Cass. Sez. III sent.6764 del 22 febbraio 2006 (Ud. 24 gennaio 2006)
Pres. Postiglione Est. Teresi Ric. Granaldi
Rifiuti – Stoccaggio di rifiuti pericolosi
Configura un’ipotesi di gestione non autorizzata di rifiuti lo stoccaggio in
attesa di trasferimento da attuare in tempi prevedibilmente lunghi di rifiuti
pericolosi su area in locazione.
Svolgimento del processo
Con sentenza in data 25 maggio 2005 la Corte di Appello di Lecce confermava la condanna alla pena dell'arresto e dell'ammenda inflitta nel giudizio di primo grado a Granaldi Pasquale per avere, quale amministratore della s.r.l. Ecopuglia [che fino al 31 marzo 2001 era autorizzata all'esercizio di un impianto di trattamento e di stoccaggio provvisorio di rifiuti speciali], raccolto e smaltito, in assenza di autorizzazione, rifiuti pericolosi consistenti in liquidi fotolitoradiografici [CER 090101/090106] depositandoli permanentemente, dentro 74 fusti, su un'area condotta in locazione dalla società.
Rilevava la corte territoriale che in data 19 settembre 2001 era stata sequestrata l'area dove erano depositati 74 fusti contenenti rifiuti pericolosi provenienti dall’attività di trattamento di liquidi fotolitoradiografici svolta dalla società Ecopuglia; che sin dal 31 marzo 2001 la società non era più autorizzata a svolgere detta attività; che la pericolosità dei liquidi contenuti nei fusti conseguiva dalle caratteristiche del materiale trattato dall'azienda per il recupero dell'argento in soluzione mediante elettrolisi; che il dirigente medico dell'ASL, con nota 31 ottobre 2002, aveva segnalato che il liquido fuoriuscito dai fusti era di indubbia natura tossica "a motivo della sua provenienza; che non valeva a dimostrare il contrario la classificazione della Tecno-Bios s.r.l. perchè non era provato che il rifiuto analizzato il 18 dicembre 2000 fosse della medesima natura dei liquidi contenuti nei fusti sequestrati il 19 settembre 2001; che era ravvisabile l'ipotesi criminosa contestata [attività di gestione di rifiuti non autorizzata] perchè l'azienda, prima della chiusura, non aveva completato lo smaltimento dei rifiuti, che, a dire dello stesso imputato, se consistenti in fanghi non pericolosi, andavano convogliati in discarica, e,se consistenti in liquidi pericolosi, andavano smaltiti presso altro impianto autorizzato; che, nella specie, non era ravvisabile un'ipotesi di deposito temporaneo di rifiuti.
Proponeva ricorso per cassazione l’imputato denunciando
- violazione ed erronea applicazione di norme giuridiche e mancanza di motivazione in ordine alla utilizzazione, non ritualmente acquisita agli atti, di documentazione proveniente dalla Polizia provinciale, dalla Vigilanza ecologica, dai CC di Cisternino e da privati. La Corte, inoltre, aveva utilizzato la segnalazione n. 43 del 3 febbraio 2003, anch'essa irritualmente inserita negli atti processuali, per richiedere ai CC di Cisternino un supplemento d'informazioni;
- mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla valutazione delle prove perché:
1. il teste Montanaro, dipendente dell'ASL, non aveva riferito, come affermato dalla corte, che i fusti erano maleodoranti, ma che era stata verificata l'assenza di odori sgradevoli;
2. i CC, nella nota n. 43 sopraindicata avevano ipotizzato che la rottura dei fusti era da collegare all'azione deteriorante degli agenti atmosferici e non alla capacita corrosiva dei liquidi;
3. dalla classificazione della ditta Tecno-Bios era emerso che il rifiuto analizzato il 18 dicembre 2000 non era pericoloso.
L'imputato denunciava, inoltre, violazione di legge in ordine alla configurabilità del reato perchè nessuna delle attività elencate dall’art. 51 del d.lgs. n. 22/1997 era stata da lui posta in essere.
Erronea è la meccanica sovrapposizione della gestione, come normativamente definita alla lettera d) del primo comma dell'art. 6 del citato decreto, alle specifiche condotte elencate nell’art. 51 perché, se ciò fosse legittimo, il legislatore non avrebbe indicato tassativamente le attività vietate in mancanza di autorizzazione.
Invece, se il legislatore avesse inteso punire la condotta de qua, avrebbe dovuto aggiungere all'elencazione delle condotte incriminate anche il mancato e tardivo smaltimento di rifiuti dopo la decadenza dell'autorizzazione.
Chiedeva l’annullamento della sentenza.
Il primo motivo, col quale si eccepisce l’inutilizzabilità della documentazione proveniente dalla Polizia provinciale, dalla Vigilanza ecologica, dai CC di Cisternino e da privati, non è puntuale.
Si tratta, in particolare, del verbale di sequestro eseguito dalla PG il 19 settembre 2001, della nota CC n. 43 3 febbraio 2003 con cui si comunica che il sito è stato bonificato, della nota dei CC di risposta alla richiesta d'informazioni con allegati l'ordinanza del Comune di Cisternino, che richiamava il rapporto 4 settembre 2002 relativo al sopralluogo della Polizia provinciale, e la nota del medico ASL, nonché delle deposizione dei testi Marinosci, appartenete alla vigilanza ecologica, e Montanaro, dipendente ASL, secondo i quali i fusti emanavano cattivo odore.
Quanto al verbale di sequestro, questa Corte ha affermato [Cassazione Sezione III, n. 10949/19921; Milo; RV. 192191] che esso "contiene la descrizione della situazione di fatto esistente in un preciso momento e suscettibile dl modificazioni successive. Esso, quindi, va annoverato tra gli atti non ripetibili ed inserito nel fascicolo per il dibattimento; del medesimo inoltre deve essere data lettura ex art. 511 cod. proc. pen. Me deriva che il giudice può legittimamente utilizzare come prova il contenuto del documento in tutta la sua estensione e con riferimento sia alla individuazione dello stato dei luoghi e cose".
La nota 30 aprile 2005 riporta informazioni raccolte dai CC su disposizione della Corte territoriale e richiama l'ordinanza comunale 9 maggio 2003 [con cui si dispone la rimozione dai terreni dei materiali inquinanti richiamando il rapporto 4 settembre 2002 relativo al sopralluogo della Polizia provinciale vigilanza ecologica della Provincia di Brindisi], nonché la nota del dirigente medico dell'ASL BR/1 che aveva rilevato "la presenza di alcuni fusti apparentemente vuoti che galleggiavano su cospicua quantità di liquido raccolto nell’area a mò di piscina” e che si trattava di "liquido di indubbia natura tossica a motivo della sua provenienza".
Anche tali atti, acquisiti ritualmente nel corso dell'istruzione dibattimentale in appello nel diretto contraddittorio delle parti e senza alcuna contestazione difensiva, sono pienamente utilizzabili.
La prova testimoniale, regolarmente ammessa e assunta, è utilizzabile anche in considerazione del fatto che il difensore che voglia contestare la deposizione testimoniale sulla base di risultanze documentali ha il potere di chiedere in qualsiasi momento l'acquisizione dei documenti rilevanti ex art. 234 cod. proc. pen., senza dover rispettare i termini stabiliti dall'art, 469 cod. proc. pen. per le prove orali, ma, nella specie, tale facoltà non è stata esercitata.
II secondo motivo è manifestamente infondato perchè censura in punto di fatto ed apoditticamente la decisione fondata, invece, su congrue argomentazioni esenti da vizi logjco-giuridici, dato che sono stati menzionati gli elementi probatori emersi a carico dell'imputato ed è stata confutata ogni obiezione difensiva, con logica motivazione che non può essere censurata.
La sentenza, infatti, ha correttamente ritenuto ricorrenti le condizioni che integrano il concetto normativo di rifiuti pericolosi, nella specie costituiti da liquidi fotolitoradiografici ed esattamente non ha ravvisato l'istituzione di un deposito temporaneo (art. 6 lett. m decreto citato) per difetto della condizione di cui alla lettera m) n. 2 dell'art. 6 del decreto n. 22/1997.
L'impianto gestito dalla società, di cui il ricorrente era legale rappresentante, era autorizzato al trattamento di rifiuti pericolosi, sicché non potevano che essere della stessa natura i residui di lavorazione conservati in fusti collocati in un'area recintata di circa 300 metri quadrati di pertinenza della società, dopo la chiusura dell'impianto.
Corretta è quindi l'osservazione del giudice territoriale circa l’irrilevanza della classificazione rilasciata dalla ditta Tecno-Bios.
Il ciclo di lavorazione comportava la produzione di rifiuti costituiti da liquidi inquinanti di cui ai CER menzionati nell'imputazione, che andavano smaltiti, relativamente al "concentrato", altamente tossico, presso altre ditte.
Con la cessazione dell’attività lavorativa, tale smaltimento non è stato effettuato, donde il susseguirsi, da parte degli enti preposti alla tutela dell'ambiente, di sopralluoghi dai quali è emerso con certezza che i rifiuti fuoriusciti dai contenitori emanavano cattivi odori nettamente percepiti dagli agenti.
L'art. 51 del d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22 prevede e punisce, al primo comma, lo smaltimento non autorizzato di rifiuti provenienti da terzi, mentre, al secondo comma, prevede e punisce con la stessa pena non ogni tipo di raccolta e smaltimento, ma solo l'abbandono o il deposito incontrollato dei propri rifiuti, cioè dei rifiuti derivati dalla stessa azienda.
L'incriminata attività di stoccaggio e smaltimento di rifiuti certamente rientra nella disciplina del d.lgs. n. 22 del 1977, dovendosi considerare tali i liquidi fotolitoradiografici rinvenuti, privi di adeguata protezione, sull'area locata alla società Ecopuglia donde la configurabilità del reato di cui all’art. 51 n. 1 d.lgs. n. 22/1997, mentre le apodittiche e generiche doglianze sulla qualificazione loro attribuita in sentenza sono irrilevanti ai fini del sindacato di legittimità.
Le modalità di conservazione denotano, infatti, che l'area dell'accumulo è stata trasformata di fatto in deposito degli stessi, mediante una condotta ripetuta, consistente nell'abbandono - per un tempo considerevole e comunque non determinate - di una notevole quantità, che occupa uno spazio cospicuo.
La provvisorietà e lo stoccaggio in attesa di un trasferimento, da attuare in tempi prevedibilmente lunghi, non escludono la sussistenza dell'illecito.
Anche il terzo motivo è infondato.
Nel concetto di attività di gestione di rifiuti sono comprese tutte le fasi dell'impiego degli stessi consistenti in: operazioni preliminari (conferimento, spazzamento, cernita, raccolta e trasporto), operazioni di trattamento (trasformazione, recupero, riciclo, innocuizzazione) ed operazioni di deposito (temporaneo e permanente nel suolo o sottosuolo).
Qualsiasi attività volta alla eliminazione dei rifiuti, comprendente tutte le fasi che vanno dalla raccolta alla discarica, sono soggette all’autorizzazione regionale, sicché per il loro smaltimento degli stessi è indispensabile ottenere la prescritta autorizzazione.
Premesso che "Il deposito temporaneo di rifiuti ai sensi dell’art. 6, punto m) del d.lgs 5 febbraio 1997 n. 22 è legittimo soltanto ove sussistano alcune precise condizioni temporanee quantitative e qualitative; in assenza di tali condizioni, il deposito di rifiuti nel luogo in cui sono stati prodotti è equiparabile giuridicamente all'attività di gestione di rifiuti non autorizzata, prevista come reato dall'art. 51 del d.lgs. 22/1997" (Cass. Sez. III n. 7140, 21 marzo 2000, Eterno, RV 216977) ed inoltre che "la disciplina dettata per il deposito temporaneo dei rifiuti non pericolosi dall'art. 6, comma 1. lett. m), punto 3, del d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, va intesa (privilegiando doverosamente, fra le varie interpretazioni possibili, quella che risulta più aderente alla direttiva comunitaria di cui il citato decreto legislativo costituisce attuazione), nel senso che il deposito temporaneo potrà essere mantenuto fino al termine di durata di un anno solo se in tutto il detto arco temporale, e cioè complessivamente, non sia superato il limite di 20 metri cubi, assumendo autonomo rilievo la cadenza almeno trimestrale prevista nella prima parte della suddetta disposizione per l'avvio del materiale alle operazioni di recupero o di smaltimento solo quando i vari conferimenti siano tutti inferiori ai venti metri cubi e siano avviati alle suddette operazioni prima del raggiungimento del summenzionato limite quantitativo mentre, in ogni caso, l’avviamento dev'essere effettuato quando il medesimo limite viene raggiunto" (Cass. Sez. III, n. 4957, 21 gennaio 2000, Rigotti, RV. 215946), va, infine, rilevato che correttamente è stata esclusa la ricorrenza delle condizioni che integrano il concetto normativo di deposito temporaneo di rifiuti poiché, non risulta siano state rispettate le condizioni di cui alla lettera m) n. 2 dell’art. 6 del decreto n. 22/1997.
Il rigetto del ricorso comporta condanna al pagamento delle spese del procedimento.