Cass. Sez. III n.28551 del 5 agosto 2025 (UP 7 apr 2025)
Pres. Aceto Est. Liberati Ric. Aina
Caccia e animali.Attività venatoria illecita e legittimazione del WWF alla costituzione di parte civile

Il WWF, ente riconosciuto per la tutela ambientale della fauna, sia a carattere nazionale che locale, è pienamente legittimato, ex art. 74 cod. proc. pen., a costituirsi parte civile ai fini del risarcimento dei danni derivanti dalla attività venatoria illecita, in quanto relativa ad animali selvatici di cui non è consentita la caccia. Il provvedimento che ammette la costituzione di parte civile, inoltre, è, in ogni caso, inoppugnabile e preclude ogni contestazione in ordine alla "legitimatio ad processum", restando solo la possibilità di esaminare la "legitimatio ad causam" e, in particolare, la configurabilità e sussistenza del diritto sostanziale azionato dalla parte civile nel giudizio penale


RITENUTO IN FATTO 

1. Con sentenza del 24 giugno 2024 il Tribunale di Caltanisetta ha condannato Vincenzo Aina e Filippo Aina alla pena di 1.200,00 euro di ammenda ciascuno e al risarcimento dei danni in favore della parte civile WWF Sicilia Centrale, in relazione al reato di cui agli artt. 110 cod. pen. e 30, comma 1, lett. h), I. n. 157 del 1992 (perché, muniti di fucili, abbattevano due esemplari di coniglio selvatico, trattandosi di specie nei cui confronti la caccia non era consentita; in Acquaviva Platani, il 7/11/2020).
2. Avverso tale sentenza entrambi gli imputati hanno proposto distinti ma sovrapponibili atti d'appello, mediante l'Avvocato Giuseppe Scozzari, convertiti dalla Corte d'appello di Caltanisetta in ricorsi per cassazione, trattandosi di sentenza non appellabile. Entrambi i ricorsi sono affidati a sei identici motivi.
2.1. Con il primo motivo hanno lamentato la mancanza o, comunque, l'apparenza della motivazione, nella parte relativa all'affermazione di responsabilità.
Si afferma che il Tribunale non avrebbe adeguatamente motivato in ordine alla prova della condotta contestata, fondando l'affermazione di responsabilità dei ricorrenti unicamente sulla testimonianza del teste Montagnino - guardia venatoria - senza confrontarsi con le deduzioni difensive, volte a fornire una ricostruzione alternativa.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione dell'art. 2 cod. pen., esponendo che nel corso dell'istruttoria era stata prodotta copia della pronuncia del Consiglio di Giustizia amministrativa della Regione Sicilia del 18 dicembre 2020 che, in accoglimento dell'appello cautelare avverso l'ordinanza del 26 settembre 2020 del TAR Palermo, sospensiva del calendario venatorio 2020/2021 nella parte in cui consentiva la caccia al coniglio selvatico, aveva stabilito la legittimità del suddetto calendario venatorio, con la conseguente liceità della caccia del coniglio selvatico, che avrebbe dovuto determinare l'assoluzione dei ricorrenti perché il fatto non costituisce reato. Il Tribunale avrebbe, invece, indebitamente arrestato la propria ricostruzione alla suddetta ordinanza del TAR Palermo del 26 settembre 2020 (sospensiva del calendario venatorio 2020/2021 nella parte in cui consentiva la caccia al coniglio selvatico), omettendo di considerare la successiva pronuncia del CGARS, che avrebbe dovuto condurre a una pronuncia di assoluzione per il principio della retroattività favorevole, stante la abrogazione del divieto di compiere le condotte contestate.
2.3. Con il terzo motivo hanno prospettato una ignoranza incolpevole del precetto penale.
Si sostiene che i ricorrenti non sarebbero stati in grado di conoscere tempestivamente il divieto a causa del ristretto periodo di tempo trascorso tra l'ordinanza cautelare emessa dal TAR e il decreto assessoriale n. 115/GAB (con cui era stato rideterminato il calendario venatorio per la stagione 2020/2021, stabilendo il divieto di caccia del coniglio selvatico). Erroneamente, pertanto, il Tribunale avrebbe ritenuto che i ricorrenti fossero in condizione di conoscere il divieto, in considerazione della pubblicazione di articoli di stampa relativi all'ordinanza cautelare di sospensione del calendario venatorio regionale. Si eccepisce sul punto che gli articoli di stampa non sono idonei a determinare la conoscenza legale delle decisioni e dei provvedimenti amministrativi, cosicché si sarebbe verificata una ipotesi di ignoranza inevitabile della norma integratrice del precetto penale, con la conseguente insussistenza dell'elemento soggettivo del reato contestato.
2.4. Con il quarto motivo si lamenta il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche a entrambi i ricorrenti.
Il Tribunale non avrebbe considerato, tra gli elementi favorevoli ai fini del loro riconoscimento, per Vincenzo Aina, il fatto che questi ha partecipato all'istruttoria dibattimentale rendendo spontanee dichiarazioni, e, per Filippo Aina, che questi è incensurato.
2.5. Con il quinto motivo hanno lamentato il trattamento sanzionatorio e l'omessa sospensione condizionale della pena per entrambi.
La pena irrogata dal Tribunale risulterebbe sproporzionata tenuto conto dell'incensuratezza di entrambi i ricorrenti, la modesta rilevanza dei fatti e, per Vincenzo Aina, anche l'essersi sottoposto all'esame.
2.6. Con il sesto motivo hanno censurato la condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile di cui avrebbe dovuto, invece, essere dichiarato il difetto di legittimazione.
3. Con memorie del 1 aprile 2025 i ricorrenti, riproducendo i motivi già formulati negli atti di appello li hanno illustrati sotto forma di motivi di ricorso per cassazione, e hanno insistito per l'accoglimento dei ricorsi, lamentando i vizi di omessa motivazione e violazioni di legge ai sensi dell'art. 606, primo comma, b) et e), cod. proc. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO 

1. Entrambi i ricorsi, esaminabili congiuntamente in ragione della coincidenza delle censure sollevate, sono inammissibili.
3 ir 2. Il primo motivo, relativo all'accertamento delle condotte contestate, è inammissibile, in quanto volto a sollecitare una diversa e alternativa rivalutazione del quadro probatorio del tutto preclusa nel giudizio di legittimità.
Al riguardo, il Tribunale di Caltanissetta ha dato conto analiticamente degli elementi di prova e ha motivato il proprio convincimento circa la penale responsabilità dei ricorrenti in maniera logica, sulla base di una ricostruzione dei fatti - come emersi nel corso dell'istruttoria dibattimentale — del tutto razionale e, in quanto tale, non censurabile in sede di legittimità.
In particolare, da quanto riferito dal teste Montagnino (guardia venatoria) il Tribunale ha ricavato una pluralità di elementi ritenuti, in modo logico, univocamente dimostrativi della condotta contestata, costituiti da: i colpi di fucile uditi dal Montagnino (oltre che dalla guardia venatoria Bonfanti e dalla guardia giurata zoofila Naro); dal sopraggiungere, dopo poco, degli imputati con equipaggiamento da caccia e un sacconiere con all'interno i due conigli selvatici con tracce di sangue e impallinati; l'assenza di altri cacciatori nei pressi.
La motivazione dà conto, altresì, delle dichiarazioni di Vincenzo Aina e delle deposizioni dei testi a difesa, così dimostrando di aver compiuto un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e di aver preso in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali.
I ricorrenti propongono sul punto una rivisitazione delle risultanze istruttorie, volta a conseguirne una lettura alternativa, da contrapporre a quella dei giudici di merito, che, però, è immune da vizi logici e, dunque, non è suscettibile di rivalutazione sul piano dell'apprezzamento delle prove nel giudizio di legittimità, nel quale, per giurisprudenza consolidata, è esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch'essa logica, dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, o un diverso giudizio di rilevanza, o comunque di attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970; Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv. 262575; Sez. 3, n. 12226 del 22/01/2015, G.F.S., non massimata; Sez. 3, n. 40350, del 05/06/2014, C.C. in proc. M.M., non massimata; Sez. 3, n. 13976 del 12/02/2014, P.G., non massimata; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099; Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).
3. Il secondo motivo, mediante il quale è stata denunciata la violazione dell'art. 2 cod. pen., è manifestamente infondato.
Il Tribunale dà conto analiticamente e con chiarezza del susseguirsi tra l'ordinanza cautelare del Tar Palermo del 26 agosto 2020, con la quale era stato sospeso il calendario venatorio 2020/2021 adottato con decreto assessoriale del 6 agosto 2020 - con particolare riferimento alla sospensione dell'autorizzazione della 4 caccia al coniglio selvatico - ed il successivo decreto del 27 ottobre 2020 il quale ha disposto il divieto di caccia del coniglio selvatico.
Va aggiunto che la successiva pronuncia del Consiglio di Giustizia amministrativa della Regione Sicilia del 18 dicembre 2020, che ha riconosciuto la legittimità dell'originario calendario venatorio di cui al citato decreto assessoriale del 6 agosto 2020, risulta priva di rilevanza, atteso che i ricorrenti hanno posto in essere la condotta in data 7 novembre 2020, durante la vigenza del divieto di caccia al coniglio selvatico conseguente al suddetto decreto assessoriale del 27 ottobre 2020, modificativo di quello precedente, con la conseguente irrilevanza della sua mancata considerazione da parte del Tribunale.
Ne consegue la manifesta infondatezza della denuncia di violazione dell'art. 2 cod. pen., in quanto la sospensione della caccia al coniglio selvatico era stata disposta con il citato decreto del 27 ottobre 2020 — modificativo del calendario venatorio 2020/2021— adottato in epoca antecedente ai fatti e pienamente efficace nel periodo dei fatti in contestazione.
4. Il terzo motivo, relativo al difetto dell'elemento soggettivo per ignoranza inevitabile della norma integratrice del precetto penale, è manifestamente infondato.
Va premesso che la norma di cui all'art. 30, comma 1, lett. h), legge 11 febbraio 1992, n. 157, punisce con l'ammenda chi abbatte, cattura o detiene specie di mammiferi o uccelli nei cui confronti la caccia non è consentita. Si tratta di fattispecie contravvenzionale per l'integrazione della quale è sufficiente la colpa, ravvisabile nell'atteggiamento di chi si determini a esercitare l'attività venatoria senza essersi previamente accertato della liceità della caccia di determinate specie animali.
Il Tribunale di Caltanissetta ha escluso la ravvisabilità di una situazione di incolpevole ignoranza del divieto di caccia al coniglio selvatico conseguente al susseguirsi in breve tempo di decisioni e atti amministrativi di segno contrario.
Al riguardo è stato evidenziato che i ricorrenti sono cacciatori da anni — Vincenzo Aina, da decenni-, e dunque risulta esigibile da parte loro, allorquando si apprestino a esercitare l'attività venatoria, che non è libera, ma soggetta a una articolata e specifica regolamentazione, sia quanto ai periodi in cui è esercitabile sia quanto alle specie cacciabili, un onere di diligente attivazione diretto a conoscere la disciplina di settore e il contenuto dei provvedimenti regionali in tema. Questi ultimi, peraltro, vengono pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale della Regione Sicilia, come nel caso di specie, e sul sito web istituzionale della medesima.
Nel caso di specie, inoltre, il Tribunale ha sottolineato che sia il provvedimento del Tar sia il successivo decreto dell'assessorato avevano suscitato un certo 5 clamore mediatico, con pubblicazione oltre che su riviste specializzate anche sulla stampa locale e nazionale, di verosimile interesse per coloro che appartengono alla categoria di cacciatori esperti, escludendo, dunque, di conseguenza, e in modo logico, la ravvisabilità di una situazione di ignoranza inevitabile della norma integratrice del precetto penale.
4. Il quarto e il quinto motivo, esaminabili congiuntamente essendo entrambi relativi al trattamento sanzionatorio, in particolare al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena, sono manifestamente infondati.
Il riconoscimento o il diniego delle circostanze attenuanti generiche sono l'esplicazione di un potere discrezionale del giudice del merito, il quale non è tenuto a motivare il diniego ove, in sede di conclusioni, non sia stata formulata specifica istanza con l'indicazione delle ragioni atte a giustificarne il riconoscimento (Sez. 3, n. 26272 del 07/05/2019, Boateng, Rv. 276044 - 01).
Nel caso di specie in sede di conclusioni non risulta formulata da parte dei ricorrenti la richiesta di riconoscimento delle attenuanti generiche cosicché la carenza di motivazione sul punto risulta priva di rilievo.
Analogamente, quanto alla sospensione condizionale della pena, nessuna richiesta era stata formulata sul punto, con la conseguente manifesta infondatezza dei rilievi sollevati da entrambi i ricorrenti a tale riguardo, alla stregua del principio secondo cui l'imputato non può dolersi, con ricorso per cassazione, della mancata concessione di tale beneficio, qualora non ne abbia fatto richiesta nel corso del giudizio di merito (Sez. U., n. 22533 del 25 ottobre 2028, Salerno, Rv. 275376).
5. Manifestamente infondato risulta anche il sesto motivo di ricorso, relativo al riconoscimento del diritto al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile.
Va premesso che il WWF, ente riconosciuto per la tutela ambientale della fauna, sia a carattere nazionale che locale, è già stato ritenuto pienamente legittimato, ex art. 74 cod. proc. pen., a costituirsi parte civile ai fini del risarcimento dei danni derivanti dalla attività venatoria illecita, in quanto relativa ad animali selvatici di cui non è, come nel caso in esame, consentita la caccia (Sez.3, n. 25873 del 26 maggio 2010, Sassi, Rv. 247929 - 01).
Il provvedimento che ammette la costituzione di parte civile, inoltre, è, in ogni caso, inoppugnabile e preclude ogni contestazione in ordine alla "legitimatio ad processum", restando solo la possibilità di esaminare la "legitimatio ad causam" e, in particolare, la configurabilità e sussistenza del diritto sostanziale azionato dalla parte civile nel giudizio penale (Sez. 2, n. 17108 del 22/03/2011, Muscariello, non massimata).
6 Ai fini della pronuncia di condanna generica al risarcimento dei danni in favore della parte civile non è, poi, necessario che il danneggiato provi la effettiva sussistenza dei danni e il nesso di causalità tra questi e l'azione dell'autore dell'illecito, essendo sufficiente l'accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di conseguenze dannose: la suddetta pronuncia infatti costituisce una mera declaratoria juris da cui esula ogni accertamento relativo sia alla misura sia alla stessa esistenza del danno, il quale è rimesso al giudice della liquidazione (Sez. 1, n. 51160 del 31/10/2023, Mandolini, Rv. 285612 - 01; Sez. 6, n. 28216 del 25/09/2020, Ionata, Rv. 279625 - 01; Sez. 4, n. 12175 del 03/11/2016, dep. 2017, Bordogna, Rv. 270386 - 01).
Il Tribunale di Caltanissetta, ai fini della pronuncia di condanna generica al risarcimento dei danni, ha adeguatamente illustrato la potenziale dannosità della condotta posta in essere dai ricorrenti, evidenziando il pregiudizio arrecato dalla condotta dei ricorrenti all'interesse che l'ente costituito parte civile si prefigge di salvaguardare, con la conseguente manifesta infondatezza dei rilievi sollevati sul punto dai ricorrenti, stante l'idoneità della motivazione posta a fondamento della suddetta condanna generica.
6. Entrambi i ricorsi devono, dunque, essere dichiarati inammissibili, a cagione della manifesta infondatezza di tutte le censure alle quali sono stati affidati.
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, ex art. 616 cod. proc.
pen., l'onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 3.000,00 per ciascun ricorrente, oltre che la condanna alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, liquidate d'ufficio, come da dispositivo, in assenza di nota, in considerazione dell'impegno profuso nella difesa e del valore della stessa.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Condanna, inoltre, gli imputati alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile WWF Sicilia Centrale, che liquida in complessivi euro 2.000,00, oltre accessori di legge 
Così deciso il 7/4/2025