Cass. Sez. III n. 36377 del 9 settembre 2015 (Cc 3 lug 2015)
Pres. Squassoni Est. Scarcella Ric. Casu
Caccia e animali.Contravvenzione di cui all'art. 727, comma secondo, cod. pen.

Riguardo alla configurabilità della contravvenzione di cui all'art. 727, comma secondo, cod. pen., va precisato  che la norma sanziona non la semplice detenzione degli animali in condizioni incompatibili con la loro natura, ma richiede anche che le stesse siano produttive di gravi sofferenze

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa in data 7/01/2015, depositata in data 12/01/2015, il tribunale del riesame di SASSARI ha annullato il decreto di sequestro preventivo disposto dal GIP del medesimo tribunale in data 10/12/2014 avente ad oggetto il canile "(OMISSIS)", procedendosi nei confronti dell'indagato per i reati di cui all'art. 727 c.p., comma 2 e art. 356 c.p..

2. Ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di SASSARI, impugnando la ordinanza predetta con cui deduce quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..

2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), sotto il profilo della violazione dell'art. 727 c.p., comma 2 e difetto di motivazione quanto alla sussistenza del fumus.

In sintesi, la censura investe l'impugnata ordinanza in quanto il P.M. ricorrente - dopo aver premesso che l'art. 727 c.p., comma 2, non prevede la sussistenza del dolo e che la detenzione di animali in condizioni incompatibili con la natura degli stessi è stata intesa dalla giurisprudenza nel senso che le condizioni in cui gli stessi sono tenuti devono provocare uno stato di "grave sofferenza" - elenca i sopralluoghi eseguiti dalla PG ( (OMISSIS)) che davano conto dell'esistenza di gravi irregolarità nella gestione del canile; analogamente, ciò sarebbe avvenuto nel corso del sopralluogo del (OMISSIS) (in cui si attestava che agli animali non era concessa la "sgambatura" nelle apposite aree per un periodo di tempo sufficiente; che non vi era reparto di isolamento per gli animali di nuova introduzione; che la rete metallica era logora; che la parte interna dei box era scarsamente pulita e vi era presenza di alghe negli abbeveratoi); la carenza di importanti aspetti strutturali e gestionali del canile, con grave carenza dello stato sanitario e di benessere degli animali ospitati, poi, risulterebbe confermata anche da ulteriori sopralluoghi (10/07 e 11/10/2013); il P.M. ricorrente si sofferma, quindi, a svolgere alcune valutazioni in fatti su quanto accertato in data 5/02/2013 e 10/07/2013, osservando che erano giorni di martedì e mercoledì, e che, quindi, non si trattava di giorni successivi a quelli di riposo del personale addetto; analoghe valutazioni fattuali vengono svolte in relazione al sopralluogo del (OMISSIS) all'atto del sequestro preventivo (si osserva che il numero dei cani sarebbe stato in aumento; che le aree destinate allo sgambamento risultavano di insufficiente estensione;

che i cani usufruivano di poco spazio, rappresentato dal piccolo box in cui vivono; che le riprese fotografiche confermavano la presenza di urine e feci e lo stesso veterinario USL aveva concluso che gli animali si trovavano in una "situazione di benessere molto carente"); da tutto ciò, quindi, poteva ragionevolmente presumersi l'esistenza del fumus, contrariamente a quanto affermato dal tribunale del riesame.

2.2. Deduce, con il secondo ed il terzo motivo - che, attesa l'omogeneità dei profili di doglianza svolti, meritano una congiunta illustrazione -, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b), sotto il profilo della violazione ed erronea interpretazione della D.P.G.R. n. 1 del 1999, art. 3, comma 7, lett. b), comma 5, lett. b) e comma 15, lett. a), n. 3, sui requisiti delle strutture di ricovero (caratteristiche costruttive dei canili/gattili) nonchè dell'art. 11 della predetta D.P.G.R. sul dimensionamento delle strutture di accoglienza. In sintesi, la censura investe l'impugnata ordinanza in quanto il P.M. ricorrente rileva che, al momento del sequestro in data 22/12/2014, il numero dei cani ospitati era superiore a 365, condizione di evidente sovraffollamento; il tribunale del riesame avrebbe errato, anzitutto, nell'interpretare del D.P.G.R. n. 1 del 1999, art. 11, che fissa il dimensionamento delle strutture di accoglienza, in quanto la norma prevede che ogni canile "deve" (e non "dovrebbe", come ritenuto dal tribunale del riesame) comprendere 150/250 posti cane, sicchè deve escludersi che il limite di 250 cani/struttura sia indicativo o programmatico in quanto si tratta di limite massimo; quanto, poi, all'erronea interpretazione dell'art. 3 della predetta D.P.G.R., il tribunale avrebbe errato nel sostenere, in base a quanto affermato dal responsabile sanitario del canile, che la presenza di un reparto di isolamento non sarebbe necessaria in un canile rifugio; diversamente, si sostiene, le disposizioni dettate dall'art. 3 D.P.G.R. citato sono chiare nel prevederne la necessità e che detto reparto manchi sarebbe confermato da plurimi elementi (esiti delle ispezioni del (OMISSIS) nonchè sopralluogo del (OMISSIS)); ne discenderebbe, in conclusione, che sarebbe "evidente" (ma su ciò vi sarebbe un'omessa motivazione del tribunale) il rischio di trasmissione di malattie infettive, connesso sia all'elevato numero di cani sia al fatto che i cani prelevati dalla strada dopo la cattura, pur potenzialmente portatori di malattie infettive, verrebbero introdotti nella struttura rifugio in difetto del preventivo periodo di osservazione sanitaria e profilassi della rabbia presso il canile sanitario, in violazione delle regole previste dalla legge statale e regionale.

2.3. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), sotto il profilo della inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 356 c.p. e difetto di motivazione quanto alla sussistenza del fumus. In sintesi, la censura investe l'impugnata ordinanza in quanto, sostiene il P.M. ricorrente, il tribunale del riesame ha escluso la configurabilità del reato di cui all'art. 356 c.p., valorizzando quanto affermato, tra l'altro, dai dirigenti dei vari Comuni convenzionati; secondo il P.M., invece, da un lato, il dolo del reato è generico e, dall'altro, le attestazioni dei predetti dirigenti non sarebbero dirimenti, in quanto il reato si realizza in ogni caso in cui è stato violato il principio della buona fede nel contratto; la ripetuta violazione degli obblighi indicati, dunque, integrerebbe la fattispecie penale in esame.

3. Con memoria depositata presso la Cancelleria di questa Corte in data 19/06/2015, la difesa dell'indagato ha chiesto dichiararsi inammissibile e/o rigettarsi il ricorso del P.M..


CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è manifestamente infondato.

5. Ed invero, il tribunale del riesame: a) esclude la configurabilità del fumus del reato di cui all'art. 727 c.p., sia attraverso l'interpretazione del D.P.G.R. n. 1 del 1999, art. 11, oggetto di contestazione da parte del P.M. circa il numero dei cani "ospitabili" sia, soprattutto, valorizzando elementi di cui il P.M. ricorrente non ha fatto menzione nel ricorso, quali la concessione rilasciata dalla P.A. per la gestione del canile che può ospitare fino a 500 cani (donde del tutto in regola si presentava il canile al momento del sequestro essendovi ospitati 343 cani) nonchè ritenendo errata la valutazione della polizia giudiziaria circa lo spazio riservato ai cani con riferimento alle dimensioni dei box, avendo separato la zona notte dalla zona giorno; b) svolge, poi, una serie di considerazioni circa la necessità o meno di un reparto di isolamento nonchè circa la pulizia regolare dei box, la confutazione delle contrarie risultanze dell'ispezione eseguita nel 2013 (dovuta al fatto che la giornata precedente era una domenica) nonchè in ordine all'asserita mancanza di cibo ed acqua, concludendo, quindi, che le accuse attinenti a violazioni presunti di legge riverberanti i loro effetti sul benessere dei cani non sussistevano; c) sulla configurabilità del delitto di cui all'art. 356 c.p., infine, i giudici del riesame motivano richiamando le dichiarazioni dei dirigenti dei Comuni convenzionati con la struttura, i quali avevano confermato che mai i responsabili del canile si erano resi inadempienti agi obblighi contrattuali.

6. A fonte di tale articolato percorso argomentativo, il P.M. ricorrente oppone invece censure quasi integralmente fattuali, richiamando, al fine di contestare le argomentazioni del tribunale del riesame, elementi che impongono valutazioni di merito (come, ad esempio, in relazione al secondo e terzo motivo di ricorso, quando contesta la giustificazione del tribunale relativamente ai giorni in cui erano avvenute le ispezioni ricadenti infrasettimanalmente, ciò che avrebbe smentito le argomentazioni dei giudici del riesame circa il grado di pulizia del canile o, ancora, quando si ipotizza, sulla base di valutazioni meramente probabilistiche, sganciate da qualsiasi elemento oggettivo, che il mancato rispetto delle dimensioni della struttura di ricovero per la presunta violazione del D.P.G.R. n. 1 del 1999, artt. 3 ed 11, comporterebbe il rischio di trasmissione di malattie infettive, laddove, si noti, non risulta dall'ordinanza impugnata nè tantomeno dal ricorso che siano stati riscontrati episodi in tal senso).

6.1. Quanto, poi, in relazione al primo motivo di ricorso, alla configurabilità della contravvenzione di cui all'art. 727 c.p., comma 2, va qui precisato che la norma sanziona non la semplice detenzione degli animali in condizioni incompatibili con la loro natura, ma richiede anche che le stesse siano produttive di gravi sofferenze; dagli atti valutabili ed in possesso di questa Corte e, in particolare dallo stesso ricorso, emerge che gli animali si trovavano, al più, in uno stato "di benessere molto carente" (come attestato dal veterinario USL), concetto profondamente diverso che non va confuso con le "gravi sofferenze" di cui parla la norma in esame, ditalchè infondato appare il sillogismo del ragionamento dei P.M. secondo cui dalle carenze gestionali del canile sarebbe derivato uno stato di detenzione incompatibile con gravi insofferenze, affermazione, peraltro, fondata su valutazioni di tipo soggettivo ("lasciano ragionevolmente presumere", si legge a pag. 6 del ricorso) e non di tipo oggettivo, non risultando svolta alcuna valutazione circa l'evidenza di tali "gravi sofferenze" su nessuno dei 343 animali ospitati, tanto più che lo stesso tribunale del riesame evidenzia come non potesse neppure parlarsi di sovraffollamento, essendo la struttura autorizzata ad ospitare 500 cani.

Questa Corte, del resto, ha più volte, anche di recente, affermato che in tema di maltrattamento di animali, il reato permanente di cui all'art. 727 c.p., è integrato dalla detenzione degli animali con modalità tali da arrecare gravi sofferenze, incompatibili con la loro natura, avuto riguardo, per le specie più note (quali, ad esempio, gli animali domestici), al patrimonio di comune esperienza e conoscenza e, per le altre, alle acquisizioni delle scienze naturali (Sez. 3, n. 37859 del 04/06/2014 - dep. 16/09/2014, Rainoldi e altro, Rv. 260184, principio affermato in relazione a fattispecie in cui la Corte ha ritenuto legittimo il sequestro preventivo di un canile in cui gli animali erano ospitati in misura superiore ai limiti consentiti dalla legislazione regionale, circostanza non ravvisabile nel caso in esame, visto che il limite dei 500 era ben lungi dall'essere superato, ospitando al momento del sequestro la struttura 343 animali).

6.2. Quanto, infine, al quarto motivo di ricorso, relativo alla configurabilità del delitto di cui all'art. 356 c.p., la censura svolta dal P.M. ricorrente appare puramente contestativa, avendo affermato il tribunale del riesame l'insussistenza del fumus di tale reato in base alle dichiarazioni dei dirigenti dei Comuni convenzionati con il canile.

Del resto, si osserva, il mero inadempimento contrattuale non sarebbe nemmeno sufficiente ad integrare il reato, richiedendo la norma incriminatrice un "quid pluris" che va individuato nella malafede contrattuale, ossia nella presenza di un espediente malizioso o di un inganno, tali da far apparire l'esecuzione del contratto conforme agli obblighi assunti (Sez. 6, n. 5317 del 10/01/2011 - dep. 11/02/2011, Incatasciato, Rv. 249448), situazione di fatto che il tribunale ha sostanzialmente escluso non avendo, del resto, fornito adeguati elementi in senso contrario il P.M. ricorrente. Non risultano, peraltro, contestati specifici vizi od inadempienze (Sez. 6, n. 38346 del 15/05/2014 - dep. 18/09/2014, Moroni, Rv. 260269), anzi escluse dai dirigenti sentiti.

7. Il ricorso del P.M. dev'essere, conclusivamente, dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso del P.M.
Così deciso in Roma, nella Suprema Corte di Cassazione, il 3 luglio 2015.