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Cons. Stato Sez. VI sent. 4391 del 30 luglio 2003
Elettrosmog. Installazione impianti tele radio comunicazione

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello proposto dall’OMNITEL PRONTO ITALIA s.p.a., in persona del suo procuratore pro-tempore avv. Vittorio Minervini giusta procura rep. 35.326 rilasciata il 24/12/1999 dall’Amm.re Delegato per Notar Manuela Agostani di Milano, rappresentata e difesa dall’avv. Giuseppe Sartorio e dall’avv. Luca Di Raimondo ed elettivamente domiciliata in Roma, Via della Consulta n.50;

contro

il Comune di Ostuni, in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Cecilia Zaccaria, ed elettivamente domiciliato in Roma, Via G. Pisanelli n.2 presso lo studio dell’avv. Alberto Angeletti;

per l'annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Sezione I di Lecce, n.1775 del 10 maggio 2002.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’appellato;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle
rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Alla pubblica udienza del 9 maggio 2003, relatore il Consigliere Giuseppe Romeo, uditi l’avv. Sartorio, l’avv. Di Raimondo e l’avv. Gnisci per delega dell’avv. Zaccaria;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

Con ricorso in epigrafe, l’OMNITEL PRONTO ITALIA s.p.a. impugna la sentenza, con la quale il Tar Lecce ha respinto il ricorso proposto dalla stessa avverso il provvedimento prot. n.25/D del 2.3.2001 di dichiarazione di inefficacia della denunzia di inizio di attività, presentata il 14.12.1998, e di ordine di rimozione della stazione radio base realizzata su terreno sito sulla s.s. 379, e il connesso parere della C.e.c. favorevole alla demolizione; il diniego di autorizzazione edilizia in sanatoria, di cui all’atto prot. 8381/2001 del 2/4/2001, e il connesso ordine di rimozione e sospensione delle forniture; le deliberazioni consiliari n.2 e n.3 del 12/1/2001 aventi ad oggetto adozione e approvazione, in variante al PRG, di un regolamento per l’organizzazione del sistema tele radio comunicazioni con frequenza compresa fra 100 Khz e 300 Ghz, separatamente impugnate; nonché per il risarcimento del danno ingiusto alla stessa derivato dall’adozione degli atti contestati.

         Con la sentenza impugnata, il Tar ha rilevato, in primo
luogo, l’improcedibilità del ricorso, proposto con motivi aggiunti, avverso il provvedimento del 26.7.2001 di ingiunzione alla demolizione delle opere abusive e di ripristino dello stato dei luoghi, in quanto, a seguito di pronuncia cautelare del Tar medesimo, il Comune ha reiterato l’ordine di demolizione (impugnato dalla ricorrente con ricorso straordinario), assegnando il prescritto termine di 90 giorni.

Il Tar ha poi precisato che l’impugnativa, diretta nei confronti di un atto regolamentare e, quindi, generale, deve essere considerata ammissibile solo nei confronti delle disposizioni ritenute lesive della posizione giuridica vantata dalla ricorrente (la quale intende assicurare nel territorio comunale le efficienza e funzionalità del servizio di telefonia mobile con impianti, possibilmente, di sua pertinenza), con esclusione delle disposizioni estranee alla vicenda, rispetto alle quali non è configurabile un interesse diretto e attuale.

Nel merito, il Tar ha statuito:

- l’applicabilità del regolamento di organizzazione in tema di impianti di radio telecomunicazioni alle istanze presentate prima della sua adozione, in applicazione del principio tempus regit actum (da ultimo richiamato con la decisione dell’Ad. Plen. C.S. n.20 del 1999), per cui, sotto questo profilo, legittimamente sono state respinte le istanze di sanatoria presentate ex art.13 della legge n.47/1985;

- sull’asserita incompetenza del Comune in materia di
inquinamento elettromagnetico ed, in particolare, sull’adozione di prescrizioni limitative degli impianti di telefonia cellulare, che il regolamento in questione è stato adottato (in data 12.1.2001), ai sensi della legge regionale della Puglia n.17 del 30/11/2000 (antecedente alla legge quadro n.36/2001), la quale attribuiva, all’art.21 comma 2, ai Comuni il potere di dotarsi di un regolamento di organizzazione del sistema di telecomunicazioni, che integri la pianificazione territoriale, al fine di minimizzare il rischio di esposizione delle popolazioni. L’art.21, comma 1, della legge n.17/2001 assegna al Comune funzioni e compiti amministrativi concernenti l’attività autorizzatoria relativa alla costruzione e all’esercizio degli impianti di telecomunicazione con frequenza compresa fra cento Khz e trecento Ghz, nonché il controllo e la vigilanza sull’osservanza dei limiti. Disposizioni analoghe sono state dettate dalla legge quadro n.36/2001, che ha previsto il potere del Comune di “adottare apposito regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici”. Alle Regioni, la legge quadro ha attribuito funzioni relative all’individuazione dei siti di trasmissione, alle modalità per il rilascio delle autorizzazioni all’installazione, all’individuazione di strumenti ed azioni per il raggiungimento di obiettivi di qualità (art.3 comma 1 lett. d) n.1), e precisamente criteri localizzativi, standard urbanistici, prescrizioni per l’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili. La Regione Puglia ha dato attuazione a tale previsione con la legge 8/3/2002 n.5, che disciplina, all’art.8, le modalità di rilascio delle autorizzazioni e concessioni per l’installazione di impianti di emittenza radiotelevisiva e di stazioni radio base; impone divieti di localizzazione in corrispondenza di aree e zone determinate; demanda ad una delibera di Giunta regionale, da emanarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge medesima, la definizione di criteri generali per la localizzazione degli impianti e per l’identificazione delle “aree sensibili” con relativa perimetrazione. Il Comune di Ostuni ha esercitato le sue competenze in un quadro giuridico anteriore a quello dell’entrata in vigore della legge quadro e della relativa definizione delle competenze verticali fra Stato, regioni e comuni;

- che le disposizioni regolamentari non sono state caducate per effetto dello ius superveniens, salvo successive ulteriori determinazioni della Giunta regionale (art.4 della legge regionale n.5 del 2002);

- che, in particolare, il regolamento in esame (il regolamento è divenuto uno strumento centrale nella realizzazione dell’autonomia comunale) non costituisce espressione del potere di pianificazione urbanistica in senso stretto, e, quindi, perdono rilevanza le censure svolte sotto il
profilo della “partecipazione”;

- che la circostanza per cui, ai fini dell’autorizzazione alle stazioni radio base, l’amministrazione comunale debba operare valutazioni di carattere estetico ambientale, o di impatto urbanistico, è il frutto della rilevanza urbanistica dell’attività, e non della natura urbanistica del potere esercitato, simile a quello esercitato dai comuni con l’adozione dei regolamenti contro l’inquinamento acustico, previsti e disciplinati dalla legge quadro n.447 del 26/10/1995;

- che, sulle singole norme regolamentari, il regolamento viene contestato, laddove prevede insediamenti di impianti fissi e mobili in zone agricole, divieti assoluti in zone sensibili, distanze dai confini, nonché particolari ulteriori divieti nella medesima zona E;

- che gli impianti di telefonia mobile non sono compatibili con qualunque destinazione di zona, in quanto non rientrano fra le opere di urbanizzazione primaria, elencate dall’art.4 della legge n.874/1964;

- che il Comune, con l’individuazione delle zone agricole, non ha posto un divieto assoluto, ma ha solo voluto indicare un criterio preferenziale, teso ad evitare la concentrazione degli impianti nei centri abitati;

- che l’amministrazione deve, quindi, valutare caso per caso la compatibilità di un impianto con le caratteristiche della zona;

- che il criterio della distanza di almeno duecento metri dai luoghi sensibili non è irragionevole o arbitrario, alla luce del principio di prevenzione vigente in materia;

- che il criterio del divieto in alcune fasce territoriali in zona E è comprensibile: tali zone sono soggette a vincolo paesaggistico (si richiama il notevole interesse pubblico paesistico nelle zone costiere e collinari di Ostuni);

- che il regolamento in questione non è lesivo, specie in relazione alla possibilità che i titolari di licenze individuali, per lo svolgimento dei servizi pubblici di comunicazioni mobili, impieghino infrastrutture di terzi o mettano in comune impianti e siti al fine di esercire la licenza;

- che le contestazioni mosse in relazione alla documentazione richiesta dal regolamento al fine dell’istruttoria è estremamente generica, e la previsione regolamentare che assoggetta gli impianti in questione a concessione edilizia è legittima, non trattandosi di pertinenze a servizio di edifici, ma di impianti aventi un valore autonomo, che determinano un’apprezzabile trasformazione del territorio. E, la trasformazione del territorio può discendere anche da una mera alterazione apprezzabile sotto il profilo estetico, ambientale o solo funzionale, in relazione alla visibilità ed all’estetica complessiva del luogo (nella specie il manufatto in questione non ha carattere precario, è ben visibile – trattasi di antenna di altezza di 15 metri -, ed è installato in zona “G 3” – verde di interesse ecologico, dove sono vietate costruzioni di qualsiasi tipo, per cui è legittimo il diniego di sanatoria).

         2.- Queste conclusioni non sono condivise dall’appellante, la quale richiama i motivi di primo grado, lamentando l’omessa pronuncia su alcuni di questi.

         In particolare, si deduce che:

- è stata violata la disciplina dettata dall’art.4, comma 7, del D.L. 5.10.1993 n.398, convertito in L. 4.12.1993 n.493, sostituito dall’art.2, comma 60 della legge 23.12.1996 n.662, in quanto la stazione radio base mobile in questione è stata posizionata allo scadere del termine perentorio di 20 giorni dalla denunzia di inizio di attività, e il Comune di Ostuni ha censurato l’attivazione della D.I.A. due anni dopo l’installazione dell’impianto;

- la D.I.A. non poteva, quindi, essere dichiarata inefficace, e le opere assoggettate a D.I.A. non possono essere sanzionate con misure di ordine ripristinatorio e di demolizione, ma solo con sanzione pecuniaria;

- in ogni caso, l’impianto tecnologico in esame non era soggetto a concessione edilizia per il suo carattere provvisorio, ma al più era assentibile con autorizzazione, per cui il richiamo all’art.7 della legge n.47/1985 è del tutto illegittimo. Di questo, si ha conferma con il successivo D.Lgs. n.198/2002 che ha ormai stabilito che le opere in questione sono assoggettate ad autorizzazione edilizia ovvero a denuncia di
inizio attività;

- su questa problematica, la sentenza impugnata non si pronuncia, e tace anche sui limiti temporali entro i quali esercitare i poteri di controllo sulla D.I.A., di cui ai motivi dedotti in primo grado e riproposti in appello;

- il diniego di sanatoria è illegittimo perché è illegittima la variante urbanistica, adottata con la deliberazione consiliare n.2/2001, secondo la quale gli impianti radio base non possono essere realizzati a meno di 100 mt. da ciascuna delle linee di confine dell’area di pertinenza dell’impianto stesso. Neppure è legittimo l’altro motivo del diniego di sanatoria, vale a dire che il carrato radio base ricade in zona a destinazione “G 3 – Verde esistente di interesse ecologico”, trattandosi di una costruzione che deve essere considerata “opera di urbanizzazione primaria”, compatibile con ogni tipo di destinazione (art.19 della legge regionale 12.2.1979, n.6, che contempla tra le opere di urbanizzazione primaria anche la rete telefonica; il decreto legislativo 4 settembre 2002 n.198 conferma questa qualificazione); tra l’altro, non è stata lamentata l’applicabilità ratione temporis della variante (e del regolamento di pari data), ma la loro sicura illegittimità;

- la sentenza è erronea, laddove contraddittoriamente esclude la valenza urbanistica del regolamento in materia di installazione di impianti per telefonia cellulare (deliberazione consiliare n.3 del 2001), in quanto il Comune di Ostuni ha approvato nello stesso giorno anche una variante urbanistica, fotocopia del regolamento (per valutare la portata urbanistica del regolamento è sufficiente l’esame di alcune disposizioni “l’installazione è consentita solo ed esclusivamente all’interno di un’apposita area di pertinenza interamente ricadente nelle zone agricole di P.R.G. di cui agli artt.13, 14 e 15 del Tit. II delle N.T.A.; l’area di pertinenza deve avere dimensioni tali da garantire una distanza minima di 100 mt. lineari tra il perimetro della base planimetrica dell’impianto e ciascun punto della linea di confine dell’area di pertinenza; l’installazione degli impianti è ulteriormente vietata nella fascia di territorio posta a monte della linea dei cigli collinari, estesa longitudinalmente per l’intero territorio comunale ed avente larghezza pari a ml 300, nella fascia di territorio posta a valle della linea dei cigli collinari, estesa longitudinalmente per l’intero territorio comunale, nella fascia compresa tra la SS n.379 e la linea di costa; è fatto divieto di installare impianti entro i 200 mt. dal perimetro esterno di ospedali, case di cura e di riposo, scuole asili nido; la realizzazione degli impianti è subordinata al rilascio di concessione edilizia di validità triennale; il procedimento concessorio deve prevedere i pareri dell’ufficio urbanistica ed ecologia del comune, della commissione edilizia, del P.M.P. dell’A.S.L., il giudizio di V.I.A. ed i pareri degli organi preposti alla tutela del vincolo idrogeologico e paesaggistico, un’apposita polizza assicurativa e bancaria a garanzia degli obblighi imposti; l’obbligo di recintare l’area di pertinenza dell’impianto);

- questo regolamento è, dunque, illegittimo perché è stato adottato senza le garanzie partecipative previste per l’adozione degli strumenti urbanistici, né con adeguata istruttoria, e finisce per imporre limiti eccedenti la potestà urbanistica, con irragionevole obliterazione dell’interesse sotteso al servizio di telefonia mobile (ved. dec. C.S., sez.VI, n.3096 del 3 giugno 2002);

- è stata omessa ogni valutazione sulla portata della deliberazione n.2 del 12.1.2001 avente ad oggetto l’adozione di una vera e propria variante urbanistica;

- il regolamento, di cui alla deliberazione n.3 del 2001, è illegittimo perché il Comune non è titolare di un potere autonomo in materia di tutela della salute da ipotizzabili fonti di inquinamento elettromagnetico, come anche stabilito dalla successiva legge n.36/2001, che riserva la definizione di criteri localizzativi, gli standards urbanistici e altri tipi di intervento ad interventi normativi della Regione. Al Comune è riservata la possibilità di adottare questo regolamento solo dopo l’emanazione del decreto presidenziale in tema di limiti di esposizione, dell’adozione del regolamento governativo sulle caratteristiche tecniche e sulle misure specifiche in materia di localizzazione degli impianti, e dell’approvazione delle leggi regionali sui criteri localizzativi, gli standards urbanistici e le prescrizioni per l’utilizzo delle migliori tecnologie. La legge regionale n.17 del 20.11.2000, diversamente da quanto statuito dal primo giudice, non legittima il Comune all’emanazione del regolamento in esame, perché questa deve intendersi abrogata (art.10 della legge n.62 del 1953) per incompatibilità con la successiva legge n.36/2001, che ha stabilito principi fondamentali in materia. In ogni caso, le limitazioni imposte con detto regolamento sono venute meno con l’entrata in vigore della legge regionale n.5 del 2002 (“Norme transitorie per la tutela dall’inquinamento elettromagnetico prodotto dai sistemi di telecomunicazioni e radiotelevisivi operanti nell’intervallo di frequenza tra 0 Hz e 300 Ghz”), la quale prevede (art. 16) l’abrogazione automatica di tutte le procedure e i regolamenti e/o piani regionali, provinciali e comunali vigenti alla data di entrata in vigore della legge e in contrasto con la stessa, e riserva alla Regione il potere di individuare, con apposita deliberazione, gli strumenti e le azioni “per il raggiungimento degli obiettivi di qualità” (art.4 lett. a) e di dettare “la disciplina tipo di riferimento per l’adozione dei piani e/o regolamenti comunali di cui alla lettera a) del successivo art.6” (art.4 lett. f). La variante e il regolamento, assunti prima dell’adozione dell’apposita deliberazione di Giunta Regionale, devono intendersi abrogati (ved. dec. C.S., sez.VI n.7274 del 18.12.2002). Tale potere appare poi definitivamente precluso dopo l’emanazione del D.Lgs. n.198 del 2002, che qualifica le infrastrutture per le telecomunicazioni come opere di interesse nazionale “realizzabili esclusivamente sulla base delle procedure definite dal presente decreto” (vengono richiamate alcune recenti decisioni del Consiglio di Stato e numerose sentenze dei Tribunali Amministrativi Regionali sui limiti del potere regolamentare del Comune). Il divieto previsto dalla legge regionale n.5 del 2002 (art.10) di installazione degli impianti in zone soggette a vincolo paesaggistico sarebbe superato dal D.Lgs. n.198 del 2002;

- sono illegittime le prescrizioni regolamentari, nella parte in cui prevedono distanze da luoghi sensibili senza tener conto della prefissazione dei limiti di esposizione a livello statale;

- erroneamente è stato ritenuto inammissibile il ricorso avverso disposizioni regolamentari non applicate o comunque estranee alla fattispecie in esame, essendo interesse dell’OMNITEL, titolare di licenza per la gestione del servizio radiomobile in Italia (D.P.R. n.318/1997), di rimuovere tutte le disposizioni, la cui applicazione rende irrealizzabile una rete telefonica efficiente. In questo senso, sono state ignorate le caratteristiche tecniche degli impianti di telefonia cellulare (stazioni radio base), progettate in modo tale da riuscire a coprire con una potenza di irradiamento molto bassa, un limitato ambito territoriale detto “cella”. Da questo deriva, la legittimazione dell’OMNITEL ad impugnare tutte le
disposizioni immediatamente lesive;

- il regolamento comunale è anche illegittimo per difetto di istruttoria.

- da ultimo, le antenne non sono assentibili con concessione edilizia, ma sono soggette a semplice denunzia di inizio di attività ovvero ad autorizzazione edilizia, perché di modeste dimensioni che non producono volumi e superfici, e un determinante aumento del peso insediativi;

- la previsione delle fasce di rispetto è illegittima, in quanto l’ordinamento statale esclude la possibilità di stabilire fasce di rispetto per impianti diversi dagli elettrodotti (legge n.36 del 2001);

- la normativa statale ritiene assolutamente compatibile – nel rispetto dei valori di cautela dettati dal Governo – gli impianti fissi di telefonia con i nuclei residenziali, ivi compresi edifici adibiti a sedi di convivenza. Il divieto generalizzato di installare impianti nel centro abitato, fondato sul criterio della distanza, contrasta con la normativa statale ed è stato adottato senza fondamento scientifico e giuridico.

         3.- Si è costituito il Comune di Ostuni, il quale, in via preliminare, ribadisce l’attuale vigenza del regolamento impugnato (del. cons. n.3 del 2001) e la competenza dei Comuni nella materia, ai sensi dell’art.21 della L.R. n.17/2000. Anche la successiva legge quadro n.36 del 2001 ha confermato l’assetto delle competenze già delineato dalla legge n.17/2000: allo Stato è riservata la fissazione dei limiti di esposizione, la definizione dei tracciati degli elettrodotti con tensione superiore a 150 Kv, la determinazione dei parametri per le fasce di rispetto degli elettrodotti (art.4); alle Regione viene attribuito l’esercizio delle funzioni relative all’individuazione dei siti di trasmissione e degli impianti per la telefonia mobile, nonché la definizione dei tracciati degli elettrodotti con tensione non superiore a 150 Kv e le modalità per il rilascio delle autorizzazioni all’installazione degli impianti (art.8, comma 1); ai comuni resta assegnato il potere di adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici (art.8, comma 6). Ai Comuni spetta, dunque, la concreta identificazione dei siti in conformità ai criteri generali dettati dalla Regione. Ulteriore conferma della correttezza della tesi del Comune si ricava dalla recente legge regionale n.5 del 2002 di attuazione dell’art.8 della legge n.36/2001, la quale disciplina la competenza della Regione a dettare i criteri localizzativi e la disciplina tipo di riferimento per l’adozione dei piani e/o regolamenti comunali di cui alla lettera b) del successivo art.6 (art.4, comma 2, lett. f). Viene, quindi, confermata la competenza dei Comuni di adottare piani e/o regolamenti per il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti. Alla stregua di questo quadro normativo (successivo all’adozione del regolamento impugnato), non può essere messo in dubbio il potere regolamentare del Comune in subiecta materia nelle more della normazione regionale (in questo senso depone anche l’art.16 della legge regionale n.5 del 2002, il quale dispone l’abrogazione delle procedure, regolamenti e piani che siano in contrasto con la legge stessa, alla data di entrata in vigore della presente legge). Se le regolamentazioni locali vengono meno, ove in contrasto con la disciplina regionale, ciò vuol dire che il Comune poteva esplicare i propri poteri sino a quando la Regione non avesse legiferato, e che l’ordinaria potestà comunale permane sino a quando la Giunta Regionale non avrà adottato la delibera con cui detta i criteri localizzativi.

         Viene anche affermata la carenza di interesse alla decisione di alcune parti dell’odierno ricorso, atteso che la regolamentazione locale recede automaticamente di fronte alle nuove norme della legge regionale ove contrastanti (per esempio, le norme sul procedimento di rilascio della concessione edilizia, ved. C.S., sez.VI, n.7274 del 18.12.2002, che ha dichiarato il difetto di interesse avverso censure che investivano disposizioni regolamentari abrogate per incompatibilità con la legge reg. n.5 del 2002). Permane invece il potere di disciplinare l’inserimento urbanistico delle stazioni RBS sino ad eventualmente contraria disciplina da parte della Giunta regionale pugliese (la legge reg.5/2002 conferma all’art.10 il divieto di localizzazione nelle aree vincolate ex D.Lgs. 490/1999, e la Giunta regionale potrebbe consentire l’installazione delle antenne solo nelle zone “E”, come avvenuto in sede locale con previsione che continua ad avere vigore).

Sul denunciato difetto di istruttoria, il Comune ribatte affermando che l’OMNITEL non ha dato la prova positiva che l’allocazione degli impianti in zona “E” fosse irrimediabilmente pregiudizievole all’efficienza del servizio.

Si afferma che l’art.3 del D.Lgs. n.198 del 2002 viene a incidere pesantemente sull’assetto delle competenze regionali e comunali, sottraendo la regolamentazione degli impianti a qualunque intervento regionale e/o comunale, e, per questo, se ne eccepisce l’incostituzionalità per violazione dei principi in materia di riparto di competenza legislativa fissati dall’art.117 della Cost. (ved. in proposito ordinanza del Tar Lecce n.39 del 10.1.2003).

Sulle doglianze attinenti alle previsioni regolamentari che impongono distanze minime degli impianti rispetto ai confini dei lotti contermini ed alle aree sensibili (ospedali, scuole, ecc.), se ne eccepisce l’inammissibilità per carenza di interesse, come dichiarato dalla sentenza impugnata. Nel merito, le stesse sono infondate alla stregua anche della previsione di cui all’art.10 della nuova legge regionale n.5 del 2002. La quantificazione metrica potrà subire variazioni solo se la Giunta regionale adotterà misure diverse.

Si invoca l’abrogazione automatica delle norme che disciplinano il procedimento autorizzatorio e la documentazione da esibire perché contrastanti con la legge regionale citata (art.16).

L’impianto in esame non è stato assentito perché in contrasto con la disciplina di zona G 3 di rilevante interesse ecologico, per cui il diniego di sanatoria deve considerarsi legittimo. La dichiarazione di inefficacia della D.I.A. è legittima, in quanto l’impianto è soggetto a concessione edilizia, e l’UTC è stato tratto in errore, ingenerato dall’OMNITEL, che l’antenna fosse movibile, e quindi temporanea, precaria, destinata ad essere rimossa. Una volta accertato che l’impianto non era stato rimosso, il Comune ha legittimamente esercitato l’ordinario potere di autotutela.

Viene ribadita la legittima applicazione nella specie dell’art.13 della legge n.47/1985, il quale richiede che l’intervento da sanare debba essere conforme anche alla normativa vigente al momento del rilascio del titolo. Questa questione è comunque superata dal fatto che l’opera non è neppure conforme agli strumenti urbanistici vigenti al momento della sua realizzazione.

In conclusione, il Comune rileva che l’OMNITEL potrebbe ricorrere – se la ritiene applicabile alla fattispecie – alla procedura (più celere) introdotta con il D.Lgs. n.198 del 2002.

         4.- L’appellante, con successive memorie, precisa che l’impianto, montato su un carrello mobile, non è assimilabile ad una costruzione, per cui non rileva l’altezza; è opera di urbanizzazione primaria compatibile con ogni destinazione di zona, e non ricade in zona G 3, ma in zona C 2a, e comunque ha ottenuto l’autorizzazione paesaggistica dalla Sovrintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio della Regione Puglia. In ogni caso il Comune di Ostuni ha lasciato trascorrere due anni prima di intervenire senza alcuna motivazione sull’interesse pubblico (sul punto la sentenza impugnata ha omesso di pronunciarsi). Sulla vigenza del regolamento comunale e sulla competenza del Comune, si insiste sulla necessaria previa emanazione del decreto presidenziale, sulla previa adozione del regolamento governativo sulle caratteristiche tecniche e sulle misure specifiche in materia di localizzazione degli impianti, e sulla previa approvazione delle leggi regionali sui criteri localizzativi, e si ribadisce che la legge regionale n.17 del 2000 (da intendersi comunque abrogata) affidava ai Comuni compiti meramente organizzativi, finalizzati a garantire il solo rispetto dei criteri e dei valori fissati dalla Stato (D.P.R. n.381 del 1998). Le limitazioni imposte dal Comune con il Regolamento e la Variante sono in contrasto con la sopravvenuta legge regionale n.5 del 2002, che riserva alla Giunta Regionale l’adozione di un’apposita deliberazione (disciplina tipo di riferimento per l’adozione dei piani e/o dei regolamenti comunali), per cui nessun piano e/o regolamento può ritenersi conforme alla nuova legge regionale (art.16 che prevede l’abrogazione automatica). Da ultimo si insiste sulla impossibilità della copertura di larghe fasce del territorio comunale, a motivo della individuazione di divieti di installazione in zone non classificabili come E, e si precisa che l’eccezione di incostituzionalità dell’art.3 del D.Lgs. n.198/2002, sollevata dal Comune di Ostuni, non è rilevante nella specie, giacché il presente giudizio verte su atti e determinazioni adottati anteriormente alla entrata in vigore del D.Lgs. n.198/2002.

         5.- All’udienza del 9 maggio 2003, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

         6.- La ricorrente - appellante insiste in primo luogo perché venga decisa una delle questioni, che, pur sottoposta all’esame del primo giudice, non è stata da quest’ultimo esaminata.

         Si tratta della censura indicata sub 3) del fatto della sentenza impugnata, con la quale si lamenta il ritardo con cui il Comune è intervenuto con la contestata dichiarazione di inefficacia della D.I.A. e l’omessa indicazione di una congrua motivazione circa l’interesse pubblico prevalente alla rimozione dell’impianto mobile, per la cui installazione era stata appunto presentata la D.I.A..

         In effetti, di questa specifica doglianza non vi è alcun cenno nella sentenza impugnata, e neppure la difesa del Comune di Ostuni si sofferma su di essa, preferendo affrontare le problematiche principali, vale a dire quelle relative alla perdurante vigenza del regolamento di organizzazione, adottato ai sensi della legge regionale n.17 del 2000, e alla legittimità del diniego di concessione in sanatoria.

         La censura è fondata, e il suo carattere assorbente esime il Collegio dall’esaminare la risposta che il TAR ha dato in merito alla legittimità del diniego di concessione in sanatoria, il cui rilascio esige anche la conformità dell’opera alla normativa sopravvenuta (è stata ritenuta applicabile la nuova normativa regolamentare), e alla necessità che l’impianto in esame fosse assentito con concessione edilizia, e non soggetto a D.I.A. ovvero ad autorizzazione, atteso il suo carattere stabile e il suo impatto con l’ambiente (l’antenna è alta quindici metri, e il carrato è ancorato stabilmente al suolo).

         Non sussistono dubbi che il Comune di Ostuni abbia impiegato quasi due anni per scoprire che l’impianto in questione (per il quale era stata presentata la D.I.A.) non era temporaneo, come invece, secondo lo stesso Comune, lasciava intendere la documentazione tecnica allegata all’istanza. Suscita perplessità il fatto che il Comune di Ostuni abbia invocato l’errore in cui sarebbe incorso nel considerare l’allocazione di strumentazione tecnica quale provvisoria, destinata ad un uso temporaneo e ad una rapida rimozione in quanto caricata su un carrello mobile.

         Dalla documentazione tecnica, allegata alla D.I.A., non è dato intravedere alcun elemento che possa far supporre un utilizzo temporaneo dell’impianto (non è dato arguire dalla domanda la data sino a quando l’impianto sarebbe stato mantenuto in funzione), né il fatto che detto impianto fosse allocato su un carrello mobile poteva ingenerare l’impressione che lo stesso dovesse essere rimosso a breve. D’altra parte, è lo stesso Comune di Ostuni ad accomunare i due impianti (fissi e mobili), riservando agli stessi il medesimo trattamento (ved. Variante urbanistica e Regolamento di organizzazione del sistema di radiotelecomunicazioni, anch’essi impugnati), il che induce a ritenere, da una parte, che la ricorrente non ha posto in essere alcun escamotage, utilizzando la D.I.A., e, dall’altra, che l’Amministrazione abbia inteso realizzare un disegno complessivo in materia di stazioni radio base, riconsiderando gli impianti già da tempo installati alla luce della nuova normativa di carattere generale, adottata con i provvedimenti n.2 e n.3 del 12.1.2001 (l’atto impugnato è del 21 febbraio 2001).

Non è comunque dubbio che, alla stregua del quadro
normativo antecedente alla entrata in vigore del D.Lgs. n.198/2002, l’impianto in questione – diversamente da come opina la ricorrente – dovesse essere assentito con concessione edilizia, attesa la sua funzionalità (appunto permanente), le sue caratteristiche (stabilmente infisso al suolo) e la sua struttura (dimensioni complessive del carrato e dell’antenna), e che, nella specie, non era possibile ricorrere allo schema semplificato della denunzia di inizio attività, ovvero al sistema autorizzatorio.

         Neppure può convenirsi con la ricorrente che si attarda a richiamare il carattere perentorio del termine di venti giorni, di cui all’art.2, comma 60, della legge 4.12.1996 n.662, con l’intento di dimostrare che il potere del Comune di intervenire, da esercitarsi nel predetto termine di 20 giorni dalla presentazione dell’istanza, si sarebbe consumato, e che era possibile solo l’irrogazione di una sanzione pecuniaria.

         Il Comune di Ostuni (questo osserva esattamente la difesa dell’Amministrazione) si è avvalso nella specie del generale potere di autotutela al fine di ripristinare una situazione di illegalità, dovuta al fatto che era stato installato un impianto senza la prescritta concessione edilizia.

         L’esercizio di questo potere non può, però, che essere soggetto al limite che la giurisprudenza amministrativa ha da sempre individuato, e che è quello della rappresentazione dell’interesse pubblico attuale e concreto, che deve giustificare la rimozione (nella specie la dichiarazione di inefficacia della D.I.A.) dell’atto, ritenuto illegittimo.

         È pur vero che, a volte, il giudice amministrativo ha ritenuto sufficiente che il solo richiamo all’illegalità dell’atto potesse valere a rendere legittimo l’esercizio del potere di autotutela, ma, nella specie, l’affidamento dato alla ricorrente dal comportamento del Comune di Ostuni, silente per quasi due anni dalla presentazione della D.I.A. e del certificato di collaudo del 2.6.1998 dell’impianto (che risulta essere stato spedito al Comune, doc. 5 dell’elenco depositato in primo grado), e soprattutto il fatto che il quadro normativo nel quale lo stesso Comune ha preteso di muoversi era prossimo a mutare in senso maggiormente favorevole alla ricorrente (la legge quadro n.36 è entrata in vigore il 22 febbraio 2001, e l’atto impugnato è del 21 febbraio 2001), consentono di affermare che il ripristino della legalità violata (necessità della concessione edilizia, del nulla osta paesaggistico – comunque ottenuto, sia pure tardivamente -, rispetto della normativa di cui alle deliberazioni comunali n.2 e n.3 del 2001) non poteva da solo sorreggere il provvedimento di dichiarazione di inefficacia della D.I.A., necessitando che fosse esplicitato in modo puntuale l’interesse pubblico alla emanazione di tale dichiarazione di inefficacia, alla quale sarebbero – come sono - seguiti altri provvedimenti, quali quello di rimozione dell’impianto (la cui realizzabilità oggi difficilmente potrebbe essere messa in discussione) e quello di diniego di concessione in sanatoria.

         7.- A questo punto, una volta dichiarato illegittimo il provvedimento di dichiarazione di inefficacia della D.I.A., e, conseguentemente, l’ordine di rimozione dell’impianto e il diniego di concessione in sanatoria, devono essere affrontati i motivi di appello diretti verso l’atto regolamentare e la variante di PRG, che possono trattarsi unitariamente non solo per la loro stretta connessione logica, ma perché coinvolgono due atti (adottati nello stesso giorno) che sono sostanzialmente identici, se si eccettuano alcuni aspetti marginali (nel regolamento si prevede l’istituzione di un Forum consultivo e di costituire una banca dati) e, ovviamente, la loro denominazione: uno, denominato variante di prg; l’altro, regolamento di organizzazione.

         Anzitutto va rilevato che – diversamente da quanto sostenuto dal primo giudice, che, ha limitato l’interesse della ricorrente alla sola impugnativa delle norme direttamente applicate – la società appellante ha immediato interesse alla caducazione dell’intera nuova disciplina, essendo un operatore economico che deve assicurare un determinato servizio in ambito locale, e che, quindi, vede il proprio interesse imprenditoriale direttamente inciso dalla normativa adottata, la quale rende sicuramente più difficoltosa l’installazione degli impianti.

         La critica che l’appellante rivolge ad ambedue gli atti impugnati (in verità il TAR e la difesa del Comune di Ostuni, si sono occupati del regolamento di organizzazione, di cui alla deliberazione n.3 del 2001, senza alcun riferimento alla variante urbanistica di cui alla deliberazione n.2 del 2001) si incentra sull’eccesso di potere in cui sarebbe incorso il Comune, perché ha approvato un’autonoma regolamentazione dell’installazione degli impianti di telecomunicazioni a tutela della salute dei cittadini, senza alcuna istruttoria e senza garanzie partecipative.

         La vicenda appare datata, dal momento che gli atti impugnati sono stati emanati prima (circa un mese) che entrasse in vigore la legge quadro n.36 del 2001, e il decreto legislativo n.198 del 2002, e prima ancora che fosse emanata la legge regionale n.5 del 2002.

La questione dei limiti della potestà regolamentare del Comune in materia sarà, perciò, certamente soggetta a nuova valutazione alla luce del quadro normativo sopravvenuto (si pensi solo alla legge regionale n.5 del 2002 di attuazione dell’art.8 della legge n.36/2001, che impone alla Giunta Regionale di adottare, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge – art.4 –, una deliberazione che detti i criteri localizzativi e “la disciplina tipo di riferimento per l’adozione dei piani e/o regolamenti comunali”) e delle decisioni della Corte Costituzionale, la quale è stata chiamata a pronunciarsi (ordinanza del TAR Lecce n.39 del 2003) sulla questione di legittimità costituzionale dell’art.3 del D.Lgs. n.198/2002, e sulla questione di legittimità costituzionale dell’art.10 della legge regionale n.5 del 2002, sollevata dal Presidente del Consiglio dei Ministri (ric. 16 maggio 2002).

         In ogni caso, il nuovo quadro normativo non ha alcun rilievo nella vicenda in esame, giacché – come detto – gli atti impugnati sono stati adottati antecedentemente all’entrata in vigore della legge 22 febbraio 2001 n.36 sui campi elettromagnetici.

         Ambedue le parti (società appellante e Comune) fanno continuo riferimento al nuovo quadro normativo (si giunge addirittura a prospettare questioni di costituzionalità di norme non applicate nella specie: la società appellante dubita della legittimità costituzionale dell’art.10 della legge regionale n.5 del 2002, e il Comune di Ostuni della legittimità costituzionale dell’art.3 del D.Lgs. n.198/2002), per avvalorare l’incompetenza del Comune ad adottare regolamenti che disciplinano l’installazione nel territorio di impianti per telefonia mobile (appellante), e l’attuale vigenza del regolamento impugnato e la competenza dei Comuni nella materia (Comune di Ostuni).

         La questione del potere esercitato dal Comune di Ostuni con l’emanazione contestuale di due deliberazioni di identico contenuto (una variante di prg e un regolamento di organizzazione ex legge regionale n.17 del 2000) deve essere risolta alla luce degli orientamenti giurisprudenziali ormai consolidati della giurisprudenza amministrativa, la quale ha riconosciuto la sussistenza di un peculiare spazio della fonte regolamentare comunale in materia di elettrosmog, sia al fine di assicurare il corretto posizionamento urbanistico e territoriale degli impianti, sia al fine di minimizzare l’impatto delle installazioni sulle popolazioni (quest’ultima finalità è quella espressamente contenuta nella legge regionale 30 novembre 2000 n.17, ai sensi della quale è stato adottato l’atto normativo).

         Il Comune è incompetente a fissare limiti di esposizione a campi elettromagnetici diversi da quelli stabiliti dalla normativa statale, di cui al D.P.R. 10 settembre 1998 n.381, ma è competente a dettare diverse e specifiche misure (anche dopo l’entrata in vigore della legge n.36 del 2001), la cui idoneità emerga dallo svolgimento di compiuti e approfonditi rilievi istruttori di carattere scientifico (ved. C.S., sez.VI, 3.6.2002, n.3095).

         Nella specie, sia l’atto normativo sia lo strumento urbanistico variato non hanno fissato – neppure in modo surrettizio – nuovi obiettivi di qualità sovrapposti a quelli fissati dalla normativa statale, ma hanno posto illegittimamente prescrizioni urbanistiche ed edilizie tese alla minimizzazione dell’esposizione della popolazione ai campi magnetici, che consentono l’installazione degli impianti solo ed esclusivamente nelle zone agricole, senza alcuna giustificazione scientifica, e, soprattutto, senza alcuna garanzia partecipativa.

         Il primo giudice evidenzia (esaminando il solo atto normativo, e trascurando l’esame della variante di prg) che dette norme non pongono un divieto assoluto di installazione degli impianti in zone diverse da quelle agricole, ma indicano le zone nelle quali a preferenza di altre è consentito collocare gli impianti, e che l’atto normativo impugnato non ha una valenza urbanistica.

         Ambedue le considerazioni non possono essere condivise, in quanto il dettato letterale del regolamento (e delle norme tecniche della variante) è chiaro e inequivocabile, nel senso di consentire l’installazione, la modifica e l’adeguamento degli impianti di telecomunicazioni solo ed esclusivamente all’interno di un’apposita area di pertinenza interamente ricadente nelle zone agricole del PRG, di cui agli artt.13, 14 e 15 delle NTA, e il contenuto urbanistico del regolamento (nonostante la denominazione di Regolamento comunale di organizzazione del sistema di teleradiocomunicazioni, e il richiamo alla legge regionale n.17/2000 che, all’art.21, ne consente l’emanazione) non può essere messo in dubbio, atteso che lo stesso si risolve in un duplicato della variante di prg, adottata nello stesso giorno con le medesime premesse.

         In effetti, il Comune di Ostuni, senza alcuna indagine, ha, per un verso, utilizzato formalmente uno strumento di natura urbanistico – edilizia con una chiara finalità di tutela della salute dei cittadini, nell’intento di attenuare il crescente allarme sociale nel territorio urbano, e, per l’altro, ha impiegato uno strumento di mera organizzazione dei compiti amministrativi, allo stesso demandati dall’art.21 della citata legge regionale n.17 del 2000, con la finalità obliqua di perseguire il medesimo obiettivo mediante l’adozione delle stesse misure urbanistiche, le quali nella sostanza costituiscono una deroga ai limiti di esposizione fissati dallo Stato (sulla illegittimità di atti comunali con tali finalità, da ultimo C.S., sez.VI, n.673/2003).

         Queste misure, inoltre, sembrano dettate da spinte emotive che reclamano, attraverso l’azione di numerosi comitati di cittadini, una maggiore cautela nel posizionamento e nella localizzazione in aree residenziali degli impianti di radiotelecomunicazioni (questo si legge nella premessa di ambedue gli atti), e sono comunque prive di ogni supporto scientifico.

         Il vizio, dunque, di cui sono affetti gli atti impugnati è radicale, e questo esime il Collegio dall’esame delle singole disposizioni (alcune di carattere procedimentale sono venute meno, come richiamato dalla difesa del Comune di Ostuni, per effetto dell’abrogazione automatica delle norme locali che contrastino con la disciplina regionale sopravvenuta, di cui all’art.16 della legge regionale n.5 del 2002), quali quelle, ad esempio, che dispongono distanze dalle aree sensibili (scuole ed ospedali), senza tener conto della prefissazione dei limiti di esposizione a livello statale, ovvero quella che consente l’allocazione di impianti fissi e mobili previo rilascio di concessione edilizia di validità triennale.

         L’appello va, pertanto, accolto, e, in riforma della sentenza impugnata, vanno caducati gli atti impugnati.

Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio. 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie il ricorso in epigrafe e, in riforma della sentenza impugnata, annulla gli atti impugnati in primo grado: la dichiarazione di inefficacia della D.I.A., l’ordine di rimozione dell’impianto, il diniego di sanatoria; le delibere consiliari n.2 e n.3 del 12/1/2001.

Compensa tra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2003, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) nella Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Salvatore GIACCHETTI                              Presidente

Alessandro PAJNO                                    Consigliere

Romeo GIUSEPPE                                     Consigliere Est.

Lanfranco BALUCANI                                Consigliere

Rosanna DE NICTOLIS                              Consigliere