Cass. Sez. III n. 6584 del 13 febbraio 2017 (Ud 23 nov 2016)
Presidente: Amoresano Estensore: Di Nicola Imputato: Zanetti
Caccia e animali.Tassidermia e sanzioni applicabili

L'art. 30, comma secondo, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 stabilisce che in materia di imbalsamazione e tassidermia si applicano le medesime sanzioni comminate per l'abbattimento degli animali le cui spoglie sono oggetto del descritto trattamento, con la conseguenza che, trattandosi di norma di carattere generale, essa si applica a tutti i detentori di spoglie impagliate o imbalsamate di animali appartenenti a specie protette. Si tratta di un orientamento che trova solido conforto interpretativo nell'articolo 6, terzo comma, della legge n. 157 del 1992 che per i tassidermisti, oltre alle sanzioni previste per chi detiene illecitamente esemplari di specie protette (ribadendosi così che è illecito per tutti detenere esemplari imbalsamati di specie protette), prevede anche l'obbligo di segnalare alla autorità competente le richieste di impagliare o imbalsamare spoglie di specie protette pena la revoca della autorizzazione a svolgere la attività di tassidermista.


RITENUTO IN FATTO

1. Daniele Zanetti ricorre per cassazione impugnando la sentenza indicata in epigrafe con la quale il tribunale di Udine lo ha condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di euro 200,00 di ammenda per il reato di cui agli articoli 11, comma 3, e 30, commi 1 e 8, della legge n. 394 del 1991, così riqualificato il fatto originariamente contestato, e alla pena di euro 1.200,00 di ammenda per il reato di cui all'art.30, comma 2, legge 157 del 1992.
Al ricorrente erano state originariamente contestate le condotte previste e punite dall'art. 30 lettere a), b), d), h), i) della legge 11 febbraio 1992, n.157, per aver condotto la propria autovettura marca "Fiat", modello "Punto", con a bordo attrezzatura da caccia, nell'ambito dell'Area protetta del Parco naturale regionale delle Prealpi Giulie, al cui interno vige il divieto dì caccia e di introduzione di armi da sparo e per aver detenuto, come accertato a seguito di perquisizione domiciliare presso l'abitazione di residenza, esemplari imbalsamati di avifauna selvatica particolarmente protetta.

2. Per l'annullamento dell'impugnata sentenza il ricorrente solleva quattro motivi di impugnazione, qui enunciati ai sensi dell'articolo 173 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale (articolo 606, comma 1, lettere b) ed e), del codice di procedura penale in relazione all'articolo 192 stesso codice e all'articolo 621 del codice di procedura penale civile) nella parte in cui la sentenza impugnata ha illogicamente attributo all'imputato la detenzione delle spoglie degli animali imbalsamati rinvenuti nella sua abitazione di residenza,
Assume che, nel corso del procedimento, la difesa aveva sostenuto che la detenzione degli animali impagliati, oltre a non configurare alcun illecito penale, non poteva essere attribuita al sig. Daniele Zanetti bensì al padre Sergio.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale (articolo 606, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale in relazione agli articoli 6, comma 3, e 30, comma 2, della legge 157 del 1992 e degli articoli 6, comma 8, e 7, comma 4, della Legge Regionale Friuli Venezia Giulia n.26 del 2002) nella parte in cui la sentenza impugnata non ha ritenuto applicabile il principio di specialità e quindi la prevalenza della sanzione amministrativa rispetto all'illecito penale in ordine alla detenzione delle spoglie di animali imbalsamati.
Sostiene che l'art.7, comma 4, della L.R. Friuli Venezia Giulia n.26 del 2002 stabilisce che "le sanzioni amministrative pecuniarie ... si applicano anche nei confronti di coloro che detengono esemplari imbalsamati senza l'osservanza delle disposizioni previste dalla presente legge" ... ovvero a chi viola il divieto di "detenzione di soggetti non provenienti da attività di tassidermia autorizzata" (articolo 6, comma, 8), con la conseguenza che il problema del concorso apparente avrebbe richiesto la verifica, nella specie inadempiuta, dell'esistenza di un'area comune, tra le condotte descritte nelle norme concorrenti.
Nel caso esaminato, la verifica, diretta ad accertare se una delle condotte descritte dalla norma penale articolo 6, comma 3, e 30, comma 2, della legge 394 del 1991 fosse sovrapponibile alla condotta di chi detiene "soggetti non provenienti da attività di tassidermia autorizzata" avrebbe dovuto condurre a sostenere che tra le condotte descritte dalle suindicate disposizioni sussiste una corrispondenza e sovrapposizione tra i fatti descritti, con conseguente applicazione del principio di specialità posto che la violazione amministrativa, sarebbe speciale e, ratione temporis, successiva a quella asseritamente costituente (nella prospettazione del Tribunale di Udine) reato.

2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale (articolo 606, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale in relazione agli articoli 6, comma 3, e 30, comma 2, della legge 157 del 1992) in ordine all'ipotesi di detenzione degli animali impagliati sul rilievo che l'originaria contestazione rimproverava al ricorrente di aver detenuto, come accertato a seguito di perquisizione domiciliare, presso l'abitazione esemplari imbalsamati di avifauna selvatica particolarmente protetta.
Osserva inoltre che, anche sotto tale profilo, la decisione non sarebbe condivisibile poiché la detenzione di spoglie di animali tassidermizzati non costituisce reato per la semplice ragione che il concetto di detenzione, evocato dalla norma, si riferisce all'animale vivo.

2.4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale e processuale nonché vizio di motivazione (articolo 606, comma 1, lettere b), c) ed e) del codice di procedura penale), laddove ha ritenuto di qualificare l'originaria e più articolata imputazione in quella di cui agli articoli 11, comma 3, e 30, commi 1 e 8, della L.394 del 1991 senza preoccuparsi della precisa corrispondenza fra il fatto e la norma, così incorrendo nella violazione del principio di correlazione fra imputazione e sentenza in quanto l'esercizio dell'attività difensiva sarebbe stato menomato essendosi dovuto l'imputato confrontare con la contestazione di un fatto diverso da quello per cui è stato, infine, giudicato.
La sentenza sarebbe inoltre viziata per non esser stata raggiunta la prova della presenza del ricorrente all'interno dell'area protetta, né che la stessa fosse effettivamente tabellata e riconoscibile come imposto dall'articolo 10 della legge 157 del 1992.
In materia di perimetrazione delle aree protette, infatti, le regole di giudizio adottate nella sentenza impugnata sarebbero valide solo per i parchi nazionali, così come statuito dalla legge n. 394 del 1991 che sono delimitati con appositi provvedimenti, completi di tutte le indicazioni tecniche e topografiche necessarie per l'individuazione, la cui conoscenza è assicurata dalla loro pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica.
Questa regola, però, anche per la sua natura di norma eccezionale e derogatoria, non può applicarsi, in mancanza di specifiche disposizioni normative, a fattispecie diverse, ossia ad aree che non rientrano tra i "parchi nazionali" ex lege n. 394 del 1991. Per quel che concerne i parchi regionali, infatti, è competenza della potestà legislativa regionale dettare le norme che stabiliscano competenze, procedure, presupposti e requisiti per l'istituzione di parchi, riserve o oasi di protezione e rifugio. Da ciò si deduce che ogni singola regione, nell'istituire un parco regionale, può statuire liberamente che la perimetrazione dello stesso debba avvenire con le stesse regole derogatorie previste per i parchi nazionali o invece ritenere necessarie le tabelle in ossequio al disposto di cui all'art. 10 della legge 157 del 1992.
Nel caso di specie non solo non vi è la prova che lo Zanetti fosse all'interno del parco regionale ma mancherebbe addirittura la prova dell'esistenza della tabellazione, prova non raggiunta relativamente al parco e comunque non contestata nel capo d'imputazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è parzialmente fondato nei limiti e sulla base delle considerazioni che seguono.

2. Il primo motivo è inammissibile perché manifestamente infondato e non consentito.

2.1. Quanto al reato di detenzione di uccelli impagliati, previsto dall'articolo 6 della legge 157 del 1992 e punito dall'articolo 30, comma 2, stessa legge, il Tribunale ha ritenuto raggiunta la prova dell'appartenenza degli uccelli in questione al ricorrente sulla base di un accertamento di fatto che, in quanto adeguatamente e logicamente motivato, si sottrae al controllo di legittimità.
Il Tribunale ha, infatti, stabilito che la condotta di detenzione fosse attribuibile senza dubbio al ricorrente perché costui risiedeva e aveva la disponibilità di fatto dell'abitazione, nella quale erano stati ritrovati gli animali, e perché lui stesso condusse gli operanti in quella casa.
Né la detenzione degli uccelli imbalsamati poteva attribuirsi al padre, il quale, al momento della perquisizione, era risultato presente in altra abitazione, in Prato di Resia, la cui effettiva residenza in tale ultimo luogo (e non anche nell'abitazione in cui fu eseguito il sequestro delle spoglie impagliate di uccelli) si deduceva anche sulla base di documenti prodotti dalla difesa e relativi ad una denuncia di detenzione di armi, nella quale si indicava, come luogo di custodia delle stesse, l'abitazione di Prato di Resia, tanto che sempre in questo luogo il padre del ricorrente (coimputato con il ricorrente stesso nel medesimo procedimento e poi assolto) risultava aver personalmente ricevuto la notifica della copia della denuncia.
Ne consegue che motivatamente il tribunale ha disatteso le contrarie deposizioni della madre e della sorella del ricorrente, contraddette da consistenti prove contrarie, con la conseguenza che i rilievi mossi dall'imputato, oltre a non confrontarsi con tutti gli elementi posti a fondamento della decisione, sollevano censure tipicamente fattuali, precluse nel giudizio di cassazione riservato all'esame delle censure di legittimità e non di merito.

2.2. Il secondo motivo è parimenti inammissibile per manifesta infondatezza, essendo profondamente errato l'assunto dal quale il ricorrente muove.
Infatti, con specifico riferimento ai rapporti tra sanzione penale e sanzione amministrativa regionale, trova applicazione la norma dell'articolo 9, comma 2, della legge 24 novembre 1981, n. 689, secondo la quale "quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione regionale o della Provincia autonoma di Trento o di Bolzano che prevede una sanzione amministrativa, si applica in ogni caso la disposizione penale, salvo che quest'ultima sia applicabile solo in mancanza di altre disposizioni penali".
La giurisprudenza della Corte costituzionale (ex multis, Corte cost., sent. n. 309 del 1990) è ferma nel ritenere che la fonte del potere punitivo risiede solo nella legislazione statale e le Regioni, anche nelle materie di loro competenza, non hanno la possibilità di comminare, rimuovere o variare con proprie leggi le pene previste nelle medesime materie dalla legislazione nazionale; non possono cioè interferire negativamente con il sistema penale statale considerando pienamente lecita un'attività che, invece, è penalmente sanzionata nell'ordinamento dello Stato e neppure possono sostituire, in ordine ad un medesimo fatto, la sanzione penale, prevista dalla legge dello Stato e quindi valida ed efficace in tutto il territorio nazionale, con una sanzione amministrativa, valida ed efficace esclusivamente all'interno del territorio regionale.
Perciò, contrariamente all'assunto del ricorrente, l'articolo 9, comma 2, della legge n. 689 del 1981 si pone in parziale deroga al principio contenuto nel comma 1 che, nel disciplinare le ipotesi di concorso apparente di norme penali e norme sanzionatorie amministrative (statali), ricorre al criterio infrasistematico della "specialità", stabilito dall'articolo 15 del codice penale.
Detto principio è dunque inapplicabile nei casi di concorso tra norma penale statale ed illecito amministrativo regionale, tanto che, sebbene la questione non risulta essere stata sottoposta a scrutinio di costituzionalità, la disposizione dell'articolo 9, comma 2, della legge n. 689 del 1981 è stata ritenuta incompatibile con la Costituzione se interpretata nel senso che consentirebbe di paralizzare l'operatività della norma penale statale "sussidiaria" (il riferimento è all'inciso contenuto nel'articolo 9, comma 2, "salvo che quest'ultima sia applicabile solo in mancanza di altre disposizioni penali") quando la situazione di fatto sia disciplinata anche da una fattispecie sanzionatoria amministrativa regionale: in tal modo, si verificherebbe una depenalizzazione territorialmente circoscritta ad opera della norma amministrativa regionale, ferma restando l'applicabilità della norma penale residuale nel restante territorio nazionale, per cui è apparso chiaro il contrasto con il principio costituzionale che preclude alle Regioni la possibilità di rendere inoperanti, nel proprio territorio, norme penali statali, con la conseguenza che, allo scopo di evitare il rischio di incostituzionalità della norma, è stata proposta, non senza una forzatura semantica, una diversa lettura, secondo la quale il comma 2 dell'articolo 9 della legge n. 689 del 1981 6 ripristinerebbe, invece di risolvere un caso di concorso apparente di norme, il principio del cumulo materiale delle sanzioni, soluzione tuttavia che presterebbe il fianco a controindicazioni derivanti dall'interpretazione delle fonti convenzionali (Corte EDU, 4 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia), per cui sarebbe preferibile l'approdo cui è già giunta la giurisprudenza di legittimità quando ha chiarito che, qualora una legge regionale preveda una sanzione amministrativa, è applicabile, nel concorso tra sanzione penale ed amministrativa, soltanto quella penale, come stabilito dall'art. 9, comma 2, della legge 24 novembre 1981, n. 689, mentre trova attuazione esclusivamente la pena predisposta dalla legislazione regionale, quando i divieti da essa previsti coprano condotte non tipizzate dalla fattispecie penale (e, quindi, quando i limiti fissati dalla legge regionale siano più restrittivi di quelli statali) perché, in tal caso, la sanzione criminale non può essere irrogata a soggetti che abbiano rispettato il precetto statale (Sez. 3, n. 9400 del 12/05/1992, Sgaggero, Rv. 191922, opzione sostanzialmente convalidata da Sez. U, n. 1766 del 12/02/1993, Tognetti, Rv. 192492).
Fermo restando che nell'ipotesi di diversità di fatti regolati rispettivamente dalla legge statale e da quella regionale nonché nell'ipotesi di rapporto di specialità bilaterale tra norma regionale prevedente sanzioni amministrative e norma penale statale, devono trovare applicazione entrambe le norme, deriva da tutto ciò, anche a voler assecondare l'assunto del ricorrente secondo il quale vi sarebbe una sovrapposizione tra fatto storico sussunto nella norma penale e fatto storico regolato dall'illecito amministrativo regionale, l'applicazione della sola norma penale, come ha correttamente statuito il tribunale, quantunque la questione non gli sia stata neppure sottoposta.

2.3. Il terzo motivo è infondato.
Come emerge dal testo della sentenza impugnata, è stato accertato che il ricorrente illecitamente deteneva, nella sala da pranzo, tutti imbalsamati, i seguenti esemplari di avifauna selvatica particolarmente protetta : 2 esemplari di poiane, 2 di picchio rosso maggiore, 2 di verdone (carduelis chloris),1 esemplare di zigolo giallo (emberiza citrinella); nonché esemplari di fauna non cacciabile: 1 ciuffolotto,1 peppola, 2 fringuelli, 1 cinciallegra, 1 cincia bigia, 2 cinciarelle, 2 passeri domestici, 1 codirosso, 1 picchio muratore, 1 di faina.
Tali esemplari non erano corredati da alcuna documentazione autorizzativa della tassidermia e, pertanto, erano illegittimamente detenuti.
Sul punto, questa Sezione ha già affermato, come lo stesso ricorrente mostra di essere consapevole, che l'art. 30, comma secondo, della legge 11 7 febbraio 1992, n. 157 stabilisce che in materia di imbalsamazione e tassidermia si applicano le medesime sanzioni comminate per l'abbattimento degli animali le cui spoglie sono oggetto del descritto trattamento, con la conseguenza che, trattandosi di norma di carattere generale, essa si applica a tutti i detentori di spoglie impagliate o imbalsamate di animali appartenenti a specie protette (Sez. 3, n. 9490 del 03/02/2005, Bianchizza, Rv. 231220).
Si tratta di un orientamento che il Collegio condivide ed al quale occorre dare continuità perché trova solido conforto interpretativo nell'articolo 6, terzo comma, della legge n. 157 del 1992 che per i tassidermisti, oltre alle sanzioni previste per chi detiene illecitamente esemplari di specie protette (ribadendosi così che è illecito per tutti detenere esemplari imbalsamati di specie protette), prevede anche l'obbligo di segnalare alla autorità competente le richieste di impagliare o imbalsamare spoglie di specie protette pena la revoca della autorizzazione a svolgere la attività di tassidernnista.

2.4. Il quarto motivo è fondato non già sotto il profilo della denunciata violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza perché, come si evince dal tenore letterale dell'imputazione, il fatto (dell'essersi cioè introdotto con auto all'interno dell'Area protetta del Parco naturale regionale delle Prealpi Giulie, al cui interno vige il divieto dì caccia e di introduzione di armi da sparo) è stato espressamente contestato all'imputato che ha potuto così pienamente difendersi, ma sotto il profilo, decisivo ai fini della configurabilità o meno del reato di cui agli articoli 11, comma 3, e 30, commi 1 e 8, della legge n. 394 del 1991, della mancanza di motivazione circa la presenza di segnalazioni che, perimetrando l'area all'interno della quale non era possibile accedere, rendevano conoscibile il divieto, avendo questa Sezione affermato che i divieti di esercizio venatorio e di ingresso con armi in un'area protetta sita all'interno di un parco regionale sono efficaci ed opponibili ai privati a condizione che l'area sia perimetrata da apposita tabellazione che ne renda visibili i confini, atteso che la normativa in deroga, prevista dall'art. 10 della L. 6 dicembre 1991, n. 394 per i parchi nazionali, è inapplicabile ai parchi regionali ove la relativa legge istitutiva preveda un obbligo di tabellazione o perimetrazione dell'area (Sez. 3, n. 1989 del 10/12/2009, dep. 2010, Netti, Rv. 246012).
Invece, il Tribunale ha ritenuto la responsabilità del ricorrente per il semplice fatto che il Parco regionale in questione era stato istituito con L. Reg. Friuli Venezia Giulia n.42/1996, che il regolamento attuativo (n.42/99) prevedeva all'art.15 lett c) il divieto di introduzione di armi da caccia nel perimetro del Parco e che l'imputato, essendo conoscitore della zona nonché esperto cacciatore, avrebbe dovuto essere a conoscenza del divieto, infranto per non essersi arrestato all'alt intimatogli dalle forze di polizia.
Siffatto apparato argomentativo non è idoneo a ritenere infranto il divieto in mancanza di idonee segnalazioni che, perimetrando l'area con apposita tabellazione tale da renderne visibili i confini, rendessero il divieto stesso conoscibile.

3. A ciò dovrà porre riparo il giudice di rinvio al quale vanno trasmessi gli atti, previo annullamento della sentenza impugnata in parte qua, per nuovo esame sul punto, in conformità al principio di diritto in precedenza esposto e secondo il quale i divieti di esercizio venatorio e di ingresso con armi in un'area protetta sita all'interno di un parco regionale sono efficaci ed opponibili ai privati a condizione che l'area sia perimetrata da apposita tabellazione che ne renda visibili i confini (Sez. 3, n. 1989 del 10/12/2009, dep. 2010, Netti, Rv. 246012).
Il ricorso va pertanto rigettato nel resto.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all'articolo 11, comma 3, e articolo 30, commi 1 e 8, legge 394 del 1991 e rinvia al tribunale di Udine.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 23/11/2016