Cass. Sez. III n. 13761 del 4 aprile 2007 (Ud. 6 mar. 2007)
Pres. Lupo Est. Lombardi Ric. Scorrano
Urbanistica. Interventi di nuova costruzione (finalità della definizione)

L'art. 3 del DPR 380/2001, attualmente vigente, nel riprodurre le definizioni di cui all'art. 31 della L. n. 45778, con riferimento alle tipologie di interventi edilizi, ha, nel punto 3 del primo comma, specificato quali interventi, diversi da quelli elencati in precedenza, devono qualificarsi di nuova costruzione e, pertanto, subordinati al rilascio del permesso di costruire, ai sensi del successivo art. 10, comma 1 lett. a), del DPR. Tale disposto riproduce, quindi, la categoria generale degli interventi di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio, già prevista dall'art. 1 della L. n. 10/77, e successivamente specifica quali interventi sono, comunque, da considerarsi tali.
Non appare dubbio che la successiva specificazione degli interventi di nuova costruzione non ha affatto valore aggiuntivo rispetto alla previsione generale, avente carattere onnicomprensivo, con la quale si subordina al rilascio del permesso di costruire e precedentemente della concessione l'attività di trasformazione edilizia del territorio. Peraltro proprio sulla base della previsione di carattere generale già vigente, gli interventi meglio specificati nei vari numeri della lettera e) dell'art. 3 rientravano nella previsione della fattispecie sanzionata penalmente, secondo il consolidato indirizzo interpretativo in materia di questa Suprema Corte. Nella specie, pertanto, si è in presenza di una normativa avente carattere specificatorio di quanto già precedentemente previsto dalla normativa abrogata, con la conseguenza non vi è stato alcun ampliamento della fattispecie penale. Si tratta,infatti, della tipizzazione di condotte che, secondo il consolidato indirizzo interpretativo della giurisprudenza di legittimità, già si ritenevano comprese nella fattispecie della esecuzione di interventi di trasformazione edilizia del territorio.

Udienza Pubblica del 06/03/07
SENTENZA N.696
REG. GENERALE N. 4916/2006


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
 


composta dagli Ill.mi Signori:


Presidente Dott. Ernesto Lupo
Consigliere  "         Ciro Petti
                  "         Alfredo Maria Lombardi
                  "         Aldo Fiale
                  "         Margherita Marmo

ha pronunciato la seguente:


SENTENZA


Sul ricorso proposto dall'Avv. Anna Luigia Creti, difensore di fiducia di Scorrano Giuseppe, n. a Miste il 21.3.1953, avverso la sentenza in data 11.11.2005 della Corte di Appello di Lecco, con la quale, a conferma di quella del Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Casarano, in data 22.6.2004, venne condannato alla pena di mesi uno di arresto ed € 20.000,00 di ammenda, quale colpevole del reato di cui agli art. 20 lett. c) della L. n. 47/85, 146, 151 e 163 del D. L.vo n. 490/99. Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso;


Udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Alfredo Maria Lombardi;
Udito il P.M., in persona del Sost. Procuratore Generale Dott. Vittorio Meloni, che ha concluso per il rigetto del ricorso;


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Lecce ha confermato la pronuncia di colpevolezza di Scorrano Giuseppe in ordine al reato di cui agli art. 20 lett. e) della L. n. 47/85, 146, 151 e 163 del D. L.vo n. 490/99, ascrittogli per avere realizzato, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico e di inedificabilità assoluta, un manufatto, costituito da due strutture prefabbricate, occupanti la superficie complessiva di 160 mq., adibite a bar ed annesso gazebo, senza concessione edilizia e senza l'autorizzazione dell'amministrazione preposta alla tutela del vincolo.

In punto di fatto si è accertato che l'imputato aveva installato i manufatti di cui alla contestazione in base ad un'autorizzazione provvisoria emessa dal Comune di Alliste, ma non li aveva poi rimossi alla scadenza del termine previsto dai provvedimenti autorizzatori e neppure a seguito della ingiunzione di sgombero e di rimessione in pristino dello stato dei luoghi emessa dall'ente locale.


La sentenza ha rigettato i motivi di gravame con i quali l'appellante aveva dedotto che il fatto di cui alla contestazione, sussunto dal giudice di primo grado nell'ipotesi di cui all'art. 3 del DPR n. 380/2001, non era previsto dalla legge come reato all'epoca in cui venne commesso, nonché la inesistenza dell'elemento psicologico della fattispecie contravvenzionale, per essere stata ingenerata nell'imputato la convinzione della liceità del comportamento tenuto dai provvedimenti autorizzatori emessi dalla pubblica amministrazione.


Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dello Scorrano, che la denuncia per violazione di legge e vizi della motivazione.


MOTIVI DELLA DECISIONE


Con il primo mezzo di annullamento il ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione dell'art. 2 c.p..


Premesso che la sentenza di primo grado aveva inquadrato il fatto ascritto all'imputato nell'ipotesi di cui agli art. 10 e 3 lett. el ) ed e5) del DPR n. 380/2001, il ricorrente ripropone la questione della inesistenza di continuità normativa tra la citata fattispecie prevista dal Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia e la legislazione precedente, vigente all'epoca della commissione del fatto.


Si deduce sul punto che il DPR n. 380/2001 non è meramente compilativo delle disposizioni in esso recepite, ma appartiene alla categoria dei testi unici innovativi, poiché, recependo gran parte delle norme contenute nella L. n. 47/85 e nelle altre disposizioni ad essa collegate, ha introdotto significative modificazioni e specificazioni.
In particolare, si osserva che il citato testo unico contiene una maggiore dilatazione nella individuazione dei casi in presenza dei quali occorre il permesso di costruire, analiticamente tipizzati, rispetto alle ipotesi soggette, in base alla normativa precedente, alla concessione edilizia. Queste ultime, connotate da evidente genericità, devono individuarsi nelle previsioni di cui agli art. 1 della L. n. 10/1977 e 31 della L. n. 457/78.


Si afferma, quindi, che le citate disposizioni del Testo Unico, integrando la norma che sanziona l'abuso edilizio, hanno ampliato e specificato i casi in cui è attualmente necessario il permesso di costruire, sicché nella successione delle disposizioni citate non può ravvisarsi un'ipotesi di abrogatio sine abolitio, avendo il Testo Unico arricchito la fattispecie costituente reato di nuovi elementi.


Con lo stesso motivo si aggiunge che, seppure dovesse ravvisarsi un'ipotesi di continuità normativa tra le fattispecie di reato previste dalle leggi succedutesi nel tempo, nel caso in esame, doveva applicarsi ai sensi dell'art. 2, comma 3, c.p. la normativa più favorevole, da ravvisarsi in quella vigente all'epoca del fatto.


Si deduce, quindi, che nella vigenza di tale normativa il Comune di Alliste aveva emesso tre autorizzazioni provvisorie in favore dello Scorrano e che, pertanto, il giudice penale non poteva disapplicare le predette autorizzazioni sulla base di quanto previsto dalla normativa urbanistico edilizia sopravvenuta, al fine di ritenere illecita la condotta dell'imputato, senza violare il disposto di cui al citato art. 2 c.p..


Con il secondo mezzo di annullamento si denuncia la sentenza per illogicità della motivazione.


Il ricorrente censura la motivazione con la quale la sentenza impugnata ha rigettato il motivo di gravame afferente alla dedotta esimente della buona fede nelle contravvenzioni, osservando che lo Scorrano aveva ottenuto dal Comune di Alliste vari provvedimenti autorizzatori per la installazione del bar-gazebo di cui alla contestazione, sicché doveva ritenersi che l'imputato aveva fatto legittimo affidamento nell'operato della pubblica amministrazione o, comunque, era incorso in errore in ordine alla portata dei predetti atti autorizzatori, mentre la sentenza impugnata ha illogicamente valorizzato le qualità personali dell'imputato per affermarne la colpevolezza.


Il ricorso non è fondato.


E' stato precisato da questa Suprema Corte, con riferimento ai criteri in base ai quali deve essere individuata la continuità normativa tra le norme penali succedutesi nel tempo, che 'In tema di successione di leggi penali, perchè sia applicabile la regola del terzo comma dell'art. 2 c.p., occorre che il fatto costituente reato secondo la legge precedente sia tuttora punibile secondo la nuova legge, mentre non sono più punibili i fatti commessi in precedenza e rimasti fuori del perimetro della nuova fattispecie. Tale situazione va verificata in base al criterio di coincidenza strutturale tra le fattispecie previste dalle leggi succedutesi nel tempo, senza che sia necessario, di regola, fare ricorso ai criteri valutativi del bene tutelato o delle modalità di offesa ...... Ne consegue che un fatto è punibile se, astrattamente considerato e sulla base dei criteri enunciati, rientra nell'ambito normativa di disposizioni che si sono succedute nel tempo e, quando ciò accade e nei limiti in cui accade, non opera l'effetto abolitivo della disposizione successiva." (sez, un. 200325887, Giordano ed altri, RV 224607).


Per affermare l'esistenza della continuità normativa, nel caso in esame, tra la fattispecie sanzionata penalmente dall'abrogato art. 20 della L. n. 47/85 e quella di cui all'art. 44 del DPR n. 380/2001 occorre, pertanto, raffrontare le predette ipotesi di reato con riferimento alla condotta posta in essere dall'imputato di cui alla contestazione e negli stessi termini accertata dai giudici di merito.


Orbene, sia l'art. 20 della L. n. 47/85 che l'art. 44 del DPR n. 380/2001 costituiscono norme penali parzialmente in bianco, poiché la previsione della fattispecie costituente reato da esse sanzionate deve essere integrata dalle disposizioni della legislazione urbanistica in materia di attività soggetta alla concessione edilizia ed attualmente al permesso di costruire, al fine di individuare la illiceità dell'attività edificatoria posta in essere.

In particolare nella vigenza dell'art. 20 della L. n. 47/85 la fattispecie contravvenzionale, al fine di individuare gli interventi edilizi illeciti, era integrata dalla previsione di cui all'art. 1 della L. n. 10/1977, ai sensi del cui disposto era subordinata a concessione "Ogni attività comportante la trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale".


Tale fattispecie era stata successivamente integrata dal disposto di cui all'art. 31 della L. n. 457/78, che aveva effettuato una più analitica definizione degli interventi edilizi, e con il successivo art. 48 della medesima legge aveva sottratto all'obbligo della concessione gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria.


Nella vigenza del citato art. 20 della L. n. 47/85 era stato poi precisato dal consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte che "Rientrano nella previsione delle norme urbanistiche e richiedono la concessione dell'autorità comunale non solo i manufatti tradizionalmente compresi nelle attività murarie, ma anche le opere di qualsiasi genere, nel suolo o sul suolo, senza che abbia rilevanza giuridica il mezzo tecnico con cui si sia assicurata la stabilità del manufatto (infissione o appoggio al suolo), in quanto la stabilità non va confusa con l'inamovibilità della struttura o con la perpetuità della finzione ad essa assegnata dal costruttore, ma si estrinseca nell'oggettiva destinazione dell'opera a soddisfare un bisogno non provvisorio, ossia nell'attitudine ad una destinazione che non abbia il carattere della precarietà, cioè non sia temporanea o contingente." (cfr. sez. III, 199405326, Alzetta, RV 197451 ed altre).
Ed ancora: "Una costruzione può definirsi precaria e, quindi, non soggetta a concessione edilizia, solo se viene realizzata per motivi di carattere contingente, a prescindere dal materiale adoperato e dalla più o meno facile rimovibilità, e cioè quando sia destinata oggettivamente ad uso temporaneo e limitato." (sez. III, 198711420, Albaione, RV 176966)


Non si palesa dubbio, pertanto, che in applicazione dell'art. 20 della L. n. 47/85 rientrava nella previsione della fattispecie sanzionata penalmente dalla norma la installazione, senza concessione edilizia, di manufatti prefabbricati destinati a soddisfare esigenze durature nel tempo. L'art. 3 del DPR n. 380/2001, attualmente vigente, nel riprodurre le definizioni di cui all'art. 31 della L. n. 457/78, con riferimento alle tipologie di interventi edilizi, ha, nel punto 3 del primo comma, specificato quali interventi, diversi da quelli elencati in precedenza, devono qualificarsi di nuova costruzione e, pertanto, subordinati al rilascio del permesso di costruire, ai sensi del successivo art. 10, comma I lett. a), del DPR.


Tale disposto riproduce, quindi, la categoria generale degli interventi di trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio, già prevista dall'art. 1 della L. n. 10/77, e successivamente specifica quali interventi sono, comunque, da considerarsi tali.


Orbene, non appare dubbio che la successiva specificazione degli interventi di nuova costruzione non ha affatto valore aggiuntivo rispetto alla previsione generale, avente carattere onnicomprensivo, con la quale si subordina al rilascio del permesso di costruire e precedentemente della concessione l'attività di trasformazione edilizia del territorio.

Peraltro, proprio sulla base della previsione di carattere generale già vigente, gli interventi meglio specificati nei vari numeri della lettera e) dell'art. 3 rientravano nella previsione della fattispecie sanzionata penalmente, secondo il consolidato indirizzo interpretativo in materia di questa Suprema Corte.


Nella specie, pertanto, si è in presenza di una normativa avente carattere specificatorio di quanto già precedentemente previsto dalla normativa abrogata, con la conseguenza non vi è stato alcun ampliamento della fattispecie penale.


Si tratta, infatti, della tipizzazione di condotte che, secondo il consolidato indirizzo interpretativo della giurisprudenza di legittimità, già si ritenevano comprese nella fattispecie della esecuzione di interventi di trasformazione edilizia del territorio.


Il problema della continuità normativa potrebbe porsi, pertanto, solo con riferimento ad eventuali ipotesi di cui all'art. 3, primo comma lett. e), del DPR n. 380/2001, che, secondo l'interpretazione giurisprudenziale, non potevano essere inquadrate tra le attività di trasformazione edilizia del territorio o in ordine alle quali non vi era stata interpretazione univoca.


Tale non è certamente l'ipotesi della installazione di manufatti prefabbricati, di cui alla lett. e5), in relazione ai quali la giurisprudenza dì questa Suprema Corte sopra riportata si palesa assolutamente consolidata nell'affermare che tale attività rientra tra quelle di trasformazione urbanistica del territorio allorché risulti diretta a soddisfare esigenze durature nel tempo, cosi come puntualmente specificato dalla norma attualmente vigente.


Sicché si palesa evidente che sussiste piena continuità normativa tra la previsione di cui all'art. 44 del DPR n. 380/2001 e quella dell'art 20 della L. n. 47/85, con riferimento, nel caso in esame, alla individuazione dell'attività edilizia subordinata a concessione o permesso di costruire la cui carenza è prevista come reato dalle citate disposizioni succedutesi nel tempo.


E' altresì infondata la censura del ricorrente con la quale si denuncia la disapplicazione da parte del giudice di merito delle autorizzazioni rilasciate allo Scorrano dall'ente locale.


invero, la sentenza impugnata non ha affatto proceduto a detta disapplicazione, ma solo affermato la inidoneità dei provvedimenti emessi dall'ente locale a legittimare l'attività edificatoria posta in essere dall'imputato, essendo all'uopo necessaria la concessione edilizia.


Anche il secondo motivo di ricorso è infondato.


La sentenza ha rigettato l'appello dell'imputato con riferimento all'asserita esimente dello affidamento sui provvedimenti della pubblica amministrazione sulla base di una motivazione esaustiva ed immune da vizi logici.


E' stato, infatti evidenziato sul punto dai giudici di merito non solo che la normativa urbanistica e paesaggistica, dì portata generale, doveva essere comunque nota ad un operatore del settore turistico-recettivo, ma altresì che la volontà dell'imputato di adibire i manufatti di cui alla contestazione ad un uso destinato a protrarsi nel tempo, in violazione degli stessi provvedimenti autorizzatori, è dimostrato dalla successiva inottemperanza all'ingiunzione di rimuoverli.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.


Ai sensi dell'art. 616 c.p.p. al rigetto dell'impugnazione segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma nella pubblica udienza del 6.3.2007.


DEPOSITATA IN CANCELLERIA il 4/4/2007