Consiglio di Stato Sez.III n. 4316 del 16 luglio 2018
Caccia e animali.Responsabilità per danni causati dalla fauna selvatica in assenza di recinzione del fondo

Per principio generale di diritto (cfr. art. 841 cod. civ.), la "chiusura del fondo" costituisce una mera facoltà del proprietario, il cui mancato esercizio non può dunque ridondare in un giudizio di responsabilità per condotta omissiva o inottemperante ad un obbligo di diligenza Né sussistono alternativa basi normative per fondare un obbligo di recinzione in capo al proprietario del fondo.
Se anche se ne dovesse ravvisare un fondamento normativo, resta comunque da considerare che un obbligo di condotta di tal genere andrebbe valutato secondo criteri di ordinaria diligenza e, quindi, di proporzionata e ragionevole esigibilità. In generale, infatti, deve escludersi la responsabilità per colpa allorquando sarebbe stato possibile evitare il fatto solo sopportando un sacrificio obiettivamente sproporzionato (segnalazione e massima Avv. M. BALLETTA)


Pubblicato il 16/07/2018

N. 04316/2018REG.PROV.COLL.

N. 01467/2016 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1467 del 2016, proposto da
Carlo Rocca, rappresentato e difeso dagli avvocati Gianluigi Villaschi, Paola Ramadori, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Paola Ramadori in Roma, via Marcello Prestinari, 13;

contro

Ambito Territoriale Caccia Varzi Oltrepò 5 (già Varzi Appennino 1), Axa Assicurazioni S.p.A (già l'Abeille Assicurazioni S.p.A) - non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Prima) n. 01566/2015, resa tra le parti, concernente risarcimento danni causati da incursioni di animali sui terreni dell'azienda agricola ricorrente.



Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 giugno 2018 il Cons. Giovanni Pescatore;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.



FATTO

1. Nel corso dell’anno 1998, il sig. Carlo Rocca conveniva in giudizio l'Ambito Territoriale di Caccia Varzi Oltrepò 5 (già Varzi Appennino 1) al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti a cagione dell'invasione di fauna selvatica sui terreni di sua proprietà nei quali, nell’anno 1997, aveva impiantato latifoglie pregiate, in attuazione del programma di rimboschimento di cui al Regolamento CEE 2080/92.

Per sua autonoma scelta imprenditoriale, del tutto compatibile con le prescrizioni del programma finanziato, il sig. Rocca aveva deciso di mettere a coltura, ai piedi di ciascuna di dette latifoglie, anche tre frutti noce pregermogliati. Precedenti due impianti erano stati realizzati nel 1995 e nel 1996 ed entrambi erano stati distrutti dalle incursioni degli animali selvatici.

Con riguardo all’anno 1997, l’invasione degli animali selvatici ha comportato l’asportazione completa dei frutti noce, mentre analogo danno non è stato riscontrato con riguardo alle latifoglie (pag. 1-3, 7 relaz. Sangalli).

2. Il giudizio instaurato avanti al Tribunale di Voghera si è inizialmente concluso con la condanna dell'ATC al risarcimento dei danni, liquidati in € 83.656,72, con obbligo di manleva da parte della compagnia assicuratrice AXA Assicurazioni, chiamata in causa dall'ATC, sino alla concorrenza di € 7.746,85; il Tribunale ha invece declinato la propria giurisdizione sulla domanda di condanna alla realizzazione di opere di contenimento, finalizzate a proteggere i fondi da future incursioni (sent. n. 50/2004).

3. Sul gravame interposto dall'ATC, la predetta decisione è stata annullata dalla Corte di appello di Milano per la mancata evocazione in giudizio delle Amministrazioni provinciale e regionale, con conseguente remissione al primo giudice ai fini dell’integrazione del contraddittorio (sent. n. 2357/2006).

4. Il procedimento, ritualmente riassunto, è stato nuovamente istruito da altro Giudice del Tribunale di Pavia e definito con una pronuncia che ha declinato la giurisdizione su tutte le domande in favore del giudice amministrativo (sent. n. 503/2013).

5. Nuovamente riassunta innanzi al Tar Lombardia-Milano, la causa, svoltasi nel contraddittorio con la Regione, la Provincia di Pavia, la ATC e la AXA Assicurazioni, è stata infine definita con una pronuncia di parziale accoglimento che:

- ha accertato l'intervenuta prescrizione decennale della domanda risarcitoria nei confronti della Regione Lombardia;

- ha accertato l'insussistenza della colpa in capo alla Provincia di Pavia;

- ha condannato l'ATG Varzi Oltrepò 5 al risarcimento del danno in favore del sig. Rocca nella misura di € 15.864,00;

- ha condannato il sig. Carlo Rocca alla refusione delle spese di lite in favore di AXA Assicurazioni nella misura di € 1.200,00 oltre accessori di legge in quanto dovuti;

- ha compensato le spese di lite nei confronti di tutte le rimanenti parti.

6. La sentenza n. 1566/2015 del TAR Lombardia, depositata in data 8 luglio 2015 e non notificata, è stata tempestivamente impugnata, con atto avviato alla notifica il 5 febbraio 2016, in relazione ai capi con i quali:

- ha ridotto, in via equitativa, l'ammontare del danno patito dal Sig. Rocca;

- ha condannato il ricorrente alla refusione delle spese di lite nei confronti di AXA Assicurazioni.

7. Nessuna delle parti intimate si è costituita nel presente grado di giudizio.

8. In assenza di istanze cautelari, la causa è stata discussa e posta in decisione all’udienza pubblica del 26 giugno 2018.

DIRITTO

1. La sentenza del TAR Milano viene censurata dalla parte appellante - per violazione e/o falsa applicazione dell'art. 1227 c.c., difetto di motivazione - nella parte in cui ha decurtato il valore complessivo dei danni patiti dal sig. Rocca rispetto a quanto stimato dai consulenti nel corso dei giudizi svoltisi innanzi ai Tribunale di Voghera e di Pavia.

1.1. Questi i passaggi motivazionali di interesse:

«Nella relazione del geometra Pietro Gramegna, consegnata al Tribunale di Voghera in data 19 dicembre 2011, è stato stimato un valore finale complessivo dei danni subiti dal sig. Rocca pari ad € 118.859,12 (importo attualizzato a quella data), di cui € 13.100,19 per danni diretti causati dai cinghiali (costi connessi al ripristino della situazione materiale esistente al momento dell'invasione) ed € 105.758,93 per il mancato reddito futuro. Ritiene il Collegio di potere ridurre in via equitativa del 50% la seconda voce di danno valorizzata dal consulente tecnico di ufficio, in quanto il lucro cessante è in parte soltanto sperato (facendo riferimento ad una maturazione dell'impianto di durata pari a 50 anni) e in parte ridimensionato dalla circostanza che il danno causato dall'invasione ha determinato solo un ritardo e non una definitiva compromissione della successiva monetizzazione dell'impianto, al termine del ciclo di crescita dei noci. Sulla somma così ottenuta (pari ad € 52.879,00, come arrotondata per difetto) occorre poi operare un'ulteriore decurtazione ai sensi dell'art. 1227, primo comma, del codice civile. Invero, il ricorrente ha concorso a cagionare il danno, poiché, in qualità di proprietario dei terreni su cui è avvenuta l'invasione dei cinghiali, ben avrebbe potuto e dovuto dotare di recinzioni tali terreni, a prescindere da eventuali accordi sul punto con l'Ambito territoriale, e specie dopo che già nei due anni precedenti si erano verificate le circostante dannose derivanti dallo stesso tipo di causa. Se è vero infatti che il sig. Rocca ha provato insistentemente ed inutilmente ad ottenere un contributo dall'ATC per installare le opportune recinzioni, è anche vero che l'inerzia colpevole dell'ente cui si era rivolto non avrebbe dovuto impedirgli un intervento diretto ai fini di protezione della sua proprietà, con eventuale, successiva, richiesta del ristoro di parte degli importi anticipati ai soggetti istituzionali a ciò competenti. Né il sig. Rocca ha in alcun modo allegato di non avere potuto procedere alla recinzione dei terreni in oggetto per cause a lui non imputabili. Occorre quindi corrispondentemente ridurre il risarcimento dovuto secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate, traducibili equitativamente dal Collegio in una diminuzione pari al 70% della somma già individuata quale ristoro del pregiudizio subito. L'Ambito territoriale caccia "Varzi-appennino 1" deve pertanto essere condannato a liquidare in favore del sig. Rocca l'importo totale di € 15.864,00 (somma arrotondata per eccesso) a titolo di risarcimento del danno» (p. 10 - 11 della sentenza appellata)

1.2. L’appellante ritiene ingiustificata la decurtazione del 50% del lucro cessante rispetto all’importo stimato dal CTU, in quanto a suo dire:

- come dimostrato dalla consulenza, il rendimento dell'impianto non è solo sperato bensì esattamente accertato secondo le tecniche dell'estimo agrario; in ogni caso il lucro cessante è per definizione “sperato”, trattandosi del guadagno che il danneggiato avrebbe presumibilmente conseguito in assenza dell'illecito sofferto;

- contrariamente a quanto sostenuto nella motivazione della sentenza impugnata, l'impianto di noci è andato irrimediabilmente perso (come si desume dalle relazioni peritali del geom. Gramegna e del dott. Sangalli), né sarebbe stato possibile ripristinarlo, poiché esso è stato realizzato contestualmente all'impianto di latifoglie (olmi, frassini, robinie) in ragione di tre frutti di noce per ogni latifoglia (pianta guida); e l'esbosco ed il reimpianto di tutte le essenze già messe a dimora sarebbe stato impossibile in quanto avrebbe determinato la decadenza del sig. Rocca dagli aiuti di cui al reg. CEE 2080/93, con obbligo di restituzione del finanziamento percepito ed il rischio della irrogazione di conseguenti sanzioni (si vedano i chiarimenti resi dal geom. Gramegna all’udienza del 29.9.2011, pag. 3 e pag. 8).

1.3. La sentenza viene censurata come erronea anche nella parte in cui ha decurtato del 70% la somma dovuta a titolo di lucro cessante, in applicazione dell'art. 1227, comma 1, codice civile. A detta dell’appellante il TAR, nel ravvisare un concorso colposo del sig. Rocca per la mancata recinzione dei terreni sui quali si erano già verificate precedenti invasioni di cinghiali, non avrebbe considerato che:

- l’estensione dei sette lotti in questione, non tutti contermini, pari a 17.88.91 ettari (p. 5 CTU Gramegna), e dunque l’entità dei metri lineari lungo i quali si sarebbe dovuta sviluppare l’opera (circa 5.000 metri lineari - 5 Km), erano tali da rendere irragionevoli e non esigibili, ai sensi dell’art. 1227 c.c., i relativi oneri di spesa: il costo dell’opera di recinzione, infatti, è stato stimato dal dott. Sangalli, nella perizia resa nella causa R.G. n. 376/1998, in Lire 247.500.000, pari ad € 127.823,08;

- per contro, la diligenza attuata dal sig. Rocca è provata sia dalla tempestività con la quale egli ha dato l’allerta alla Provincia di Pavia della invasione dei fondi da parte della fauna selvatica; sia dalla disponibilità dallo stesso manifestata nei confronti della Provincia per la compartecipazione alla spesa funzionale alla realizzazione degli interventi di recinzione (circostanze peraltro riconosciute dalla stessa sentenza di primo grado qui impugnata).

2. Il Collegio ritiene che il motivo di appello sia fondato in relazione alla censurata applicazione dell’art. 1227 comma 1, c.c., profilo da ultimo menzionato.

2.1. Dalla disamina di precedenti giurisprudenziali impostati su elementi argomentativi trasponibili nel caso qui in esame – si evince un orientamento costantemente contrario a configurare ipotesi di responsabilità o corresponsabilità del proprietario dell’area danneggiata, fondate sull’addebito della mancata recinzione dell’area di proprietà (Cons. Stato, sez. IV, n. 5911/2017; Id., sez. V, n. 705/2016 e n. 4504/2015; T.A.R. Bari, sez. I, n. 287/2017; Tar Parma sez. I, n. 253/2017).

Rileva in tal senso considerare che, per principio generale di diritto (cfr. art. 841 cod. civ.), la "chiusura del fondo" costituisce una mera facoltà del proprietario, il cui mancato esercizio non può dunque ridondare in un giudizio di responsabilità per condotta omissiva o inottemperante ad un obbligo di diligenza (cfr., ex multis, Cass. civ., sez. I, n. 9276/2014).

Né sussistono alternativa basi normative per fondare un obbligo di recinzione in capo al proprietario del fondo.

2.2. Se anche se ne dovesse ravvisare un fondamento normativo, resta comunque da considerare che un obbligo di condotta di tal genere andrebbe valutato secondo criteri di ordinaria diligenza e, quindi, di proporzionata e ragionevole esigibilità.

In generale, infatti, deve escludersi la responsabilità per colpa allorquando sarebbe stato possibile evitare il fatto solo sopportando un sacrificio obiettivamente sproporzionato.

2.3. Nel caso di specie, le risultanze della consulenza peritale a firma del dott. Sangalli attestano che le opere di recinzione del fondo avrebbero richiesto un investimento economico assai elevato - persino superiore al reddito sperato dalla messa a coltura delle piante, come quantificato nelle relazioni peritali - e tale, quindi, da eccedere il ragionevole limite della esigibilità.

Dalla stessa relazione di CTU del dott. Sangalli si evince che opere di recinzione di più modesta consistenza avrebbero garantito, pur a fronte di un minor impegno di spesa, assai scarsi risultati, configurandosi, pertanto, come alternative non utilmente praticabili (pag. 10 e ss. relazione Sangalli).

Dalle risultanze processuali, infine, non emergono ulteriori condotte del danneggiato apprezzabili in funzione di una configurazione di un suo concorso colposo nella determinazione del danno, ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c..

2.4. Alla luce di quanto sin qui esposto, non paiono condivisibili le considerazioni spese dal giudice di primo grado a giustificazione della diminuzione del danno, né appare apprezzabile in tal senso il fatto che già nei due anni precedenti si fossero verificate circostante dannose derivanti dallo stesso tipo di causa (invasione di fauna selvatica). Per un verso, infatti, la stessa sentenza dà conto del fatto che il sig. Rocca aveva provato insistentemente, ma inutilmente, a sollecitare l’iniziativa dell’ATC - anche sotto forma di un contributo finanziario alla installazione di opportune recinzioni, il tutto in conformità al disposto dell’art. 31 L.R. n. 26/1993, il quale prevedeva, nel testo all’epoca vigente, che i comitati di gestione degli ambiti territoriali di caccia - oltre ad organizzare le attività di ricognizione delle risorse ambientali e della consistenza faunistica - provvedessero all’attribuzione di incentivi economici ai conduttori dei fondi rustici per la collaborazione operativa ai fini della difesa preventiva delle coltivazioni passibili di danneggiamento, all’erogazione di contributi per il risarcimento dei danni arrecati alle produzioni agricole dalla fauna selvatica e dall’esercizio dell’attività venatoria nonché di contributi per interventi, previamente concordati, ai fini della prevenzione dei danni medesimi. Per altro verso, l’inerzia manifestata dalla ATC a fronte di tali insistite segnalazioni, se aggrava la valutazione di responsabilità dell’ente preposto agli interventi, non può refluire in un giudizio di corresponsabilità del danneggiato, per quanto già esposto in ordine alla insussistenza di una inottemperata posizione di garanzia in capo al proprietario del fondo, apprezzabile in funzione di una imputazione di responsabilità per colpevole condotta omissiva.

2.5. Per quanto esposto, la sentenza va riformata nella parte in cui ha fatto applicazione della decurtazione del danno in applicazione dell'art. 1227, primo comma, del codice civile.

3. Va parimenti accolta la doglianza riferita alla decurtazione del 50% del lucro cessante rispetto all’importo stimato dal CTU.

3.1. Può innanzitutto convenirsi su quanto dedotto dalla parte appellante in ordine al fatto che l’istruttoria espletata nel corso dei giudizi celebrati innanzi al g.o. ha confermato che l'impianto di noci è andato irrimediabilmente perso (si veda in tal senso la relazione del dott. Sangalli, pag. 2) e che non sarebbe stato possibile ripristinarlo, poiché l'esbosco e del reimpianto di tutte le essenze già messe a dimora avrebbe determinato la decadenza del sig. Rocca dagli aiuti di cui al reg. CEE 2080/93, con obbligo di restituzione di quanto percepito e di pagamento di ulteriori sanzioni: risultano decisivi in tal senso i chiarimenti resi dal CTU Gramegna all’udienza del 29.9.2011 (pag. 3 e pag. 8).

3.2. Ciò posto, non può giustificarsi il ridimensionamento del danno operato in ragione del fatto che “il danno causato dall'invasione ha determinato solo un ritardo e non una definitiva compromissione della successiva monetizzazione dell'impianto, al termine del ciclo di crescita dei noci”.

In realtà, la possibilità di sviluppo dell’impianto di noci è stata definitivamente compromessa dalla completa asportazione dei germogli di noce; mentre il danno è stato rapportato al solo lasso temporale ventennale – imposto dal vincolo del finanziamento comunitario – in costanza del quale il proprietario non ha potuto disporre del proprio fondo e ne ha vista compromessa la potenzialità produttiva. La stima risarcitoria (pag. 11 e 16 dei chiarimenti Gramegna) ha infatti rapportato la liquidazione all’arco temporale compreso tra l’evento di danno (1997) e il termine conclusivo degli impegni assunti con l’adesione al finanziamento di cui al Reg. CE 2080/1992 (2015).

3.3. Venendo al secondo profilo di censura, non è in discussione la sussistenza, in linea di principio, del diritto del proprietario del fondo danneggiato al risarcimento del pregiudizio derivatogli dalla perdita del reddito prodotto o producibile dalle piante danneggiate, protratto per il loro prevedibile ciclo di vita (Cass. civ., sez. III, n. 12284/2016).

3.4. Alla stregua di tali considerazioni merita di essere riformata l’argomentazione svolta dal primo giudice secondo cui sussiste una ragione di riduzione in via equitativa del ristoro “in quanto il lucro cessante è in parte soltanto sperato (facendo riferimento ad una maturazione dell'impianto di durata pari a 50 anni)”.

In realtà, la caratura probabilistica del danno è già stata valorizzata nel metodo di calcolo del danno seguito dal consulente tecnico: la quantificazione del rendimento dell'impianto secondo le tecniche dell'estimo agrario tiene conto, infatti, della prevedibile resa delle piante messe a dimora e si conforma, quindi, ad un criterio probabilistico di stima del futuro guadagno rapportato ai diversi fattori che possono incidere sul percorso di crescita delle piante e sul valore dalle stesse acquisibile in prospettiva.

Il temperamento in tal senso introdotto nella stima del CTU Gramegna ha riguardato, in particolare, l’applicazione di un “fattore di riduzione” del 10% (poi corretto al 22,5%), che tiene conto del prodotto ottenibile - per incremento di crescita e di elementi qualitativi – secondo le medie riscontrabili nello sviluppo di coltivazioni analoghe (pag. 13 e ss. dei chiarimenti resi dal CTU Gramegna all’udienza del 29.9.2011).

3.5. Resta da aggiungere che il danno da perdita di chance (alla cui logica sembra alludere la sentenza appellata) è alternativo rispetto al danno da lucro cessante futuro da perdita del reddito: ciò in quanto o la vittima dimostra di avere perduto un reddito che verosimilmente avrebbe realizzato, ed allora le spetterà il risarcimento del lucro cessante, ovvero la vittima non dà quella prova, ed allora le può spettare il risarcimento del danno da perdita di chance (Cass. civ. sez. III, 13.10.2016, n. 20630; Cons. Stato, sez. III, 8.5.2018 n. 2724).

Una volta esclusa la liquidazione del danno da lesa chance e percorsa la via alternativa del lucro cessante, non sussistono margini per una riduzione “equitativa” del danno, quale quella praticata dal Tar nella sentenza qui appellata.

3.6. In conclusione, l’Ambito territoriale caccia “Varzi-appennino 1” deve essere condannato a liquidare in favore del sig. Rocca l’importo totale di €. 118.859,12, a titolo di risarcimento del danno, oltre interessi compensativi e legali nei termini e con le decorrenze indicate nella sentenza di primo grado.

4. Il secondo motivo di appello - rubricato “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 26 c.p.a. e 91 c.p.c.” - incide sul capo decisionale con il quale il Tar di Milano, dopo aver dichiarato il difetto di legittimazione passiva di AXA Assicurazioni, ne ha disposto l'estromissione in quanto «l'unico soggetto che poteva chiamarla in garanzia, ovvero l'Ambito Territoriale (soggetto assicurato per i danni di cui si chiede il risarcimento), ha omesso di farlo. D'altra parte, risulta che il sinistro, nei limiti di quanto statuito dal Tribunale di Voghera, sia stato già interamente rimborsato all'ATG, per cui è evidente che neppure da un punto sostanziale sussista materia del contendere, allo stato, né tra assicurato e assicuratore, né tanto meno, tra questo ed il ricorrente, il quale, peraltro, ha specificato in memoria che la citazione di Axa sarebbe stata effettuata ai meri fini di notifica» (p. 3 sent.).

Da qui la condanna del ricorrente alla refusione delle spese legali sostenute da AXA «che, seppure citata in giudizio ai meri fini di notifica, ha dovuto costituirsi e difendersi in un contenzioso cui era oramai sostanzialmente estranea» (p.13 ivi).

4.1. L’appellante censura come fallace il ragionamento del TAR osservando, per contro, che:

a) non vi sono statuizioni del Tribunale di Voghera che abbiano già dipanato i rapporti tra ATC e AXA, in quanto l'unica sentenza di merito (sent. n. 50/2004) è stata dichiarata nulla dalla Corte di appello, mentre la "seconda" sentenza del Tribunale di Pavia (sent. n. 503/2013) si è arrestata in rito, declinando la giurisdizione;

b) il sig. Rocca non ha citato in giudizio AXA, né ha avanzato domande nei suoi confronti, bensì è stato l'ATC a chiamare in garanzia (impropria) la propria compagnia di assicurazione nel giudizio avanti al Tribunale di Voghera (R.G. 376/98) ed a reiterare la domanda nel giudizio di "rinvio" avanti al Tribunale di Pavia R.G. 644/07;

c) lo stesso appellante, contrariamente a quanto affermato dal TAR, non ha citato AXA neppure avanti al medesimo TAR, bensì si è limitato a riproporre il giudizio a seguito della declinatoria di giurisdizione del Tribunale di Pavia, ai sensi dell'art. 59, comma 2, della legge n. 69/2009; la domanda del sig. Rocca è rimasta immutata nel petitum e nella causa petendi, ed è pertanto naturale che l'atto di riassunzione sia stato notificato a tutte le parti costituite nel giudizio a quo. Per parte sua, l'assicurazione AXA, nei confronti della quale il sig. Rocca non ha proposto domanda alcuna, avrebbe ben potuto evitare di costituirsi avanti al TAR se avesse ritenuto tale scelta la più opportuna ai fini della propria linea difensiva.

4.2. Il motivo di appello è fondato.

- La sentenza appellata dà atto che Axa Assicurazioni è stata citata “ai soli fini di notifica”, nel contesto della translatio iudicii conseguente alla pronuncia declinatoria della giurisdizione, senza alcuna formulazione di domande, nei suoi confronti, da parte del ricorrente.

Non sussisteva, quindi, una controversia tra le due parti in relazione alla quale potesse farsi applicazione del criterio della soccombenza ai fini della regolamentazione delle spese di lite.

- Non meritano condivisione neppure le ulteriori considerazioni formulate dal giudice di primo grado con riguardo all’avvenuto rimborso del sinistro in favore di ATG, in quanto le stesse, per un verso, non danno conto delle risultanze dalle quali emergerebbe il componimento in via definitiva del rapporto creditorio tra AXA e ATC; e, per altro verso, non considerano l’assenza di qualunque statuizione giurisdizionale dalla quale possa desumersi in altro modo l’intervenuta composizione o cessazione della materia del contendere (posto che la pronuncia adottata sul punto dal Tribunale di Voghera è stata riformata in appello);

- a fronte di ciò, opportunamente il sig. Rocca, nel riassumere la causa a seguito della declinatoria di giurisdizione, ha rinotificato l’atto di riassunzione nei confronti di tutte le parti potenzialmente interessate a prendere parte al giudizio;

- AXA, consapevole della definizione del suo rapporto con ATC e in assenza di domande formulate nei confronti dal sig. Rocca, avrebbe potuto esimersi dal costituirsi avanti al TAR, sicché anche sotto questo profilo il suo intervento in giudizio non può ritenersi necessitato dalla notifica del ricorso in riassunzione.

4.3. Per quanto esposto, la statuizione di condanna al pagamento delle spese di lite merita di essere riformata, disponendosi in suo luogo la compensazione tra le parti interessate.

5. Stante la peculiarità della fattispecie e tenuto conto della mancata resistenza delle parti appellate nella presente fase di giudizio, si ravvisano giusti motivi per confermare la misura della compensazione anche per il presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata:

- condanna l’Ambito Territoriale Caccia Varzi Oltrepò 5 a corrispondere in favore del ricorrente, a titolo di risarcimento dei danni, l’importo di € 118.859,12, oltre rivalutazione ed accessori di legge, nei termini di cui in motivazione;

- dispone la compensazione delle spese di lite relative al primo grado di giudizio nei rapporti tra il ricorrente sig. Rocca e la Axa Assicurazioni S.p.A.;

- compensa tra tutte le parti le spese di lite del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 giugno 2018 con l'intervento dei magistrati:

Marco Lipari, Presidente

Massimiliano Noccelli, Consigliere

Giovanni Pescatore, Consigliere, Estensore

Giulia Ferrari, Consigliere

Raffaello Sestini, Consigliere