Cass. Sez. III n. 57111 del 21 dicembre 2017 (Ud 5 lug 2017)
Presidente: Savani Estensore: Gentili Imputato: Rossetti
Beni Culturali. Nozione di spostamento e rimozione

L'art. 21, comma 2, del dlgs n. 42 del 2004 nell'individuare una serie di operazioni per le quali è richiesta la preventiva autorizzazione da parte dell'organo pubblico, è riferita ai beni mobili e concerne l'ipotesi del loro "spostamento", diversa cosa è la "rimozione" concetto questo che, rispetto al mero "spostamento" - essendo esso consistente in una dislocazione solo spaziale del bene senza alcuna modificazione del suo status fisico -comporta una più radicale e tendenzialmente definitiva alterazione della situazione del bene in questione che viene sottratto ad un contesto in cui era inserito e del quale, trattandosi di bene avente una rilevanza storicoculturale, era parte integrante, per essere trasferito in un altro ambito morfologicamente distinto dal precedente ovvero per essere addirittura eliminato, con una conseguente variazione di esso non solo fenomenica ma anche valoriale

RITENUTO IN FATTO

Il Tribunale di Napoli, con sentenza del 23 febbraio 2016 ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di Rossetti Irene, cui era stata contestata la violazione degli artt. 169 e 176 del dlgs n. 42 del 2004 per avere, rispettivamente, rimosso, collocandolo all'interno della sua proprietà un "cippo in calcare con iscrizione" risalente al II secolo dC, trasferendolo dal sito ove si trovava, e per essersi impossessata di numerosi reperti archeologici risalenti ad epoca romana, da lei detenuti presso la sua abitazione.
Il Tribunale, infatti, considerato che i fatti erano stati accertati in data 18 febbraio 2008, ha rilevato che i reati contestati alla imputata, in relazione ai quali non vi erano elementi per una pronunzia assolutoria nel merito, erano già prescritti al momento della pronunzia della sentenza.
Il Tribunale ha, peraltro, disposto il dissequestro dei beni in questione, disponendone la consegna alla Stato, trattandosi di beni incommerciabili.
Avverso detta sentenza ha interposto ricorso per cassazione la Rossetti, deducendo la scorretta instaurazione del giudizio in quanto non era stato notificato al difensore di fiducia della imputata l'avviso di conclusione delle indagini ex art. 415-bis cod. proc. pen. La ricorrente ha, altresì, lamentato che la sentenza fosse stata pronunziata sebbene non sia mai stata eseguita la trascrizione dei quanto emerso nel corso della istruttoria dibattimentale svolta alla udienza del 26 settembre 2013; tale omissione avrebbe reso secondo la ricorrente del tutto priva di prova la affermazione della sua responsabilità riguardo alla imputazione di cui al capo a) a lei contestato. La ricorrente, con specifico riferimento alla imputazione di cui al capo b) della rubrica, afferente alla violazione dell'art. 169 del dlgs n. 42 del 2004, ha affermato che il Tribunale, lungi dal dichiarare la prescrizione del reato, avrebbe dovuto assolverla per la insussistenza del fatto, in quanto il cippo di cui alla imputazione, mai allocato all'interno del muro di cinta della abitazione della imputata, era stato spostato solo per consentire la realizzazione di opere di manutenzione alla facciata dell'immobile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.
Quanto al primo motivo di ricorso, riferito alla nullità dell'intero giudizio per essere stata omessa la notificazione dell'avviso di chiusura delle indagini preliminari ex art. 415-bis cod. proc. pen. al difensore di fiducia della Rossetti, osserva il Collegio che in relazione ad esso la prevenuta è priva di un reale interesse ad impugnare.
Posto che, infatti, la sentenza con la quale sia stata dichiarata la prescrizione del reato contestato è impugnabile solo in presenza di un reale interesse, consistente nella pretesa di ottenere, in luogo del proscioglimento per la estinzione del reato, una assoluzione con una formula di merito o comunque un risultato praticamente più vantaggioso per il ricorrente (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 28 aprile 2016, n. 17686; idem Sezione III penale, 24 giugno 2010, n. 24272, ord.), osserva il Collegio che, laddove il ricorrente lamenti esclusivamente un vizio di carattere procedurale tale da non comportare, ove riscontrato come esistente, la emissione di una pronunzia assolutoria con formula di merito ma esclusivamente l'annullamento della sentenza impugnata e la regressione del giudizio alla fase precedente alla adozione dell'atto impugnato, non può ritenersi ammissibile la impugnazione della sentenza con la quale sia stato dichiarato il non doversi procedere stante la intervenuta prescrizione, posto che, quand'anche la impugnazione fosse accolta, il giudice di fronte al quale fossero mandati gli atti, si troverebbe a dover pronunziare, immediatamente, il proscioglimento del prevenuto con la medesima formula adottata con la sentenza impugnata. Infatti, secondo la previsione di cui all'art. 129 cod. proc. pen., in ogni stato e grado del procedimento il giudice, il quale riconosca che il reato sia estinto, ipotesi che evidentemente ricorre in caso di prescrizione, lo deve dichiarare di ufficio con sentenza.
Né potrebbe ragionevolmente ritenersi che, essendo già stato celebrato, ancorché viziato sotto il profilo procedurale, un giudizio di merito il quale aveva condotto ad una sentenza non assolutoria ma di solo proscioglimento per prescrizione, possa ricorrere quella evidenza della innocenza del prevenuto la quale giustificherebbe, alla luce del secondo comma dell'art. 129 cod. proc. pen., una pronunzia diversa dalla dichiarazione della avvenuta prescrizione del reato.
Il secondo motivo di impugnazione è inammissibile stante la sua genericità; invero, mentre il Tribunale ha rilevato la presenza di elementi idonei ad affermare la penale responsabilità della imputata, la ricorrente, onde contestare siffatto rilievo, si è limitata a censurare che in atti non vi era la trascrizione stenografica delle attività istruttorie svolte nel corso della udienza del 26 settembre 2013.
Tale censura è caratterizzata dalla estrema genericità e dalla sua non decisiva rilevanza; infatti non solo la ricorrente non ha dimostrato la irrilevanza ai fini del decidere di quanto eventualmente acquisito al processo nel corso delle sue restanti fasi dibattimentali, ma neppure ha dimostrato che delle operazioni svoltesi nel corso della udienza del 26 settembre 2013 non fosse stata verbalizzata altra forma di documentazione.
Come infatti ha rilevato questa Corte, la mancata trascrizione delle dichiarazioni fonoregistrate rese dai testimoni in sede di esame dibattimentale integra una nullità d'ordine generale della sentenza per violazione del diritto di difesa, solo laddove il verbale redatto in forma riassuntiva rimandi integralmente ad esse (Corte di cassazione, Sezione III penale, 1 dicembre 2010, n. 42505).
Di tale integrale rinvio, onde soddisfare il principio di autosufficienza del ricorso, avrebbe dovuto dare la prova la Rossetti; non avendo la stessa assolutamente soddisfatto tale onere il ricorso deve essere al riguardo dichiarato inammissibile per la sua genericità.
Infine, relativamente alla integrazione del reato di cui all'art. 169 del dlgs n. 42 del 2004 nella condotta posta in essere dalla imputata, osserva la Corte come sia del tutto fuorviante il riferimento contenuto nel ricorso della Rossetti all'art. 21, comma 2, del dlgs n. 42 del 2004.
Tale disposizione, infatti, nell'individuare una serie di operazioni per le quali è richiesta la preventiva autorizzazione da parte dell'organo pubblico, è riferita ai beni mobili e concerne l'ipotesi del loro "spostamento", laddove la contestazione fatta alla Rossetti ha ad oggetto la "rimozione" (concetto questo che, rispetto al mero "spostamento" - essendo esso consistente in una dislocazione solo spaziale del bene senza alcuna modificazione del suo status fisico -, comporta una più radicale e tendenzialmente definitiva alterazione della situazione del bene in questione che viene sottratto ad un contesto in cui era inserito e del quale, trattandosi di bene avente una rilevanza storicoculturale, era parte integrante, per essere trasferito in un altro ambito morfologicamente distinto dal precedente ovvero per essere addirittura eliminato, con una conseguente variazione di esso non solo fenomenica ma anche valoriale - di un bene che, per essere stato, secondo la indicazione contenuta nel capo di imputazione, stabilmente inserito nel muro di cinta dell'immobile della imputata ha assunto la stessa natura di bene immobile del bene al quale ha acceduto. Il fatto, dedotto dalla imputata ma certamente dalla medesima non dimostrato, che la rimozione ed il trasferimento del cippo dalla parte esterna a quella interna della proprietà della prevenuta (è stato, a quanto risulta, dallo stesso ricorso, relegato all'interno di un androne, così svilito a mero elemento decorativo) fosse funzionale allo svolgimento di interventi di manutenzione straordinaria della facciata dell'immobile delle medesima Rossetti, dovendosi sottintendere che nelle aspettative vi era la ricollocazione del medesimo lì dove era originariamente, è fattore del tutto irrilevante.
Infatti, come ancora di recente ribadito dal questa Corte, il reato in questione è un reato formale di pericolo, il quale è integrato attraverso il compimento delle attività descritte dalla norma incriminatrice senza il preventivo controllo amministrativo, finalisticarnente preordinato ad evitare possibili pericoli e danni a carico del bene culturale; esso, pertanto, si consuma anche se non si produce una concreta lesione del valore storicoculturale della res, sempre che, secondo una valutazione ex ante, non si tratti di interventi talmente trascurabili, marginali e minimi da escludere anche il solo pericolo astratto di lesione dell'interesse protetto (Corte di cassazione, Sezione III penale, 10 novembri 2016, n. 47258).
Quanto al caso di specie, è evidente che la amotio del bene da un contesto in cui esso è inserito ed il suo inserimento in un altro, avente caratteristiche ben diverse dal precedente, è elemento tale da porre in percolo, in assenza dei preventivi controlli da parte dell'Autorità preposta alla tutela dell'interesse pubblico sotteso, non solo la integrità materiale del bene in questione ma, attraverso la sua decontest4alizzazione, anche il suo valore di testimonianza storico-culturale di un'epoca e di un ambiente.
Il ricorso della Rossetti deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile e la stessa va condannata, visto l'art. 616 cod. proc. pen., oltre che al pagamento delle spese processuali al pagamento della somma di euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, 23 maggio 2017