Cass.Pen. Sez. III n. 37114 del 12 settembre 2023 (UP 14 giu 2023)
Pres. Ramacci Rel. Reynaud Ric. Ecodemolizioni
Rifiuti.Messa in riserva

L’attività di “messa in riserva” è considerata dalla voce R13 dell’Allegato C alla Parte quarta del d.lgs. 152/2006. Il richiamato allegato – che, appunto, individua, in modo peraltro non esaustivo, le operazioni di recupero giuridicamente rilevanti secondo la definizione datane nell’art. 183, lett. t), d.lgs. 152 del 2006 – considera la «messa in riserva di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate nei punti da R1 a R12 (escluso il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti)», vale a dire una delle ricorrenti operazioni di riutilizzo, riciclaggio, rigenerazione o recupero dei rifiuti. Anche la messa in riserva – quale attività di gestione dei rifiuti che, insieme al deposito preliminare, rientra nel più ampio genus dello stoccaggio ex art. 183, lett. aa), d.lgs. 152/2006 – dev’essere dunque autorizzata, ovviamente, ex art. 208, comma 11, d.lgs. n. 152 del 2006, pure in relazione all’individuazione dei siti ove stoccare i rifiuti, pena la responsabilità per il reato previsto dall’art. 256, comma 1, d.lgs. 152 del 2006

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 1° aprile 2022, la Corte d’appello di Bologna, giudicando  sul gravame proposto dalla società odierna ricorrente, ha confermato la sentenza di condanna nei suoi confronti emessa per l’illecito amministrativo dipendente dal  reato di cui all’art. 256, comma 1, d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 con riguardo ad un’attività di recupero di rifiuti non autorizzata e, in particolare, al deposito di rifiuti in un’area non autorizzata prospiciente l’impianto da essa gestito.

2. Avverso detta sentenza, a mezzo del difensore fiduciario costituito procuratore speciale, la società ha proposto ricorso per cassazione deducendo l’erronea applicazione degli artt. 25-undecies, 60 e 67 d.lgs. 231/2001 e 256, comma 1, d.lgs. 152/2006 per non essere stata rilevata l’improcedibilità dell’azione esercitata contro l’ente dopo l’intervenuta prescrizione del reato presupposto. Trattandosi di reato istantaneo concernente il deposito dei tre specifici cumuli di rifiuti indicati in imputazione, consumato già alla data del 5 agosto 2013, l’esercizio dell’azione nei confronti dell’ente era tardivamente avvenuto il successivo 7 ottobre 2017. In particolare – si allega – la sentenza impugnata aveva impropriamente affermato la natura permanente del reato richiamando giurisprudenza, peraltro non pacifica, concernente la diversa ipotesi di deposito incontrollato di rifiuti, condotta nella specie non contestata e neppure idonea a fondare la responsabilità amministrativa degli enti. Benché il capo d’imputazione facesse anche riferimento alla condotta di deposito, doveva ritenersi contestata un’attività di recupero rifiuti non autorizzata,  sub specie di “messa in riserva”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Premesso che l’art. 60 d.lgs. n. 231 del 2001 prevede la decadenza dalla contestazione dell’illecito amministrativo dipendente da reato quando quest’ultimo sia estinto per prescrizione, reputa il Collegio che nella vicenda in esame tale fattispecie non possa dirsi integrata.

2. Il reato contestato al capo B) d’imputazione, in relazione al quale è stata affermata la responsabilità amministrativa della società ricorrente, concerne plurime condotte di illecita gestione dei rifiuti, essendo stato mosso addebito agli amministratori della stessa per aver «effettuato un’attività di recupero (R13) in mancanza della prescritta autorizzazione, e per aver depositato nell’area prospiciente l’impianto di recupero rifiuti non autorizzata per tale attività» tre cumuli di rifiuti speciali (terre e rocce da scavo frammiste a materiale antropico; rifiuti di cemento; sabbia frammista a teli in materiale plastico).
Benché la sentenza impugnata abbia disatteso il gravame considerando le condotte di deposito – a quanto sostiene la ricorrente consumatesi prima del 5 agosto 2013 – e reputando trattarsi di reato permanente col richiamo a principi interpretativi formulati con riguardo alla (diversa) fattispecie di deposito incontrollato di rifiuti, osserva il Collegio come, in aderenza a quanto espressamente sostenuto nello stesso ricorso, la condotta contestata al capo B) d’imputazione vada qualificata, in conformità alla esplicita descrizione dell’addebito, quale attività di recupero non autorizzata, ed in particolare quale attività di “messa in riserva” di cui alla voce R13 dell’Allegato C alla Parte quarta del d.lgs. 152/2006.
Com’è noto, il richiamato allegato – che, appunto, individua, in modo peraltro non esaustivo, le operazioni di recupero giuridicamente rilevanti secondo la definizione datane nell’art. 183, lett. t), d.lgs. 152 del 2006 – considera la «messa in riserva di rifiuti per sottoporli a una delle operazioni indicate nei punti da R1 a R12 (escluso il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti)», vale a dire una delle ricorrenti operazioni di riutilizzo, riciclaggio, rigenerazione o recupero dei rifiuti. Anche la messa in riserva – quale attività di gestione dei rifiuti che, insieme al deposito preliminare, rientra nel più ampio genus dello stoccaggio ex art. 183, lett. aa), d.lgs. 152/2006 – dev’essere dunque autorizzata (cfr. Sez. 3, n. 48491 del 13/11/2013, De Sarlo, Rv. 257999), ovviamente, ex art. 208, comma 11, d.lgs. n. 152 del 2006, pure in relazione all’individuazione dei siti ove stoccare i rifiuti, pena la responsabilità per il reato previsto dall’art. 256, comma 1, d.lgs. 152 del 2006 (cfr. Sez. 3, n. 38676 del 20/05/2014, Rodolfi, Rv. 260384).

3. Or bene, così correttamente inquadrata la vicenda fattuale contestata in imputazione quale ricostruita dai giudici di merito, osserva il Collegio come il reato che ha nella specie originato la responsabilità amministrativa della società qui ricorrente sia certamente qualificabile come permanente, ancorché trattisi di condotta differente da quella di deposito incontrollato di rifiuti cui si riferiscono i principi giurisprudenziali sul punto richiamati dalla sentenza impugnata.
E’ bensì vero, come allega la ricorrente, che detti principi non vengono direttamente in rilievo nel caso di specie, essendo stato contestato e ritenuto il reato di cui all’art. 256, comma 1, d.lgs. 152 del 2006 e non già quello di cui al successivo secondo comma, peraltro inidoneo a fondare la responsabilità amministrativa degli enti in quanto non richiamato dall’art. 25 undecies d.lgs. 231/2001. Al pari di quest’ultima fattispecie, tuttavia, anche la contravvenzione prevista dal primo comma della disposizione incriminatrice può, a seconda dei casi, assumere i contorni di un reato istantaneo, permanente o eventualmente abituale nel caso di ripetitività di condotte già di per sé idonee ad integrare il reato (cfr., quanto all’ipotesi di trasporto abusivo di rifiuti, già Sez. 3, n. 13456 del 30/11/2006, dep. 2007, Rv. 236326).
In particolare, integrando la motivazione del provvedimento impugnato, il Collegio evidenzia che la consumazione del reato qui sub iudice, come detto consistito in un’attività non autorizzata di recupero di rifiuti sub specie di messa in riserva, si protrae sino all’interruzione della condotta illecita, da individuarsi con l’ottenimento dell’autorizzazione, ovvero con la definitiva cessazione della specifica attività gestoria di recupero (per l’affermazione della natura permanente dell’analoga condotta di stoccaggio di rifiuti non autorizzata, v. Sez. 3, n. 39373 del 14/04/2015, Celi e aa., Rv. 264714, ove si è affermata la protrazione della consumazione sino alla rimozione della situazione di fatto abusiva). Del resto – ed in questo senso non è improprio il richiamo ai principi giurisprudenziali effettuato nella sentenza impugnata – le condotte illecite in tema di rifiuti, compreso il reato di deposito incontrollato non connotato da una volontà esclusivamente dismissiva dei rifiuti, che, per la sua episodicità, esaurisce gli effetti della condotta fin dal momento dell'abbandono e non presuppone una successiva attività gestoria volta al recupero o allo smaltimento, hanno natura permanente quando l'attività illecita sia prodromica al successivo recupero o smaltimento delle cose abbandonate, sicché, in tal caso, la condotta cessa soltanto con il compimento delle fasi ulteriori rispetto a quella del rilascio (Sez. 3, n. 8088 del 13/01/2022, Franceschetti, Rv. 282916 e  Sez. 3, n. 30910 del 10/06/2014, Ottonello, Rv. 260011, nelle cui motivazioni si precisa che, ai fini dell'accertamento della natura giuridica della condotta e, conseguentemente, del dies a quo per il decorso del termine di prescrizione, costituiscono significativi indici rivelatori della permanenza la sistematica pluralità di azioni di identico o analogo contenuto, la pertinenza del rifiuto al circuito produttivo dell'agente, la reiterata utilizzazione di un unico sito quale punto di rilascio dei rifiuti).
In aderenza a tali principi, reputa dunque il Collegio che – secondo la concorde ricostruzione fattuale operata nelle due sentenze di merito, non specificamente contestate in ricorso – l’attività di recupero rifiuti effettuata dalla ECO DEMOLIZIONI SRL anche in relazione alla messa in riserva nell’area non autorizzata prospiciente l’impianto, area condotta in locazione dalla stessa società, era ancora certamente in essere all’epoca del sopralluogo effettuato nel dicembre 2013 indipendentemente dalle date del (reiterato) deposito dei tre cumuli nell’unico sito, sicché il termine di prescrizione non era decorso al momento dell’esercizio dell’azione relativa alla contestazione dell’illecito amministrativo dipendente da reato.

4. Il ricorso deve pertanto essere rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 14 giugno 2023.