Consiglio di Stato Sez. VI n. 4389 del 16 maggio 2024
Beni culturali.Autorizzazione monumentale e decadenza del titolo edilizio

I due atti di assenso, quello della Soprintendenza e quello edilizio, operano su piani diversi, essendo posti a tutela di interessi pubblici diversi, seppur parzialmente coincidenti. Ai sensi dall’art. 21, c. 4, D.Lgs. 42/2004, l’autorizzazione monumentale è riferita ad uno specifico intervento e non al titolo edilizio che ne assente l’esecuzione. La sua efficacia temporale, inoltre, è determinata in maniera autonoma rispetto a quella del permesso di costruire. L’art. 21, c. 5, infatti, prevede che “se i lavori non iniziano entro cinque anni dal rilascio dell'autorizzazione, il soprintendente può dettare prescrizioni ovvero integrare o variare quelle già date in relazione al mutare delle tecniche di conservazione”, mentre, ai sensi dell’art. 15, c. 2, del DPR 380/2001 “Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata, non può superare tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga”. Pertanto, ben può accadere che entro il quinquennio di efficacia dell’autorizzazione monumentale decada il titolo edilizio, senza che ciò produca alcuna conseguenza sulla validità dell’autorizzazione monumentale, non essendo stata prevista alcuna correlazione tra le due ipotesi dalla normativa vigente, in coerenza, peraltro, con i differenti profili di valutazione sottesi all’uno e all’altro provvedimento.

Pubblicato il 16/05/2024

N. 04389/2024REG.PROV.COLL.

N. 03645/2020 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3645 del 2020, proposto da
Dervall Immobiliare S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Silvano Ciscato e Andrea Faresin, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Giovanni Barone, Mariagrazia Pegoraro e Sandra Purgato, rappresentati e difesi dagli avvocati Dario Meneguzzo e Alessandro Pesavento, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

nei confronti

Comune di Vicenza, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda) n. 1072/2019.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti e l’appello incidentale proposto da Giovanni Barone, Mariagrazia Pegoraro e Sandra Purgato;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 8 maggio 2024 il Cons. Giordano Lamberti e dato atto che nessuno è comparso per le parti costituite in collegamento da remoto attraverso videoconferenza, con l'utilizzo della piattaforma "Microsoft Teams”;

Viste le conclusioni delle parti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1 - Giovanni Barone, Mariagrazia Pegoraro e Sandra Purgato sono proprietari di alcune unità abitative poste all’interno della “Torre dei Loschi”: un edificio di epoca medievale sottoposto a vincolo monumentale, prospiciente il retro del Palazzo delle Poste di Vicenza, anch’esso dichiarato, con D.M. del 9.10.2000, “di interesse particolarmente importante” perché “esempio significativo dell’architettura del Ventennio”.

2 – In riferimento a quest’ultimo edificio, la società Bell S.r.l., in data 27.06.2011, ha presentato una prima istanza di Permesso di Costruire (pratica n. 3673/2011) per la sua ristrutturazione con cambio d’uso da direzionale a commerciale/direzionale e residenziale e la realizzazione di parcheggi.

2.1 - In data 8/8/2011, il tecnico comunale aveva reso parere sfavorevole all’intervento, ritenendo ostativo l’art. 9 PPCS che consente solo interventi di consolidamento statico, di bonifica igienica e di modifiche della distribuzione interna ed esterna solo in conseguenza dei suddetti interventi edilizi.

2.2 - La Soprintendenza, invece, aveva reso un parere preventivo di contenuto favorevole con prescrizioni, in data 21/3/2011.

2.3 - Il Comune, in data 21 marzo 2012, ha rilasciato il permesso di costruire NUT 3673/2011 NPG 21573/12 per l’intervento di “Ristrutturazione edilizia - Palazzo delle Poste di Vicenza”, assoggettandolo alle prescrizioni indicate nel parere della Soprintendenza prot. n. 6847 del 21/03/2011.

3 - Tale immobile è stato successivamente venduto alla società Dervall Immobiliare s.r.l. che ha presentato, in data 06.07.2017, un’istanza di Permesso di Costruire in variante, avente ad oggetto il “restauro” dell’immobile, che prevede il cambio della destinazione d’uso in residenziale e direzionale e la modifica delle facciate, delle terrazze e delle logge del prospetto interno che affaccia sulla Torre dei Loschi.

3.1 - Il progetto ha ottenuto l’autorizzazione della Soprintendenza, rilasciata con il provvedimento n. prot. 13335 datato 6 giugno 2017, recante talune prescrizioni. Il Comune ha quindi rilasciato il permesso in variante in data 16/11/2017, riproponendo le prescrizioni dell’autorizzazione della Soprintendenza.

4 - Non essendo iniziati i lavori entro l’anno, il titolo è decaduto. La Dervall Immobiliare ha presentato, per il medesimo progetto, un’ulteriore istanza di permesso di costruire in data 08.03.2018. Il Comune, in accoglimento dell’istanza, ha rilasciato il Permesso di Costruire NUT 0879/2018 in data 18.04.2018, confermando le condizioni contenute in quello decaduto.

4.1 - Giovanni Barone, Mariagrazia Pegoraro e Sandra Purgato hanno impugnato avanti il Tar per il Veneto quest’ultimo provvedimento unitamente all’autorizzazione monumentale prot. n. 13335 del 15.06.2017 (nonché, il Permesso di Costruire NUT 2335/2017 del 16.11.2017, l’autorizzazione monumentale prot. n. 6847 del 21.03.2011 ed il Permesso di Costruire NUT 3673/2011 del 21.03.2012).

5 – Il Tar adito, con la sentenza indicata in epigrafe:

1) ha ritenuto infondate le eccezioni di carenza di legittimazione attiva e di interesse ad agire dei ricorrenti, formulate dal Comune di Vicenza e dalla società Dervall Immobiliare;

2) ha ritenuto irricevibile la domanda di annullamento del permesso di costruire NUT 3673/2011 del 21.03.2012, del permesso di costruire in variante NUT 2335/2017 del 16.11.2017 e dell’“autorizzazione monumentale” prot. n. 6847 del 21.03.2011, essendo decorso il termine decadenziale d’impugnazione;

3) ha annullato il permesso di costruire NUT 0879/2018, sostenendo che: ‒ il piano regolatore di Vicenza avrebbe consentito solo un intervento di “restauro conservativo”; ‒ l’intervento autorizzato travalicava i limiti di cui all’art. 3, co. 1, lett. c), del t.u. dell’edilizia (ritenuto applicabile), proprio per l’entità delle modifiche previste per il retro dell’edificio;

4) ha confermato la legittimità dell’autorizzazione soprintendentizia prot. n. 13335 del 15.06.2017, ritenendo che l’intervento autorizzato si configurasse come “restauro” ai sensi del codice dei beni culturali (art. 29, co. 4).

6 – Avverso tale pronuncia ha proposto appello la società Dervall Immobiliare per i motivi di seguito esaminati.

6.1 – Si sono costituiti in giudizio i ricorrenti in primo grado, proponendo appello incidentale avverso i capi della sentenza di primo grado che hanno dichiarato in parte irricevibile il ricorso e respinto il ricorso avverso l’autorizzazione monumentale.

6.2 – In via preliminare devono essere disattese le eccezioni di improcedibilità dell’appello in ragione del sopravvenuto permesso di costruire che legittima l’intervento ed in conformità del quale sono stati eseguiti i lavori, dal momento che l’appellante ha fatto espressa riserva di eseguire l’intervento come originariamente previsto nel provvedimento poi annullato dal Tar ed oggetto del ricorso in appello.

Per tale ragione sussiste altresì l’interesse dell’appellante incidentale, il quale ha altresì precisato di non aver impugnato gli atti sopravvenuti, in quanto questi ultimi hanno ad oggetto un progetto differente da quello contestato.

7 – Appare logicamente prioritario l’esame delle censure di cui all’appello principale con le quali si contesta la sussistenza della legittimazione e dell’interesse ad agire dei ricorrenti in primo grado.

7.1 – Con il primo motivo l’appellante lamenta “Errore di giudizio sulle eccezioni di carenza di legittimazione e di interesse ad agire, fondate sulla mancata prova del rispetto degli adempimenti connessi alla stipula di atti di trasferimento di beni culturali”.

Con il ricorso di primo grado l’appellante aveva eccepito che gli originari ricorrenti si affermavano proprietari di unità immobiliari ricomprese nell’edificio denominato “Torre dei Loschi” pur non avendo allegato documentazione idonea a comprovare la validità e l’efficacia dei titoli presentati, in quanto non avrebbero prodotto i documenti relativi alla trasmissione alla Soprintendenza degli atti di acquisto.

Per l’appellante il Tar non avrebbe considerato gli atti di acquisto per i quali non sia comprovato il rispetto delle formalità prescritte dalla legge - a garanzia del diritto pubblico di prelazione sui beni culturali - sono contratti nulli (ai sensi dell’art. 61 della l. n. 1089/1939 e dell’art. 164 del d.lgs. n. 42/2004, ratione temporis). Pertanto, gli originari ricorrenti non avrebbero fondato la loro legittimazione su titoli validi ed efficaci.

L’appellante censura la pronuncia altresì nel punto in cui il Tar ha ritenuto che la legittimazione ad agire di due dei tre ricorrenti originari si sarebbe fondata anche sulla residenza degli stessi nella “Torre dei Loschi”, in ragione della norma di cui all’art. 31 della l. n. 1150/1942.

7.2 – Con il secondo motivo l’appellante lamenta “Errore di giudizio sull’eccezione di inammissibilità per carenza d’interesse”.

L’appellante censura il capo della pronuncia in cui il Tar statuisce che, mutando avviso rispetto a quanto previsto in sede cautelare, i ricorrenti avessero interesse a ricorrere.

Sul punto l’appellante sostiene che i ricorrenti originari avrebbero prospettato esclusivamente un interesse di natura patrimoniale, affermando che l’intervento autorizzato avrebbe ridotto il valore delle unità immobiliari di cui si affermavano proprietari. A sostegno della loro tesi i ricorrenti avrebbero allegato esclusivamente la relazione di un tecnico che in modo apodittico e non documentato avrebbe indicato che la modifica del prospetto sud dell’ex Palazzo delle Poste avrebbe ridotto del 10% il valore delle unità immobiliari ricomprese nella “Torre dei Loschi”.

In tal modo la sussistenza dell’interesse ad agire non risulterebbe fondata su elementi di prova idonei che documentino compitamente le dinamiche dei valori immobiliari in loco.

8 – Le censure, che possono essere esaminate congiuntamente, sono infondate.

L’Adunanza Plenaria del 9 dicembre 2021 n. 22 ha chiarito che “a) Nei casi di impugnazione di un titolo autorizzatorio edilizio, riaffermata la distinzione e l’autonomia tra la legittimazione e l’interesse al ricorso quali condizioni dell’azione, è necessario che il giudice accerti, anche d’ufficio, la sussistenza di entrambi e non può affermarsi che il criterio della vicinitas, quale elemento di individuazione della legittimazione, valga da solo ed in automatico a dimostrare la sussistenza dell’interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall’atto impugnato; b) L’interesse al ricorso correlato allo specifico pregiudizio derivante dall’intervento previsto dal titolo autorizzatorio edilizio che si assume illegittimo può comunque ricavarsi dall’insieme delle allegazioni racchiuse nel ricorso; c) L’interesse al ricorso è suscettibile di essere precisato e comprovato dal ricorrente nel corso del processo, laddove il pregiudizio fosse posto in dubbio dalle controparti o la questione rilevata d’ufficio dal giudicante, nel rispetto dell’art. 73, comma 3, c.p.a.”.

8.1 - Nel caso in esame devono ritenersi sussistenti entrambe le condizioni dell’azione avuto riguardo alle seguenti circostanze:

- la “Torre dei Loschi”, entro la quale si collocano le unità abitative dei ricorrenti in primo grado, è un edificio di epoca medievale sottoposto a vincolo monumentale che si affaccia direttamente sul retro del Palazzo delle Poste di Vicenza;

- i ricorrenti di primo grado risultano aver acquistato le rispettive unità abitative come da rogiti prodotti in causa e sono state effettuate le dovute comunicazioni al Ministero competente, ex art. 59 d. lgs. n. 42/2004 ed art. 30 L. n. 1089/1939, alle quali sono seguite le comunicazioni di rinuncia alla prelazione;

- le signore Pegoraro e Purgato risiedono nelle rispettive unità abitative da molti anni, come da certificati storici di residenza;

- i ricorrenti hanno provato il pregiudizio subito con la perizia asseverata prodotta in primo grado che, a prescindere dalla correttezza della stima relativa alla supposta perdita di valore degli immobili derivante dal progetto impugnato, evidenzia anche la possibile violazione della riservatezza dovuta alle terrazze sporgenti, alle logge, alle porte finestre che dovrebbero sorgere a poca distanza dalle finestre dei ricorrenti.

8.2 – Non appare neppure convincente l’assunto per cui l’interesse dei ricorrenti sarebbe venuto meno a causa dei lavori eseguiti alla fine degli anni sessanta sulle tre facciate posteriori dell’ex palazzo delle Poste prospicienti la Torre dei Loschi, avendo gli stessi dimostrato che in realtà i lavori degli anni sessanta hanno interessato unicamente il corpo dell’edificio al piano terra, non incidendo assolutamente sulla qualità dell’affaccio delle finestre degli appartamenti dei ricorrenti.

9 – Con il terzo motivo, Dervall Immobiliare lamenta, in relazione al primo motivo del ricorso di primo grado, un “Errore di giudizio sulla disciplina degli interventi ammessi dallo strumento urbanistico generale di Vicenza per gli edifici dichiarati beni culturali situati nel centro storico (artt. 13 e 36 delle Norme Tecniche Operative del Piano degli Interventi e art. 9 delle Norme Tecniche di Attuazione del Piano Particolareggiato del Centro Storico), nonché sull’applicabilità della nozione di restauro di cui all’art. 3, comma 1, lett. c), del t.u. approvato con d.P.R. n. 380/2001”.

Secondo il Tar, il Piano degli Interventi (PI) di Vicenza, approvato nel 2013, avrebbe implicitamente assoggettato tutti gli “edifici - beni culturali” siti nel centro storico alle regole stabilite dal Piano Particolareggiato del Centro Storico (PPCS) per gli interventi sugli edifici classificati “monumentali”. Pur in assenza di un’espressa disposizione in tal senso, dunque, gli interventi sugli “edifici - beni culturali” sarebbero soggetti alle limitazioni stabilite dall’art. 9, primo comma, delle NTA del PPCS, come modificate dall’art. 36, comma 4, lett. h., secondo alinea, delle NTO del PI.

L’appellante sostiene che tutte le norme richiamate dal Giudice di prime cure nella pronuncia gravata, anziché confermare la tesi interpretativa del Tar, la smentirebbero.

9.1 – Sotto altro profilo, il Tar ha ritenuto che, con riferimento agli edifici assoggettati dal PPCS a “grado di protezione”, l’art. 36, co. 4, lett. h., secondo alinea delle NTO del PI avrebbe recepito la nozione di “restauro” di cui all’art. 3, comma 1, lett. c), del t.u. dell’edilizia.

Per l’appellante l’esame della disposizione citata porterebbe ad escludere tale automatica applicabilità, in quanto anche per gli edifici per i quali il PPCS prevede un “grado di protezione” (“monumentali” e “ambientali”) il PI consentirebbe interventi che, secondo il t.u. dell’edilizia, costituiscono “ristrutturazione edilizia” (e non “restauro e risanamento conservativo”).

10 – Le censure, che possono essere esaminate congiuntamente, sono infondate.

Il permesso di costruire NUT 0879/2018 (così come i precedenti permessi di costruire decaduti NUT 3673/2011 e NUT 2335/2017) si pone in violazione delle norme del Piano Regolatore del Comune di Vicenza che disciplinano l’attività edilizia rispetto agli edifici del Centro Storico classificati come monumentali, ovvero l’art. 9 delle N.T.A. del P.P.C.S., costituente parte integrante del P.I. vigente e richiamato dall’art. 36 c. 4 lett. h) N.T.O. del P.I. che, con riferimento agli “edifici assoggettati a grado di protezione”, stabilisce quanto segue: “Sugli edifici classificati come monumentali possono essere autorizzati (…) soltanto interventi volti al restauro” ed espressamente prescrive: “(…) esclusa qualsiasi alterazione della loro configurazione esterna ed interna”. Lo stesso dicasi per l’art. 17 delle N.T.A. del P.P.C.S. che, dopo aver ricordato che “gli edifici monumentali debbono intendersi nel loro complesso volumetrico, nell’unità degli spazi liberi e delle parti architettoniche senza soluzione di continuità di facciate, di corpi di fabbrica” (cfr. c. 4), decreta come “gli edifici indicati come monumentali nelle tavole costituenti il piano particolareggiato non possono essere alterati nella loro configurazione esterna ed interna”.

10.1 – Gli artt. 2, 13 e 36 delle N.T.O. del PI ammettono solo il restauro conservativo dell’immobile che non altera la sua natura architettonica complessiva.

10.2 - La disciplina dettata dalle disposizioni sopra richiamate relative agli edifici “sottoposti a grado di protezione” non può ritenersi che si applichi solo agli edifici espressamente classificati nella cartografia allegata al PPCS, che risale al 1979 e non anche agli edifici vincolati successivamente a tale data e contemplati nella tabella 2 allegata al PI.

Come rilevato dal Tar, l’art. 9 NTA del PPCS, infatti, riferisce le proprie disposizioni di tutela agli edifici “classificati come monumentali” senza dettarne una definizione, ma rinviando alle classificazioni della Tabella A1 allegata al PPCS. Tuttavia, tale tabella comprende tra gli edifici monumentali anche gli “edifici notificati”, con evidente riferimento agli edifici dichiarati di interesse culturale (il cui procedimento si conclude con la notifica della relativa dichiarazione). Il Piano degli Interventi vigente, invece, contiene una definizione di edifici monumentali (all’art. 14, c. 10, che detta disposizioni di tutela degli edifici posti al di fuori del centro storico) che sono identificati con quelli vincolati ai sensi del D. Lgs. 42/2004. La lettura delle due norme, posto che la disciplina del PPCS non può non essere aggiornata rispetto alle esigenze di tutela che lo stesso Comune ha manifestato successivamente, consente anche sul piano testuale di ricondurre gli edifici vincolati ai sensi della disciplina statale tra quelli sottoposti a grado di tutela e, in particolare, a quelli monumentali. Ne consegue che anche la cartografia allegata al PPCS deve ritenersi integrata dall’elaborato 2 che individua (in modo dichiaratamente ricognitivo e non esaustivo) i vincoli e le tutele. Diversamente opinando si contravverrebbe alla ratio sottesa alle previsioni di tutela di fonte comunale e s’introdurrebbe un elemento di irragionevole disparità di trattamento, per effetto del quale sarebbero assoggettati alla disciplina dell’art. 9 NTA e PPCS, integrata da quella di cui all’art. 36, c. 4, lett. h, solo gli edifici “notificati” prima del 1979, senza tener conto delle successive dichiarazioni di interesse culturale, nonostante non possa negarsi anche per gli edifici che ne sono stati oggetto la medesima esigenza di tutela urbanistica riconosciuta ai primi.

In altri termini, se è corretto riconoscere che il P.P.C.S. non tutelasse, ab origine, l’ex Palazzo delle Poste sotto il profilo monumentale, è innegabile che tale riconoscimento sia avvenuto col D.M. del 2000 e, dunque, a far data da tale decreto debba ritenersi compreso tra quelli “notificati” ai sensi delle predette disposizioni del PPCS.

Deve aggiungersi che l’ex Palazzo delle Poste, dopo essere stato sottoposto a vincolo monumentale con il decreto del Ministero per i beni e le attività culturali del 9.10.2000, è stato classificato dal Piano degli Interventi (P.I.) del Comune di Vicenza vigente, approvato nel 2013, come un Bene culturale. Nell’“Elaborato 2-Vincoli e tutele” allegato al P.I. infatti, è individuato come “art. 13 Beni culturali ai sensi del D.Lgs. 42/2004” (col colore rosa come tutti i Beni Culturali).

10.3 – Non è in discussione che l’intervento contestato non possa essere ricondotto alla nozione di restauro conservativo prevista dall’art. 3, c. 1, lett. c, DPR 380/2001, atteso che le rilevanti modifiche apportate al prospetto dell’edificio non si conciliano con le finalità e la natura di tale tipologia di intervento, mirante alla conservazione “degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo” (l’intervento edilizio prevede, tra l’altro, la realizzazione di terrazze e logge abitabili al posto delle preesistenti finestre).

In base alle norme innanzi citate devono ritenersi consentiti solo gli interventi di risanamento conservativo e non, come prospettato da parte appellante, quelli di ristrutturazione edilizia.

La definizione interpretativa della terminologia usata nella normativa del piano particolareggiato, inclusa nelle N.T.A. del P.P.C.S., precisa quali siano gli interventi da qualificare come restauro : “RESTAURO – Sono quegli interventi tendenti alla conservazione integrale dell’edificio, al ripristino dei suoi valori storici e della caratteristiche tipologiche ed architettoniche, al ripristino di parti alterate, alla eliminazione di superfetazioni e delle strutture di epoca recente che non rivestano interesse ai fini della storia del monumento”.

La giurisprudenza ha precisato che “si è in presenza di un restauro e risanamento conservativo, qualora l'intervento sia funzionale alla conservazione dell'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità, nel rispetto dei suoi elementi tipologici (in specie, architettonici e funzionali, suscettibili di consentire la qualificazione dell'organismo in base alle tipologie edilizie), formali (tali da contraddistinguere il manufatto, configurandone l'immagine caratteristica) e strutturali (concernenti la composizione della struttura dell'organismo edilizio); - in particolare, "la caratteristica degli interventi di mero restauro è quella di essere effettuata mediante opere che non comportano l'alterazione delle caratteristiche edilizie dell'immobile da restaurare, e quindi rispettando gli elementi formali e strutturali dell'immobile stesso, mentre la ristrutturazione edilizia si caratterizza per essere idonea ad introdurre un quid novi rispetto al precedente assetto dell'edificio (Cons. Stato Sez. VI, Sent., 02-09-2020, n. 5350)” (Consiglio di Stato, sez. II, 18 giugno 2021, n. 4701). Questo Consiglio ha ulteriormente precisato che “la finalità di conservazione, caratteristica degli interventi di recupero e risanamento conservativo, postula il mantenimento tipologico e strutturale del manufatto; conseguentemente dovendosi ascrivere gli interventi edilizi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l'originaria consistenza fisica di un immobile (e comportino, altresì, la modifica e ridistribuzione dei volumi) non già nel concetto di "manutenzione straordinaria" (e, a fortiori, di restauro o risanamento conservativo), ma quale "ristrutturazione edilizia" (pertanto ravvisabile nella modificazione della distribuzione della superficie interna e dei volumi e dell'ordine in cui sono disposte le diverse porzioni dell'edificio anche per il solo fine di renderne più agevole la destinazione d'uso esistente)” (Cons. Stato, Sez. VI, 12 settembre 2022, n. 7899).

10.4 – Il rigetto delle censure che precedono implica il rigetto anche del quarto motivo con cui l’appellante lamentava “Errore di giudizio sulla domanda di condanna dei ricorrenti ai sensi dell’art. 26 cod. proc. amm. e dell’art. 96, terzo comma, c.p.c.”.

11 – Venendo all’esame dell’appello incidentale, con il primo motivo gli appellanti incidentali, originari ricorrenti, lamentano l’erroneità della pronuncia di primo grado dove il Tar, dopo aver statuito che, da un punto di vista urbanistico- edilizio, l’intervento in oggetto rientra nel genus della ristrutturazione edilizia vietata dalla normativa comunale del P.P.C.S. e del P.I. del Comune di Vicenza, giunge ad affermare che, sotto il profilo architettonico, l’intervento non risulterebbe affatto impattante, essendo conforme al vincolo ministeriale.

Per gli appellanti incidentali il Tar avrebbe erroneamente ritenuto che la Soprintendenza abbia espresso un giudizio ponderato e corretto e che la tutela monumentale sia ontologicamente differente da quella urbanistico-edilizia.

Gli appellanti deducono inoltre che il provvedimento della Soprintendenza si fonderebbe su una motivazione carente ed apodittica, tenuto conto che la Soprintendenza ammetterebbe le aperture di porte-finestre e la realizzazione di logge e terrazze sulle facciate di fronte e ai lati di Torre dei Loschi, interventi che non potrebbero assolutamente essere classificati come interventi conservativi.

11.1 – La censura deve trovare accoglimento nei termini di seguito esposti.

L’atto soprintendizio impugnato autorizza l’intervento richiesto motivando nei seguenti termini: “le caratteristiche delle opere (…) così come desumibili dalla documentazione pervenuta unitamente alla richiesta in esame sono da ritenersi ammissibili in rapporto alle vigenti norme sulla tutela delle cose di interesse artistico o storico” pertanto “… l’intervento proposto compatibile con la conservazione dell’immobile medesimo”.

La giurisprudenza è pacifica nel ritenere che “è necessario che il parere reso dalla Soprintendenza archeologia delle belle arti e del paesaggio sia sempre sorretto da un'ampia e circostanziata motivazione, dalla quale sia possibile ricostruire sia le premesse che l'iter logico seguito nel percorso valutativo che si conclude con il giudizio finale” (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 26 ottobre 2020, n. 6511; Cons. Stato, sez. VI , 20 aprile 2020, n. 2515).

Fermo il principio per cui la Soprintendenza dispone di un’ampia discrezionalità tecnico - specialistica nel dare i pareri di compatibilità paesaggistica ed il potere di valutazione tecnica esercitato è sindacabile in sede giurisdizionale soltanto per difetto di motivazione, illogicità manifesta ovvero errore di fatto conclamato, nel caso in esame, non appare che la motivazione innanzi richiamata possa ritenersi esaustiva, in quanto la Soprintendenza afferma apoditticamente che l’intervento proposto sia compatibile con la conservazione dell’immobile senza esplicitare le ragioni a sostegno di tale giudizio finale; in tal modo è preclusa la ricostruzione dell’iter logico seguito nel percorso valutativo che ha portato a ritenere le opere, come descritte compatibili, con le norme che tutelano l’immobile.

11.2 – Deve ricordarsi che i due atti di assenso, quello della Soprintendenza e quello edilizio, operano su piani diversi, essendo posti a tutela di interessi pubblici diversi, seppur parzialmente coincidenti. Ne deriva che il parametro di riferimento per la valutazione dell’aspetto culturale non coincide con la disciplina urbanistico edilizia, ma nella specifica disciplina dettata per lo specifico vincolo (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 24 novembre 2015, n. 5327; vedasi anche Cons. Stato, sez. VI, 31 ottobre 2013, n. 5273: “la valutazione di compatibilità paesaggistica è connaturata all’esistenza del vincolo paesaggistico ed è autonoma dalla pianificazione edilizia”).

Deve tuttavia ritenersi che, in concreto, la natura dell’intervento in questione – come detto consistente in cambio d’uso parziale, modifica delle facciate con creazione di nuove terrazze e logge - non riconducibile alle nozioni di restauro o risanamento conservativo, venendo, come già rimarcato, ad incidere sui prospetti e sulla facciata dell’edificio, richiedesse un maggior sforzo motivazionale da parte della Soprintendenza, atto a rendere note le ragioni in base alle quali avesse ritenuto le caratteristiche delle opere ammissibili in rapporto alle norme vigenti sulla tutela delle cose di interesse artistico o storico.

12 – Con il secondo motivo gli appellanti incidentali lamentano l’erroneità della pronuncia nel punto in cui ha accolto l’eccezione di irricevibilità della domanda di annullamento del permesso di costruire NUT 3673/2011 del 21.03.2012, del permesso di costruire in variante NUT 2335/2017 del 16.11.2017 e dell’“autorizzazione monumentale” prot. n. 6847 del 21.03.2011, essendo da tempo decorso il termine decadenziale d’impugnazione.

12.1 – La censura è infondata, dovendosi confermare la statuizione di irricevibilità della domanda di annullamento dei permessi di costruire del 2012 e del 2017 nonché dell’autorizzazione monumentale prot. n. 6847 del 21.03.2011, essendo all’evidenza decorso abbondantemente il termine decadenziale d’impugnazione.

13 – Con il terzo motivo gli appellanti incidentali deducono l’erroneità della sentenza gravata nel punto in cui, respingendo il secondo motivo di gravame, ha escluso la necessità, nel caso di specie, dell’autorizzazione archeologica.

Gli appellanti incidentali sostengono che l’intervento prevedrebbe, al piano interrato, uno scavo per abbassare il livello del pavimento demolendo il piano in calcestruzzo esistente di circa 20 cm. Dalla tavola n. 14 dello stato di progetto, risulterebbe che il piano interrato si trova ad una profondità di 2,70 metri al di sotto del piano stradale. Pertanto era necessario munirsi del relativo nulla osta dato che lo scavo previsto nel sottosuolo sarebbe al di sotto del limite di m. 0,70 dal piano stradale, stabilito dall’art. 6 delle Norme Tecniche di Attuazione del P.A.T. e dall’art. 14 comma 7 lett. b) delle Norme Tecniche Operative del Piano degli Interventi del Comune di Vicenza.

Il permesso di costruire NUT 879/2018 sarebbe stato rilasciato senza la preventiva approvazione della Soprintendenza prescritta dalle suddette norme (art. 6 P.A.T. e art. 14 P.I.) e lo stesso sarebbe comunque illegittimo non essendo stata rilasciata preventivamente l’autorizzazione paesaggistica a norma degli artt. 142 comma 1 lett. m dall’art. 146 d. lgs. 42/04

13.1 – La censura è infondata.

L’autorizzazione è stata rilasciata dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto.

La questione circa la necessità o meno anche dell’autorizzazione paesaggistica non rileva ai fini del presente giudizio, avuto riguardo al già richiamato principio di autonomia tra l’autorizzazione paesaggistica e il permesso di costruire.

La giurisprudenza ha precisato che la mancata preventiva acquisizione della autorizzazione paesaggistica, di cui all’art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004, incide sull’efficacia, non sulla legittimità, del titolo edilizio. Il permesso di costruire, infatti, può essere rilasciato anche in mancanza di autorizzazione paesaggistica, che si atteggia, perciò solo, alla stregua di una condizione di efficacia, con la conseguenza che i lavori non possono essere iniziati, finché non intervenga il nulla osta de quo (Cons. Stato, Sez. IV, 11 aprile 2023, n. 3638).

Ciò premesso, tenuto anche conto che il permesso di costruire è stato annullato, non sussiste alcun interesse all’esame della censura con la quale si lamenta la mancata acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica.

14 – Con il quarto motivo gli appellanti incidentali censurano il capo della sentenza che ha statuito l’autonomia tra l’autorizzazione monumentale e il titolo edilizio.

Gli appellanti evidenziano che l’intervento edilizio contestato sarebbe il frutto di tre distinte pratiche edilizie e di altrettanti titoli abilitanti e che dalla domanda presentata al SUAP si dedurrebbe che il permesso di costruire si fonda su un nulla osta ministeriale rilasciato per una pratica diversa, quella del 2017, dichiarata decaduta ai sensi di legge dallo stesso Comune.

14.1 – Con il quinto motivo gli appellanti incidentali censurano la sentenza impugnata nella parte in cui non riconosce che la decadenza dei pregressi titoli edilizi avrebbe comportato, in automatico, la caducazione dell’autorizzazione della Soprintendenza che, pertanto, avrebbe dovuto essere richiesta e rilasciata ex novo.

15 – Le censure, che possono essere esaminate congiuntamente, sono infondate.

Si è già detto che i due atti di assenso, quello della Soprintendenza e quello edilizio, operano su piani diversi, essendo posti a tutela di interessi pubblici diversi, seppur parzialmente coincidenti.

Ai sensi dall’art. 21, c. 4, D.Lgs. 42/2004, l’autorizzazione monumentale è riferita ad uno specifico intervento e non al titolo edilizio che ne assente l’esecuzione. La sua efficacia temporale, inoltre, è determinata in maniera autonoma rispetto a quella del permesso di costruire. L’art. 21, c. 5, infatti, prevede che “se i lavori non iniziano entro cinque anni dal rilascio dell'autorizzazione, il soprintendente può dettare prescrizioni ovvero integrare o variare quelle già date in relazione al mutare delle tecniche di conservazione”, mentre, ai sensi dell’art. 15, c. 2, del DPR 380/2001 “Il termine per l'inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l'opera deve essere completata, non può superare tre anni dall'inizio dei lavori. Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza, venga richiesta una proroga”. Pertanto, ben può accadere che entro il quinquennio di efficacia dell’autorizzazione monumentale decada il titolo edilizio, senza che ciò produca alcuna conseguenza sulla validità dell’autorizzazione monumentale, non essendo stata prevista alcuna correlazione tra le due ipotesi dalla normativa vigente, in coerenza, peraltro, con i differenti profili di valutazione sottesi all’uno e all’altro provvedimento.

Come correttamente rilevato dal Tar, nel caso di specie, non essendo contestato che il progetto approvato con il permesso di costruire del 03.05.2018 fosse identico a quello autorizzato dalla Soprintendenza con il provvedimento 15/6/2017, prot. n. 13335, essa doveva ritenersi pienamente efficace ed idonea a sostenere l’esecuzione dell’intervento.

16 – Per le ragioni esposte, l’appello principale va rigettato; va invece accolto nei limiti che precedono l’appello incidentale.

Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 13 maggio 2019, n. 3110). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

16.1 - Ferma la statuizione delle spese di lite di cui alla sentenza impugnata, per il resto le spese di lite, ad una valutazione complessiva della controversia, possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) respinge l’appello principale, accoglie in parte l’appello incidentale e, in parziale riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso in primo grado nei sensi di cui in motivazione.

Spese di lite compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso nella camera di consiglio del giorno 8 maggio 2024, svoltasi in collegamento telematico, con l'intervento dei magistrati:

Fabio Franconiero, Presidente FF

Giordano Lamberti, Consigliere, Estensore

Davide Ponte, Consigliere

Sergio Zeuli, Consigliere

Giovanni Tulumello, Consigliere