Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 535, del 29 gennaio 2013
Beni Culturali. Dichiarazione di notevole interesse pubblico di un’area qualificata "ambito meridionale dell'agro romano"
La tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali è affidata in primo luogo alla competenza esclusiva dello Stato, mentre è attribuita alla legislazione concorrente (art. 117, comma 3, Cost.) la “valorizzazione dei beni ambientali”. L’art. 117, Cost., in realtà, non menziona direttamente tra le materie nominate “il paesaggio”, per cui la predetta disposizione deve essere coordinata con l’art. 9, Cost. che, con una delle disposizioni fondamentali, assegna la “tutela del paesaggio alla Repubblica, e quindi, quando siano in gioco interessi nazionali, allo Stato: il paesaggio non dev’essere limitato al significato di bellezza naturale ma va inteso come complesso dei valori inerenti al territorio”, mentre il termine “paesaggio” indica essenzialmente l’ambiente complessivamente considerato come bene “primario” ed “assoluto”, necessitante di una tutela unitaria e supportata pure da competenze regionali, nell’ambito degli standard stabiliti dallo Stato in quanto, mediante l’imposizione dei vincoli paesistici, si garantisce la tutela del paesaggio ed anche dell’ambiente. (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese)
N. 00535/2013REG.PROV.COLL.
N. 04956/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso r.g.n. 4956/2011, proposto da Il Gelso s.r.l. e Domus Iulia s.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, entrambe rappresentate e difese dagli avv.ti Giovanni Valeri e Patrizio Leozappa, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, viale Giuseppe Mazzini, 11;
contro
- il Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del ministro in carica, e la Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio, in persona del direttore in carica, entrambi rappresentati e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
- la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per il Comune di Roma, in persona del soprintendente in carica, n.c.;
nei confronti di
- la Regione Lazio, in persona del presidente in carica, n.c.;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. Lazio, Roma, sezione II-quater, n. 35386/2010, resa tra le parti e concernente la dichiarazione di notevole interesse pubblico di un’area sita nel territorio del Comune di Roma qualificata "ambito meridionale dell'agro romano".
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati, con tutti gli atti e documenti di causa.
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle amministrazioni statali appellate (Ministero e Direzione generale);
Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2012, il Consigliere di Stato Aldo SCOLA ed uditi, per le parti, l’avv. Fonti, per delega dell’avv. Giovanni Valeri, e l'avvocato dello Stato Tidore.
Ritenuto e considerato, in fatto e diritto, quanto segue.
FATTO
A) Con il ricorso introduttivo le società ricorrenti agivano in quanto titolari del programma urbanistico “La Mandriola Sud Est- a.t.o. 7”, oggetto dell’accordo di programma ex art. 34, d.lgs. n. 267/2000, del 28 luglio 2009.
In particolare, la società Ripagrande era proprietaria delle aree per complessivi mq. 9.908, in Roma, località “Monte Arsiccio”, aventi originaria destinazione nel p.r.g. del 1965 a sottozona F/1 (ristrutturazione urbanistica) ed era titolare dei relativi diritti edificatori rilocalizzati nel suddetto programma urbanistico.
La seconda impresa ricorrente era proprietaria delle aree per complessivi mq 65.160, in località “La Mandriola”: il piano regolatore del 2003 destinava le aree ad “ambito di trasformazione ordinaria a.t.o. R7”, aree edificabili destinate a nuovi insediamenti prevalentemente residenziali ed utilizzabili in parte per finalità pubbliche, tra cui compensazioni urbanistiche”.
Il Consiglio comunale nel 2006 aveva formulato indirizzi per la sottoscrizione dell’accordo di programma, per la rilocalizzazione delle volumetrie di parte della sottozona F/1 (Monte Arsiccio), prevedendo la realizzazione di una volumetria di mc. 11.968, corrispondenti a mc. 8.972 pertinenti alle aree ex “Monte Arsiccio” e di mc.17.952 per i proprietari dell’area, in cambio della cessione all’amministrazione di un’area di mq. 9.908 di Monte Arsiccio, da parte della prima ricorrente, e di un’area di mq. 39.883 in località “La Mandriola” da parte della Domus.
Conclusasi la conferenza dei servizi, alla quale era stata invitata la competente Soprintendenza, il p.r.g. approvato nel 2008 aveva ricompreso l’area tra gli “ambiti a pianificazione particolareggiata definita”.
Nel p.t.p. n. 15/5 “Decima-Trigoria” del 1998, l’area era interessata dalla fascia di rispetto del “Fosso di Falcognana”, mentre in sede di formazione del p.t.p.r. l’area era compresa nell’ambito dei “sistemi del paesaggio agrario”: in parte nel sistema del paesaggio di rilevante valore, in parte nel sistema di quello naturale come paesaggio naturale di continuità, in piccola parte nel sistema del paesaggio delle reti infrastrutture e servizi, risultandovi inoltre individuate la fascia di rispetto dei corsi d’acqua, l’ambito di recupero e valorizzazione paesistica e le c.d aree di visuale.
Insistevano ed insistono poi, sull’area, una parte d’interesse archeologico ed una fascia di rispetto dei corsi d’acqua pubblici; la regione, nel far proprie le osservazioni preliminari al p.t.p.r. del Comune di Roma, esigenti la trasformabilità del compendio, aveva accolto la richiesta di modificazione pur “nel rispetto delle modalità di tutela dei beni archeologici, beni tipizzati, e del corso d’acqua”, sulla base della “oggettiva condizione delle aree e della loro bassa valenza paesistica”, così modificato il p.t.p. vigente, anticipando l’efficacia della proposta del Comune di Roma.
B) Tale essendo lo stato di fatto e di diritto delle aree in esame, il ricorso originario veniva proposto per ottenere l’annullamento:
- del decreto in data 25.1.2010 del Direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio, pubblicato sulla G.U. n. 25 del 1° febbraio 2010, con il quale era stato dichiarato il notevole interesse pubblico dell'area, sita nel Comune di Roma, municipio XII, qualificata "Ambito meridionale dell'agro romano compreso tra le vie Laurentina ed Ardeatina;
- degli allegati n. 1, n. 2 e n. 3 al decreto suddetto e precisamente:
- allegato n. 1: proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per il Comune di Roma, composta da “Relazione illustrativa, cartografia 1:25000, descrizione dei confini; prescrizioni d’uso del compendio di beni paesistici vincolando”;
- allegato n. 2: “controdeduzioni puntuali” al parere della Regione Lazio ed alle osservazioni presentate, composte da “scheda tecnica e motivazioni giuridiche”;
- allegato n. 3: “relazione di sintesi dell’istruttoria”;
- delle norme e della cartografia allegate, senza numerazione, alla dichiarazione di notevole interesse pubblico;
- di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale al decreto suindicato e, in particolare, del “parere del Comitato tecnico scientifico per i beni architettonici e paesaggistici, reso ai sensi dell’art. 141, comma 2, del codice in data 21 gennaio 2010”, menzionato nelle premesse del decreto ma ignoto alle imprese ricorrenti.
C) Si deducevano le seguenti censure: violazione degli artt. 5, 131, 133, 135, 136, 137, 138, 140, 141, 143 e 156, d.lgs. n. 42/2004; del principio di buon andamento e di leale collaborazione e cooperazione (artt. 97 e 114, Cost.); dell’art. 1, d.P.R. n. 8/1971; degli artt. 2, 3, 9, 41 e 42, Cost.; degli artt. 76 e 77, Trattato europeo del 29 ottobre 2004, e dell’art. 1 del I Protocollo C.e.d.u. del 20 marzo 1952; dell’art. 3, legge n. 241/1990, e s.m.i.; eccesso di potere sotto vari profili, dettagliatamente indicati nel ricorso di primo grado e diffusamente ribaditi nell’atto di appello.
In aggiunta, le originarie ricorrenti osservavano che la Regione Lazio avrebbe già adottato il p.t.p.r. per l’intero territorio regionale (sostituendo i 29 p.t.p. previgenti, con deliberazioni della G.R. Lazio n. 556 del 25 luglio 2007 e n. 1025 del 21 dicembre 2007), pubblicato ed in fase di controdeduzioni alle 12.000 osservazioni presentate.
Il Ministero, con i provvedimenti impugnati, avrebbe perciò violato il principio di leale cooperazione istituzionale, sancendo all’art. 1, comma 5, delle norme predisposte per l’area vincolata che “la disciplina contenuta nelle presenti norme e nella relativa cartografia, sostituisce a tutti gli effetti quella del p.t.p.r. e quella dei p.t.p., anche con riguardo alle modifiche introdotte in questi ultimi con d.G.R. Lazio n. 41 del 31 luglio 2007”, anziché attivare le procedure d’intesa previste dagli artt. 135, comma 1, e 143, comma 2, del codice Urbani; si sarebbe cosi esercitato il potere sostitutivo e di rimozione del p.t.p.r. in assenza della prescritta condizione dell’inerzia regionale, nella specie, insussistente, essendosi predisposto ed adottato il p.t.p.r. nei termini, potere privo di fondamento nella normativa in materia, e per di più violando l’accordo di collaborazione siglato nel 1999 con la Regione Lazio, ai sensi dell’art. 15, comma 1, legge n. 241/1990, anticipante la disciplina codicistica, malgrado il pur intervenuto coinvolgimento della competente Soprintendenza nella fase di elaborazione del p.t.p.r., pur non essendo all’epoca prevista l’elaborazione congiunta, dato che la stessa avrebbe avuto modo di collaborare alla redazione del piano partecipando all’ivi previsto Comitato tecnico scientifico (la proposta della Soprintendenza d’inserire nel piano tre nuovi ambiti da sottoporre a tutela paesaggistica, in ragione della significativa presenza dei valori storici, monumentali, archeologici e paesistici dell’Agro romano, sarebbe stata in parte recepita, proprio per l’ambito in contestazione, sia pure informalmente, nell’elaborato provvisorio della perimetrazione delle aree interessate di cui si chiedeva l’ampliamento, quanto meno per una parte consistente, estesa per 2.700 ettari, ma il Ministero avrebbe dovuto contestare tempestivamente l’operato regionale ed attivare le apposite procedure d’intesa, piuttosto che rimuovere d’imperio il p.t.r.p. adottato).
D) Qualora s’intendesse il provvedimento impugnato come effettiva dichiarazione d’interesse pubblico, anziché come pianificazione simulata, comunque questo risulterebbe affetto da eccesso di potere per erroneità ed insussistenza dei presupposti, non potendosi qualificare le aree interessate come “bellezze individue” o “bellezze d’insieme”, idonee a costituire legittimamente oggetto del potere di vincolo previsto dall’art. 136 del codice (in quanto non integranti solo l’oggetto di tale potere ma anche il suo limite).
Illegittimamente, pertanto, la Soprintendenza avrebbe imposto un vincolo su un’area talmente estesa (5.400 ettari) da eccedere la nozione di “località” - come complesso di beni immobili o “quadro naturale” - e costituire un vero e proprio comprensorio, in contrasto con i limiti indicati dalla giurisprudenza in materia e ribaditi in un caso analogo, relativo all’assoggettamento a vincolo di un’area vasta tra la Nomentana e la Bufalotta, per ragioni analoghe a quelle addotte a fondamento del decreto in contestazione, evidenzianti che la ricomprensione in un unico vincolo di un ambito territoriale indiscutibilmente eccedente il concetto di località avrebbe potuto giustificarsi “solo in base alla dimostrata eccezionalità delle caratteristiche di omogeneità del territorio…. che devono oggettivamente sussistere per tutte le parti in cui si articola il comprensorio preso in considerazione….con la conseguenza che il regime vincolistico (salva l’ipotesi di vincolo c.d. indiretto contemplata dall’art. 21 della legge n. 1089/1939) non può essere applicato sulla base di un mero rapporto di contiguità o interclusione dell’area rispetto ai terreni in cui si articola il comprensorio” (cfr. Cons. Stato, sezione VI, sent. 27 giugno 2001, n. 3540): tutti elementi non provati e non sussistenti nella specie - trattandosi, al contrario, di un territorio ricomprendente località del tutto dissimili, secondo la documentazione prodotta - fermo restando che il p.t.p.r. avrebbe già vincolato 2.700 ettari come “aree agricole identitarie” della campagna romana.
D’altro canto, sempre ove s’intendesse il provvedimento impugnato come un’autentica dichiarazione di interesse pubblico, la parte originaria ricorrente ne lamentava comunque l’illegittimità per violazione dei presupposti e dei limiti stabiliti in relazione alla pianificazione paesistica in avvicinamento (appunto, il ripetuto p.t.p.r.) ed al nuovo p.r.g. del Comune di Roma.
Il procedimento di dichiarazione di notevole interesse pubblico avrebbe dovuto partire dalla proposta di adozione della relativa dichiarazione avanzata dalle Commissioni regionali, ai sensi degli artt. 137 e 138 del codice e concludersi con l’emanazione del relativo provvedimento regionale ai sensi dell’art. 140; il potere ministeriale fatto salvo, relativamente alla dichiarazione delle aree di cui all’art. 136 (potestà concorrente) avrebbe potuto esercitarsi solo in caso d’inerzia regionale, come da analoga previsione dell’art. 141-bis, comma 2, codice, relativa alle integrazioni apportabili dalle regioni entro la fine del 2009: se il Ministero non poteva sostituirsi per integrazioni, tanto meno avrebbe potuto farlo in sede di vincolo, tanto più avendo l’autorità competente tempestivamente provveduto, operando congiuntamente con la Soprintendenza e seguendone le indicazioni, nell’ambito dell’apposito Comitato tecnico-scientifico (al massimo, tenuto conto che la “proposta di vincolo statale” era del 3 luglio 2009, la p.a. resistente avrebbe potuto operare solo in via d’integrazione, alla scadenza del termine fissato dall’art. 141-bis, sopra citato).
In tal modo peraltro, la Soprintendenza avrebbe azzerato, per l’ambito territoriale considerato, la pianificazione urbanistica comunale, sostanzialmente cancellando i programmi di trasformazione in corso o in fieri ivi localizzati, sostituendo le chiare determinazioni comunali con non meglio precisati strumenti di pianificazione paesistica e con riserva di esame della trasformabilità “a macchia di leopardo” delle aree incluse nel perimetro del vincolo demandata all’amplissima discrezionalità della Soprintendenza, arrogandosi potere arbitrario ed appropriandosi del potere di pianificazione del territorio, nonché incorrendo nella violazione del principio di leale collaborazione istituzionale, operante anche nei confronti del comuni, come sancito dall’art. 138, comma 1, codice Urbani, prescrivente una consultazione non configurabile come “mero onere di carattere formale”, ma autentico rapporto collaborativo tra le amministrazioni interessate all’impatto sugli assetti urbanistici in corso (cfr. Cons. Stato, sezione VI, sent. n. 3895/2008).
E) Il Comune di Roma aveva richiesto alla Soprindentenza di esprimere il proprio parere ai sensi dell’art. 10, legge n. 1150/1942, poi reso nella conferenza di copianificazione, con nota 5 febbraio 2008 - non menzionante la vasta area interessata dal decreto impugnato - condizionatamente a modificazioni della parte normativa del piano concernente la città storica, integralmente recepite in sede di approvazione del p.r.g.: parere superante le osservazioni del 2003, le quali, semmai, avrebbero potuto indurre la p.a., per esigenze davvero urgenti e manifeste, ad imporre già da allora il vincolo sulle aree in questione anziché limitarsi a presentare osservazioni.
Affermando l’irrilevanza della c.d. compensazione, il Ministero avrebbe mortificato un istituto che (lungi dal costituire uno scambio urbanistico) sarebbe stato riconosciuto anche in ambito costituzionale come mezzo idoneo a consentire l’acquisizione di vaste aree per standard o di rilevante valore paesistico senza esborsi monetari, per cui l’imposizione del vincolo risulterebbe lesiva del diritto d’iniziativa economica e, soprattutto, del diritto di proprietà sancito dalla Costituzione.
Infine, il provvedimento impugnato finirebbe con l’impedire l’attuazione della compensazione urbanistica correlata all’inclusione delle aree del comprensorio di Monte Arsiccio nel perimetro del parco dell’Insugherata, istituito nel 1997, in quanto molte delle c.d. aree di atterraggio delle compensazioni già approvate o in fase di approvazione sarebbero ricadute proprio all’interno dell’ambito vincolato, tra cui, appunto, quella di “La Mandriola Sud”, su cui erano stati trasferiti i diritti edificatori delle aree cedute in località Monte Arsiccio; nel procedimento relativo all’approvazione di tale programma l’amministrazione, seppure convocata, non avrebbe manifestato il proprio motivato dissenso né contestato la relativa determinazione, seppure tempestivamente inviata, né annullato né impugnato il parere paesistico espresso dalla Regione Lazio nei termini di legge, così maturandosi un consolidato affidamento degno di specifica considerazione, non sufficientemente deducibile dalle controdeduzioni formulate di fronte alle osservazioni presentate.
L’operato del Ministero risulterebbe, peraltro, affetto da ingiustificata disparità di trattamento e violazione del principio di proporzionalità, per aver accolto osservazioni relative - ad esempio - al programma di trasformazione di Paglian Casale, “accolto con riserva” le osservazioni relative ai cd. “Toponimi”, nuclei edilizi ex abusivi (zone O), sul presupposto dell’irreversibile consolidamento delle relative posizioni e della prevalenza sui valori paesistici, “respinto con riserva” quelle relative ad aree non inserite in “programmi di trasformazione” solo perché site, però, in prossimità di grandi arterie stradali e d’insediamenti consolidati o di futura trasformazione o su aree destinate ad interventi per contrastare l’emergenza abitativa (c.d. housing sociale), soluzione questa che al limite poteva essere adottata anche per l’iniziativa delle ricorrenti; il provvedimento sarebbe invece sproporzionato perché avrebbe comportato la cancellazione del programma.
Si costituiva in giudizio la p.a. intimata, che resisteva al ricorso.
F) Con la sentenza impugnata, il T.a.r. per il Lazio respingeva il ricorso.
G) Con l’appello in esame, le società interessate impugnano la sentenza del T.a.r. e chiedono che, in sua riforma, sia accolto il ricorso di primo grado.
Il potere previsto dall’art. 138 del codice n. 42 del 2004, secondo la parte originaria ricorrente ed attuale appellante, sarebbe riferibile alla mera possibilità del Ministero d’intervenire in sostituzione della Regione, per il caso d’inerzia del competente organo regionale, e non costituirebbe alcun potere autonomo e concorrente rispetto all’autorità statale: il che sarebbe confermato dall’art. 142 del codice.
Secondo la parte resistente ed attuale appellata, invece, l’art. 138, all’ultimo comma, avrebbe introdotto un potere autonomo e concorrente dello Stato d’imporre i vincoli in questione, comportanti specifica disciplina d’uso delle aree interessate, prevalente su quella del piano paesistico regionale, anche in assenza di previa intesa con la Regione, titolare del potere di governo del territorio, in tal modo sancendo la prevalenza dell’interesse alla salvaguardia dei valori d’identità rispetto a quella della tutela dell’autodeterminazione degli enti esponenziali delle comunità territoriali: la norma non si riferisce al potere di pianificazione paesaggistica, attribuito alla regione, ma al superiore potere d’individuare i beni paesistici, da sottoporre a specifica tutela anche attraverso l’indicazione di norme d’uso e d’indirizzi finalizzati alla conservazione non degli immobili ma dei “valori”espressi dal loro insieme in un dato luogo, espressione questa che non esclude anche interventi di recupero e trasformazione delle varie componenti il bene paesaggistico - nella loro individualità o in complessi definiti - se ispirati ai princìpi chiaramente espressi nell’art. 138, secondo periodo, del citato codice.
L’amministrazione statale richiama pure la sentenza del Cons. Stato, sezione VI, n. 7005/2011.
Replicava con due proprie memorie la parte appellante, richiamandosi alle due perizie giurate in atti e ponendo in luce la rarità del materiale estratto nell’area della cava in questione (v. autorizzazione paesistica rilasciata dalla Giunta regionale Lazio e autorizzazione G.r. Lazio n. 656/2000, in atti), con correlativa applicabilità del regime di cui all’art. 17, legge reg. Lazio n. 24/1998, in comb. disp. con l’art. 28, n.t.a. del vincolo, nonché il suo perdurante interesse coltivabile in sede giurisdizionale, nella prospettiva di un’auspicabilmente non interrotta attività aziendale.
All’esito della pubblica udienza di discussione la vertenza passava in decisione.
DIRITTO
L’appello è infondato e va respinto per le ragioni correttamente individuate in primo grado e sintetizzate dal collegio (che le condivide e fa proprie) come segue.
I) La “…tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali…” è affidata in primo luogo alla competenza esclusiva dello Stato, mentre è attribuita alla legislazione concorrente (art. 117, comma 3, Cost.) la “valorizzazione dei beni ambientali”.
L’art. 117, Cost., in realtà, non menziona direttamente tra le materie nominate “il paesaggio”, per cui la predetta disposizione deve essere coordinata con l’art. 9, Cost. che, con una delle disposizioni fondamentali, assegna la “tutela del paesaggio alla Repubblica, e quindi, quando siano in gioco interessi nazionali, allo Stato: il paesaggio non dev’essere limitato al significato di bellezza naturale ma va inteso come complesso dei valori inerenti al territorio” (cfr. Corte cost., sent. 7 novembre 1994 n. 379), mentre il termine “paesaggio” indica essenzialmente l’ambiente complessivamente considerato come bene “primario” ed “assoluto” (arg. ex Corte cost., sentt. 5 maggio 2006 nn. 182 e 183), necessitante di una tutela unitaria e supportata pure da competenze regionali, nell’ambito degli standardstabiliti dallo Stato (arg. ex Corte cost., sent. 22 luglio 2004 n. 259) in quanto, mediante l’imposizione dei vincoli paesistici, si garantisce la tutela del paesaggio ed anche dell’ambiente (cfr. Cons. Stato, sezione VI, sent. 22 marzo 2005 n. 1186).
In effetti, sul territorio gravano più interessi pubblici (non contrastanti, proprio per effetto della previsione della pianificazione paesistica, ma destinati a trovare un equo contemperamento), quali quelli concernenti:
- la conservazione ambientale e paesaggistica, la cui cura, secondo le recenti modificazioni al codice, è stata di nuovo riservata in via esclusiva allo Stato;
- il governo, l’uso e la valorizzazione dei beni ambientali, intesi essenzialmente come fruizione e sfruttamento del territorio medesimo, affidati alla competenza concorrente dello Stato e delle Regioni, fatta salva l’autonoma potestà tuttora riconosciuta a queste ultime d’individuare, con lo specifico procedimento previsto dall’art. 138 comma 1, “beni paesaggistici” ovvero aree aventi le caratteristiche di notevole interesse pubblico (cfr. Corte cost., sent. 30 maggio 2008 n. 180).
Di regola, dunque, la ripartizione delle competenze in materia di paesaggio è stabilita dall’art. 132 del codice (sostituito dall'articolo 2, comma 1, lettera b) del d.lgs. n. 63/2008) in conformità ai princìpi costituzionali e con riguardo all'applicazione della Convenzione europea sul paesaggio: l’oggetto della tutela del paesaggio non è il concetto astratto di "bellezze naturali", ma l'insieme delle cose, beni materiali o loro composizioni che presentano “valore paesistico”; pertanto, la tutela ambientale e paesaggistica, gravando su un bene complesso ed unitario, dev’essere considerata un valore primario ed assoluto, che precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle regioni, in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali.
II) Il codice, all’art. 131, d.lgs. n. 41/2004 e s.m.i., prevede in linea generale che:
“1. Per paesaggio si intende il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni.
2. Il presente codice tutela il paesaggio relativamente a quegli aspetti e caratteri che costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell'identità nazionale, in quanto espressione di valori culturali.
3. Salva la potestà esclusiva dello Stato di tutela del paesaggio quale limite all'esercizio delle attribuzioni delle regioni (e delle province autonome di Trento e di Bolzano: cfr. Corte cost., sent. 29 luglio 2009 n. 226) sul territorio, le norme del presente codice definiscono i princìpi e la disciplina di tutela dei beni paesaggistici.”
Si tratta, in sintesi, di una riappropriazione di potere rispetto all’originaria impronta del codice, che lasciava ampio spazio alle regioni sia nell’autonoma individuazione dei “beni paesaggistici” sia nella gestione di quella parte del paesaggio da recuperare o sviluppare attraverso i piani paesistici estesi a tutto il territorio regionale.
Il potere esclusivo d’intervento dello Stato è specificato proprio nell’articolo 138, comma 3 (nel testo introdotto dall'articolo 2, comma 1, lettera h), d.lgs. 26 marzo 2008, n. 63) del codice, per cui
“È fatto salvo il potere del Ministero, su proposta motivata del soprintendente, previo parere della regione interessata, che deve essere motivatamente espresso entro e non oltre trenta giorni dalla richiesta, di dichiarare il notevole interesse pubblico degli immobili e delle aree di cui all'articolo 136.”.
Non si tratta né di una potestà concorrente né sussidiaria né suppletiva, ma di uno speciale ed autonomo potere dovere d’intervento, caratterizzato da un procedimento in parte differenziato da quello previsto nei primi due commi, che l’ordinamento giuridico ha istituito, attivabile nei casi in cui, in base a valutazioni anche di discrezionalità tecnica, possa essere concretamente a rischio l’interesse costituzionalmente affidato allo Stato: il tutto, in aggiunta al potere sostitutivo in materia di pianificazione paesaggistica disciplinato dagli artt. 156, comma 3, e 143, comma 2, così ribadendosi la coesistenza di un duplice e distinto potere attribuito all’amministrazione centrale, uno in via diretta ed in base ai princìpi costituzionali e l’altro funzionale alla valorizzazione del paesaggio in via sostitutiva (norma di “chiusura” del sistema), per porre una garanzia di tutela effettiva del paesaggio come valore costituzionale.
Come ricordato anche dalla relazione allo schema di decreto legislativo, con la novella (previo parere della conferenza unificata Stato-regioni) è stato riconosciuto e disciplinato “… il potere dello Stato di proporre vincoli paesaggistici, indipendentemente dal concomitante esercizio della medesima attività da parte delle regioni, in conformità, peraltro, a quanto già da tempo stabilito in materia dalla Corte costituzionale con la sentenza 14-24 luglio 1998 n.334 …”, per cui il potere è legittimamente esercitato quando la tutela del bene paesistico prevalga, per scelta del costituente, sulla realizzazione di altri interessi economici.
Ove, nell’ambito del distinto procedimento di pianificazione paesistica e nell’esercizio dei poteri che in tali ipotesi ed in tali fasi la legge attribuisce al Ministero (intese, osservazioni), sorga una divergenza di valutazioni sulla conservazione di oggettivi valori ìnsiti in specifiche aree, la preminenza del valore “paesaggio” implica che debba esser “…fatto salvo il potere del Ministero …” (così la norma) di cui all’art. 138, comma 3, codice, d’imporre, previo parere della regione, autonomi vincoli, se necessario, in rapporto al possibile pregiudizio dei valori paesaggistici del territorio; donde il riconoscimento del notevole interesse pubblico di una porzione dell’ “Agro romano”, con un legittimo esercizio dello speciale potere d’intervento, in aggiunta alle ordinarie competenze di tutela e valorizzazione che la legge riconosce alla regione.
Per questo l'ampia estensione delle aree vincolate appare assolutamente irrilevante, in quanto una volta riconosciuta l’esistenza dei presupposti per sottoporre a tutela una parte significativa della campagna romana, proprio in quanto avente le caratteristiche del richiamo identitario, il vincolo sull'“Agro romano” non avrebbe potuto che corrispondere alle dimensioni del territorio con consimili caratteristiche, nell’area tra la Laurentina e l’Ardeatina (malgrado la presenza di zone degradate), senza alcuna violazione del principio di leale collaborazione (con richiamo all’accordo del 1999), in quanto il limite di garanzia del bene, ritenuto idoneo e sufficiente dalla regione in sede di pianificazione e soprattutto di modificazione dei p.t.p. vigenti, con la condivisione delle scelte edificatorie del comune, non era stato ritenuto sufficiente a garantire il ragionevole mantenimento dei valori intrinseci del bene dal titolare dell’autonomo e prevalente potere di tutela.
III) Quando la legge prevede una partecipazione procedimentale della regione, nelle forme del "previo parere”, l'acquisizione del predetto avviso pone al riparo il provvedimento dalle denunce di violazione della leale collaborazione, non essendo tale parere vincolante ed essendo tale forma di collaborazione distinta e meno “forte”della previa intesa (cfr. Corte cost., sent. n. 88/2009; Cons. St., sez. VI, sent. n. 3895/2008, concernente una diversa fattispecie).
Il Ministero aveva versato in giudizio copia della nota del 10 novembre 2003 (protocollo 335/Segreteria) contenente rilievi (es. carenza delle cartografie nell’evidenziare le aree tutelate) ed osservazioni al p.r.g. del 2003 adottato dal Comune di Roma: il potere esercitato con il provvedimento impugnato va tenuto ben distinto per presupposti e finalità da quello attribuito all’amministrazione con la presentazione di osservazioni agli strumenti pianificatori comunali.
Quanto al fatto che il tavolo di lavoro avviato (ex d.m. 15 luglio 2009) dopo la prima convocazione non si fosse più riunito (con adozione del la proposta di vincolo), evidentemente, le posizioni assunte dai rappresentati della regione e del comune avevano immediatamente rivelato la manifesta impossibilità di giungere a soluzioni condivise, giustificando quindi l’esercizio da parte del Ministero degli speciali poteri di tutela del paesaggio.
Quanto alla mancata collaborazione con la Regione Lazio, l’Avvocatura generale aveva versato in atti:
- le sette note con cui, dal 30 maggio 2007 al 20 luglio 2007, la Soprintendenza aveva puntualmente controdedotto alle osservazioni del Comune di Roma, contenenti le proposte di modificazione dei vigenti p.t.p., ai sensi dell’articolo 23, comma 1, legge reg. Lazio n. 204/1998, nell’ambito della procedura di elaborazione del nuovo p.t.p.r.;
- la nota riepilogativa in data 10 agosto 2007, con cui la Soprintendenza aveva riassunto le 120 problematiche e fornito le motivazioni per il mancato raggiungimento dell’accordo in materia paesistica tra il M.i.b.a.c. e la Regione Lazio, a riprova di come vi fosse stato da parte del Ministero, nelle distinte sedi comunali e regionali, un tentativo di avviare la leale collaborazione, di cui si sarebbe poi lamentata la mancanza.
La Soprintendenza, ex citato art. 138, comma 3, codice, aveva ritualmente acquisito il parere della Regione Lazio, motivando il proprio dissenso dai rilievi in esso contenuti; il parere del Comitato regionale di coordinamento in data 14 gennaio del 2009, il parere del Comitato tecnico-scientifico del Ministero, ritualmente inoltrando la proposta di vincolo al Comune di Roma in data 3 luglio 2009 ed alla Provincia di Roma in data 8 luglio 2009, nell’ambito di una dialettica e di una contrapposizione istituzionale estremamente articolata, nel cui ambito la Soprintendenza aveva agito con il fine di assicurare la conservazione dei valori identitari di una vasta area di campagna romana, altrimenti soggetta, con effetto immediato, a causa del metodo seguito per localizzare vasti interventi edificatori, ad una trasformazione urbanistico-edilizia snaturante, se colta nel suo complesso, mentre il Comune e la Regione apparivano determinati a collocare nuovi e consistenti interventi edilizi sulle aree dell’agro romano con il nuovo p.r.g. e con le modificazioni dei p.t.p. vigenti, anticipando la conclusione del procedimento di approvazione del nuovo p.t.p.r..
Il provvedimento del Ministero risulta, dunque, legittimamente motivato con la richiamata necessità della conservazione degli elementi costitutivi delle morfologie dei beni paesaggistici, in relazione alle tipologie architettoniche, alle tecniche ed ai materiali costruttivi, oltre che di ripristino dei valori paesistici,
Il vincolo si pone in una linea di perfetta continuità con le osservazioni al progetto di p.t.p.r. della Soprintendenza, come provato le numerose fotografie allegate alle medesime, che restituiscono, in maniera plastica, la bellezza, la storicità e la particolarità di un territorio unico sotto il profilo estetico, storico, culturale e paesistico, la cui distruzione costituirebbe una perdita per l'intera collettività nazionale.
IV) È infondata la tesi delle appellanti, secondo cui vi sarebbe stata un'indebita pianificazione territoriale, in quanto la presenza di norme di attuazione del vincolo avrebbe costituito un preciso dovere di legge: tali norme “sostituiscono” le previsioni del piano non perché il Ministero abbia inteso pianificare in sostituzione della regione, ma perché l’individuazione dei beni paesaggistici meritevoli di tutela s’impone e prevale sul potere pianificatorio regionale, a prescindere dal tempo in cui tale esigenza si sia manifestata, poiché, pur dopo l’adozione del piano paesistico ed anche dopo la sua approvazione, laddove si manifestino nuove esigenze di tutela del paesaggio, sia la regione sia l’amministrazione centrale possono continuare ad agire, in presenza dei necessari presupposti, ed i relativi provvedimenti “sostituiscono” integralmente le previsioni pianificatorie semplicemente per effetto della supremazia, sancita dalla Costituzione e dal codice, del relativo potere di conservazione e tutela su quello di pianificazione ad ogni livello esercitato (l’art. 140, comma 2, applicabile anche al procedimento di cui all’art. 138, comma 3, per effetto dell’art. 141, espressamente impone che "la dichiarazione di notevole interesse pubblico detta la specifica disciplina intesa ad assicurare la conservazione dei valori espressi dagli aspetti e caratteri peculiari del territorio considerata", senza “limiti spaziali”, volendo il codice assicurare tale conservazione del territorio nella massima misura compatibile con l'esigenza del mantenimento degli elementi costituenti l’essenza stessa del richiamo “identitario”.
In effetti, il piano paesistico regionale e la pianificazione urbanistica comunale, sotto il profilo temporale e procedimentale, attengono dunque ad una fase successiva e recessiva rispetto a quella d’imposizione del vincolo, mentre la tutela paesaggistica, lungi dall’essere subordinata alla pianificazione urbanistica comunale, deve precedere ed orientare le scelte urbanistico-edilizie locali, prevalendo, comunque, l’impronta unitaria della pianificazione paesistica (cfr. Corte cost., sent. n. 180/2008 cit.).
Il carattere di autonomia e specialità del potere di cui all’art. 138, comma 3, lo rende dunque esercitabile senza che il Ministero sia vincolato dalla pianificazione locale, in quanto la norma, se prevede il parere della regione, non impone assolutamente di procedere “previa intesa” con la stessa, secondo un principio rintracciabile anche nell’art. 145, d.lgs. n. 42/2004, e s.m.i. (non modificato in modo significativo dal d.lgs. 26 marzo 2008 n. 63, per quanto interessante la questione.
D’altra parte, a loro volta, le previsioni allegate alla dichiarazione di notevole interesse pubblico (ovvero la specifica disciplina di cui all’art. 140, cit.) costituiscono “parte integrante del piano paesaggistico”, non “suscettibile di rimozioni o modifiche nel corso del procedimento di redazione o revisione del piano medesimo”.
Né può condividersi l'affermazione per cui il compendio individuato non avrebbe costituito né un circoscritto, ed individuato, “complesso di beni” e nemmeno un “quadro panoramico”, ma sarebbe stata una vasta porzione di territorio non dissimile da qualsiasi altro terreno agricolo del Lazio.
Il testuale dettato dell'art. 136 (come modificato di recente), infatti, non pone limiti alle possibilità di vincolo in riferimento a: “c) i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici; d) le bellezze panoramiche e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze”.
L'espressione “complesso di cose immobili” richiede la relativa contiguità o, per lo meno, la vicinanza delle aree interessate che, seppur differenziate al loro interno, e sebbene non omogenee, costituiscono nel loro insieme inscindibile un unico complesso paesaggistico; pertanto, in base alla nuova normativa, l'imposizione del vincolo non può più essere subordinata all'esistenza di punti di vista dai quali si possa godere di una visione estetico-panoramica (punti di vista peraltro individuati specificamente nel contesto del provvedimento), perché la legge tutela il paesaggio di per sé come valore autonomo, sintesi e somma del rilievo naturalistico, ambientale, archeologico, culturale ed umano, del territorio (v. le osservazioni dei cittadini singoli ed associati, con la richiesta alla stessa Soprintendenza di estendere, e non diminuire, l’area vincolata).
Anche sotto il profilo della correttezza e della sussistenza dei presupposti di fatto gli obiettivi di tutela individuati appaiono corrispondenti alla situazione concreta, trattandosi di un ampio territorio che mantiene ancora l'alta qualità paesaggistica della campagna romana, sia sotto il profilo paesistico che per la presenza di antichi casali, rustici e vetuste fortificazioni, proprio in ragione della vastità della porzione di territorio individuata.
V) La finalità del provvedimento di tutela - l'arresto o la guidata trasformazione e riqualificazione mirante a scongiurare l’indiscriminato consumo del territorio - appare del tutto legittima sul piano degli interessi pubblici generali, in quanto l’ulteriore espansione edilizia in periferia consumerebbe enormi quantità di terreno agricolo di notevole pregio, e di grande valore secolare, mentre il riconoscimento del valore intrinseco del bene che giustifica il vincolo garantisce la conservazione di un ambito finora non compromesso da scelte pianificatorie o di sviluppo urbanistico, dato che la pressione edilizia sulle aree avrebbe in sostanza sottratto il 13% di una porzione di grande pregio paesaggistico (urbanizzando un’estensione di più di 70 ettari di campagna).
Le motivazioni tecnico scientifiche e le considerazioni dell'interesse pubblico perseguito, poste a base del provvedimento, appaiono del tutto sufficienti sul piano della logica e della razionalità, soprattutto per la puntualità e coerenza delle analisi concernenti i singoli ambiti interessati al provvedimento (anche in rapporto alla problematica specificamente sollevata quanto alle cave).
In sostanza, la scelta assolutamente necessitata in rapporto all'esigenza di tutela dell'agro romano appare congruamente motivata e razionalmente coerente con l'esigenza di tutelare gli ultimi spazi rimasti di un territorio che senza il provvedimento sarebbe stato irrimediabilmente compromesso, qunato meno nell’ottica di una tutela seria e ragionevole, non senza considerazione degli interessi dei privati ai quali, anziché precludere ogni intervento, nei casi di situazioni consolidate di aspettativa qualificata, si è solo richiesto di procedere ad un ridimensionamento condiviso degli interventi in via di assentimento, in sede di rinnovata valutazione dell’edificazione ritenuta compatibile con il vincolo, ove i diretti interessati potranno far valere eventuali incongruenze o l’illegittimità di scelte eccessivamente penalizzanti o incoerenti con l’ambito d’incidenza.
Le conseguenze sfavorevoli, nei confronti dei titolari di diritti edificatori riconosciuti “in compensazione” della cessione delle aree interessate, e l’eventuale lesione dell’affidamento di questi sulla potenzialità edificatoria dell’area, a seguito del recepimento dei relativi programmi urbanistici nel nuovo p.r.g., pur potendo configurare una situazione degna di considerazione al fine del riconoscimento da parte del comune, che abbia acquisito aree private proprio sulla base del principio di compensazione, non costituiscono tuttavia circostanze ostative all’esercizio del potere di competenza della Soprintendenza, precludendo alla stessa la possibilità di attivarsi, sia pure non tempestivamente, per salvaguardare i beni sottoposti alla sua tutela.
In altri termini, gli effetti prodotti sulle situazioni consolidate sono gli stessi che si realizzano ogni volta che si adottino su date aree provvedimenti di dichiarazione di notevole interesse pubblico.
Il limite alla valutazione della dedotta disparità di trattamento è rappresentato dalle modalità di esercizio del potere e dall’estensione della relativa sindacabilità, in presenza di una discrezionalità travalicante nel merito.
Tali essendo i parametri, allo stato degli atti, le apparenti discriminazioni non raggiungono un’evidenza ed un’oggettività tali da risultare censurabili, poiché le varie posizioni non sono mai identiche, o per il diverso stato dei procedimenti cui si ricollegano posizioni di diritto soggettivo o di aspettativa qualificata, o per la differente qualificazione e tipizzazione delle singole porzioni di agro, sia nei precedenti strumenti sia nel nuovo provvedimento, che ha chiaramente individuato le aree suscettibili di trasformazione “ guidata”, estrapolandole da quelle ancora intatte.
VI) Il provvedimento impugnato è stato emanato ai sensi dell’art. 141, comma 2, del codice, sulla base dei relativi articoli 136, 138, 139 e 140, e perciò nell’esercizio del potere del Ministero di dichiarare il notevole interesse pubblico di beni paesaggistici ad esso attribuito dall’art. 138, comma 3, potere autonomo rispetto a quello attribuito alle regioni per corrispondenti esigenze di tutela, considerato che:
a) nell’ambito della disciplina dell’iter di formazione della dichiarazione di notevole interesse pubblico, la medesima disposizione prevede che comunque è “Fatto salvo il potere del Ministero” su proposta motivata del soprintendente, previo parere della regione interessata, “di dichiarare il notevole interesse pubblico degli immobili e delle aree di cui all'articolo 136”;
b) ai sensi dell’art. 140, comma 2, del codice (richiamato dall’art. 141, concernente i provvedimenti ministeriali), la dichiarazione espressa dal Ministero diviene “parte integrante del piano paesaggistico” di cui all’art. 135 “e non è suscettibile di rimozioni o modifiche nel corso del procedimento di redazione o revisione del piano medesimo”.
In considerazione della titolarità, in capo allo Stato, dei poteri sussistenti in materia (sulla base soprattutto dell’art. 9, Cost.), la normativa del codice ha, dunque, stabilito espressamente l’autonomia del potere ministeriale di disporre il vincolo paesaggistico (rispetto al corrispondente potere attribuito alla regione sulla base della legislazione poi trasfusa nel codice del 2004), mediante determinazioni che hanno ipso iure l’effetto della conseguente e corrispondente integrazione del piano regionale, qualora già emanato.
In questo quadro si rileva che, storicamente, la previsione della inserzione dei vincoli paesaggistici nel piano paesaggistico risale alla stessa legge n. 1497 del 1939, che all’art. 5 dava facoltà alla p.a. di redigere il piano (“piano territoriale paesistico”) con riguardo alle località definite come “vaste”, di cui ai punti n. 3 e n. 4 dell’art. 1; con la legge n. 431 del 1985 il rapporto tra il piano e i vincoli non era stato più considerato eventuale, venendo prevista la redazione obbligatoria, da parte delle regioni, dei piani paesistici (ovvero di piani urbanistico-territoriali), con particolare riguardo ai beni ed alle aree vincolate, ai sensi di legge, al fine della pianificazione della relativa tutela (art. 1-bis del decreto-legge n. 312 del 1985, aggiunto dalla legge di conversione n. 431 del 1985); tale impostazione era stata poi reiterata nel d.lgs. n. 490 del 1999, con riguardo alla obbligatorietà dei piani rispetto ai beni e alle aree vincolati ex lege (art. 149), pervenendosi quindi all’art. 140 del vigente codice, per il cui comma 2, sopra citato, la dichiarazione di notevole interesse pubblico costituisce “parte integrante del piano paesaggistico” (come già nel testo anteriore alla modificazione del comma disposta con il d.lgs. n. 63 del 2008), precisandosi che essa non è modificabile per effetto delle procedure di definizione del piano, con previsione espressa, perciò, della sua autonomia.
Dunque, l’effetto d’integrazione nel piano paesaggistico non attribuisce valenza pianificatoria alla dichiarazione d’interesse pubblico in quanto tale, restando questa individuata dal contenuto e dall’efficacia propri, ma la dichiarazione viene con ciò inserita in uno strumento che la correla ad un quadro di programmazione dell’uso e della valorizzazione del paesaggio al fine, già a suo tempo individuato nella finalità della previsione dei piani paesistici di cui all’art. 5 della legge n. 1497 del 1939, di coordinare la salvaguardia dei valori paesaggistici delle zone dichiarate di particolare interesse in un più ampio contesto (cfr. Cons. Stato, sezione VI, sent. 14 gennaio 1993, n. 29).
VII) La dichiarazione di notevole interesse pubblico riguardante un’area “vasta” (qualificazione già contemplata nella legge n. 1497 del 1939) non costituisce perciò di per sé espressione di una funzione di pianificazione; il provvedimento, infatti, adottato nell’esercizio di un diverso ed autonomo potere, non attiene a tale funzione né la acquisisce per il mero fatto dell’integrazione nel piano, unico atto cui la funzione è invece attribuita anche allo scopo, ulteriore rispetto alle determinazioni singole, di coordinare in un quadro complessivo l’interazione tra i vincoli di diverso tipo gravanti sul territorio qualificato come paesaggio.
Né rileva, a sostegno dell’asserita valenza pianificatoria della dichiarazione ministeriale di notevole interesse pubblico, che con questa siano definite prescrizioni d’uso, altresì, definite nell’appello come improprie, poiché in funzione non della conservazione ma della valorizzazione degli immobili e delle aree di riferimento, ciò che sarebbe in contrasto con la vigente formulazione degli articoli 138 e 140 del codice, dal cui testo, ai sensi del d.lgs. n. 63 del 2008, la funzione della valorizzazione era stata espunta, restando perciò connessa la dichiarazione di notevole interesse pubblico alla sola finalità della conservazione.
Non può condividersi il presupposto di tale tesi, per cui la funzione di tutela, cui è propria la conservazione dei beni, comporterebbe la sola salvaguardia statica degli stessi con il divieto assoluto e pregiudiziale di ogni possibile trasformazione compatibile con il limite dei valori tutelati, considerato che nelle “disposizioni generali” del codice, comprensive dei beni paesaggistici nella nozione di “patrimonio culturale” (art. 2), è previsto che la tutela si esplichi anche con “provvedimenti vòlti a conformare e regolare diritti e comportamenti inerenti al patrimonio culturale” (art. 3, comma 2), diretti quindi a garantire la conservazione dei beni anche attraverso il loro uso regolato.
In questo quadro, proprio alla luce delle modificazioni apportate al codice dal d.lgs. n. 63 del 2008, emerge che la dichiarazione di notevole interesse pubblico ha assunto una funzione duplice poiché, accanto a quella risalente di qualificazione e di conformazione giuridica del bene, ha oggi anche quella di predeterminare gli usi e le trasformazioni consentite, come disposto dall’articolo 140, comma 2, in cui è previsto che con la dichiarazione venga anche dettata “la specifica disciplina” d’uso dei beni, così come è previsto nell’articolo 138, comma 1, ultimo periodo, che la proposta di dichiarazione debba contenere “proposte per le prescrizioni d’uso” dei beni stessi; ciò al fine prioritario della “conservazione dei valori espressi”, ma non per questo con effetto preclusivo della ponderata valutazione di possibili e regolate trasformazioni, ferma la prevalenza delle ragioni della tutela del paesaggio.
VIII) Ne risulta che:
- a) l’esercizio della potestà di determinazione del vincolo attribuita al Ministero dall’art. 138, comma 3, in quanto autonoma ai sensi del quadro normativo sopra delineato (ed attribuita alla competente autorità statale, in doverosa attuazione dell’art. 9, Cost.), non è condizionata alla previa inerzia regionale, essendo altresì estranea alla tematica la richiamata previsione dell’art. 143, comma 2, del codice, poiché relativa al diverso procedimento dell’elaborazione del piano paesistico;
- b) il principio di leale cooperazione tra le amministrazioni pubbliche e, in particolare, tra il Ministero e le regioni ( posto dall’art. 133 del codice) si concreta, nella specie, nella disciplina di cui al medesimo comma 3 dell’art. 138, che prevede il parere obbligatorio ma non vincolante della regione (da rendere entro trenta giorni dalla richiesta), e di cui all’art. 141 che, nel richiamare l’applicazione degli articoli 139 e 140, inserisce nell’iter di formazione del provvedimento ministeriale le modalità partecipative ivi definite (in particolare dei Comuni interessati), con la proposizione di osservazioni da valutare, oltre alla previsione del parere del competente Comitato tecnico-scientifico; nella specie, il procedimento così disciplinato risulta compiutamente rispettato, come indicato nelle premesse del decreto ministeriale in oggetto.
Le doglianze fin qui esaminate in sede di appello sono dunque infondate, alla luce anche degli artt. 9 e 117, Cost., per i quali la competenza in materia di tutela dei valori paesaggistici spetta agli organi statali (salva la possibilità, più volte evidenziata dalla Corte costituzionale, che la legge ordinaria disponga la delega di tali poteri alle regioni o il loro concorrente esercizio da parte delle stesse).
IX) Proseguendo nell’esame delle varie censure, secondo il prescelto e più corretto ordine logico-giuridico (da quelle più generiche a quelle più specifiche), si osserva che:
- a) il potere ministeriale di dichiarare un bene paesaggistico di notevole interesse pubblico è previsto dall’art. 138, comma 3, in rapporto a “gli immobili e le aree di cui all’art. 136”;
- b) detto riferimento si specifica, per quanto qui interessa, riguardo alle lettere c) e d) dell’art. 136, concernenti “c) i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici; d) le bellezze panoramiche e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze”;
- c) i beni paesaggistici così individuati sono espressamente qualificati come “aree” dall’art. 137, comma 1, e dallo stesso art. 138, comma 3, intendendosi con ciò che non si tratta necessariamente di “località” puntuali e circoscritte, ma anche di aree eventualmente estese ovvero “vaste”, secondo una risalente e consolidata tradizione della normativa di settore, più sopra richiamata, cui quella vigente si connette;
- d) la dichiarazione di notevole interesse pubblico non può perciò dirsi viziata per illegittimità intrinseca, in ragione dell’ampiezza dell’area vincolata; la sussistenza di vizi di legittimità di un siffatto provvedimento deve infatti, come per ogni altro, essere verificata specificamente quanto ai presupposti, ai contenuti ed al corretto esercizio della discrezionalità, nel quadro della costante giurisprudenza costituzionale sul valore comunque “primario e assoluto”, che ha la tutela del paesaggio nella Costituzione, pur nella correlazione degli ulteriori interessi tutelabili (cfr. Corte cost., sentenze n. 367/2007, n. 226/2009 e n. 101/2010); dunque, il collegio non ritiene che la motivazione del provvedimento ministeriale impugnato sia carente, con esercizio non corretto del relativo potere discrezionale.
Nella ratio del provvedimento è proprio l’estensione dell’area costituente il presupposto per la sua qualificazione in termini di paesaggio, offrendo il contesto “identitario” dell’ampiezza dei quadri panoramici segnati dal permanente uso agricolo diffuso, nel cui ambito si sono stratificati gli ulteriori caratteri sia storici, archeologici e architettonici, che di vegetazione, con un effetto d’insieme qualificante l’intera area nella sua complessiva consistenza, non identificabile senza l’apprezzamento della configurazione assunta dalla stessa nella sua estensione, non essendo la tutela isolata delle sue singole componenti equivalente alla tutela del complesso in cui ciascun elemento si correla agli altri, integrandosi nell’insieme e rapportandosi ai tratti comuni di questo insieme i sistemi paesistici che lo compongono, anche con le trasformazioni intervenute.
X) Al riguardo occorre prendere atto della scelta di fondo di ritenere meritevole di tutela, nel contesto sociale, urbanistico e culturale attuale, la “campagna romana”; scelta compiuta nell’esercizio della discrezionalità amministrativa espressione della “politica di settore” e, in quanto tale, non suscettibile di censura se non nei limiti della ragionevolezza, requisito che non può dirsi certo insussistente nella specie.
In questa prospettiva è assunta come fattore “identitario” dei luoghi - e di necessaria conservazione di tale identità, da preservare anche per le future generazioni - la natura agricola delle aree quale elemento di continuità dell’immagine della campagna romana che concorre “a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio ed a promuovere lo sviluppo della cultura” (art. 1, comma 2, del codice).
Né si tratta di un’area agricola anodina, poiché, come si osserva nelle relazioni istruttorie di sostegno, “è il seminativo nudo, che copre gli altipiani ed anche gli invasi vallivi più ampi; eredità della strutturazione fondiaria a latifondo, questo modo di conduzione dei suoli svolge un ruolo fondamentale nel determinare, assieme alla più volte richiamata profondità delle visuali dominate nel piano di fondo dal profilo dei Colli Albani, quei caratteri scenici di aperta vastità e quasi solenne monumentalità che………….nel territorio in questione, peraltro, appaiono sovente anche in felice contrappunto con i casali e gli altri manufatti storici posti alla sommità delle ondulazioni.”, essendosi aggiunti in seguito, ai seminativi e ai pascoli nel settore sud-orientale del territorio, “grandi superfici a colture legnose specializzate, senza tuttavia…alterazione dei valori paesaggistici”.
Nel corso del procedimento, è stato anche precisato che si tratta di “territorio che ancora conserva, nonostante i vari fenomeni sparsi di utilizzazione consolidati e in atto, un’alta qualità paesaggistica, riconducibile ai tratti tipici del paesaggio agrario della campagna romana, qui particolarmente caratterizzato dall’ampiezza dei quadri panoramici oltre che dalla ricca e stratificata articolazione del sistema insediativo storico, con notevole diffusione tanto di beni archeologici che architettonici, questi ultimi rappresentati in una vasta gamma che va dagli antichi casali, sorti a partire dai secc. XV e XVI attorno ai nuclei fortificati medievali, a quelli più recenti risalenti alla bonifiche realizzate a cavallo tra Otto e Novecento, sovente in stretto rapporto con filari e gruppi arborei di notevole consistenza e di grande rilevanza ai fini della “costruzione” dell’immagine paesistica tipica dei luoghi”.
Orbene, tali considerazioni costituiscono una più che adeguata motivazione della scelta di vincolare questa specifica porzione di territorio, in quanto adeguatamente identificata nei suoi particolari tratti identitari, in coerenza con la definizione del “paesaggio” posta nell’art. 131 del codice, che lo identifica nel “territorio espressivo di identità”, a sua volta in conformità alla valenza del paesaggio come fattore “identitario” della Nazione, ex art. 9, Cost., nonché in coerenza con la Convenzione europea del paesaggio, adottata a Firenze il 20 ottobre 2000 (e ratificata con legge n. 14 del 2006), per il cui art. 5 il paesaggio è “fondamento”dell’identità delle popolazioni.
Le discusse censure risultano così esse pure infondate.
XI) La giurisprudenza costituzionale, sulla base dell’art. 9, Cost. ha qualificato il paesaggio come valore “primario e assoluto”, con la conseguente affermazione della prevalenza dell’impronta unitaria della tutela paesaggistica sulle determinazioni urbanistiche, pur nella necessaria considerazione della compresenza d’interessi pubblici intestati alle due funzioni (Corte cost., sentt. n. 367 del 2007, n. 180 e n. 437 del 2008 e n. 309 del 2011), come a sua volta sancito dall’art. 145 del codice, per il cui comma 3 le previsioni dei piani paesaggistici, nei quali s’integrano i provvedimenti ministeriali di cui si tratta, “non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico, sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province, sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici…”.
L’iniziativa economica privata, altresì costituzionalmente tutelata, non può essere immotivatamente compressa ma, in quanto attuata nel contesto e per mezzo della strumentazione urbanistica, va correlata al rapporto di questa con i sovraordinati valori della tutela del paesaggio, fermo restando che anche la pianificazione paesaggistica - tenuto conto dei livelli di tutela da prevedere - può non risultare orientata al solo effetto dell’inibizione assoluta di ogni edificabilità, poiché il piano presuppone ed analizza “lo sviluppo sostenibile delle aree interessate” e la presenza di “dinamiche di trasformazione del territorio”, con prescrizioni e previsioni atte “alla individuazione delle linee di sviluppo urbanistico ed edilizio”, purché compatibili “con i diversi valori paesaggistici riconosciuti e tutelati” (art. 143, comma 1, lettere h) e f); art. 135, comma 1, lett. d).
In questo quadro si osserva, riguardo al rapporto intercorso tra la Soprintendenza ed il Comune di Roma nell’ambito della definizione del nuovo p.r.g., che, nella “relazione di sintesi dell’istruttoria” relativa al provvedimento ministeriale impugnato, responsabilmente si afferma che la Soprintendenza statale, dopo aver formulato talune osservazioni generali al p.r.g., “non è stata mai consultata o coinvolta nel procedimento di formazione del piano”, risultando in atti le “osservazioni a carattere generale” trasmesse dalla Soprintendenza al Comune, in cui peraltro si prospettava anche la questione della “mancanza di una carta della qualità riferita al paesaggio………, individuante anche gli effetti delle previsioni rispetto alla tutela del paesaggio, nonché………….dei beni storico-monumentali nella campagna romana”
XII) Quanto all’avvenuta stipulazione dell’accordo di programma ed alla posizione costituitasi in capo ai ricorrenti, si osserva che:
a) nel quadro della distinzione fra la tutela sovraordinata del paesaggio e la strumentazione urbanistica, sopra richiamata, risulta corretta la valutazione espressa dal primo giudice, per cui la posizione acquisita dai ricorrenti “resta inalterata solo nei rapporti con l’ente locale il quale, attraverso l’applicazione dell’istituto della compensazione, ha acquisito al proprio patrimonio ingenti aree da destinare al soddisfacimento di specifici interessi pubblici. Il rapporto sinallagmatico che caratterizza la compensazione, riconosciuta in linea di principio come istituto legittimamente applicabile dal giudice d’appello, implica che l’amministrazione comunale deve garantire ai privati la concreta possibilità di realizzare le cubature riconosciute. Ma gli effetti del rapporto si esauriscono nell’ambito della gestione del territorio a fini di sfruttamento edilizio e non possono condizionare l’esercizio del distinto potere proprio dello Stato d’imporre una tutela specifica ad ambiti di paesaggio rilevanti”, considerato che “la cancellazione dei programmi edilizi della ricorrente costituiva nella specie una scelta assolutamente necessitata, in rapporto all'esigenza di tutela dell'agro romano, che appare congruamente motivata e razionalmente coerente con l'esigenza di tutelare un territorio che senza il provvedimento sarebbe stato irrimediabilmente compromesso nella sua struttura identitaria”;
b) in altri termini, in ogni tempo e pur quando vi sia stata una pianificazione urbanistica (generale o attuativa) legittimante la modificazione dello stato dei luoghi, e anche dopo che siano stati emanati i relativi titoli abilitativi, l’autorità statale può disporre il vincolo sull’area meritevole della dichiarazione di notevole interesse pubblico.
Nè può valere, nel contesto del detto rapporto di sovraordinazione, la deduzione di ordine procedurale concernente l’eventuale partecipazione dell’organo statale alla conferenza dei servizi relativa allo specifico programma urbanistico, salva la considerazione che, ai fini della qualificazione certa in termini di assenso nell’ipotesi di parere non reso in materia, è stato modificato l’art. 14-ter, comma 7, della legge n. 241 del 1990, con il decreto-legge n. 78 del 2010, e che, sulla base di uno specifico principio costituzionale preclusivo della regola contraria, la normativa sul procedimento amministrativo ha sempre escluso la formazione del silenzio-assenso “per gli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico” (art. 20, comma 4, della legge n. 241 del 1990).
Pure le ultime doglianze vanno, dunque, disattese.
Per concludere, tra i princìpi ispiratori della normativa del codice vi è quello per cui la preminenza della tutela dei valori espressi dal paesaggio non comporta necessariamente la conservazione statica delle aree protette, potendosi consentire trasformazioni nei limiti ritenuti compatibili, come esemplificato dalle norme sulla tutela, che prevedono l’esercizio di diritti e l’attuazione di comportamenti incidenti sul patrimonio, ovvero da quelle sulla pianificazione paesaggistica, che contemplano lo sviluppo sostenibile delle aree interessate, con la presenza di dinamiche di trasformazione del territorio e prescrizioni e previsioni atte all’individuazione delle relative linee di sviluppo urbanistico ed edilizio: le determinazioni di ordine paesaggistico - sulle esigenze di protezione del territorio - possono essere assunte anche quando si siano consolidati interessi economici.
In questo quadro non si pone, di conseguenza, una tematica di disparità di trattamento, laddove l’autorità ministeriale abbia ritenuto, nell’esercizio responsabile della propria discrezionalità, di applicare questa normativa regolando casi specifici (e ciascuno di per sé peculiare) di trasformazione, ove considerata sostenibile nella valutata compatibilità con i valori tutelati.
Le censure in esame non sono perciò meritevoli di accoglimento, non essendovi di conseguenza ragione per procedere ad adempimenti istruttori (idonei solo a far emergere le peculiarità di ciascuno dei progetti).
XIII) In definitiva, l’appello è infondato e va respinto, con conferma dell’impugnata sentenza ed oneri processuali del secondo grado di giudizio integralmente compensati tra le parti costituitevi, tenuto pure conto del loro reciproco impegno difensivo e della natura estremamente complessa della vicenda esaminata.
P.Q.M.
il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione VI, respinge l’appello (r.g.n. 4956/2011) e compensa tra le parti tutti gli oneri processuali.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2012, con l'intervento dei giudici:
Luigi Maruotti, Presidente
Aldo Scola, Consigliere, Estensore
Maurizio Meschino, Consigliere
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere
Roberta Vigotti, Consigliere
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L'ESTENSORE |
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IL PRESIDENTE |
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DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/01/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)