St., sez. V, 12 giugno 2009, n. 3770; Cass. Pen., sez. III, 3 aprile 2003, n. 25726; Cons. St., sez. III, 29 ottobre 2002, n. 2016; Cons. St., sez. IV, 13 maggio 2003, n. 1896; Cons. St., sez. VI, 24 settembre 2007, n. 4924); in tale ottica, si ammette l’imposizione di vincoli, che limitino fortemente o escludano l’edificazione o altre modalità di utilizzo economico del bene posseduto, essendo in ogni caso possibile il sacrificio dell’interesse economico del soggetto proprietario, quando l’Amministrazione abbia operato scelte ragionevoli e coerenti, sacrificando l’interesse privato in funzione di interessi pubblici prevalenti aventi carattere conformativo (e, in quanto tali, legittimamente escludenti l’insorgere di diritti a indennizzo, che presuppongono il carattere ablatorio dell’intervento pubblico). E, in effetti, l’individuazione di numerosi vincoli a carattere conformativo – come tali non soggetti a decadenza né fonte di indennizzo – appare estensibile all’imposizione di un vincolo di tutela indiretta, come quello di cui si discute, potendosi ritenere la relativa disposizione regolatrice di un modo di essere della proprietà, senza effetti espropriativi (giurisprudenza consolidata: cfr., fra le tante, Cons. St., sez. VI, 23 marzo 1979, n. 188, 24 aprile 1979, n. 306; Cons. St., sez. IV, 5 ottobre 1995, n. 781, 8 giugno 2000, n. 3214 e 23 dicembre 2010, n. 9372).

I principi generali sopra richiamati debbono però confrontarsi – oltre che con i criteri, individuati dalla giurisprudenza, da applicare in presenza di “ius superveniens”, in materia di pianificazione urbanistica e di disciplina d’uso del territorio, anche di tipo vincolistico (cfr. al riguardo, Cons. St., Ad. Plen., 8 gennaio 1986, n. 1; Cons. St., sez. VI, 7 maggio 2009, n. 2835) – altresì con i princìpi in materia di correttezza nell’esercizio dei pubblici poteri e di affidamento dei privati, sulla cui sfera intervengano gli atti della pubblica autorità.

La disciplina vincolistica, d’altra parte, opera di norma “rebus sic stantibus”, ovvero prendendo atto dello stato dei luoghi, legittimamente esistente: tale regola appare di particolare importanza nella situazione in esame, in presenza di un vincolo di tutela indiretta intervenuto in rapporto ad una situazione di fatto, caratterizzata da già massiccia compromissione dell’area, circostante al bene oggetto di vincolo diretto. A tale riguardo, la parte appellante ha prodotto un’esaustiva e convincente documentazione fotografica, da cui emerge la cornice ambientale in cui attualmente si inserisce la “Fontana Tancredi”, ristretta fra la viabilità pubblica ed un terrapieno retrostante, caratterizzato da fitta edificazione, con imponenti costruzioni di anche sette piani, che la posizione sopraelevata rende di irrimediabile impatto visivo (cfr. anche nota descrittiva n. prot. 1953 del 24 febbraio 2010 del Comune di Brindisi). Quanto sopra non esclude che, sia pure tardivamente, l’Amministrazione potesse intervenire per impedire un’ulteriore compromissione del bene protetto, ma non senza che risultassero percepibili, dalla motivazione dell’atto, le ravvisate ragioni di tutela del residuo pregio dei luoghi (cfr. in tal senso, per il principio, Cons. St., sez. VI, 5 agosto 2013, n. 4063 e 27 febbraio 2012, n. 1096) nonché un’adeguata valutazione della situazione di fatto, in considerazione dei diritti e delle legittime aspettative maturate dai privati.

Appaiono dunque, ad avviso del Collegio, fondate ed assorbenti le censure di eccesso di potere e di violazione degli articoli 45 e 46 del d.lgs. n. 42 del 2004, sotto i profili del corretto iter procedurale e della conclusiva motivazione dell’atto, nella parte in cui risulta apposto un vincolo di tutela indiretta, anche con specifico riferimento ad un’area, su cui sussisteva per il proprietario non un mero interesse pretensivo all’edificazione, ma un’oramai espansa titolarità dello ius aedificandi, sulla base di un titolo abilitativo, in precedenza accordato e sottratto anche ad eventuali interventi in via di autotutela, in quanto conforme alla disciplina di riferimento alla data del relativo rilascio.

La motivazione dell’atto di annullamento impugnato, infatti, non fornisce adeguato riscontro della propria logica ispiratrice, tenuto conto della situazione reale, già in precedenza descritta: una situazione determinata da anni di ritardo, nell’assumere iniziative di salvaguardia del sito, circostante al bene culturale ed affrontata, infine, senza precisa considerazione dell’intervenuta trasformazione del territorio e dei diritti nel frattempo maturati.

In altri termini, non appare conforme ai canoni di correttezza e congruità nell’esercizio del potere che, dopo anni di carenza di interventi di tutela, in un territorio oramai intensamente urbanizzato, l’autorità intervenga con un vincolo di tutela indiretta, nel corso della realizzazione di un intervento edilizio debitamente e legittimamente autorizzato: intervento consistente nella demolizione di un preesistente fabbricato e nella ricostruzione di altro manufatto, in base ad un titolo abilitativo unitario, nella fattispecie solo parzialmente eseguito ed in via di regolare completamento.

Per le ragioni esposte, in conclusione, il Collegio ritiene che il ricorso debba essere accolto, con assorbimento delle ragioni difensive non esaminate e con gli effetti precisati in dispositivo; quanto alle spese giudiziali, tuttavia, il Collegio stesso ne ritiene equa la compensazione, tenuto conto della natura degli interessi pubblici coinvolti e delle relative esigenze di tutela, a cui corrisponde l’annullamento parziale del decreto impugnato con esclusivo riferimento alla posizione del ricorrente.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in appello indicato in epigrafe e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso proposto in primo grado e annulla il decreto n. 4183 del 3 maggio 2011, nella parte riferita al terreno di proprietà dell’appellante e nei limiti dell’interesse di questi alla realizzazione dell’intervento edilizio autorizzato.

Compensa le spese giudiziali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 gennaio 2015 con l'intervento dei magistrati:

Filippo Patroni Griffi, Presidente

Claudio Contessa, Consigliere

Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

Bernhard Lageder, Consigliere

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 05/03/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)