Cass. Sez. III n. 9784 del 6 marzo 2015 (Ud 19 dic 2014)
Pres. Teresi Est. Scarcella Ric. Brussolo
Beni Culturali. Irrilevanza autorizzazioni postume

In tema di tutela penale del patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale, né l'accertamento postumo di compatibilità con il vincolo culturale rilasciato dalla Soprintendenza né l'autorizzazione in sanatoria rilasciata dall'Autorità preposta esplicano effetto estintivo ovvero escludono la punibilità del reato d'abusivo intervento su beni culturali

RITENUTO IN FATTO

1. B.I. ha proposto ricorso, a mezzo del difensore fiduciario cassazionista, avverso la sentenza della Corte d'appello di FIRENZE emessa in data 19/09/2013, depositata in data 4/10/2013, con cui, in parziale riforma della sentenza del GIP del tribunale di FIRENZE del 29/11/2011, con il concorso di attenuanti generiche, veniva rideterminata la pena in mesi 4 di arresto ed Euro 800,00 di ammenda per aver eseguito "opere illecite" su un edificio di interesse culturale in quanto vincolato D.Lgs. n. 42 del 2004, ex art. 10, secondo le modalità esecutive e spazio temporali meglio descritte nel capo di imputazione (D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 169, art. 21, comma 4 e art. 27: fatto contestato come accertato il (OMISSIS)).

2. Con il ricorso viene dedotto un unico, articolato motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..

2.1. Deduce, con tale unico motivo, la violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b), in relazione al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 169, comma 1. In sintesi, la censura investe l'impugnata sentenza in quanto i giudici di appello avrebbero ritenuto responsabile il ricorrente ritenendosi il reato consumato al momento dell'accertamento dell'intervento sul bene, non rilevando la circostanza che, successivamente, i lavori di restauro sul manufatto siano stati autorizzati dal punto di vista amministrativo con la nota 16/11/2010 con cui la Soprintendenza competente comunicava la definitiva archiviazione del procedimento; sul punto, la Corte gigliata richiama la giurisprudenza di questa Corte che esclude che l'accertamento postumo di compatibilità con il vincolo culturale rilasciato dalla predetta Soprintendenza nè l'autorizzazione in sanatoria rilasciata dall'Autorità preposta esplichino effetto estintivo o escludano la punibilità del reato di abusivo intervento su beni culturali; tale affermazione sarebbe, a giudizio del ricorrente, illegittima, in quanto l'accertamento postumo sarebbe stato svolto dal Comune con il riconoscimento della conformità dei lavori agli strumenti urbanistici vigenti concedendo l'autorizzazione in sanatoria, laddove la Soprintendenza avrebbe riconosciuto l'inidoneità della condotta a porre in pericolo il bene tutelato; nel caso in esame, difetterebbe l'idoneità della condotta a porre in pericolo il bene tutelato, così mostrandosi la stessa carente di offensività, trattandosi di reato di pericolo, essendosi limitato il reo a migliorare il bene non diminuendo in alcun modo il godimento estetico complessivo dell'edificio; l'interpretazione formalistica dell'offesa al bene tutelato come operata dalla Corte territoriale sarebbe dunque errata.


CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è manifestamente infondato e dev'essere dichiarato inammissibile.

4. Ed invero, il reato per cui si procede è quello di opere illecite su bene culturale. Il reato è stato ritenuto consumato al momento dell'accertamento dell'intervento sul bene, escludendosi qualsiasi rilievo alla circostanza che, successivamente, i lavori di restauro sul manufatto fossero stati autorizzati dal punto di vista amministrativo con la nota 16/11/2010 con cui la Soprintendenza competente comunicava la definitiva archiviazione del procedimento.

La soluzione offerta dalla Corte territoriale è assolutamente corretta in diritto, avendo i giudici gigliati fatto buon governo del principio di diritto, già affermato da questa Corte, secondo cui in tema di tutela penale del patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale, nè l'accertamento postumo di compatibilità con il vincolo culturale rilasciato dalla Soprintendenza nè l'autorizzazione in sanatoria rilasciata dall'Autorità preposta esplicano effetto estintivo ovvero escludono la punibilità del reato d'abusivo intervento su beni culturali (Sez. 3^, n. 46082 del 08/10/2008 - dep. 15/12/2008, Fiorentino e altro, Rv. 241785).

5. Quanto, poi, alla circostanza sostenuta in ricorso che si trattasse di intervento di minima offensività, è escluso dalla stessa tipologia degli interventi eseguiti (demolizione del pavimento, creazione di un vano sottotetto, realizzazione di aperture, etc).

Al riguardo, occorre svolgere alcune brevi considerazioni in ordine alla offensività del reato, la cui sinteticità è imposta dalla sede, ma la Corte non intende sottovalutare la complessità di un tema che ha travagliato a lungo dottrina e giurisprudenza. Il principio di offensività nel diritto penale, secondo cui non sussiste reato senza una effettiva offesa (sotto forma di lesione o di messa in pericolo) del bene protetto, è fondato su una precisa interpretazione dell'art. 49 c.p., comma 2, e confermato dai principi consacrati nell'art. 25 Cost., comma 2, e art. 27 Cost., commi 1 e 3.

Come tale, esso è ormai espressamente riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale ed è applicato - anche se non sempre tematizzato -dalla giurisprudenza di legittimità. L'applicazione del principio in questione, tuttavia, presuppone l'esatta individuazione del bene tutelato dalla norma incriminatrice. Nei reati formali, come quello urbanistico di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, o quello paesaggistico di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, il bene tutelato è l'interesse della pubblica amministrazione competente a controllare preventivamente che la trasformazione dell'assetto territoriale sia conforme - rispettivamente - agli strumenti urbanistici di governo del territorio o alla conservazione della integrità ambientale. La giurisprudenza di legittimità, peraltro, ha ormai riconosciuto il carattere plurioffensivo del reato urbanistico e di quello paesaggistico, laddove ha precisato che, oltre al predetto interesse formale e strumentale della pubblica amministrazione, la norma penale tende a proteggere anche l'interesse sostanziale e finale del governo urbanistico del territorio o della integrità ambientale. Questo approdo ermeneutico può dirsi giustificato solo in base alle norme che prevedono: a) tra le fattispecie di reato urbanistico anche l'ipotesi di inosservanza degli strumenti urbanistici (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. a); b) la estinzione del reato urbanistico quando l'intervento edilizio abusivo sia riconosciuto sostanzialmente conforme agli strumenti urbanistici vigenti sia al momento in cui l'intervento è eseguito sia al momento in cui è richiesto l'accertamento amministrativo di conformità (D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 36 e 45); c) la non punibilità del reato contravvenzionale paesaggistico quando l'autorità amministrativa competente accerti la compatibilità paesaggistica dell'intervento, sempre che questo sia di carattere minore (D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 ter);

d) la estinzione del reato contravvenzionale paesaggistico quando il trasgressore rimetta in pristino lo stato dei luoghi prima che sia intervenuta condanna (D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181, comma 1 quinquies).

Le norme testè citate, infatti, dimostrano che il legislatore penale, oltre a tutelare l'interesse strumentale della pubblica amministrazione al controllo preventivo, ha voluto positivamente considerare, in un modo o nell'altro, l'interesse sostanziale al rispetto finale dei valori del territorio e dell'ambiente, tanto da rinunciare alla pena nei casi in cui, pur violando l'interesse strumentale della pubblica amministrazione, il contravventore ha sostanzialmente rispettato l'interesse finale della conformità urbanistica e ambientale.

Norme siffatte non sono però rinvenibili per il reato di abusivo intervento su beni culturali, previsto e punito dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 169. Di questo reato, quindi, non può predicarsi un carattere plurioffensivo. Dal momento che la individuazione del bene penalmente tutelato deve desumersi dalla struttura tipica del reato e dalla disciplina che ne regola le cause di non punibilità e di estinzione, è giocoforza concludere che: a) per il reato in esame il bene tutelato è esclusivamente l'interesse strumentale al preventivo controllo da parte dell'autorità preposta alla tutela dei beni culturali; b) la condotta di chiunque realizzi interventi sui beni anzidetti senza la prescritta autorizzazione o comunicazione preventiva configura una concreta offesa dell'interesse amministrativo tutelato, senza che l'accertamento postumo di compatibilità col vincolo culturale o l'autorizzazione in sanatoria rilasciata dalla autorità preposta possa valere a estinguere il reato o a escluderne la punibilità. Per conseguenza, contrariamente a quanto ritiene il difensore ricorrente, nel caso concreto l'accertamento postumo di compatibilità rilasciato dalla Soprintendenza competente non vale a estinguere il reato contestato al ricorrente o a escluderne la punibilità.

A questo punto diventa marginale il fatto che la Soprintendenza, nella sua valutazione ex post, abbia disposto l'archiviazione del procedimento stante il probabile adeguamento da parte del ricorrente alla richiesta dell'Autorità amministrativa, laddove l'Arch.

M. della Soprintendenza aveva ritenuto sanabili solo alcune opere minori abusivamente eseguite ed incompatibili col vincolo storico - artistico esistente sull'edificio denominato "San Lorenzo a Cappiano" la distruzione di parte del pavimento della chiesa e la creazione del sottostante vano. Sia per questi lavori incompatibili (comunque contestati al ricorrente), sia per gli altri lavori giudicati infine compatibili col vincolo storico - artistico, sussiste il reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 169.

6. Il ricorso dev'essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di somma che si stima equo fissare, in Euro 1000,00 (mille/00).

7. Solo per completezza, dev'essere precisato che il termine di prescrizione del reato è maturato alla data del 22/01/2014, successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata (19/09/2013).

L'inammissibilità del ricorso osta tuttavia alla declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, atteso che, come autorevolmente sostenuto dalle Sezioni Unite di questa Corte, l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p., (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 - dep. 21/12/2000, De Luca, Rv. 217266).


P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di L. 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2015