Consiglio di Stato, V, 1° dicembre 2003, n. 7829;
INQUINAMENTO
Condizioni apposte dalle amministrazioni competenti all’autorizzazione ambientale rilasciata ai sensi degli artt. 28 del d.lg. n.22/1997 e 8, comma 9, del d.m. n. 124/2000 relativa a cementificio nel quale esiste un forno per la cui alimentazione vengono impiegati anche oli usati ed emulsioni oleose, con coincenerimento di rifiuti pericolosi (quali oli usati, emulsioni oleose e miscele acquose) destinati al recupero energetico nel forno del cemento, con utilizzo in co-combustione con i combustibili tradizionali (carbone fossile e coke).
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Quinta Sezione, ha pronunciato la
seguente
DECISIONE
sul
ricorso in appello n. 6165/02, proposto dalla Buzzi Unicem s.p.a.,
in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli
avv.ti Marco Siniscalco, Riccardo Montanaro e Guido Francesco Romanelli, ed
elettivamente domiciliata presso l’ultimo in Roma, v. Cosseria
n. 5,
contro
la
Provincia di Pordenone, in
persona del legale rappresentante autorizzato p.t., rappresentata e difesa
dall’avv. Andrea Manzi, ed elettivamente domiciliata presso il medesimo in
Roma, v. Confalonieri n. 5;
la
Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia, in persona del Presidente p.t.,
rappresentata e difesa dall’avv. Roberto Crucil, con elezione di domicilio
presso l’Ufficio distaccato regionale in Roma, p.zza Colonna n. 355,
e
nei confronti
del
Comune di Travesio (PN), in persona del Sindaco p.t., non costituito in
giudizio,
per
l’annullamento
della
sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Friuli-Venezia Giulia 25
marzo 2002, n. 138, resa inter partes,
con la quale è stato respinto
il ricorso proposto dall’attuale appellante avverso le condizioni
apposte all’atto di autorizzazione, ex art. 28 d.lg. 22/97, all’esercizio
dell’attività di recupero tramite il coincenerimento di rifiuti speciali
pericolosi .
Visto
il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti
gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni regionale e
provinciale intimate;
Viste
le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti
gli atti tutti della causa;
Relatore
alla pubblica udienza del 17 ottobre 2003 il Consigliere Gerardo Mastrandrea;
uditi per le parti gli avv.ti Romanelli, Manzi e Colalillo su delega dell’avv.
Crucil;
Ritenuto
e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO
1.
La società
ricorrente, proprietaria del cementificio di Travesio, nel quale esiste un forno
per la cui alimentazione vengono usati anche oli usati ed emulsioni
oleose, chiedeva agli Enti intimati, ai sensi degli artt. 28
del d.lg. n.22/1997 e 8,
comma 9, del d.m. n. 124/2000, l’“autorizzazione all’esercizio
dell’impianto di coincenerimento di rifiuti pericolosi[……]quali oli usati,
emulsioni oleose e miscele acquose[….], destinati al recupero energetico nel
forno del cemento, con utilizzo in co-combustione con i combustibili
tradizionali(carbone fossile e coke)[…….]”.
2.
Con il gravato
provvedimento della Provincia di Pordenone n. 15/EC/2001, in data 18 maggio
2001, la ricorrente società veniva autorizzata, ai sensi dell’art.
28 del d.lg. n. 22/1997, all’”esercizio dell’attività di recupero
tramite il coincenerimento di rifiuti speciali pericolosi, nel forno da cemento
dell’impianto sito in via Stazione n. 75, nel Comune di Travesio(PN)”. Il
medesimo provvedimento conteneva, però, tutta una serie di “prescrizioni
gestionali”, tra le quali figuravano quelle di cui
ai punti 5, lett. a) ed e), riguardanti la preposizione, presso
l’impianto, di un gestore munito di abilitazione regionale (ai sensi
dell’art. 29 della legge regionale 7 settembre 1987, n. 30), ed al punto 9),
concernente l’obbligo, a carico della società, di corrispondere al Comune di
Travesio l’indennizzo di cui all’art. 15 del D.P.G.R. 8 ottobre 1991, n.
0502/Pres., da versarsi in favore dei Comuni sede di impianti di smaltimento di
rifiuti (specie se provenienti da altri Comuni), a titolo di copertura dei
relativi disagi e nella misura determinata ai sensi dell’art. 16 del citato
decreto.
3.
Le
sopraindicate prescrizioni gestionali, nonché
ogni altra parte del provvedimento autorizzatorio in cui si faceva riferimento
alla citata l.r. 30/87, insieme agli atti connessi, tra cui, in specie, il
cennato D.P.G.R. 502/91, recante
il nuovo regolamento di esecuzione della l.r. 30/87, e il provvedimento della
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia prot. AMB/8037/E/28/30 del 3 maggio 2001,
con il quale si stabiliva appunto che la società ricorrente era tenuta alla
nomina, presso l’impianto, di un gestore munito di abilitazione regionale, ai
sensi dell’art. 29 della l.r. 30/87, venivano impugnate dalla ditta Buzzi, che
all’uopo deduceva vari mezzi di eccesso di potere e di violazione di legge,
lamentando, tra l’altro, che nella fattispecie non era
applicabile la l.r. 30/87, bensì il solo regime di cui al d.lg. 22/97, e
che nella fattispecie si versava in tema di attività di recupero (di oli ed
emulsioni oleose, utilizzati come combustibili in un processo industriale: art.
28 d.lg. n. 22/1997, all. C, voce R1), e non di smaltimento di rifiuti.
4.
Il TAR adito,
esaminati congiuntamente tutti i motivi di censura per ragioni di economia
processuale e soffermatosi lungamente sul quadro normativo statale e regionale
di riferimento, ritenuto legittimo sotto più profili (anche, nel caso dei testi
legislativi regionali, in relazione alla compatibilità costituzionale),
rigettava il ricorso, ritenendo, in definitiva, che ai fini descritti
l’attività di recupero di
rifiuti speciali pericolosi dovesse essere assimilata a quella di smaltimento
dei rifiuti stessi.
5.
La Buzzi
Unicem ha quindi interposto
l’appello in trattazione, molto articolato, avverso la prefata pronunzia,
contestata funditus.
6.
Le
Amministrazioni intimate si sono costituite in giudizio per resistere
all’appello.
La
Provincia di Pordenone, in particolare, ha controdedotto in maniera puntuale e
dettagliata ai motivi di appello.
Le
parti hanno depositato memoria.
Alla
pubblica udienza del 17 ottobre 2003 il ricorso in appello è stato introitato
per la decisione.
DIRITTO
1.
L’appello
merita parziale accoglimento, nei termini appresso descritti.
Come
accennato in narrativa, la società ricorrente, proprietaria del cementificio di
Travesio, nel quale esiste un forno per
la cui alimentazione vengono usati anche oli usati ed emulsioni oleose, ha
chiesto, ai sensi degli artt. 28 del
d.lg. n.22/1997 e 8, comma 9, del
d.m. n. 124/2000, l’autorizzazione all’esercizio dell’impianto di
coincenerimento di rifiuti pericolosi, quali oli usati ed emulsioni e miscele
varie, destinati al recupero energetico nel forno del cemento, con utilizzazione
insieme ai combustibili tradizionali.
Con
provvedimento autorizzatorio della Provincia di Pordenone in data 18 maggio
2001, la ricorrente società è stata in effetti autorizzata, ai sensi
dell’art. 28 del d.lg. n.
22/1997, all’esercizio dell’attività di recupero tramite il coincenerimento
di rifiuti speciali pericolosi, ma con la contestuale imposizione di
tutta una serie di “prescrizioni gestionali”, tra cui quelle
riguardanti la necessaria preposizione all’impianto di un gestore munito di
abilitazione regionale (ai sensi dell’art. 29 della legge regionale 7
settembre 1987, n. 30), nonché l’obbligo, a carico della società, di
corrispondere al Comune di Travesio l’indennizzo di cui all’art. 15 del
D.P.G.R. 8 ottobre 1991, n. 0502/Pres.; prescrizioni, queste citate, che sono
state (vanamente) contestate in prime cure.
2.
La questione
portata all’esame del Collegio riguarda dunque,
e non pare oggetto di contestazione, un’attività di recupero, e più
esattamente l’attività di recupero - tramite
coincenerimento - di rifiuti speciali pericolosi in un impianto
produttivo, non destinato, prevalentemente, al “trattamento” di rifiuti.
3.
Il TAR
friulano, dopo una lunga e accurata esposizione dell’intero quadro normativo
di riferimento (anche a livello regionale), relativamente al quale vanno solo
ribaditi alcuni capisaldi utili a comprendere perché non possa essere
confermato integralmente il responso formulato
dai primi giudici, ha rigettato il gravame dell’odierna ricorrente.
4.
L’impianto
del c.d. decreto Ronchi (d.lg. 5 febbraio 1997, n. 22, e successive
modificazioni ed integrazioni, recante l’attuazione delle direttive 91/156/CEE
sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui
rifiuti di imballaggio), le cui disposizioni
di principio costituiscono norme di riforma economico-sociale nei confronti
delle regioni a statuto speciale e delle province autonome aventi competenza
esclusiva in materia, le quali erano tenute ad adeguare i rispettivi ordinamenti
entro un anno dalla data di entrata in vigore del decreto, è caratterizzato da
un campo d’applicazione (art. 1)
chiaramente improntato all’intento di disciplinare ogni forma di “gestione” dei rifiuti,
compresi quelli pericolosi.
Al contempo, però, non si è mancato di concedere spazio autonomo
all’attività di recupero dei rifiuti, come forma, tra l’altro, di riduzione
dello smaltimento finale dei rifiuti stessi, che si esplica attraverso: a) il
reimpiego ed il riciclaggio; b) le altre forme di recupero per ottenere materia
prima dai rifiuti; c) l’adozione di misure economiche e la determinazione di
condizioni di appalto che prevedano l’impiego dei materiali recuperati dai
rifiuti al fine di favorire il mercato dei materiali medesimi; d)
l’utilizzazione principale dei rifiuti come combustibile o come altro mezzo
per produrre energia (fattispecie che qui interessa).
Il riutilizzo, il riciclaggio e il recupero di materia prima debbono, in
verità, essere considerate opzioni preferibili rispetto alle altre forme di
recupero.
Già
a livello di definizioni il richiamato decreto ha optato per una diversa
collocazione delle operazioni di smaltimento (previste nell’allegato B) e di
quelle di recupero (previste nell’allegato C).
Per
i rifiuti pericolosi si è previsto che anch’essi debbano essere raccolti ed
avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento.
Il
citato allegato C ha inteso elencare le operazioni di recupero come avvengono
nella pratica.
In
particolare, il punto R 1 include tra le operazioni di recupero la
“utilizzazione principale come combustibile o come altro mezzo per produrre
energia”: trattasi dell’attività per cui si discute.
L’art.
28 del d.lg. 22/97 (“Autorizzazione all’esercizio delle operazioni di
smaltimento e recupero”) ha stabilito che l’esercizio delle operazioni di
smaltimento e di recupero dei rifiuti (qui senza distinzioni) è autorizzato
dalla regione competente per territorio entro novanta giorni dalla presentazione
della relativa istanza da parte dell’interessato. L’autorizzazione individua
le condizioni e le prescrizioni necessarie per garantire l’attuazione dei
principi indicati all’articolo 2 del decreto.
Con
d.m. 5 febbraio 1998 sono state dettate norme per l’individuazione dei rifiuti
non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero ai sensi degli
articoli 31 e 33 del d.lg. 22/97.
Con
il d.m. 25 febbraio 2000, n. 124 è
stato, invece, approvato il
regolamento recante i valori limite di emissione e le norme tecniche riguardanti
le caratteristiche e le condizioni di esercizio degli impianti di incenerimento
e di coincenerimento dei rifiuti pericolosi, in attuazione della direttiva
94/67/CE del Consiglio del 16 dicembre 1994, e ai sensi dell’articolo 3, comma
2, del D.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, e dell’articolo 18, comma 2, lettera a),
del d.lg. 22/97.
In
questo ambito per rifiuti pericolosi sono stati intesi i rifiuti solidi o
liquidi individuati nell’allegato D al d.lg. 22/97, e successive modifiche e
integrazioni, mentre nell’ambito degli impianti di incenerimento è
stato incluso qualsiasi apparato tecnico utilizzato per l’incenerimento di
rifiuti pericolosi, compresi gli impianti che effettuano coincenerimento, cioè
gli impianti non destinati principalmente all’incenerimento di rifiuti
pericolosi che bruciano tali rifiuti come combustibile normale o addizionale per
qualsiasi procedimento industriale, nonché tutte le installazioni e il luogo
dove queste sono ubicate.
5.
Per quanto
attiene all’ordinamento della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, la
legge regionale 7 settembre 1987, n. 30, come
successivamente modificata ed integrata, avente ad oggetto “Norme
regionali relative allo smaltimento dei rifiuti”, nel rispetto dei principi
generali fissati dal D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, ha disciplinato lo
smaltimento dei rifiuti, la loro raccolta, spazzamento, cernita, trasporto e
trattamento.
Orbene,
l’art. 2 della predetta legge (“Impianti di smaltimento”) ha stabilito
che: “agli effetti della presente legge per impianto di smaltimento si intende
il complesso delle strutture immobiliari, degli apparati meccanici e tecnici di
ammasso ivi comprese le discariche, atti a riutilizzare, riciclare, recuperare,
confinare e/o rendere innocui i rifiuti.
Gli
impianti e le strutture di smaltimento devono essere realizzati con
caratteristiche adeguate ai principi della migliore applicazione e funzionamento
delle tecnologie idonee per favorire il recupero di materiali ed energia ed
assicurare, in via prioritaria, la tutela dell'ambiente e della salute della
collettività”.
L’
art. 28 (“Costruzione e gestione degli impianti”) ha statuito, tra
l’altro, che i Comuni sede di
impianti di smaltimento di rifiuti provenienti da altri Comuni hanno titolo ad
essere risarciti dei relativi disagi mediante la corresponsione, da parte del
proprietario dell'impianto, di un apposito indennizzo differenziato, da
stabilirsi con apposito regolamento di esecuzione.
Il successivo art. 29 (“Responsabile della gestione”) ha previsto che
“ad ogni impianto di smaltimento deve venir preposta una persona responsabile
della gestione, munita di abilitazione regionale, il cui nominativo deve essere
preventivamente comunicato alla Direzione regionale dell’ambiente,
all’Amministrazione provinciale, all’Azienda per i servizi sanitari ed al
Comune”.
L’abilitazione regionale è rilasciata dal Direttore regionale
dell’ambiente, ed è riferita alle seguenti categorie:
a) impianti tecnologici con potenzialità superiore a 300 t/g.;
b) impianti tecnologici con potenzialità da 100 a 300 t/g.
Con
apposito regolamento di esecuzione, da emanarsi entro novanta giorni
dall’entrata in vigore della legge, doveva provvedersi ad individuare le
funzioni del responsabile della gestione, i requisiti richiesti per
l’abilitazione, nonché le modalità per l’ottenimento della stessa.
La
relativa disciplina è stata dettata dall’art.
18 del decreto del Presidente della Giunta regionale 8 ottobre 1991, n. 0502/Pres.,
avente ad oggetto la revoca del D.P.G.R. 6 maggio 1988, n. 0160/Pres. e
l’approvazione del nuovo “Regolamento di esecuzione della legge regionale 7
settembre 1987, n. 30 e successive modifiche ed integrazioni”.
La
legge regionale 9 novembre 1998, n. 13, a sua volta, ha dettato norme attuative
del nuovo regime di cui al d.lg. 22/97, con particolare riguardo alla materia
dello smaltimento dei rifiuti.
L’art.
8, comma 2, della richiamata fonte regionale, in considerazione della
rispondenza ai principi della normativa statale di preesistenti normative
regionali in materia, anche al fine di operare sulla base di puntuali
disposizioni integrative, organizzatorie e procedurali, ha affermato la
perdurante applicabilità, tra le varie specifiche norme regionali, anche degli
articoli 2, comma 1, 25 e 28, comma 3, della legge regionale 30/1987, e
successive modifiche ed integrazioni.
Il
già accennato DPGR n. 502/1991 ha
previsto, all’art. 15 che ”i comuni, nel cui territorio sono in attività
impianti di smaltimento di rifiuti, hanno titolo ad essere risarciti dei
relativi disagi mediante la corresponsione, da parte del privato operatore
proprietario dell’impianto, di un apposito indennizzo”.
Come
si è visto, la società ricorrente ha chiesto agli Enti intimati, ai sensi
degli artt. 28 del d.lg. n.22/1997
e 8, comma 9, del d.m. n. 124/2000,
l’autorizzazione all’esercizio dell’impianto di coincenerimento di rifiuti
pericolosi, quali oli usati, emulsioni oleose e miscele acquose, destinati al
recupero energetico nel forno del cemento, con utilizzo in co-combustione con i
combustibili tradizionali (carbone fossile e coke).
6.
Tanto
premesso, le prospettazioni attoree, alla
luce delle disposizioni – statali e regionali – sopra sintetizzate, non
hanno trovato ingresso dinanzi al Collegio di prime cure, ad avviso del quale,
anzitutto, contrariamente alle lagnanze della ricorrente, la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia
si è puntualmente adeguata ai principi in materia di rifiuti discendenti dal
d.lg. n. 22/1997.
Il
compendio normativo regionale in materia di rifiuti, costituito dalle leggi
regionali 7 settembre 1987, n. 30 e
9 novembre 1998, n. 13, nonché dal decreto del Presidente della Giunta
regionale 8 ottobre 1991, n. 0502/Pres., è infatti apparso conforme ai principi
dettati nella medesima materia dalla normativa comunitaria e da quella
nazionale, e comunque, seppur per alcuni aspetti particolarmente rigoroso, non
confliggente con alcun principio di rango costituzionale, anche sotto il profilo
della ragionevolezza (art. 3 Cost.), considerata,
non da ultimo, la grande rilevanza degli interessi in gioco
e la natura dei rifiuti (pericolosi).
La
Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia, inoltre, non era tenuta,
de plano, a recepire pedissequamente
la normativa sovraregionale in materia, avendo istituzionalmente il potere di
adeguare questa normativa alle esigenze locali, pur nel rispetto dei principi discendenti dalla medesima.
L’inconsistenza
delle tesi di parte attrice, che adombrava un contrasto della disciplina
regionale con i ripetuti principi, segnatamente per quello che riguarda alcuni
aspetti specifici come la operata equiparazione tra la
attività di smaltimento e quella di recupero, la previsione dello speciale
indennizzo a favore dei Comuni, nonché la preposizione di
una persona responsabile della gestione dell’impianto, è stata
affermata dal Tribunale di prima istanza alla stregua, soprattutto, di alcune
delle richiamate disposizioni.
In
particolare, è parso opportuno al Giudice periferico richiamare nuovamente la
l.r. 13/98 nella parte in cui, pur
adeguandosi ai nuovi principi di cui al d.lg. 22/97, ha espressamente fatte
salve alcune disposizioni della l.r. 30/87, tra cui, per quello che qui
interessa, soprattutto l’art. 2, comma 1 (impianti di smaltimento), il quale,
come si è visto, ha stabilito che agli effetti della legge “per impianto di
smaltimento si intende il complesso delle strutture immobiliari, degli apparati
meccanici e tecnici di ammasso ivi comprese le discariche, atti a riutilizzare,
riciclare, recuperare, confinare e/o rendere innocui i rifiuti”.
Di
qui dunque, ad avviso del TAR, la evidente comprensione dell’attività di recupero nell’ambito di
quella di smaltimento, anche ai fini dell’applicazione delle prescrizioni di
cui agli artt. 28 e 29 della l.r. 30/87, in tema di obbligo di indennizzo e di
preposizione all’impianto di un responsabile della gestione, munito di
abilitazione regionale (previsione, quest’ultima, ribadita anche dall’art.
18 del DPGR 502/91).
7.
Il pur lungo e
informato ragionamento dell’Organo di prime cure non merita integrale
conferma, dovendosi prestare adesione, almeno parzialmente, alle deduzioni di
parte appellante.
L’originaria
nozione generale e omnicomprensiva di “impianti di smaltimento” di cui alla
l.r. 30/87, pur espressamente fatta salva dalla l.r. 13/98, che – come
accennato – ha adeguato l’ordinamento settoriale della Regione autonoma in
questione ai principi informatori del decreto Ronchi, necessita, in effetti, di
un’opera di reinterpretazione alla luce del nuovo concetto di gestione dei
rifiuti introdotto dallo stesso decreto, nel cui ambito il recupero, nelle sue
varie modalità e con le precauzioni del caso (come nella fattispecie,
trattandosi di rifiuti pericolosi), gode di autonoma dignità e considerazione,
salvi gli aspetti procedurali.
Ciò
posto, appare indubbio che una prescrizione come quella dell’obbligo di
indennizzo in favore del Comune sede dell’impianto, attesa anche la sua ratio, riguardi solo gli
impianti di smaltimento stricto sensu,
trovando essa, tra l’altro, eminente (anche se di per sé non esclusiva)
applicazione quando in un Comune si “smaltiscano” (nel senso tecnico
del termine, non comprendente necessariamente il recupero) rifiuti provenienti
da altri Comuni, allo scopo di alleviare un minimo il disagio subito dalla
collettività ricevente.
Per
di più, non può dimenticarsi che, in ogni caso,
l’impianto in questione nasce ed opera come cementificio, svolgente
solo collateralmente attività di recupero, mediante coincenerimento di rifiuti
a scopo energetico.
Alle
stesse conclusioni positive per l’appellante non può giungersi, invece,
in ordine alla doverosa individuazione (imposta in termini generali per
ogni tipologia di impianto) di un soggetto abilitato (il comma 2 dell’art. 29
della l.r. 30/87 non limita la generalità della prescrizione di cui al comma 1)
che sia responsabile della gestione dell’impianto
(lo stabilimento comunque “tratta” rifiuti), essenziale profilo
procedurale in relazione al quale non può trovare spazio la differenziazione
tra operazioni di smaltimento e operazioni di recupero,
tanto più considerando, nel caso di
specie, i fini di garanzia e di tutela della salute pubblica rapportati
alla natura pericolosa dei rifiuti in questione.
Del
resto, e lo ha più volte insegnato anche il legislatore nazionale e
comunitario, agli impianti operanti
il recupero di rifiuti speciali pericolosi occorre dedicare, almeno ai fini procedurali, un’attenzione non dissimile da quella
dedicata agli impianti di smaltimento
in senso tecnico (ad esempio di rifiuti non recuperabili).
8.
Alla stregua
delle considerazioni che precedono, l’appello interposto va parzialmente
accolto, nei sensi sopra specificati, e per l’effetto, in riforma della
sentenza appellata, negli stessi termini va accolto il gravame di prime cure,
limitatamente, quindi, al profilo della corresponsione dell’indennizzo in
favore del Comune.
Le
spese processuali vanno integralmente compensate, sussistendone i requisiti, con
riferimento ad entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente
pronunciando sul ricorso in appello in epigrafe, lo accoglie in parte, nei sensi
di cui in motivazione, conformemente riformando la sentenza di primo grado.
Spese
di entrambi i gradi di giudizio compensate tra le parti.
Ordina
che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 17 ottobre 2003, dal Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione Quinta), in camera di consiglio, con l’intervento dei
seguenti Magistrati:
Alfonso
Quaranta
Presidente
Paolo
Buonvino
Consigliere
Goffredo
Zaccardi
Consigliere
Francesco
D’Ottavi
Consigliere
Gerardo
Mastrandrea
Consigliere est.