Cass. Sez. III n. 41256 del 25 settembre 2018 (Ud 21 feb 2018)
Pres. Ramacci Est. Aceto Ric. Marchi
Urbanistica.Ampliamento della volumetria preesistente all’esterno della sagoma esistente

Secondo l’interpretazione sistematica degli artt. 3, lett. d), 10, comma 1, lett. c), 22, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, come modificati dall’art. 30, comma 1, lett. a), c) ed e), d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla legge n. 98 del 2013, e, da ultimo dall’art. 17, comma 1, lett. d), d.l. n. 133 del 2014, convertito con modificazioni dalle legge n. 164 del 2014, e 3, comma 1, lett. f), n. 2), d.l. n. 222 del 2016, gli interventi edilizi che comportano l’ampliamento della volumetria preesistente all’esterno della sagoma esistente possono essere realizzati solo con permesso di costruire o altro titolo equipollente trattandosi di interventi classificabili come di “nuova costruzione” ai sensi della lettera e.1) dell’art. 3, d.P.R. n. 380 del 2001 e comunque non di ristrutturazione cd. “minore”


RITENUTO IN FATTO

    1. Il sig. Vinicio Marchi ricorre per l’annullamento della sentenza del 17/11/2016 della Corte di appello di Firenze che, in riforma di quella del 09/01/2015 del Tribunale di Lucca da lui impugnata, lo ha assolto dalla residua imputazione di cui al capo 2 (art. 181, d.lgs. n. 42 del 2004) perché il fatto non sussiste e, esclusa la continuazione con il residuo reato di cui al capo 1 (art. 44, d.P.R. n. 380 del 2001), ha rideterminato la pena nella misura di due mesi di arresto e 32.000 euro di ammenda, confermando nel resto l’impugnata sentenza.
        1.1. Con il primo motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza o l’erronea applicazione degli artt. 44, lett. c), e 3, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 380 del 2001, come modificato dall’art. 30, comma 1, lett. a), d.l. n. 69 del 2013, convertito con modificazioni dalla legge n. 98 del 2013, nonché mancanza, la contraddittorietà ed illogicità della motivazione e travisamento dei fatti.
Deduce che:
    •  la Corte di appello ha erroneamente qualificato e classificato l’intervento edilizio come “nuova costruzione” e/o come addizione volumetrica e/o come ristrutturazione “pesante” di fabbricato in area vincolata, con conseguente necessità di permesso di costruire;
    •  dall’esame delle fotografie e dei documenti prodotti dalla difesa (planimetrie catastali e nota del 18/02/2011 della Comunità Montana) risulta che il fabbricato esisteva da prima dell’esecuzione dei lavori ed al momento dell’intervento era dotato di mura perimetrali, di strutture orizzontali e di struttura del tetto mentre era privo di parte del manto di copertura, sicché non era privo degli elementi minimi richiesti per la sua classificazione come “fabbricato esistente”, piuttosto che il resto di un edificio da tempo demolito e crollato;
    •  l’intervento, dunque, è classificabile come intervento di ristrutturazione ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 380 del 2001, come modificato dall’art. 30, comma 1, lett. a), d.l. n. 69 del 2013;
    •  la Corte di appello ha riconosciuto che l’altezza del fabbricato al colmo (5,23 metri lineari) era rimasta invariata ma anche la larghezza è rimasta invariata, come risulta dal verbale di accertamento e dall’esame delle fotografie   che ritraggono i prospetti est, ovest e nord, sicché anche la superficie è rimasta invariata;
    •  in base al PRG e alla testimonianza resa dal responsabile del settore di edilizia privata del Comune di Barga, sarebbe stato possibile soprelevare il fabbricato di altri 50 centimetri senza necessità di permesso di costruire ma in base a semplice SCIA;
    •  inoltre, trattandosi di intervento effettuato in zona non vincolata, non era necessario nemmeno il rispetto della medesima sagoma dell’edificio preesistente;
    •  in estrema sintesi, si tratta di intervento di manutenzione straordinaria e/o ristrutturazione e/o ricostruzione del fabbricato che preesisteva come organismo edilizio dotato di strutture perimetrali e della struttura del tetto, nel rispetto della sagoma dell’edificio preesistente e del precedente ingombro planovolumetrico pienamente accertabili nella loro consistenza;
    •  si tratta, dunque, di intervento “leggero”, soggetto a SCIA e non a permesso di costruire.  
        1.2. Con il secondo motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., l’erronea applicazione dell’art. 44, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, in relazione all’art. 140, legge reg. Toscana n. 1 del 2005 e all’art. 134, legge reg. n. 65 del 2014.
Deduce che dalla documentazione prodotta in primo e secondo grado (ordinanza del responsabile dell’area tecnica del Comune di Barga; ricevute di pagamento, fotografie) risulta che, ai fini del conseguimento della sanatoria ed in ottemperanza a quanto aveva imposto l’ufficio tecnico del Comune, aveva abbassato, mediante parziale demolizione, le pareti laterali, riportandole alla loro originaria altezza. Ne consegue che l’attività posta in essere deve essere qualificata come ristrutturazione edilizia, sanabile con SCIA ai sensi dell’art. 140, legge reg. Toscana n. 1 del 2005 senza necessità di permesso di costruire. Questi principi sono stati confermati dall’art. 134, legge reg. Toscana n. 65 del 2014 che ha escluso la necessità del permesso di costruire quando la ristrutturazione comporti un incremento di volume necessario per l’adeguamento antisismico, anche se in zona vincolata.     
        1.3. Con il terzo motivo, deducendo la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche, eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza l’erronea applicazione dell’art. 62-bis cod. pen. e vizio di mancanza e/o illogicità della motivazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Il ricorso è inammissibile perché generico, proposto al di fuori dei casi consentiti dalla legge nella fase di legittimità e manifestamente infondato.

    2. Il ricorrente risponde del (residuo) reato di cui all’art. 44, d.P.R.n. 380 del 2001, perché, in assenza di permesso di costruire, aveva proceduto ad una serie di interventi edilizi che avevano complessivamente determinato l’ampliamento volumetrico di un fabbricato preesistente mediante l’innalzamento dei muri perimetrali.
        2.1. La Corte di appello, nel disattendere l’impugnazione proposta “in parte qua”, afferma in modo netto e chiaro che, dall’analisi della documentazione fotografica relativa alla situazione preesistente, risulta che i muri perimetrali erano stati soprelevati di oltre un metro, ben oltre cioè la soglia di tolleranza di 30/50 centimetri prevista dalla legislazione regionale toscana ai fini dell’adeguamento antisismico dei fabbricati. Tale dato, prosegue la Corte di appello, è confermato anche dall’ordinanza del 10/10/2014 (la stessa citata dal ricorrente con il secondo motivo di ricorso) che aveva imposto la demolizione dei muri laterali per oltre un metro. E del resto, proseguono i Giudici distrettuali, non sarebbe stato altrimenti possibile realizzare la finestratura delle pareti est ed ovest.
        2.2. E’ sufficiente stare al testo della motivazione della sentenza impugnata per comprendere che le eccezioni proposte con i primi due motivi di ricorso sono inconsistenti in fatto, prima ancora che in diritto, perché danno per scontata una ricostruzione della vicenda del tutto diversa da quella che risulta dalla motivazione della sentenza stessa, considerato altresì che la Corte di appello non ha mai affermato che l’altezza del fabbricato era rimasta invariata. Insomma, il fatto posto a base del ricorso è radicalmente diverso da quello che risulta dalla lettura della sentenza (ciò che denota l’intrinseca debolezza delle eccezioni difensive).  
        2.3. Il confronto tra l’odierno ricorso e l’atto di appello rende chiare le ragioni di tale contrasto: il ricorso per cassazione ricalca quasi alla lettera l’atto di appello e ne mutua, inevitabilmente, gli inammissibili refusi fattuali solo genericamente collocati, nell’odierno ricorso, sotto la voce “travisamento”, salvo poi non allegare nessuno degli atti travisati, né indicarne la precisa collocazione nel fascicolo processuale. Tra l’altro, ad ulteriore profilo della sua inammissibilità, lo stesso ricorso è intrinsecamente contraddittorio perché da un lato predica il mancato innalzamento delle mura perimetrali (primo motivo), dall’altro deduce di aver ottemperato all’ordinanza del 10/10/2014 che aveva imposto la demolizione della soprelevazione (secondo motivo).
        2.4. Manca, dunque, qualsiasi correlazione tra i vizi (genericamente) denunciati e le ragioni poste a fondamento dell’atto impugnato.
        2.5. Secondo la giurisprudenza pacifica di questa Corte in tema di inammissibilità del ricorso per cassazione, i motivi devono ritenersi generici non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Cass., Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013 Rv. 255568); cosicché è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l'indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'atto d'impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 2, n. 19951 del 15/05/2008 Rv. 240109). Ai fini della validità del ricorso per cassazione non è, perciò, sufficiente che il ricorso consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate e i limiti dell'impugnazione, ma è altresì necessario che le ragioni sulle quali esso si fonda siano esposte con sufficiente grado di specificità e che siano correlate con la motivazione della sentenza impugnata; con la conseguenza che se, da un lato, il grado di specificità dei motivi non può essere stabilito in via generale ed assoluta, dall'altro, esso esige pur sempre - a pena di inammissibilità del ricorso - che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle del ricorrente, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime. È quindi onere del ricorrente, nel chiedere l'annullamento del provvedimento impugnato, prendere in considerazione gli argomenti svolti dal giudice di merito e sottoporli a critica, nei limiti - s'intende - delle censure di legittimità (così, in motivazione, Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014).
        2.6. Resta, dunque, il fatto così come descritto nella sentenza impugnata che si iscrive a pieno titolo nella fattispecie di reato contestata atteso che, secondo l’interpretazione sistematica degli artt. 3, lett. d), 10, comma 1, lett. c), 22, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001, come modificati dall’art. 30, comma 1, lett. a), c) ed e), d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla legge n. 98 del 2013, e, da ultimo dall’art. 17, comma 1, lett. d), d.l. n. 133 del 2014, convertito con modificazioni dalle legge n. 164 del 2014, e 3, comma 1, lett. f), n. 2), d.l. n. 222 del 2016, gli interventi edilizi che, come nel caso di specie, comportano l’ampliamento della volumetria preesistente all’esterno della sagoma esistente l’apertura di nuovi pareti finestrate, possono essere realizzati solo con permesso di costruire o altro titolo equipollente trattandosi di interventi classificabili come di “nuova costruzione” ai sensi della lettera e.1) dell’art. 3, d.P.R. n. 380 del 2001 (Sez. 3, n. 38632 del 31/05/2017, Molari, Rv. 270826) e comunque non di ristrutturazione cd. “minore” (Sez. 3, n. 30575 del 20/05/2014, Limongi, Rv. 259905, secondo cui, l'apertura di "pareti finestrate" sulla facciata di un edificio, senza il preventivo rilascio del permesso di costruire, integra il reato previsto dall'art. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001, poiché si tratta di un intervento edilizio comportante una modifica dei prospetti non qualificabile come ristrutturazione edilizia "minore", e per il quale, quindi, non è sufficiente la mera denuncia di inizio attività; nello stesso senso, da ultimo, Sez. 3, n. 921 del 10/10/2017, dep. 2018, Carenza, n.m.; Sez. 3, n. 38853 del 05/04/2017, Zizzi, n.m.).

    3. Il terzo motivo è inammissibile perché generico e proposto al di fuori dei casi consentiti dalla legge.
        1.1. Nel motivare il diniego di applicazione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899).
        1.2. Si tratta di un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell'art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269).
        1.3. Nel caso di specie, esclusa, correttamente, la rilevanza del mero stato di incensuratezza, la Corte territoriale ha insindacabilmente privilegiato l’entità oggettiva degli interventi (e dunque la gravità del reato).
        1.4. Le censure difensive propongono la rivalutazione della decisione facendo leva, però, su indici diversi da quello preso in considerazione dalla Corte di appello, così non contestando le basi fattuali del ragionamento della Corte stessa. Manca, anche in questo, il confronto con le ragioni del diniego.

        5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di € 2.000,00.
            5.1. L’inammissibilità del ricorso, poiché non consente la costituzione del rapporto processuale, impedisce di rilevare la prescrizione maturata successivamente alla sentenza impugnata (il 16/10/2017, considerata la data del fatto, 03/02/2011, e le complessive sospensioni del dibattimento per istanze difensive e adesioni alle astensioni proclamate dagli organismi di categoria, per una durata pari a 621 giorni).




P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 21/02/2018.