Cass. Sez. III n. 18364 del 7 maggio 2008 (Ud. 11 mar. 2008)
Pres. Grassi Est. Marmo Ric. Giordano ed altro
Rifiuti. Materiali da scavo di strade

I materiali da scavo di strade continuano a costituire rifiuti anche dopo l\'entrata in vigore della normativa che ha escluso dalla disciplina dei rifiuti le terre e rocce da scavo, atteso che non sono costituiti esclusivamente da terriccio e ghiaia, ma altresì da pezzi di asfalto e di calcestruzzo, costituenti pacificamente rifiuti non pericolosi

Svolgimento del processo
Con sentenza pronunciata il 4 aprile 2007 il Tribunale di Caltagirone dichiarava Vincenzo Giordano e Franco Di Blasi responsabili: del reato previsto e punito dagli artt. 110, 51 comma 2 del D.L. n. 22 del 1997 perché, agendo in concorso tra loro, il primo in qualità di titolare dell’omonima impresa individuale svolgente attività di movimento terra, costruzioni, rifacimento e manutenzione di strade ed altro, il secondo in qualità di esercente la produzione e la vendita all’ingrosso e/o al dettaglio di impianti cementiti, calcestruzzi, conglomerati cementizi, carpenteria metallica, palificazione ed altro, avvalendosi di Stefano Di Giovanni, dipendente della ditta Di Blasi Calcestruzzi s.r.l., - non punibile in quanto sprovvisto della qualifica richiesta dalla normativa -, esportavano in modo incontrollato, sull’area appartenente a Liborio Belmonte, rifiuti costituiti da materiali di demolizioni stradali ed asfalto, per un quantitativo pari a circa 400 mc, (per fatto accertato in Caltagirone in data 22 agosto 2003) e, concesse ad entrambi le circostanze attenuanti generiche, condannava ciascuno alla pena di € 2.000,00 di ammenda.
Hanno proposto distinti ricorsi entrambi gli imputati chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata per i motivi che saranno nel prosieguo analiticamente esaminati.

Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente Vincenzo Giordano lamenta la violazione di cui agli artt. 606 lettera B) e 606 comma 1 lettera c) del codice di procedura penale in relazione all’art. 192 comma 2
c.p.p.
Secondo il ricorrente la sentenza impugnata violava le norme penali in materia di colpa e di concorso nel reato, nonché le norme processuali relative alla valutazione degli indizi di colpevolezza.
Deduce il Giordano che egli non era stato condannato perché, in qualità di titolare di impresa individuale svolgente attività di movimento terra, costruzione e rifacimento e manutenzione strade, aveva depositato in modo incontrollato rifiuti costituiti da materiale di demolizione stradale realizzato dalla propria ditta. I rifiuti provenivano infatti da materiale di demolizione prodotto dalla ditta Franco Di Blasi.
Siccome non vi era stata nessuna delega da parte di quest’ultimo il Tribunale avrebbe dovuto verificare se esso ricorrente potesse ritenersi concorrente nel reato commesso dal Di Blasi.
Peraltro egli si era limitato ad indicare ad un dipendente della ditta Di Blasi, il sunnominato Giovanni Di Stefano, un terreno sul quale questi poteva scaricare temporaneamente il materiale che derivava dai lavori che la ditta Di Blasi eseguiva sul manto stradale. Era quindi improprio parlare di autorizzazione, in quanto si era trattato di una mera indicazione che non poteva concretizzare il suo concorso nel reato di deposito incontrollato di rifiuti.
Inoltre era lo stesso Dì Stefano ad averlo contattato e comunque egli aveva indicato il terreno per un deposito temporaneo e controllato.
Il motivo è infondato.
Il Tribunale ha infatti specificato che dalle dichiarazioni dei testi Di Stefano e Strazzuso risultava che il Giordano aveva autorizzato il Di Stefano ad accedere al fondo del proprio familiare Di Blasi e a depositarvi il materiale.
Non si è trattato quindi di una mera e generica indicazione di un fondo che avrebbe potuto essere disponibile, previa autorizzazione del proprietario, ma di una diretta autorizzazione da parte del Giordano all’accesso e al deposito dei rifiuti sul fondo del Di Blasi per conto di quest’ultimo.
Il motivo deve peraltro ritenersi inammissibile nella parte in cui con esso il ricorrente richiede alla Corte di legittimità una immotivata rivalutazione degli elementi di fatto posta a fondamento della sentenza impugnata e sottratti quindi al sindacato di questa Corte. (v. per tutte S.U. sent. 24 settembre 2003, n. 47289).
Con il secondo motivo il Giordano lamenta la violazione di cui all’art.606 comma primo lettere b) e lettera e) del codice di procedura penale per erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione.
Deduce il ricorrente che la sentenza impugnata sarebbe nulla per violazione della legge penale e per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo stesso del provvedimento impugnato.
Il procedimento argomentativo seguito dal Tribunale per pervenire alla decisione di condanna sarebbe infatti palesemente contraddittorio ed illogico nella parte in cui non riteneva configurata l’ipotesi del deposito controllato e temporaneo di cui all’art. 6 comma 1 lettera m del d.lgs. n. 22 del 1997.
Secondo il ricorrente il giudicante aveva escluso, in maniera illogica e contraddittoria, tale ipotesi, in quanto non sarebbe stata rispettata la cadenza trimestrale per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, ai sensi dell’art. 3 del citato d.lgs., essendo gli stessi superiori ai venti metri cubi indicati nella norma.
Il giudice di merito aveva ritenuto che tale scadenza fosse stata superata in quanto i lavori della ditta erano stati sospesi il 30 maggio 2003 e l’accertamento del corpo forestale era avvenuto il 22 agosto 2003.
Non aveva considerato, peraltro, che il 22 agosto 2003 non erano ancora decorsi tre mesi dalla sospensione dei lavori, sicché il reato non si era perfezionato.
Il motivo è infondato.
Perché il deposito temporaneo di rifiuti non pericolosi, come il materiale da scavo, possa considerarsi temporaneo, e come tale lecito, è necessario, ai sensi dell’art. 6 lettera m del d.lgs n. 22 del 1997, che essi siano raggruppati, in via temporanea ed alle condizioni previste dalla legge, nel luogo della loro produzione.
Si ha invece deposito preliminare o stoccaggio, che richiede l’autorizzazione o la comunicazione in procedura semplificata, quando non sono rispettate le condizioni previste dall’art. 6 lettera m del d.lgs n. 22 del 1997 per il deposito temporaneo di rifiuti.
Considerato che l’art. 6 lettera m) del d.lgs. n. 22 del 1997 qualifica come deposito temporaneo il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti, deve concludersi che si ha invece deposito incontrollato o abbandono di rifiuti quando il raggruppamento di essi viene effettuato in luogo diverso da quello in cui i rifiuti sono prodotti e quindi fuori della sfera di controllo del produttore. (v. per tutte Cass. pen., sent. 21 agosto 2007, n. 33791).
Nel caso in esame è invece pacifico che i rifiuti sono stati depositati su un fondo diverso rispetto al luogo dove sono stati prodotti.
Non trova quindi applicazione l’art. 3 del citato d.lgs. in relazione alla durata del deposito e va quindi respinto anche il secondo motivo di ricorso del Giordano.
Va a questo punto esaminato il ricorso di Franco Di Blasi.
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e l’erronea applicazione degli artt. 110, 51 comma 2 d.lgs n. 22 del 1997 in relazione all’art. 606 lettera b e c, nonché illogicità della motivazione in relazione all’art. 606 lettera e c.p.p.
Deduce il ricorrente che il deposito temporaneo di rifiuti era dovuto alla necessità di sgombrare al più presto la strada dai rifiuti dell’attività che potevano dar luogo ad intralcio alla circolazione stradale per poterli poi trasportare in una discarica.
Per quel che attiene al deposito incontrollato, Liborio Belmonte, proprietario del fondo dove era stata rinvenuta una parte dei rifiuti, aveva dichiarato che la recinzione del proprio fondo era stata divelta e che egli non aveva provveduto ad eliminarla. comunque il materiale era stato depositato su un fondo recintato e soltanto una parte sul fondo non recintato del Belmonte.
Risultava inoltre dalla deposizione dell’agente Berto che i cumuli di materiale erano recenti e questo confermava il carattere temporaneo ed urgente del deposito.
La ditta Di Blasi non aveva potuto tempestivamente trasportare alla discarica il materiale temporaneamente accantonato, in un primo tempo perché i lavori erano in corso d’opera e, successivamente, perché la zona di deposito del materiale era stata sequestrata dalla Procura della Repubblica di Caltagirone.
Inoltre la quantità del materiale era inferiore a quella contestata ed i cumuli erano composti prevalentemente da terre e pietre provenienti da scavo e solo in minima parte da bitume che faceva parte di una vecchia costruzione. Il materiale, quindi, per il tempo trascorso, aveva perso quasi tutte le componenti bituminose.
Il motivo è infondato.
La tesi del ricorrente in ordine allo stato di necessità ed urgenza è infatti contraddetta dalla circostanza, specificata nella sentenza, che, secondo la certificazione proveniente dall’ufficio tecnico del Comune di Caltagirone, i lavori erano stati sospesi dalla ditta il 30 maggio 2003 per essere ripresi il 10 marzo 2005.
Considerato che nell’agosto del 2003, a distanza di ben tre mesi circa dalla sospensione dei lavori, i rifiuti non erano stati ancora smaltiti, in quanto sono stati rinvenuti dalla Guardia Forestale, sull’area non recintata appartenente a Liborio Belmonte, il Tribunale, a prescindere da ogni altro rilievo sulla configurabilità astratta dell’esimente nel caso in esame, ha correttamente escluso, con logica motivazione, come priva di fondamento la giustificazione della necessità ed urgenza del deposito.
Per quel che attiene alla natura del materiale depositato, così come indicato nel capo di imputazione, esso rientra nella definizione di rifiuto ai sensi dell’art. 6 lettera A) del d.lgs. n. 22 del 1997.
Come ha precisato questa Corte (v. sent. pen. Sez. III sent. 13 febbraio 2003, n. 12851) “i materiali da scavo di strade continuano a costituire rifiuti anche dopo l’entrata in vigore della legge 12 dicembre 2001, n. 443, che ha escluso dalla disciplina dei rifiuti le terre e rocce da scavo atteso che non sono costituiti esclusivamente da terriccio e ghiaia, ma altresì da pezzi di asfalto e di calcestruzzo, costituenti pacificamente rifiuti non pericolosi ai sensi delle disposizioni di cui al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22).
Con il secondo motivo il Di Blasi lamenta la mancanza la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione.
I testi escussi avevano infatti chiarito che il motivo per cui era stato deciso di scaricare temporaneamente il materiale sul fondo del Bizzini e del Belmonte, privo di recinzione, non era di natura economica ma era dovuto alla volontà di evitare l’intralcio al traffico e comunque il Di Blasi non sapeva che il fondo del Belmonte era privo di recinzione.
Anche il secondo motivo di ricorso del Di Blasi è infondato e va respinto.
Il reato contestato configura una contravvenzione punibile a titolo di sola colpa.
E’ quindi irrilevante la mancanza del fine di lucro e deve ritenersi sussistente la negligenza dell’imputato per non aver verificato le condizioni del luogo in cui depositava il materiale di cui era responsabile quale produttore di rifiuti ai sensi dell’art. 51 del d.lgs. n. 22 del 1997.
Consegue al rigetto dei ricorsi la condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali.