Corte costituzionale sent. 258 del 6 dicembre 2019
Oggetto: Caccia - Norme della Regione Marche - Calendario venatorio regionale - Autorizzazione, secondo modalità e condizioni indicati nel calendario venatorio vigente, all'esercizio dell'attività venatoria nei siti della Rete Natura 2000.
Dispositivo: illegittimità costituzionale
SENTENZA N. 258
ANNO 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma 1, e 2, comma 1, della legge della Regione Marche 12 dicembre 2018, n. 46 (Modifiche urgenti alla legge regionale 7 novembre 2018, n. 44: “Modifiche alla legge regionale 5 gennaio 1995, n. 7 ‘Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria’ e disposizioni urgenti sulla pianificazione faunistico-venatoria”), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato l’11-19 febbraio 2019, depositato in cancelleria il 12 febbraio 2019, iscritto al n. 21 del registro ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2019.
Visto l’atto di costituzione della Regione Marche;
udito nell’udienza pubblica del 22 ottobre 2019 il Giudice relatore Luca Antonini;
uditi l’avvocato dello Stato Marina Russo per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Stefano Grassi per la Regione Marche.
Ritenuto in fatto
1.– Con ricorso spedito per la notificazione l’11 febbraio 2019 e depositato in cancelleria il 12 febbraio 2019, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato gli artt. 1, comma 1, e 2, comma 1, della legge della Regione Marche 12 dicembre 2018, n. 46 (Modifiche urgenti alla legge regionale 7 novembre 2018, n. 44: “Modifiche alla legge regionale 5 gennaio 1995, n. 7 ‘Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria’ e disposizioni urgenti sulla pianificazione faunistico-venatoria”), in riferimento agli artt. 111 e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.
1.1.– L’art. 1, comma 1, della legge regionale appena citata sostituisce il comma 2 dell’art. 3 della legge della Regione Marche 7 novembre 2018, n. 44 (Modifiche alla legge regionale 5 gennaio 1995, n. 7 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria” e disposizioni urgenti sulla pianificazione faunistico-venatoria), prevedendo che «[n]ei siti di cui al comma l è autorizzato l’esercizio venatorio secondo le modalità e le condizioni indicate nel calendario venatorio vigente (Allegato A)». Il successivo art. 2, comma 1, invece, dispone che «[a]lla l.r. 44/2018 è aggiunto l’Allegato A di cui a questa legge».
L’art. 3, comma 1, della suddetta legge reg. Marche n. 44 del 2018 – cui si riferisce la prima delle disposizioni impugnate – prevede che «[i] piani faunistico-venatori di cui all’articolo 3 della l.r. 7/1995 continuano ad applicarsi fino all’approvazione del piano faunistico regionale di cui all’articolo 4 della medesima l.r. 7/1995, e comunque non oltre il 31 dicembre 2019, anche nei siti della Rete Natura 2000 di cui alla legge regionale 12 giugno 2007, n. 6 (Modifiche ed integrazioni alle leggi regionali 14 aprile 2004, n. 7, 5 agosto 1992, n. 34, 28 ottobre 1999, n. 28, 23 febbraio 2005, n. 16 e 17 maggio 1999, n. 10. Disposizioni in materia ambientale e Rete Natura 2000), qualora sia stata effettuata la valutazione di incidenza di cui all’articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 (Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche), sui piani medesimi o sui singoli interventi ovvero siano state adottate le misure di conservazione di cui al decreto del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 17 ottobre 2007 (Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone speciali di conservazione (ZSC) e a Zone di protezione speciale (ZPS))».
2.– Ad avviso del ricorrente, le disposizioni censurate, riconducibili alla categoria delle norme provvedimento, violerebbero anzitutto l’art. 111 Cost., dal momento che mediante la loro approvazione il legislatore marchigiano avrebbe interferito con l’esercizio della funzione giurisdizionale.
La difesa dello Stato illustra tale censura ricostruendo gli eventi processuali di un articolato contenzioso amministrativo in corso, già pendente al momento dell’approvazione delle norme impugnate. Più precisamente, riferisce che dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per le Marche due associazioni ambientaliste hanno proposto ricorso per l’annullamento, tra l’altro, della deliberazione della Giunta della Regione Marche 30 luglio 2018, n. 1068, avente ad oggetto «L.r. n. 7/95, art. 30 – Calendario venatorio regionale 2018/2019», e che il Consiglio di Stato, in riforma della decisione di primo grado, con ordinanza 22 ottobre 2018, n. 5165, ha sospeso in sede cautelare l’efficacia del calendario approvato con la citata delibera, con riferimento all’esercizio della caccia nei siti Natura 2000 e al prelievo di determinate specie di volatili in alcuni giorni del febbraio 2019.
La Regione Marche avrebbe quindi «provveduto a ripristinare l’esercizio della caccia nelle aree suddette» con l’art. 3 della legge reg. Marche n. 44 del 2018 e con l’approvazione della deliberazione della Giunta della Regione Marche 8 novembre 2018, n. 1468, avente ad oggetto «Attuazione art. 3 comma 2 della Legge regionale n. 44/2018)».
Tuttavia, anche tale deliberazione è stata gravata dinanzi al TAR Marche che, con ordinanza 7 dicembre 2018, n. 265, ha accolto la domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione limitatamente all’esercizio della caccia nei siti Natura 2000 e quanto al prelievo delle medesime specie interessate dalla precedente ordinanza del Consiglio di Stato.
Attraverso la successiva approvazione delle norme impugnate, quindi, la Regione Marche avrebbe nuovamente ripristinato la caccia in tali aree, sicché, ad avviso del ricorrente, sarebbe evidente la denunciata interferenza con la funzione giurisdizionale esercitata «attraverso i pronunciamenti cautelari dianzi citati» e, di conseguenza, il travalicamento di poteri da parte del legislatore regionale. Al riguardo, il ricorso richiama la sentenza n. 267 del 2007, con la quale la Corte ha affermato che le leggi-provvedimento «sono ammissibili entro limiti specifici, qual è quello del rispetto della funzione giurisdizionale in ordine alla decisione delle cause in corso».
2.1.– Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, le norme censurate lederebbero anche l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., invadendo la competenza legislativa esclusiva statale in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema».
L’Avvocatura generale osserva preliminarmente che, secondo l’orientamento di questa Corte, la fauna selvatica rappresenterebbe «un bene ambientale di notevole rilievo, la cui tutela rientra nella materia tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», con la conseguenza che le norme statali che la disciplinano costituirebbero regole minime uniformi di salvaguardia, non derogabili dal legislatore regionale nemmeno nell’esercizio della propria competenza residuale in materia di caccia.
In particolare, la difesa dello Stato richiama il disposto dell’art. 18 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), laddove prevede, al comma 2, che le Regioni possano modificare i periodi nei quali è consentita la caccia indicati nel precedente comma 1 «attraverso un procedimento che contempla l’acquisizione del parere dell’Istituto nazionale per la fauna selvatica» – oggi Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) – e, al comma 4, che il calendario venatorio sia approvato con regolamento.
Quindi, sulla scorta delle medesime argomentazioni espresse da questa Corte nella sentenza n. 20 del 2012, ritiene che dalle indicate disposizioni statali si evinca il principio secondo cui il procedimento di adozione del calendario venatorio debba necessariamente concludersi con un provvedimento amministrativo.
Di qui il dedotto vulnus all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., dal momento che con le disposizioni censurate il legislatore regionale avrebbe adottato il calendario venatorio con legge-provvedimento, così riducendo lo standard minimo di tutela della fauna selvatica stabilito, oltre che dalla legislazione nazionale, anche dalle «direttive comunitarie in materia (art. 6, comma 3, Direttiva 92/43/CEE - c.d. “Direttiva habitat” e Direttiva n. 79/409/CEE - c.d. “Direttiva Uccelli”)».
La lesione della competenza legislativa statale sarebbe, peraltro, ancor più evidente in quanto dalle norme censurate deriverebbe che il contenuto del calendario venatorio con esse adottato non sarebbe «limitato allo specifico anno di riferimento, […], ma divent[erebbe] replicabile di anno in anno».
3.– Si è costituita la Regione Marche, chiedendo la declaratoria d’inammissibilità o, comunque, di non fondatezza delle questioni sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri.
3.1.– Sarebbe, in particolare, inammissibile la questione promossa in riferimento all’art. 111 Cost.
Il ricorrente non avrebbe difatti specificamente individuato quale dei principi espressi dall’evocato parametro costituzionale e funzionali alla realizzazione del giusto processo sarebbe stato leso e non avrebbe, conseguentemente, fornito una motivazione sufficiente del dedotto vulnus.
3.2.– Ad avviso della Regione resistente, inoltre, il parametro costituzionale in questione, per un verso, sarebbe inconferente «rispetto al caso di specie». Per altro verso, non sarebbe stato compromesso, dal momento che «non v’è traccia di alcuna irragionevolezza nella disciplina legislativa» impugnata. La Regione Marche osserva, in proposito, che il calendario venatorio è stato adottato con la delib. Giunta reg. Marche n. 1068 del 2018 e quindi «richiamato», dopo la sospensione cautelare disposta dal Consiglio di Stato, dalla successiva delib. Giunta reg. Marche n. 1468 del 2018, di cui è stata del pari sospesa l’efficacia in sede giurisdizionale. Diversamente da quanto dedotto nel ricorso statale, la legge reg. Marche n. 44 del 2018 non avrebbe ripristinato il calendario venatorio: la legge reg. Marche n. 46 del 2018 rappresenterebbe, pertanto, il «primo atto legislativo» che richiama il suddetto calendario, il quale era stato solo sospeso in via cautelare e non annullato; al contrario, nella fattispecie concreta esaminata da questa Corte nella sentenza n. 267 del 2007, citata dal ricorrente a fondamento della censura, la potestà legislativa era stata esercitata in contrasto con pronunce giurisdizionali divenute definitive.
Infine, la difesa regionale rileva che, essendo i due provvedimenti giurisdizionali cautelari «del tutto carenti in punto di motivazione sul fumus boni iuris», non poteva essere «agilmente formulata una prognosi di accoglimento dei ricorsi promossi innanzi ai giudici amministrativi».
3.3.– Secondo la Regione Marche, risulterebbe del pari infondata la questione promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., essendo stato rispettato, nel caso di specie, il principio, reiteratamente enunciato da questa Corte, secondo cui il calendario venatorio deve necessariamente assumere la forma dell’atto amministrativo.
Il suddetto calendario, infatti, è stato approvato con la delib. Giunta reg. Marche n. 1068 del 2018, assunta all’esito del procedimento amministrativo previsto dalla legge della Regione Marche 5 gennaio 1995, n. 7 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria), nel corso del quale è stato acquisito il parere dell’ISPRA in conformità al disposto dell’art. 18, comma 4, della legge n. 157 del 1992: le norme censurate, pertanto, si sarebbero limitate a «richiamare il rispetto di tale calendario».
Sarebbe, d’altro canto, priva di fondamento la tesi, sostenuta dal ricorrente, secondo cui «il contenuto» del calendario venatorio, in forza delle disposizioni impugnate, non sarebbe «limitato allo specifico anno di riferimento, […], ma divent[erebbe] replicabile di anno in anno».
Il comma 2 dell’art. 3 della legge reg. Marche n. 44 del 2018, come introdotto dall’impugnato art. 1 della legge reg. Marche n. 46 del 2018, andrebbe infatti letto alla luce del comma 1 dello stesso art. 3, a mente del quale i piani faunistico-venatori provinciali continuano ad applicarsi fino all’approvazione del piano faunistico regionale, e comunque non oltre il 31 dicembre 2019, anche nei siti della Rete Natura 2000, qualora sia stata effettuata la valutazione di incidenza di cui all’art. 5 del d.P.R. n. 357 del 1997 sui piani medesimi o sui singoli interventi, ovvero siano state adottate le misure di conservazione di cui al decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare 17 ottobre 2007 (Criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone Speciali di Conservazione, ZSC, e Zone di Protezione Speciale, ZPS).
Di conseguenza, poiché l’applicazione nei siti della Rete Natura 2000 dei piani faunistico-venatori provinciali è stata disposta solo sino al 31 dicembre 2019, anche il calendario venatorio oggetto del successivo comma 2 non potrebbe produrre effetti oltre questa data.
4.– In prossimità dell’udienza la Regione Marche ha depositato una tempestiva memoria, con la quale sono stati ribaditi gli argomenti già illustrati nell’atto di costituzione.
Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato gli artt. 1, comma 1, e 2, comma 1, della legge della Regione Marche 12 dicembre 2018, n. 46 (Modifiche urgenti alla legge regionale 7 novembre 2018, n. 44: “Modifiche alla legge regionale 5 gennaio 1995, n. 7 ‘Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria’ e disposizioni urgenti sulla pianificazione faunistico-venatoria”), in riferimento agli artt. 111 e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.
La prima delle due disposizioni impugnate sostituisce il comma 2 dell’art. 3 della legge della Regione Marche 7 novembre 2018, n. 44 (Modifiche alla legge regionale 5 gennaio 1995, n. 7 “Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria” e disposizioni urgenti sulla pianificazione faunistico-venatoria), prevedendo che «[n]ei siti di cui al comma l è autorizzato l’esercizio venatorio secondo le modalità e le condizioni indicate nel calendario venatorio vigente (Allegato A)». I siti ai quali la norma fa riferimento sono quelli della rete «Natura 2000», costituita in forza della direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, nonché della direttiva 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, oggi sostituita dalla direttiva 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 novembre 2009.
L’altra disposizione impugnata dispone che «[a]lla l.r. 44/2018 è aggiunto l’Allegato A di cui a questa legge».
2.– La Regione Marche ha eccepito l’inammissibilità della questione promossa in riferimento all’art. 111 Cost., poiché il ricorrente non avrebbe specificamente individuato quale dei principi espressi dall’evocato parametro costituzionale e funzionali alla realizzazione del giusto processo sarebbe stato leso e non avrebbe, conseguentemente, fornito una motivazione sufficiente del dedotto vulnus.
2.1.– L’eccezione è infondata.
Se è vero che il ricorso non indica in maniera esplicita, tra quelli espressi dalla disposizione costituzionale evocata, il principio asseritamente leso, ciò non giustifica, tuttavia, una pronuncia in limine di inammissibilità.
Infatti, l’atto introduttivo motiva la censura con la descrizione degli eventi processuali del contenzioso pendente davanti al Tribunale amministrativo regionale per le Marche e sottolinea altresì la prossimità temporale tra i provvedimenti giurisdizionali cautelari emessi e l’intervento del legislatore regionale che, interferendo con l’esercizio della funzione giurisdizionale, avrebbe «provveduto a ripristinare» l’esercizio della caccia nelle aree oggetto delle deliberazioni regionali impugnate. Pertanto, anche in considerazione dell’esplicito richiamo alla qualità di parte rivestita dalla Regione nel giudizio amministrativo, deve ritenersi che – implicitamente ma chiaramente – la interferenza denunciata dal ricorrente riguardi la violazione del principio della parità delle armi di cui al secondo comma dell’art. 111 Cost.: «[o]gni processo si svolge […] in condizioni di parità».
In conclusione, malgrado la carenza evidenziata dalla Regione, il ricorso rende comunque «ben identificabili i termini delle questioni proposte, individuando le disposizioni impugnate, i parametri evocati e le ragioni dei dubbi di legittimità costituzionale» (ex plurimis, sentenza n. 228 del 2016).
3.– Questa Corte, tuttavia, per economia di giudizio e facendo ricorso al potere di decidere l’ordine delle questioni da affrontare, eventualmente dichiarando assorbite le altre, ritiene di esaminare anzitutto la questione promossa con riferimento alla violazione del riparto delle competenze legislative tra Stato e Regione, in quanto pregiudiziale sotto il profilo logico-giuridico rispetto a quella riferita a un parametro non compreso nel Titolo V della Parte II della Costituzione (ex plurimis, sentenza n. 148 del 2018).
4.– La questione è fondata.
4.1.– Al riguardo, va in primo luogo evidenziata la stretta interdipendenza che lega le due disposizioni impugnate.
Infatti, l’art. 1, comma 1, della legge reg. Marche n. 46 del 2018, nel sostituire il comma 2 dell’art. 3 della legge reg. Marche n. 44 del 2018, autorizza l’esercizio venatorio nei siti della rete Natura 2000 «secondo le modalità e le condizioni indicate nel calendario venatorio vigente (Allegato A)», mentre l’art. 2, comma 1, della legge reg. Marche n. 46 del 2018 dispone che «[a]lla l.r. 44/2018 è aggiunto l’Allegato A di cui a questa legge». Quest’ultimo è intitolato «[c]alendario venatorio regionale 2018-2019» e, da un lato, indica le date di inizio e di termine della stagione venatoria (rispettivamente, 1° settembre 2018 e 10 febbraio 2019), nonché le specie cacciabili; dall’altro, contiene anche il regolamento di caccia, comprensivo delle specifiche prescrizioni valevoli nelle zone di protezione speciale e nei siti d’importanza comunitaria, che, insieme, costituiscono la rete Natura 2000.
Inoltre, confrontando l’allegato di cui alla legge reg. Marche n. 46 del 2018 con il calendario allegato alla deliberazione della Giunta della Regione Marche 30 luglio 2018, n. 1068, avente ad oggetto «L.r. n. 7/95, art. 30 – Calendario venatorio regionale 2018/2019», pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Marche del 10 agosto 2018, n. 71, è possibile riscontrarne la pressoché integrale coincidenza (con la sola eccezione dell’aggiunta, nel calendario introdotto per via legislativa, di un ultimo paragrafo relativo al «Carniere stagionale per le specie beccaccia, beccaccino e mestolone»).
4.2.– Ciò premesso, autorizzando l’esercizio venatorio nei siti della rete Natura 2000 «secondo le modalità e le condizioni indicate nel calendario venatorio vigente (Allegato A)», l’impugnato art. 1 della legge reg. Marche n. 46 del 2018 richiama senza dubbio il contenuto tipico di tale atto che, ai sensi dell’art. 30, comma 2, della legge della Regione Marche 5 gennaio 1995, n. 7 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria), deve individuare le specie cacciabili e i periodi di caccia, le giornate di caccia, il carniere massimo giornaliero e l’eventuale carniere stagionale, l’ora legale di inizio e di termine della giornata di caccia e i periodi e le modalità per l’addestramento dei cani da caccia. In considerazione dell’ambito territoriale di applicazione, lo stesso art. 1 richiama anche le specifiche prescrizioni valevoli per l’esercizio venatorio nei siti della rete Natura 2000.
Si tratta, come visto, di contenuti tutti presenti nel calendario venatorio cui si riferisce l’impugnato art. 1 della stessa legge regionale e che l’art. 2 di questa aggiunge come specifico allegato alla legge reg. Marche n. 44 del 2018.
È pertanto palese che le norme impugnate hanno fatto propria la disciplina dell’attività venatoria già in precedenza posta dal calendario approvato con provvedimento amministrativo, così attraendo quest’ultimo nella sfera legislativa e attribuendogli gli effetti tipici degli atti normativi.
In tal modo, le disposizioni impugnate si pongono in contrasto con il principio, costantemente affermato da questa Corte, secondo cui l’art. 18, comma 4, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), «nella parte in cui prevede che sia approvato dalla Regione “il calendario regionale e il regolamento relativi all’intera annata venatoria”, intende con ciò prescriverne la forma di atto amministrativo» (sentenza n. 20 del 2012; nello stesso senso, sentenze n. 193 e n. 90 del 2013). La suddetta norma, infatti, «esprime una scelta compiuta dal legislatore statale che attiene alle modalità di protezione della fauna e si ricollega per tale ragione alla competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» (sentenza n. 193 del 2013).
4.3.– Non coglie nel segno l’argomento, speso dalla Regione resistente, secondo cui la riserva di amministrazione nel caso di specie non sarebbe stata violata in quanto il calendario venatorio è stato approvato con la citata delib. Giunta reg. Marche n. 1068 del 2018, all’esito del procedimento disciplinato a tal fine dalla legge reg. Marche n. 7 del 1995 e previa acquisizione del parere dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), sicché la legge impugnata si sarebbe «limitata semplicemente a richiamare il rispetto di tale calendario».
Tale circostanza, infatti, non soddisfa tutte le altre specifiche esigenze (oltre a quella di un procedimento all’interno del quale sia acquisto il parere dell’ISPRA) che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, rimangono sottese alla implicita riserva di amministrazione stabilita dall’art. 18, comma 4, della legge n. 157 del 1992.
Questa norma garantisce un’istruttoria approfondita e trasparente anche ai fini del controllo giurisdizionale e non tollera, quindi, che il calendario venatorio venga irrigidito nella forma legislativa a scapito dell’esigenza di raffrontabilità sottesa al principio di generalità e astrattezza della legge: il legislatore statale può, infatti, preferire lo strumento del ricorso giurisdizionale innanzi al giudice comune, anche in considerazione «sia dei tempi con cui il giudice può assicurare una pronta risposta di giustizia, sia della latitudine dei poteri cautelari di cui esso dispone» (sentenza n. 20 del 2012).
Inoltre, la successiva cristallizzazione del contenuto del provvedimento nella forma della legge impedisce anche di assicurare il più marcato regime di flessibilità proprio della natura amministrativa dell’atto, altresì «idoneo a prevenire i danni che potrebbero conseguire a un repentino ed imprevedibile mutamento delle circostanze di fatto in base alle quali il calendario venatorio è stato approvato» (sentenza n. 20 del 2012).
La successiva legificazione del calendario venatorio, seppure in origine adottato con provvedimento amministrativo, in ogni caso riduce in peius lo standard minimo di tutela della fauna selvatica stabilito dall’art. 18, comma 4, della legge n. 157 del 1992, con conseguente violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.
4.4.– È assorbito l’ulteriore profilo di censura relativo alla ritenuta replicabilità di anno in anno del contenuto del calendario venatorio adottato con le norme impugnate.
5.– Resta altresì assorbita l’ulteriore questione di legittimità costituzionale riferita all’art. 111 Cost.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, comma 1, e 2, comma 1, della legge della Regione Marche 12 dicembre 2018, n. 46 (Modifiche urgenti alla legge regionale 7 novembre 2018, n. 44: “Modifiche alla legge regionale 5 gennaio 1995, n. 7 ‘Norme per la protezione della fauna selvatica e per la tutela dell’equilibrio ambientale e disciplina dell’attività venatoria’ e disposizioni urgenti sulla pianificazione faunistico-venatoria”).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 ottobre 2019.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Luca ANTONINI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 6 dicembre 2019.