Cass. Sez. III n. 6417 del 11 febbraio 2008 (Ud. 7 nov. 2008)
Pres. Postiglione Est. Fiale Ric. Benedetti
Rifiuti. Scarichi indiretti, applicabilità disciplina rifiuti

Nonostante i difetti di chiarezza e di coordinamento delle nuove disposizioni normative, deve continuare a ritenersi che i c.d. "scarichi indiretti", cioè quelli che non raggiungono immediatamente un corpo rìcettore o un impianto di depurazione, continuino ad essere disciplinati dalla normativa sui rifiuti ed invero, qualora il collegamento tra fonte di riversamento e corpo recettore è interrotto, viene meno lo scarico per fare posto allo smaltimento del rifiuto liquido.

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Macerata - Sezione distaccata di Civitanova Marche, con sentenza del 27 ottobre 2006, affermava la responsabilità penale di Benedetti Goffredo in ordine al reato di cui:

- all’art. 51, 1° comma, D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22 (per avere - quale imprenditore individuale esercente attività di autolavaggio - effettuato lo stoccaggio non autorizzato, in vasche di decantazione, di rifiuti speciali non pericolosi consistenti in fanghi da autolavaggio derivanti dalla depurazione dei reflui - acc. in Civitanova Marche, il 23 agosto 2004)

e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena, condizionalmente sospesa, di euro 3.000,00 di ammenda.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Benedetti, il quale ha eccepito:

- violazione di legge, per essere stata incongruamente ritenuta la sussistenza della contravvenzione contestata allorquando, invece, non si sarebbe dovuto applicare nella specie la disciplina dei  rifiuti liquidi, bensì quella degli scarichi, poiché le acque provenienti dall’autolavaggio andavano a defluire direttamente nelle vasche di decantazione;

- erronea applicazione dell’art. 163 cod. pen., essendogli stato concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena - benché da lui non richiesto - con statuizione lesiva “del suo diritto ed interesse giuridico a vedere eliminata l’iscrizione della condanna dal casellario giudiziale”.

 

Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso è infondato.

Quanto al problema del coordinamento della disciplina dei “rifiuti” (già posta dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22) con quella degli “scarichi” (già posta dal DLgs. 11 maggio 1999, n. 152), va rilevato che - anteriormente all’entrata in vigore del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 - la giurisprudenza costante di questa Corte Suprema ha affermato che la distinzione tra “acque di scarico” e “rifiuti liquidi” non va ricercata nelle caratteristiche della sostanza, bensì nella diversa fase del suo processo di trattamento, sicché ha costantemente enunciato che nella disciplina delle acque rientra unicamente la fase dello “scarico”, cioè della immissione diretta nel corpo ricettore (vedi, tra le decisioni più recenti, Cass., Sez. III: 11 marzo 2004, Cravanzola; 4 febbraio 2003, Arici; 15 novembre 1999, Podella). Diversamente, ogni altro sversamento rientra nel concetto di “rifiuto”: nozione, quest’ultima, destinata a ricomprendere “l’immissione di reflui non effettuata attraverso un sistema canalizzato di raccolta e di scarico”.

Le violazioni in materia di scarico - in altri termini - trovano applicazione soltanto se il recapito dei reflui nel corpo ricettore sia “diretto”; se presenta. invece, momenti di soluzione di continuità (ed è questo il caso dello scarico dei reflui in vasche e del successivo trasporto in altro luogo tramite autobotte), si è in presenza di un rifiuto-liquido, il cui smaltimento deve essere come tale autorizzato (vedi, da ultimo, Cass., Sez. III, 17 giugno 2005, n. 22864).

Qualche incertezza può sorgere in seguito alla nuova definizione di “scarico”, introdotta dall’art. 74, 1° comma – lett. ff), del D.Lgs. n. 152/2006, ove non è più previsto che la immissione di acque reflue debba essere ‘“diretta tramite condotta” e non sono più specificate le varie tipologie di scarichi (acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili), pur continuando l’art. 185 del D.Lgs. n. 152/2006 a disporre, comunque, che

“Non rientrano nel campo di applicazione della parte quarta del presente decreto: ... b) gli scarichi idrici, esclusi i rifiuti liquidi contenuti in acque reflue” (l’art. 8, comma i - lett. e, del DLgs. n. 22/1997 faceva riferimento, invece, ai “rifiuti allo stato liquido”).

Questa Corte ha però già affermato che, anche dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 152/2006, integra “scarico” in senso giuridico qualsiasi sistema di deflusso, oggettivo e duraturo, che comunque canalizza - senza soluzione di continuità, artificiale o meno - i reflui dal luogo di produzione al corpo recettore (Cass., Sez. III, 26 ottobre 2006, n. 35888, De Marco), sicché, a giudizio del Collegio, nonostante i difetti di chiarezza e di coordinamento delle nuove disposizioni normative, deve continuare a ritenersi che i cd. “scarichi indiretti”, cioè quelli che non raggiungono immediatamente un corpo ricettore o un impianto di depurazione, continuino ad essere disciplinati dalla normativa sui rifiuti ed invero, qualora il collegamento tra fonte di riversamento e corpo recettore è interrotto, viene meno lo scarico per fare posto allo smaltimento del rifiuto liquido.

Lo stoccaggio di fanghi è operazione ben diversa dallo scarico finale e, nella fattispecie in esame, il giudice del merito ha accertato in punto di fatto che nelle vasche di decantazione dell’azienda erano depositati fanghi decantati non smaltiti per una quantità complessiva di circa 50 quintali e che l’ultimo smaltimento risaliva all’anno 2002.

2. Fondata è, invece, la seconda doglianza.

Le Sezioni Unite di questa Corte Suprema - con la sentenza 2 giugno 1994, n 6563, Rusconi - hanno affermato che:

- la concessione della sospensione condizionale costituisce manifestazione dell’esercizio di un potere, avente natura discrezionale, attribuito dalla normativa esclusivamente al giudice; pur tuttavia “l’esercizio del medesimo non solo è sottoposto alle condizioni di cui all’art. 163 cod. pen. ed ai limiti previsti dall’art. 164 cod. pen., ma trova il proprio imprescindibile parametro nella finalità rieducativa della pena (art. 27, commi 1 e 3, della Costituzione), che, in vista della tutela delle posizioni individuali, dimensiona e limita la potestà punitiva statale (art. 25, comma 2, della Costituzione). Nell’individualizzazione della pena, che ad un tempo soddisfa l’esigenza di renderla il più possibile personale e di finalizzarla alla reintegrazione sociale del condannato, s’incentra il criterio (prescrittivo) sotteso alla discrezionalità del giudice nell’esercizio della potestà punitiva”;

- per la concessione della sospensione condizionale non sono ipotizzabili né la necessità di istanza dell’imputato né il potere della parte di rinuncianti, ma la concessione medesima “non può risolversi in un pregiudizio per la situazione dell’imputato in termini di compromissione del carattere personalistico e rieducativo della pena, a tutela della sua posizione individuale”, sicché l’interesse all’impugnazione non può escludersi tutte le volte che il provvedimento di concessione “sia idoneo a produrre in concreto la lesione della sfera giuridica dell’impugnante e la sua eliminazione consenta il conseguimento di una situazione giuridica più vantaggiosa”;

- “il pregiudizio addotto per contestare la concessione della sospensione condizionale in tanto rileva in quanto non attenga a valutazioni meramente soggettive di opportunità e di ordine pratico, ma concerna interessi giuridicamente apprezzabili in quanto correlati alla finalità stessa della sospensione condizionale, cioè comprometta quelle posizioni garantite all’imputato dal legislatore con la previsione del beneficio”;

- in tale prospettiva non può assumere rilevanza giuridica la mera opportunità di riservare il beneficio a future condanne eventualmente più gravi, trattandosi di una valutazione di opportunità, del tutto soggettiva e per giunta eventuale, che si pone in chiara contraddizione con quella prognosi di non reiterazione criminale, e quindi di ravvedimento, imposta dall’art. 164, l comma., cod. pen. per la concessione del beneficio (così pure Cass.: Sez. V, 11 maggio 2001, n. 19190, Turano ed altri; Sez. III, 29 novembre 2000, n. 12279, Buzzi; Sez. III, 21 aprile 2000, n. 4954, Moresco).

Applicando i principi anzidetti alla fattispecie in esame, deve rilevarsi che:

a) il beneficio concesso non è stato richiesto dal condannato;

b) esso è idoneo a produrre in concreto la lesione della sfera giuridica dell’impugnante, poiché - ai sensi dell’art. 5, comma 2 - lett. d), del D.Lgs. 14 novembre 2002, n. 311 - non sono eliminabili le iscrizioni del casellario giudiziale riguardanti le condanne per contravvenzioni alla sola pena dell’ammenda condizionalmente sospesa (vedi, al riguardo, Cass., Sez. 1, 7 marzo 2001, n. 9515, Gaggia).

La sentenza impugnata deve essere, quindi, annullata sul punto senza rinvio, con conseguente eliminazione della statuizione inerente la concessione della sospensione condizionale dell’esecuzione della pena inflitta al ricorrente.