Cass. Sez. III n. 40789 del 2 ottobre 2014 (Ud 12 giu 2014)
Pres. Squassoni Est. Aceto Ric. Arnaldi
Rifiuti.Operazioni di recupero

E' vero che l'art. 184-ter, comma 2, d.lgs. 152/2006, estende l'operazione di recupero dei rifiuti anche al solo controllo per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle condizioni indicare nel comma 1, tuttavia, a prescindere dalla immediata precettività o meno di tale indicazione, si tratta pur sempre di operazione di «recupero>> che, in quanto tale, è comunque necessario che venga effettuata da soggetto autorizzato.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 19/03/2013 il Tribunale di Savona ha dichiarato il sig. A.R. colpevole del reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2, accertato il (OMISSIS) e con permanenza alla data della sentenza stessa, e per l'effetto, in concorso di attenuanti generiche, lo ha condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di Euro 2.000,00 di ammenda.

1.1. Si addebita all' A., nella sua qualità di legale rappresentante della "Centro Provinciale Revisioni di Arnaldi R. e C. S.n.c.", di aver effettuato il deposito incontrollato di circa 100 parapetti metallici, con basamenti in cemento, provenienti dai lavori di manutenzione dell'autostrada "(OMISSIS)", e che, secondo la ricostruzione del giudice di prime cure, erano "accatastati ed in parte impilati o utilizzati quale recinzione dinanzi all'accesso per impedire l'ingresso abusivo da parte di terzi" che si recavano nell'area destinata alla realizzazione di una pista go-kart per praticare attività di moto cross.

1.2. Nell'area, infatti, era prevista la realizzazione di un impianto sportivo denominato "Circuito sportivo delle Palme" per il quale l'imputato aveva ottenuto il permesso di costruire e la relativa autorizzazione paesaggistica, anche se i lavori, al 09/05/2008, erano stati sospesi per mancanza di valutazione di impatto ambientale.

1.3. I relitti in questione erano stati acquistati e comunque ricevuti dall'imputato nel 2002.

2. Ricorre per Cassazione l' A. articolando, per il tramite del difensore, i seguenti motivi.

2.1. Con il primo contesta, sotto il profilo della violazione di legge e della illogicità manifesta della motivazione, la natura di "rifiuto" dei parapetti in questione e la ritenuta sussistenza dell'elemento psicologico.

a) Con riferimento al primo aspetto, contesta che possano essere qualificati "rifiuti" beni acquistati a titolo oneroso al fine di un loro immediato riutilizzo;

b) con riferimento al secondo, evidenzia l'insussistenza dell'atteggiamento negligente, sia perchè non si tratta, in ogni caso, di deposito incontrollato di rifiuti, sia perchè, trattandosi di reato contravvenzionale, è necessario un "quid pluris" rispetto alla mera negligenza colposa ed un collegamento psicologico con la offensività del reato, nel caso di specie assente.

2.2. Con il secondo motivo lamenta violazione di legge nonchè illogicità manifesta della motivazione in relazione alla ritenuta insussistenza della causa estintiva del reato (prescrizione).

Il reato ipotizzato, diversamente da quanto ritenuto dallà più recente giurisprudenza di legittimità, deve essere qualificato come "reato commissivo eventualmente permanente" la cui consumazione cessa con l'ultimo abusivo conferimento dei rifiuti.

2.3. Con l'ultimo motivo di ricorso lamenta la violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 4, non avendo il giudice decurtato della metà la pena infliggenda, in ogni caso non contenuta nei suoi minimi edittali.

3. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Savona ha proposto "appello incidentale" (così definito) lamentando l'inadeguatezza della condanna alla gravità e alle circostanze del fatto, non ritenendo la pena pecuniaria compatibile con i criteri di cui all'art. 133 c.p. e con l'atteggiamento processuale serbato dall'imputato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso dell'imputato è inammissibile perchè palesemente infondato.

5. In relazione al primo motivo osserva la Corte che non è la commerciabilità in sè a trasformare il rifiuto in qualcosa di diverso.

5.1.La tesi difensiva è letteralmente smentita dalla previsione, già contenuta nel D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 51 ed oggi ripresa dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1, cit., secondo la quale il "commercio" di rifiuti costituisce reato quando sia effettuato in mancanza delle autorizzazioni, iscrizioni, comunicazioni ivi previste, e dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 10, che vietava il conferimento, a qualsiasi titolo, di rifiuti soggetti non autorizzati alle relative operazioni di smaltimento.

5.2. I parapetti metallici, dismessi tal quali durante i lavori di manutenzione dell'autostrada "(OMISSIS)", erano rifiuti di cui il detentore si era disfatto all'epoca del loro acquisto da parte dell'imputato (2002) ed hanno mantenuto invariata tale natura nel tempo, qualificando come illecita la condotta a lui ascritta; egli, infatti, senza essere autorizzato a smaltirli o recuperarli, li ha ricevuti per riutilizzarli a loro volta tal quali.

5.3. E' di conseguenza palesemente infondata la tesi difensiva secondo la quale si tratterebbe di "materie prime secondarie".

5.4. Il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 183, comma 1, lett. q), (nella versione vigente fino al 12 febbraio 2008), definiva "materia prima secondaria"; la sostanza o la materia avente le caratteristiche stabilite ai sensi dell'art. 181.

5.5. L'art. 181, a sua volta, non forniva una definizione diretta di "materia prima secondaria" ma demandava a fonti di normazione secondaria il compito di individuare le procedure ed i metodi di recupero dei rifiuti utilizzati per ottenerla, affermando che: "La disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica - recitava il comma 12 - fino al completamento delle operazioni di recupero, che si realizza quando non sono necessari ulteriori trattamenti perchè le sostanze, i materiali e gli oggetti ottenuti possono essere usati in un processo industriale o commercializzati come materia prima secondaria, combustibile o come prodotto da collocare, a condizione che il detentore non se ne disfi o non abbia deciso, o non abbia l'obbligo, di disfarsene". Il successivo comma 13 precisava: "La disciplina in materia di gestione dei rifiuti non si applica ai materiali, alle sostanze o agli oggetti che, senza necessità di operazioni di trasformazione, già presentino le caratteristiche delle materie prime secondarie, dei combustibili o dei prodotti individuati ai sensi del presente articolo, a meno che il detentore se ne disfi o abbia deciso, o abbia l'obbligo, di disfarsene". Il comma 14, così concludeva: "I soggetti che trasportano o utilizzano materie prime secondarie, combustibili o prodotti, nel rispetto di quanto previsto dal presente articolo, non sono sottoposti alla normativa sui rifiuti, a meno che se ne disfino o abbiano deciso, o abbiano l'obbligo, di disfarsene".

5.6. Nella more di adozione di futuri regolamenti, il comma 6 dell'articolo in questione affidava ai preesistenti, e già vigenti, D.M. 5 febbraio 1998 e D.M. 12 giugno 2002 il compito di indicare le caratteristiche, che attraverso specifici metodi di recupero, le materie prime secondarie avrebbero dovuto possedere per poter esser ritenute tali.

5.7. Detti decreti individuavano (ed ancor oggi individuano) gli specifici rifiuti, non pericolosi (D.M. 5 febbraio 1998) e pericolosi (D.M. 12 giugno 2002, n. 161), che, in considerazione delle loro caratteristiche, della loro provenienza, e delle procedure di recupero previste per ciascuna tipologia, davano luogo alle materie prime descritte in base alle loro caratteristiche intrinseche.

5.8. A seguito delle modifiche introdotte con D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4, l'art. 183, comma 1, lett. q), nel definire le materie prime secondarie ha rimandato all'art. 181-bis, di nuova introduzione, che, a sua volta, ha così diversamente disciplinato la materia: "Non rientrano nella definizione di cui all'art. 183, comma 1, lett. a), le materie, le sostanze e i prodotti secondari definiti dal decreto ministeriale di cui al comma 2, nel rispetto dei seguenti criteri, requisiti e condizioni: a) siano prodotti da un'operazione di riutilizzo, di riciclo o di recupero di rifiuti; b) siano individuate la provenienza, la tipologia e le caratteristiche dei rifiuti dai quali si possono produrre; c) siano individuate le operazioni di riutilizzo, di riciclo o di recupero che le producono, con particolare riferimento alle modalità ed alle condizioni di esercizio delle stesse; d) siano precisati i criteri di qualità ambientale, i requisiti merceologici e le altre condizioni necessarie per l'immissione in commercio, quali norme e standard tecnici richiesti per l'utilizzo, tenendo conto del possibile rischio di danni all'ambiente e alla salute derivanti dall'utilizzo o dai trasporto del materiale, della sostanza o del prodotto secondario; e) abbiano un effettivo valore economico di scambio sul mercato. 2. I metodi di recupero dei rifiuti utilizzati per ottenere materie, sostanze e prodotti secondari devono garantire l'ottenimento di materiali con caratteristiche fissate con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi della L. 23 agosto 1988, n. 400, art. 17, comma 3 di concerto con il Ministro della salute e con il Ministro dello sviluppo economico, da emanarsi entro il 31 dicembre 2008. 3. Sino all'emanazione del decreto di cui al comma 2 continuano ad applicarsi le disposizioni di cui ai D.M. 5 febbraio 1998, D.M. 12 giugno 2002, n. 161, e D.M. 17 novembre 2005, n. 269".

5.9. L'art. 181-bis è stato successivamente abrogato dal D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205 che ha, altresì, definitivamente espunto dall'ambito definitorio dell'art. 183 le materie prime secondarie ed ha introdotto, nel D.Lgs. n. 152 del 2006, il nuovo art. 184-ter, intitolato "cessazione della qualifica di rifiuto", che così recita:

"1. Un rifiuto cessa di essere tale, quando è stato sottoposto a un'operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i criteri specifici, da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni: a) la sostanza o l'oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici; b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto; c) la sostanza o l'oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; d) l'utilizzo della sostanza o dell'oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull'ambiente o sulla salute umana. 2.

L'operazione di recupero può consistere semplicemente nel controllare i rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni. I criteri di cui al comma 1 sono adottati in conformità a quanto stabilito dalla disciplina comunitaria ovvero, in mancanza di criteri comunitari, caso per caso per specifiche tipologie di rifiuto attraverso uno o più decreti del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi della L. 23 agosto 1988, n. 400, art. 17, comma 3. I criteri includono, se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull'ambiente della sostanza o dell'oggetto. 3. Nelle more dell'adozione di uno o più decreti di cui al comma 2, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui ai D.M. ambiente Tutela Territorio 5 febbraio 1998, D.M. 12 giugno 2002, n. 161, e D.M. 17 novembre 2005, n. 269 e del D.L. 6 novembre 2008, n. 172, art. 9-bis, lett. a) e b), convertito, con modificazioni, dalla L. 30 dicembre 2008, n. 210. La circolare del Ministero dell'ambiente 28 giugno 1999, prot. n. 3402/V/MIN si applica fino a sei mesi dall'entrata in vigore della presente disposizione. 4. Un rifiuto che cessa di essere tale ai sensi e per gli effetti del presente articolo è da computarsi ai fini del calcolo del raggiungimento degli obiettivi di recupero e riciclaggio stabiliti dal presente decreto, dal D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 209, dal D.Lgs. 25 luglio 2005, n. 151, e dal D.Lgs. 20 novembre 2008, n. 188, ovvero dagli atti di recepimento di ulteriori normative comunitarie, qualora e a condizione che siano soddisfatti i requisiti in materia di riciclaggio o recupero in essi stabiliti. 5.
La disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica fino alla cessazione della qualifica di rifiuto".

5.10. In parziale attuazione della norma è stato emesso il Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (CSS), ai sensi del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 184-ter, comma 2, e successive modificazioni, di cui al D.M. 14 febbraio 2013, n. 22. Per le altre tipologie di rifiuto restano in vigore, e continuano ad applicarsi, i precedenti decreti ministeriali sopra citati.

5.11. Perchè dunque un rifiuto cessi di esser tale è necessario che sia sottoposto ad un'operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, e soddisfi i seguenti criteri specifici da adottare nel rispetto delle seguenti condizioni: 1) la sostanza o l'oggetto sia comunemente utilizzato per scopi specifici;

2) sussista un mercato e una domanda del materiale recuperato; 3) la sostanza o l'oggetto soddisfi i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetti la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti; 4) l'utilizzo della sostanza o dell'oggetto non comporti impatti complessivi negativi sull'ambiente o sulla salute umana.

5.12. Le evidenti novità rispetto alla precedente definizione consistono: 1) nella modifica della terminologia, non esistendo più le "materie prime secondarie" ma solo prodotti che cessano di essere rifiuti (cd. "end of waste"); 2) nella sufficienza della sola esistenza di un mercato e di una domanda per il prodotto, non essendo più ritenuto necessario anche il valore economico del prodotto; 3) nel fatto che l'operazione di recupero può consistere nel controllo dei rifiuti per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle predette condizioni.

5.13. Non è mai venuta meno, però, la necessità che il rifiuto sia sottoposto ad operazione di recupero perchè possa essere definitivamente sottratto alla disciplina in materia di gestione dei rifiuti.

5.14. Anche a seguito delle modifiche introdotte con il D.Lgs. n. 205 del 2010, infatti, la cessazione della qualifica di rifiuto deriva da una pregressa e necessaria attività di recupero. E' una costante che percorre, trasversalmente, tutte le definizioni e modifiche legislative sopra riportate.

5.15. L'attività di recupero, come definita dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 183, comma 1, lett. t), e come articolata nelle operazioni elencate, ancorchè in modo dichiaratamente non esaustivo, dall'allegato C alla parte quarta del T.U. amb., nonchè disciplinata, per quanto riguarda i rifiuti non pericolosi, da D.M. 5 febbraio 1998, costituisce, a sua volta, una fase della gestione del rifiuto, che deve in ogni caso essere posta in essere da soggetto a ciò autorizzato (D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 208, 214 e 216).

5.16. La necessità che risulti dimostrata la Intervenuta effettuazione di attività di recupero (condotta nel rispetto di quanto previsto dai D.M. 5 febbraio 1998, D.M. 12 giugno 2002, n. 162 e D.M. 17 novembre 2005, n. 269) da parte di un soggetto autorizzato a compiere le relative operazioni, è stata più volte ribadita da questa Suprema Corte (Sez. 3, n. 17823 del 17/01/2012, Celano; Sez. 3, n. 25206 del 16/05/2012, Violato).

5.17. E' vero che il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 184-ter, comma 2, estende l'operazione di recupero dei rifiuti anche al solo controllo per verificare se soddisfano i criteri elaborati conformemente alle condizioni indicare nel comma 1, tuttavia, a prescindere dalla immediata precettività o meno di tale indicazione (questione priva di rilevanza nel caso concreto), si tratta pur sempre di operazione di "recupero" che, in quanto tale, è comunque necessario che venga effettuata da soggetto autorizzato.

5.18. Nel caso di specie, come incontestabilmente accertato, i parapetti acquistatati dal ricorrente non sono mai stati sottoposti a preventiva operazione di recupero, riciclaggio e preparazione per il loro utilizzo, tantomeno risulta che ciò sia avvenuto ad opera di soggetto autorizzato.

5.19. In mancanza di queste preliminari (e necessarie) operazioni il materiale utilizzato dal ricorrente non ha mai cessato la sua qualifica di rifiuto (art. 184-ter, u.c., cit.), rendendo penalmente rilevante la condotta a lui contestata.

6. E' palesemente infondata l'eccezione secondo la quale, ai fini dell'integrazione del reato, non è sufficiente la semplice negligenza.

6.1. Si tratta di obiezione che non tiene in alcun conto la natura contravvenzionale del reato contestato e che è fondata su affermazioni niente affetto condivisibili (come quella secondo la quale, pur trattandosi di contravvenzione, l'elemento soggettivo richiederebbe un "quid pluris" rispetto alla mera negligenza colposa, o quella per la quale l'elemento psicologico deve essere valutato in relazione al concetto di offensività che nella fattispecie concreta - afferma il ricorrente - pare non sussistere o comunque sussistere in maniera minima o pressochè irrilevante).

6.2. Il "quid pluris" genericamente evocato dal ricorrente non ha alcun fondamento normativo, non essendo richiesto quale elemento costitutivo della fattispecie di reato contestata; sotto altro profilo, quel che conta, ai fini della sussistenza del reato in questione, non è la consapevolezza dell'offensività della condotta, ma la generica consapevolezza dell'autore de fatto di effettuare, in assenza di autorizzazione, operazioni di smaltimento, recupero, riutilizzo tal quale di beni di cui il produttore/detentore si disfi.

7. Palesemente infondata è anche la ritenuta natura non permanente del reato contestato.

7.1. Occorre premettere, in fatto, che il ricorrente ha sempre mantenuto il pieno e constante dominio sui parapetti metallici in questione, destinati, secondo le stesse deduzioni difensive (pagg. 1 e 2 della sentenza), ad essere riutilizzati nella realizzazione dell'impianto di go-kart per delimitarne le varie zone (parcheggio, zona pista, bordo rio), dopo essere stati opportunamente resi idonei allo scopo mediante le operazioni tecniche descritte dal CT della difesa in dibattimento.

7.2. La giurisprudenza di questa Suprema Corte è sempre stata costante nell'affermare che il reato di deposito incontrollato di rifiuti è reato permanente quando da luogo ad una forma di gestione del rifiuto preventiva rispetto al recupero od allo smaltimento, sicchè la consumazione perdura sino allo smaltimento o al recupero del rifiuto stesso o al momento in cui l'autore dei fatto ne perda la disponibilità, per esempio in conseguenza di provvedimento di sequestro (Sez. 3, n. 25216 del 26/05/2011, Rv. 250969; Sez. 3, n. 48489 del 13/11/2013 Rv. 258519).

7.3. Il caso di specie è dunque ben diverso da quello scrutinato da Sez. 3, n. 40850 del 21/10/2010, Rv. 248706, citata dal ricorrente a sostegno della propria tesi, nel quale il deposito dei rifiuti non era stato effettuato in vista di un loro recupero, ma puramente e semplicemente a fine di abbandono (e dunque come forma di smaltimento definitivo), in un contesto in cui ne risultava dimostrato il successivo smaltimento e senza che fosse stata contestata la permanenza del reato (contestata, invece nel caso di specie).

7.4. Nel caso di specie, il Tribunale ha dato atto che ancora nel 2009 i rifiuti erano in foco ed assolvevano alla loro funzione provvisoria in attesa di essere definitivamente recuperati nei termini sopra indicati nell'ambito di un progetto per il quale l'imputato si era dotato anche delle autorizzazioni edilizie e paesaggistiche (anche se i lavori erano provvisoriamente fermi al maggio 2008).

7.5. Nel consegue che l'eccezione deve essere respinta perchè palesemente infondata.

8. Palesemente infondato e generico è l'ultimo motivo di ricorso, posto che all'imputato è stato contestato il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 2, e non quello di cui all'art. 256, comma 4, stesso Decreto, ed è stata applicata una pena assai prossima al minimo edittale.

9. L'inammissibilità del ricorso dell'imputato, poichè inidonea a instaurare il rapporto processuale, rende irrevocabile la sentenza impugnata alla data della sua pubblicazione e non esaminabile il ricorso incidentale (inammissibilmente) proposto dal pubblico ministero (Sez. 1, n. 33051 del 12/07/2011, Rv. 250827; Sez. 1, n. 20470 del 18/04/2013, Rv. 256166).

10. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l'onere delle spese del procedimento nonchè del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 12 giugno 2014.
Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2014