Cass. Sez. III n. 21389 del 7 giugno 2010 (Ud. 3 mar. 2010)
Pres. Onorato Est. Marini Ric. Caruso
Caccia e animali. Codice Cites
Il codice CITES è ripartito in aree distinte tra loro da una barra e  l’inserimento di un carattere in più non comporta in tale contesto la riduzione o compressione delle restanti parti del codice. Questa situazione di fatto non comporta la perdita di alcuna delle informazioni che debbono essere presenti nella etichettatura (nella fattispecie, relativa a caviale, era stata aggiunta la lettera “o” che va a comporre il termine “huso”. la Corte ha evidenziato che nessuna possibilità di errore deriva per le autorità e per il consumatore dalla presenza per esteso della dizione “huso”, identificativa della specie animale contenuta nella confezione, al posto della sigla “hus” che sarebbe prevista).
REPUBBLICA ITALIANA
 IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:        Udienza pubblica
 Dott. ONORATO    Pierluigi       - Presidente  - del 03/03/2010
 Dott. CORDOVA    Agostino        - Consigliere - SENTENZA
 Dott. PETTI      Ciro            - Consigliere - N. 457
 Dott. AMORESANO  Silvio          - Consigliere - REGISTRO GENERALE
 Dott. MARINI     Luigi      - est. Consigliere - N. 33421/2009
 ha pronunciato la seguente: 
SENTENZA
 sul ricorso proposto da:
 CARUSO ANTONINO, nato a Messina il 9 Agosto 1969;
 Avverso la sentenza emessa in data 16 Aprile 2009 dal Tribunale di  			Genova, che lo ha condannato alla pena di Euro 7.000,00 di ammenda  			per violazione della L. 7 febbraio 1992, n. 150, art. 2, comma 1,  			lett. f): Fatto accertato il 21 Dicembre 2007.
 Sentita la relazione effettuata dal Consigliere Dr. Luigi Marini;
 Udito il Pubblico Ministero nella persona del Cons. Dr. Izzo  			Gioacchino, che ha concluso per l'annullamento della sentenza con  			rinvio.
 Udito il Difensore, Avv. Conte Andrea, che, previa rinuncia al quarto  			motivo di ricorso, ha concluso per l'accoglimento dell'impugnazione.  			RILEVA IN FATTO
 Il Sig. Caruso è stato condannato dal Tribunale di Genova per  			avere, quale responsabile del centro commerciale "Metro Cash&Carry",  			detenuto per la vendita sedici confezioni di caviale prive della  			prescritta documentazione, e in particolare recanti una errata  			indicazione del codice CITIES sulle etichette.
 In particolare, il Tribunale ha ritenuto: a) che l'errata indicazione  			del codice sulle etichette non rappresentasse una mera imprecisione  			prova di rilievo, ma comportasse l'errata o del tutto incerta  			indicazione delle caratteristiche del prodotto (tipologia,  			provenienza, lotto, etc); b) che tale circostanza integri il reato  			previsto dalla citata L. n. 150 del 1992, art. 2; c) che la qualità  			di responsabile del centro commerciale comporti, in assenza di  			documentazione circa l'esistenza di deleghe interne o di diverse  			competenze, l'esistenza della penale responsabilità in capo  			all'imputato.
 Avverso tale decisione il Sig. Caruso propone ricorso per  			cassazione tramite il Difensore.
 Con primo motivo lamenta violazione dell'art. 49 c.p., comma 2, e  			carenza di motivazione in ordine alla sussistenza del fatto tipico;
 atteso che il codice Cities è composto da diverse sezioni separate  			da una barra, l'errore commesso nella prima sezione non comporta  			alcuna conseguenza sulle indicazioni contenute nelle sezioni  			successive; erra quindi il Tribunale quando afferma che la presenza  			di una quarta lettera nella prima sezione provoca a catena un errore  			che travolge le altre sezioni. Ciò premesso, l'aggiunta della  			lettera "o" dopo le tre lettere regolamentari non comporta alcuna  			incertezza circa la tipologia del prodotto, posto che scrivere "Huso"  			invece di "Hus" non può trarre in inganno il consumatore circa la  			circostanza che si è in presenza di caviale da storione "Huso".  			Con secondo motivo lamenta violazione della L. 7 febbraio 1992, n.  			150, art. 2, comma 1, lett. f) per avere erroneamente il Tribunale  			applicato alla "etichettatura" del prodotto regole e sanzioni che  			l'art. 2 citato prevede con riferimento alla "documentazione". Le  			"etichette" apposte sulle confezioni alimentari sono definite dal  			D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 109, art. 1, comma 2, lett. a) e non  			possono essere confuse con la "documentazione" che accompagna il  			prodotto nei passaggi dal produttore fino al momento della detenzione  			per la vendita; inoltre, l'etichetta viene apposta dal commerciante  			per fornire informazioni all'acquirente finale, mentre la  			documentazione ha riferimento al rapporto con l'autorità pubblica da  			parte dei soggetti produttori e commercianti. Estendere  			all'etichettatura le previsioni normative relative alla  			documentazione costituisce forma di analogia in malam partem, non  			consentita in sede penale.
 Con terzo motivo lamenta violazione dell'art. 42 c.p. per avere il  			Tribunale, con inammissibile inversione dell'onere probatorio,  			censurato il fatto che l'imputato non abbia prodotto documentazione  			interna all'azienda che individui un diverso soggetto responsabile  			del controllo sulle etichette, mentre l'esistenza di una posizione  			comportante responsabilità penale è elemento che deve essere  			provato dall'accusa e che l'imputato ha efficacemente contrastato  			attraverso la testimonianza del Sig. Fortuna, dalla quale emerge  			che i direttori dei punti vendita non hanno alcuna competenza in  			ordine agli acquisti delle merci ed alle loro caratteristiche.  			Infine, il ricorrente chiede che in caso di conferma della decisione  			impugnata la Corte voglia revocare il beneficio della non menzione  			della condanna, comportando questo in concreto un regime  			pregiudizievole.
 OSSERVA
 Ritiene la Corte che il ricorso meriti accoglimento nella parte in  			cui evidenzia come la metodologia di redazione del codice CITIES  			esclude che sussistano la indeterminatezza delle indicazioni in esse  			contenute e la concreta offensività della condotta, anche sotto il  			profilo del mero pericolo.
 Correttamente il ricorrente evidenzia come il codice sia ripartito in  			aree distinte tra loro da una barra e come l'inserimento di una  			carattere in più' (la lettera "o" che va a comporre il termine  			"huso") non comporti in tale contesto la riduzione o compressione  			delle restanti parti del codice. Questa situazione di fatto non  			comporta, dunque, la perdita di alcuna delle informazioni che debbono  			essere presenti nella etichettatura; a ciò si aggiunga che nessuna  			possibilità di errore deriva per le autorità e per il consumatore  			dalla presenza per esteso della dizione "huso", identificativa della  			specie animale contenuta nella confezione, al posto della sigla "hus"  			che sarebbe prevista.
 Le considerazioni che precedono impongono di qualificare da  			violazione come mera irregolarità che non offende il bene protetto  			neppure sotto il profilo del mero pericolo di inganno o di difetto di  			informazione (per analogo principio si rinvia alla sentenza di questa  			Sezione, n.845 del 1998, Marcoz, rv 212305), con la conseguenza che  			il fatto di reato deve ritenersi in concreto non sussistente in  			concreto.
 Per le considerazioni che precedono, la sentenza deve essere  			annullata senza rinvio.
 P.Q.M.
 Annulla senza rinvio al sentenza impugnata perché il fatto non  			sussiste.
 Così deciso in Roma, il 3 marzo 2010.
 Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2010
                    



