Sez. 3, Sentenza n. 28685 del 04/05/2006 Cc. (dep. 09/08/2006 ) Rv. 234931
Presidente: Papa E. Estensore: Fiale A. Relatore: Fiale A. Imputato: Buttone. P.M. Favalli M. (Diff.)
(Annulla senza rinvio, Trib. lib. Napoli, 6 febbraio 2006)
SANITÀ PUBBLICA - IN GENERE - Gestione dei rifiuti - Traffico illecito - Reato di cui all'art. 260 D.Lgs. n. 152 del 2006 - Configurabilità - Condizioni.

Il delitto di traffico illecito di rifiuti, di cui all'art. 53 bis del D.Lgs. n. 22 del 1997, introdotto dalla legge n. 93 del 2001 (ed attualmente sostituito dall'art. 260 del D.Lgs. n. 152 del 2006), riguarda qualsiasi forma di gestione dei rifiuti, anche attraverso attività di intermediazione e commercio, che sia svolta in violazione delle disposizioni in materia, e non può ritenersi agganciato alla nozione di "gestione" di cui all'art. 6, comma primo, lett. d) del citato D.Lgs. n. 22 (sostituito dall'art. 183, lett. d), del D.Lgs. n. 152 del 2006), né limitato ai casi in cui l'attività venga svolta al di fuori delle prescritte autorizzazioni.


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPADIA Umberto - Presidente -

Dott. TARDINO Vincenzo - Consigliere -

Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere -

Dott. FIALE Aldo - Consigliere -

Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.G., n. a (OMISSIS);

avverso l'ordinanza 6/2/2003 del Tribunale per il riesame di Napoli;

Sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FIALE Aldo;

Udito il Pubblico Ministero nella persona del Dott. FAVALLI Mario che

ha concluso per il rigetto del ricorso.

Udito il difensore, avv.to RAUCHI Angelo, il quale ha concluso

chiedendo l'accoglimento del ricorso.

 

FATTO E DIRITTO

Con ordinanza del 6.2.2006 il Tribunale di Napoli rigettava l'istanza di riesame proposta nell'interesse di B.G. avverso il provvedimento 20.1.2006 con il quale il G.I.P. dello stesso Tribunale aveva applicato al B. la misura cautelare personale della custodia in carcere in ordine a reati commessi, in un contesto associativo, al fine di gestire un traffico illecito di rifiuti, provenienti dal centro e dal nord Italia e smaltiti in Puglia e Campania, dei quali venivano modificati i codici di classificazione ed i documenti di trasferimento (art. 416 cod. pen. e D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 53 bis).

Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso l'indagato, eccependo violazioni di legge nonchè mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine:

a) alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, che sarebbero stati individuati alla stregua di "valutazioni congetturali prive di ogni fondamento logico oltre che giuridico";

b) all'attribuzione ad esso ricorrente di un ruolo di organizzatore e/o promotore della presunta organizzazione delinquenziale;

c) alla ritenuta configurabilità degli elementi costitutivi del delitto di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 53 bis;

d) alla ritenuta sussistenza di esigenze cautelari, correlate, fra l'altro, a fatti risalenti all'anno 2002.

Il ricorso deve essere rigettato, poichè infondato.

1. Infondate sono anzitutto le doglianze di insussistenza dei "gravi indizi di colpevolezza" che l'art. 273 c.p.p., comma 1 pone quale condizione generale per l'applicazione di misure cautelari personali.

Deve ricordarsi, in proposito, che il concetto di "gravità degli indizi", posto dalla norma richiamata - secondo la costante giurisprudenza di questa Corte Suprema - postula un'obiettiva precisione dei singoli elementi indizianti i quali, nel loro complesso, devono consentire di pervenire logicamente ad un giudizio che, senza raggiungere il grado di certezza richiesto per un'affermazione di condanna, sia di alta probabilità dell'esistenza del reato e della sua attribuibilità all'indagato.

In coerenza con tale postulato, nella fattispecie in esame sono stati anzitutto indicati gli elementi di fatto da cui gli indizi sono stati desunti. Trattasi in particolare: - degli esiti di intercettazioni telefoniche operate sull'utenza in uso al B. (considerato gestore di fatto della s.a.s. "CE.PI Ambiente di Celestino Pino") e su quella in uso a P.G.;

- delle dichiarazioni rese agli investigatori da P.A., già svolgente attività tecnica e commerciale presso la società gestita dall'indagato; - degli accertamenti tecnici eseguiti sui rifiuti.

Tali indizi, poi, sono stati valutati dal Tribunale nella loro essenza ed è stato verificato che rifiuti pericolosi provenienti dalle società "Nuova Esa" e "Recycling Italia" - la cui unica forma di smaltimento sarebbe stata l'incenerimento - previa falsa attribuzione di codici riferiti a rifiuti "recuperabili", venivano sistematicamente trasferiti, attraverso l'interposizione del B., alla società "Igemar" di M.S., che necessitava di materiale per il ripristino ambientale di una cava, ed all'impianto di trattamento calcestruzzi del P. in (OMISSIS).

Gli elementi di accusa come sopra acquisiti non risultano inficiati da acquisizioni processuali di segno opposto. Con deduzioni coerenti, quindi, è stato formulato un conclusivo giudizio di attendibilità complessiva delle formulazioni accusatorie, che le contrarie argomentazioni del ricorrente non valgono - allo stato - ad escludere.

2. Il delitto previsto dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 53 bis (introdotto dalla L. 23 marzo 2001, n. 93) - attualmente trasfuso nelle previsioni del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 260 - riguarda chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, abbia allestito una vera e propria organizzazione professionale con cui gestire continuativamente, in modo illegale, ingenti quantitativi di rifiuti.

La gestione dei rifiuti e le altre condotte previste come illecito devono concretizzarsi in più operazioni ed intervenire attraverso allestimento di mezzi e attività continuative organizzate ed entrambi gli aspetti devono configurarsi cumulativamente (vedi Cass., Sez. 3^, 17.1.2002, Paggi).

Le condotte sanzionate si riferiscono a qualsiasi "gestione" dei rifiuti (anche attraverso attività di intermediazione e commercio) che sia svolta in violazione delta normativa speciale disciplinante la materia, sicchè esse non possono intendersi ristrette dalla definizione di "gestione" già delineata dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6, comma 1, lett. d), ed attualmente dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, lett. d), nè limitate ai soli casi in cui l'attività venga svolta al di fuori delle prescritte autorizzazioni (vedi Cass., Sez. 3^, 10.11.2006, n. 40827, Carretta).

Nella vicenda in esame risulta correttamente configurato il "fumus" della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice, in quanto:

a) lo svolgimento abusivo di una pluralità di operazioni di gestione dei rifiuti si ricollega al reiterato conferimento (con organizzazione settimanale dei trasporti) di rifiuti pericolosi e non ricuperabili, classificati con codici CER falsi per giustificarne surrettiziamente la recuperabilità. Le complessive condotte appaiono violare, attraverso la partecipazione consapevole anche del B., specifiche disposizioni normative, in una prospettiva di preclusione delle corrette e doverose procedure cautelative, ingenerando rischi di contaminazione, con evidente pericolo per la pubblica incolumità, in aree territoriali (quali quelle pugliesi e campane) già caratterizzate da condizioni di dissesto e di squilibrio ambientale;

b) è razionalmente configurabile l'elemento dello "allestimento di mezzi e attività continuativamente organizzate", a fronte di una articolata struttura organizzativa idonea ed adeguata a realizzare l'obiettivo criminoso preso di mira;

c) in un'organizzazione siffatta, alla stregua delle dichiarazioni rese dal Pa., si profila, in capo al B., lo svolgimento strutturale di attività continuativa di impostazione e di coordinamento anche eccedente la mera intermediazione;

d) razionalmente appare ravvisata la sussistenza dell'elemento della gestione di "ingenti quantitativi" di rifiuti, riferita all'attività abusiva nel suo complesso, cioè al quantitativo di rifiuti complessivamente gestito attraverso la pluralità di operazioni, che - nella specie - risulta valutato in "svariati milioni di tonnellate" (vedi Cass., Sez. 6^, 13.7.2004, n. 30373, P.M. in proc. Ostuni);

e) lo scopo di conseguire un "profitto ingiusto" - che la norma incriminatrice richiede in capo all'agente (dolo specifico) ed il cui effettivo conseguimento non è però necessario ai fini della perfezione del reato - ben può ritenersi integrato, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte Suprema, anche soltanto dalla finalità di realizzare un mero risparmio dei costi aziendali di smaltimento (vedi pure Cass., Sez. 3^, 10.11.2005, n. 40828, P.M. in proc. Fradella ed altri).

La effettiva sussistenza del dolo non è questione da verificare in sede di cautela reale, però più che evidente deve ritenersi, allo stato, l'ipotizzabilità razionale pure dell'elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice.

3. Anche le doglianze riferite alle ravvisate esigenze cautelari non meritano accoglimento.

Tali esigenze sono State individuate, secondo le previsioni di cui all'art. 274 c.p.p., lett. c), in relazione all'elevata probabilità di reiterazione di analoghe condotte criminose.

E, nello specifico, l'attualità del pericolo di reiterazione degli abusi appare correttamente correlata, con motivazione logica ed adeguata, oltre che alle specifiche modalità dei fatti, alla personalità dell'indagato, desunta anche da non lievi precedenti penali.

4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Devono disporsi, infine, gli adempimenti di cui all'art. 94 disp. att. c.p.p., commi 1 bis e 1 ter.

 

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE visti gli artt. 127 e 311 c.p.p., rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dispone che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore dell'istituto penitenziario competente, perchè provveda a quanto stabilito nell'art. 94 disp. att. c.p.p., modificato dalla L. 8 agosto 1995, n. 332, art. 23.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 maggio 2006.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2006