Corte Costituzionale sent. 215 del 26 novembre 2018
Oggetto: Ambiente - Rifiuti - Norme della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia - Piano regionale di gestione dei rifiuti.
Criteri localizzativi regionali degli impianti di recupero e di smaltimento dei rifiuti in prossimità di un'opera di captazione delle acque destinate al consumo umano - Individuazione di una distanza minima predefinita dai punti di captazione. Misure di intervento dell'autorità competente in caso di inosservanza delle prescrizioni relative all'autorizzazione unica.
Dispositivo: non fondatezza


SENTENZA N. 215

ANNO 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 13, 15, comma 4, e 23 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 20 ottobre 2017, n. 34 (Disciplina organica della gestione dei rifiuti e principi di economia circolare), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 22 dicembre 2017, depositato in cancelleria il 29 dicembre 2017, iscritto al n. 92 del registro ricorsi 2017 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia;

udito nell’udienza pubblica del 9 ottobre 2018 il Giudice relatore Giovanni Amoroso;

uditi l’avvocato dello Stato Francesca Morici per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Giandomenico Falcon per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.

Ritenuto in fatto

1.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale, in via principale, degli articoli 13, 15, comma 4, e 23 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 20 ottobre 2017, n. 34 (Disciplina organica della gestione dei rifiuti e principi di economia circolare), per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in relazione agli articoli 13, 94 e 208, comma 13, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) e dell’art. 4 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia).

Nel ricorso si afferma che con le disposizioni indicate la Regione autonoma avrebbe ecceduto dalle proprie attribuzioni, invadendo la competenza legislativa statale in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, la disciplina della gestione dei rifiuti è riconducibile alla suddetta competenza esclusiva, deponendo in tal senso numerose pronunce della Corte costituzionale; inoltre, nel ricorso si afferma che le disposizioni regionali impugnate violerebbero anche l’art. 4 dello statuto reg. Friuli-Venezia Giulia, non essendo in esso rinvenibile alcuna competenza in materia.

Ciò premesso, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna innanzi tutto l’art. 13 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 34 del 2017, rubricato «Formazione e approvazione del Piano regionale di gestione dei rifiuti».

Al riguardo, afferma che il procedimento di approvazione del Piano non sarebbe coerente con le disposizioni del Titolo II della Parte seconda del d.lgs. n. 152 del 2006 (da ora, anche: cod. ambiente), in quanto non include, all’interno del procedimento, tutte le necessarie e simultanee fasi della procedura di valutazione ambientale strategica (d’ora in avanti: VAS) previste dalla normativa statale e comunitaria in materia. In particolare, sebbene la disposizione censurata faccia riferimento al d.lgs. n. 152 del 2006, essa però escluderebbe la fase di valutazione e di consultazione preliminare di cui all’art. 13, comma 1, del cod. ambiente. Tale mancata previsione determina che, nella fase istruttoria preliminare all’adozione del provvedimento, non viene predisposto un documento di Piano, in versione preliminare, né il corrispondente «rapporto preliminare» di VAS, con la conseguenza che non vengono effettuate le necessarie valutazioni cosiddette di scoping.

È poi impugnato l’art. 15, comma 4, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 34 del 2017, rubricato «Criteri localizzativi regionali degli impianti di recupero e di smaltimento dei rifiuti».

Il ricorrente osserva che, in base a tale norma, l’insediamento di impianti di recupero e smaltimento di rifiuti pericolosi e non pericolosi, in prossimità di un’opera di captazione di acque destinate al consumo umano, è subordinato al solo rispetto di una distanza superiore a tremila metri, applicabile in modo uniforme in tutto il territorio regionale. Si tratterebbe di una norma non coerente con le disposizioni sulle aree di salvaguardia di cui all’art. 94 cod. ambiente che, invece, impone la regolamentazione della localizzazione in ragione delle caratteristiche idrogeologiche dei siti interessati. In particolare, secondo il ricorrente, la norma statale citata prevede che le aree di salvaguardia debbano essere definite in maniera specifica e caso per caso, in relazione cioè alle singole captazioni o derivazioni, sulla base delle indicazioni riportate dall’art. 94 citato e alla luce dell’accordo tra Stato e Regioni del 12 dicembre 2002 (Linee Guida per la tutela della qualità delle acque destinate al consumo umano e criteri generali per l’individuazione delle aree di salvaguardia delle risorse idriche di cui all’art. 21 del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152).

Pertanto, la prescrizione dell’unico criterio consistente nella previsione di una distanza superiore a tremila metri a monte delle captazioni, anche se sufficiente in alcuni casi a garantire la sicurezza delle acque, escluderebbe, ad avviso della difesa statale, una più articolata valutazione del sito di localizzazione che consenta di apprezzare per ogni singolo insediamento il rispetto delle norme di sicurezza.

Infine, è censurato l’art. 23 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 34 del 2017, rubricato «Decadenza dall’autorizzazione unica», in materia di gestione dei rifiuti.

Il ricorrente, dopo aver riportato il contenuto dell’art. 22 della citata legge regionale in tema di sospensione dell’autorizzazione unica a seguito del verificarsi di alcune situazioni, riferisce che il comma 3 – là dove prevede che, in caso di inottemperanza alle prescrizioni contenute nell’atto di diffida, è disposta la sospensione per un periodo massimo di dodici mesi e soltanto a seguito dell’esito infruttuoso di questo periodo opera la decadenza dell’autorizzazione unica − si porrebbe in contrasto con l’art. 208, comma 13, lettera c), cod. ambiente; disposizione questa che prevede, in caso di non ottemperanza a quanto prescritto nell’atto di diffida, la revoca dell’autorizzazione unica. Pertanto, sarebbe violato l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

2.− Si è costituita la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e ha successivamente depositato una memoria, sostenendo l’inammissibilità della terza censura e l’infondatezza di tutte le questioni di legittimità costituzionale.

La difesa regionale premette, in primo luogo, che la competenza legislativa regionale in materia di rifiuti è riconducibile ai titoli di potestà legislativa primaria in materia «urbanistica» (art. 4, numero 12, dello statuto reg. Friuli-Venezia Giulia) e di potestà concorrente in materia di «igiene e sanità» (art. 5, numero 16, dello statuto reg. Friuli-Venezia Giulia), operando al riguardo la clausola di maggior favore di cui all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).

In particolare, con riferimento alle questioni promosse in relazione agli artt. 13 e 15, comma 4, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 34 del 2017, la difesa della Regione afferma che le disposizioni impugnate non escludono affatto l’applicazione, rispettivamente, delle norme statali di cui agli artt. 13 e 94 del d.lgs. n. 152 del 2006.

Inoltre, in relazione alla questione promossa in riferimento all’art. 23 della legge regionale citata, la difesa della Regione eccepisce in via preliminare l’inammissibilità della censura per non corretta individuazione della disposizione impugnata. Si osserva, infatti, che nel contesto dell’impugnazione dell’art. 23, il ricorso formula una sorta di premessa concernente l’art. 22, comma 3, della stessa legge regionale, il quale prevede, quale conseguenza dell’inottemperanza della diffida, la sospensione dell’autorizzazione per un periodo massimo di dodici mesi, anziché, come stabilito dall’art. 208, comma 13, lettera c), del d.lgs. n. 152 del 2006, la revoca della autorizzazione, venendo poi impugnato l’art. 23 e non già l’art. 22, comma 3, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 34 del 2017. Sussisterebbe, quindi, incertezza e ambiguità sull’effettivo oggetto dell’impugnazione.

Nel merito, la Regione resistente sostiene che la disciplina regionale impugnata non determina alcuna riduzione di tutela rispetto alla disciplina statale. Essa bilancia correttamente, secondo il medesimo paradigma normativo, il principio di precauzione con quello di proporzionalità, sicché deve escludersi la denunciata violazione, sia delle regole della competenza legislativa assegnata dallo statuto reg. Friuli-Venezia Giulia, sia dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

Considerato in diritto

1.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale, in via principale, degli artt. 13, 15, comma 4, e 23 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 20 ottobre 2017, n. 34 (Disciplina organica della gestione dei rifiuti e principi di economia circolare) per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in relazione agli artt. 13, 94 e 208, comma 13, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), e dell’art. 4 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia).

Secondo la difesa erariale, l’art. 13 della suddetta legge regionale violerebbe, in particolare, l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione all’art. 13, comma 1, cod. ambiente, in quanto non prevede, nel procedimento di formazione e approvazione del Piano regionale di gestione dei rifiuti, la fase di valutazione e di consultazione preliminare al fine della redazione del «rapporto ambientale».

Inoltre, l’art. 15, comma 4, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 34 del 2017, nel prevedere, quale unico criterio per la localizzazione di discariche di rifiuti pericolosi e non pericolosi in prossimità di opere di captazione di acque destinate al consumo umano, solo quello della distanza superiore a tremila metri dai punti di captazione posti a valle delle stesse, rispetto alla direzione dei flussi di alimentazione della captazione, violerebbe, in particolare, l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione all’art. 94 del d.lgs n. 152 del 2006. Infatti, richiamando un unico criterio spaziale, esclude una più articolata valutazione del sito di localizzazione che consenta di apprezzare, per ogni singolo insediamento, il rispetto delle norme di sicurezza, in armonia con le disposizioni statali, e segnatamente con l’art. 94 citato, che impongono la regolamentazione della localizzazione in ragione delle caratteristiche idrogeologiche dei siti interessati.

Infine, l’art. 23 della medesima legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 34 del 2017 violerebbe, in particolare, l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione all’art. 208, comma 13, del d.lgs n. 152 del 2006, in quanto prevede procedure di intervento da parte dell’autorità competente in caso di inosservanza delle prescrizioni autorizzative almeno in parte differenti da quanto stabilito dalla citata disposizione statale.

In sintesi, il ricorrente si duole che la disciplina regionale impugnata, in tema di gestione dei rifiuti, alla luce del raffronto con le corrispondenti previsioni del d.lgs. n. 152 del 2006, abbia comportato una riduzione del livello di tutela rispetto a quello assicurato dal codice dell’ambiente.

2.− Va innanzi tutto premesso che, secondo la costante giurisprudenza della Corte, la disciplina della gestione dei rifiuti è riconducibile alla materia «tutela dell’ambiente» e «dell’ecosistema», riservata dall’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. alla competenza esclusiva dello Stato, ferme restando per le Regioni ad autonomia differenziata le previsioni statutarie. In tale materia, lo Stato può dettare una disciplina di protezione uniforme valida per tutte le Regioni e non derogabile da queste (ex multis, sentenze n. 244 e n. 154 del 2016). Ha affermato questa Corte che la disciplina statale «costituisce, anche in attuazione degli obblighi comunitari, un livello di tutela uniforme e si impone sull’intero territorio nazionale, come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per evitare che esse deroghino al livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato, ovvero lo peggiorino» (sentenza n. 58 del 2015).

La «tutela dell’ambiente» e «dell’ecosistema» rappresenta una materia naturalmente trasversale, nel senso che interseca materie di competenza concorrente o residuale delle Regioni, innanzi tutto quella del «governo del territorio», essendo la tutela dell’ambiente anche in funzione di presidio dell’integrità di quest’ultimo. Ma possono venire in rilievo profili che attengono alla tutela della «salute» o alla «protezione civile» (di competenza concorrente) o all’agricoltura e foreste (di competenza residuale).

Quindi, la competenza esclusiva statale in materia di «tutela dell’ambiente» e «dell’ecosistema» può incontrare altri interessi e competenze, con la conseguenza che – ferma rimanendo la riserva allo Stato del potere di fissare livelli di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale – possono dispiegarsi le competenze proprie delle Regioni per la cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali. In particolare, quanto alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, la competenza esclusiva del legislatore statale può intersecare quella primaria della Regione in materia di «urbanistica» (art. 4, numero 12, dello statuto reg. Friuli-Venezia Giulia) o quella concorrente in materia di «igiene e sanità» (art. 5, numero 16, dello statuto reg. Friuli-Venezia Giulia); né, per ciò solo, può dirsi che vi sia violazione di tali norme.

Nell’esercizio di tali competenze regionali può anche esserci un’incidenza nella materia di competenza esclusiva statale, ma solo in termini di maggiore e più rigorosa tutela dell’ambiente: le Regioni possono stabilire, per il raggiungimento dei fini propri delle loro competenze, livelli di tutela più elevati, pur sempre con il limite del rispetto della normativa statale di tutela dell’ambiente (sentenza n. 61 del 2009). Nello stesso tempo – ha affermato questa Corte − il legislatore regionale non può prevedere «sia pure in nome di una protezione più rigorosa della salute degli abitanti della Regione medesima, interventi preclusivi suscettibili […] di pregiudicare, insieme ad altri interessi di rilievo nazionale, il medesimo interesse della salute in un ambito territoriale più ampio» (sentenza n. 54 del 2012).

Questo orientamento della giurisprudenza della Corte, in tema di riparto delle competenze legislative quanto alla disciplina dei rifiuti, è stato di recente confermato dalla sentenza n. 150 del 2018 che − sul presupposto secondo cui la «tutela dell’ambiente» interseca inestricabilmente altri interessi e competenze − ha ribadito che la disciplina dei rifiuti attiene alla materia «tutela dell’ambiente» e «dell’ecosistema», riservata, in base all’art. 117, comma secondo, lettera s), Cost., alla competenza esclusiva dello Stato. La disciplina statale – e segnatamente il codice dell’ambiente − costituisce un limite per gli interventi normativi delle Regioni e delle Province autonome che, pur attenendo a materie di loro competenza, intersecano la tutela dell’ambiente.

2.1.− Vi è poi, nella disciplina ambientale, un ulteriore coinvolgimento delle Regioni in un’ottica cooperativa di integrazione e attuazione della disciplina statale e nel rispetto del principio di sussidiarietà e di leale collaborazione. È talora la stessa legge statale a demandare alla legislazione regionale il completamento di aspetti specifici della tutela dell’ambiente. Ed è ciò che fa in generale l’art. 3 quinquies del d.lgs. n. 152 del 2006, che demanda alle Regioni (e alle Province autonome di Trento e di Bolzano) di adottare forme di tutela giuridica dell’ambiente più restrittive, qualora lo richiedano situazioni particolari del loro territorio, purché ciò non comporti un’arbitraria discriminazione, anche attraverso ingiustificati aggravi procedimentali e sempre tenendo conto che i principi contenuti nel decreto legislativo indicato costituiscono le condizioni minime ed essenziali per assicurare la tutela dell’ambiente su tutto il territorio nazionale.

Alle Regioni è demandato, altresì, di individuare, quanto alla localizzazione degli impianti di recupero e smaltimento dei rifiuti, le aree di salvaguardia distinte in zone di tutela assoluta e zone di rispetto, nonché le zone di protezione (art. 94 cod. ambiente).

Altresì, ancora con riferimento alla disciplina dei rifiuti contenuta nella parte quarta del medesimo codice dell’ambiente, le Regioni e le Province autonome sono state chiamate ad adeguare i rispettivi ordinamenti alle disposizioni di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema contenute in tale parte (art. 177, comma 7). Il successivo art. 196 cataloga in dettaglio le competenze delle Regioni, demandando ad esse, nel rispetto dei principi previsti dalla normativa vigente e dalla parte quarta del medesimo decreto legislativo, tra l’altro, «la predisposizione, l’adozione e l’aggiornamento, sentiti le province, i comuni e le Autorità d’ambito, dei piani regionali di gestione dei rifiuti»; «la regolamentazione delle attività di gestione dei rifiuti, ivi compresa la raccolta differenziata dei rifiuti urbani»; «l’approvazione dei progetti di nuovi impianti per la gestione di rifiuti, anche pericolosi, e l’autorizzazione alle modifiche degli impianti esistenti»; «l’autorizzazione all’esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero di rifiuti, anche pericolosi»; «la definizione dei criteri per l’individuazione dei luoghi o impianti idonei» al loro smaltimento.

Nell’esercizio di tale competenza delegata, le disposizioni legislative del citato codice dell’ambiente operano quali limiti per la normativa delle Regioni, anche a statuto speciale, le quali devono mantenere la propria legislazione negli ambiti dei vincoli posti dal codice, non potendo esse derogare o peggiorare il livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato, né determinare un affievolimento o una minore efficacia della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.

3.− Fatta questa premessa, può esaminarsi innanzi tutto la prima questione di costituzionalità, che ha ad oggetto l’art. 13 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 34 del 2017, recante la disciplina della formazione ed approvazione del Piano regionale di gestione dei rifiuti (di seguito: Piano). In particolare, tale disposizione, pur rinviando genericamente alle norme relative alla procedura di verifica di assoggettabilità a valutazione ambientale strategica (d’ora in avanti: VAS), prevede che la struttura regionale competente in materia di gestione dei rifiuti provvede alla predisposizione del Piano, considerando le indicazioni elaborate dal Forum dell’economia circolare di cui al precedente art. 4, ma senza che, in realtà, sia parallelamente prescritta – secondo il dato testuale della disposizione – l’attivazione del procedimento di cui agli artt. 12 e 13 del d.lgs. n. 152 del 2006. La norma impugnata, infatti, prevede direttamente l’adozione, da parte della Giunta regionale, del progetto del Piano, munito del relativo «rapporto ambientale» e della sintesi non tecnica.

Il ricorrente deduce la violazione della competenza esclusiva del legislatore statale in materia di tutela dell’ambiente, perché la disposizione regionale, nel disciplinare il procedimento di formazione e approvazione del Piano, non include, all’interno del procedimento, la fase di valutazione e di consultazione preliminare ai fini della redazione del «rapporto ambientale» di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 152 del 2006. Tale omessa previsione determinerebbe il vulnus ai parametri costituzionali indicati in ricorso, ma essenzialmente all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

3.1.− La questione non è fondata, essendo possibile un’interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata.

3.2.− L’Avvocatura generale dello Stato fonda la sua censura di violazione della competenza esclusiva del legislatore statale in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» su un’interpretazione della disposizione regionale impugnata che è strettamente ancorata al suo dato testuale.

È vero che l’art. 199, comma 1, cod. ambiente, demanda alle Regioni, sentite le Province, i Comuni e, per quanto riguarda i rifiuti urbani, le Autorità d’ambito di cui all’art. 201, la predisposizione e adozione dei piani regionali di gestione dei rifiuti, per la cui approvazione è richiamata espressamente l’applicazione della procedura di cui alla Parte II dello stesso decreto legislativo in materia di VAS. E ciò comporta anche una competenza legislativa delegata alle Regioni per regolare l’adattamento dell’ordinario procedimento (amministrativo) di verifica di assoggettamento a VAS alla fattispecie più specifica – in rapporto di genere a specie – del piano regionale di gestione dei rifiuti.

Tuttavia, ciò che dispone l’art. 13 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 34 del 2017, regolando – come recita del resto la stessa rubrica della disposizione – il procedimento di formazione e approvazione del Piano, contrasterebbe con la specifica disciplina del codice dell’ambiente.

Quella contenuta nell’impugnato art. 13 costituisce una regolamentazione dettagliata, che parte dalla predisposizione del Piano (comma 1) e si snoda in una sequenza di distinti momenti del procedimento, fino all’approvazione del Piano stesso con decreto del Presidente della Regione.

La criticità della disposizione, su cui in sostanza si appuntano le censure di illegittimità costituzionale, sta nel passaggio dalla predisposizione del Piano (comma 1), che segna l’avvio del procedimento, all’adozione del progetto di Piano, «munito del relativo rapporto ambientale», con delibera della Giunta regionale (comma 2).

Nell’ordinaria procedura di assoggettamento a VAS il «rapporto ambientale» viene in rilievo – ed è redatto – solo dopo la verifica di assoggettabilità a VAS regolata dagli artt. 12 e 13 del d.lgs. n. 152 del 2006, verifica che parte inizialmente con il cosiddetto «rapporto preliminare».

In particolare, l’art. 12 prevede che l’autorità procedente – che è quella proponente piani o programmi potenzialmente assoggettabili a VAS, in quanto possono avere impatti significativi sull’ambiente – predispone il «rapporto preliminare» che segna l’avvio della procedura di verifica. Questo rapporto contiene i dati necessari alla verifica degli impatti significativi sull’ambiente che possono essere causati dall’attuazione del piano o programma.

Segue la fase di indagine e confronto (cosiddetta di scoping), quale prescritta dalla direttiva europea 2001/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 giugno 2001, concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente, che connota tutta la procedura. L’autorità proponente si relaziona con l’autorità competente e insieme, secondo un principio di leale collaborazione, individuano «i soggetti competenti in materia ambientale da consultare», a partire dagli stessi Comuni e Province e dalle Autorità d’ambito di cui all’art. 201, poi soppresse, le cui funzioni sono state variamente regolate dalle leggi regionali (nella Regione Friuli-Venezia Giulia è stata istituita l’Autorità unica per i servizi idrici e i rifiuti).

Quindi si attiva, in questa preliminare fase procedimentale di verifica dell’assoggettabilità a VAS, un contraddittorio con tutti i soggetti che hanno voce nella materia ambientale. Ad essi è trasmesso il documento iniziale costituito dal «rapporto preliminare», per acquisirne il parere.

Questa fase è cadenzata da termini ben precisi. I soggetti, ai quali è stato trasmesso il «rapporto preliminare», hanno il termine di trenta giorni per inviare il proprio parere all’autorità procedente e a quella competente. La quale ultima, tenuto conto delle osservazioni pervenute, verifica se il piano o il programma possa avere impatti significativi sull’ambiente, e, sentita l’autorità procedente, emette il provvedimento di verifica, assoggettando o escludendo il Piano o il programma dalla VAS.

Nel complesso, la fase preliminare di consultazione, esame e verifica, si deve concludere nel termine di novanta giorni dall’invio del «rapporto preliminare».

Di tutto ciò è assicurata la piena conoscibilità affinché chiunque abbia interesse possa avere contezza del possibile impatto ambientale del Piano, essendo infatti prescritto che il risultato della verifica di assoggettabilità, comprese le motivazioni, è pubblicato integralmente nel sito web dell’autorità competente.

È solo dopo, nel successivo iter procedimentale regolato dall’art. 13 cod. ambiente, che viene in rilievo la redazione del «rapporto ambientale», il quale, muovendo dal «rapporto preliminare», contiene tutti i dati emersi nell’attività di scoping (soprattutto dai pareri inviati dai soggetti aventi competenze in materia ambientale), dando atto della consultazione dei soggetti coinvolti nella fase preliminare di verifica di assoggettabilità a VAS, ed evidenzia come siano stati presi in considerazione i contributi pervenuti.

Esaurita questa fase preliminare, il «rapporto ambientale» viene a costituire parte integrante del piano o del programma e ne accompagna il successivo processo di elaborazione e approvazione.

L’art. 13 cod. ambiente disciplina poi in dettaglio l’ulteriore iter procedimentale della proposta di piano o di programma, così come fa in parallelo l’art. 13 della legge regionale impugnata. Ma di ciò non è necessario dar conto, perché il seguito del procedimento non è attinto da alcuna censura di incostituzionalità.

3.3.− Orbene, il ricorrente ha facile gioco nel sostenere che la lettura testuale della disposizione censurata disegna, in termini esaustivi, un procedimento di formazione e approvazione del Piano regionale di gestione dei rifiuti, che, rispetto all’ordinario procedimento di verifica di assoggettamento a VAS (art. 12 del d.lgs. n. 152 del 2006) e di successiva adozione o approvazione del piano o programma (art. 13 e seguenti del d.lgs. n. 152 del 2006), costituisce una versione, per così dire, “abbreviata”, perché priva della fase di verifica di assoggettamento a VAS. Il procedimento previsto dalla disposizione censurata parte dalla predisposizione e approvazione del progetto di Piano come momento di avvio del procedimento e associa al progetto di Piano direttamente il «rapporto ambientale».

Ciò potrebbe, in ipotesi, perseguire una finalità di semplificazione e accelerazione, ma lo sarebbe (illegittimamente) a scapito della previa consultazione dei soggetti aventi competenza in materia ambientale, per i quali non è neppure previsto che (successivamente) venga trasmesso il «rapporto ambientale», con sostanziale detrimento della complessiva trasparenza della procedura. Residuerebbe, infatti, solo la successiva pubblicazione del «rapporto ambientale» sul sito istituzionale della Regione e sul Bollettino ufficiale, per consentire a chiunque di prenderne visione e presentare alla Regione osservazioni nel termine di sessanta giorni.

Neppure la difesa della Regione ipotizza che il legislatore regionale abbia inteso disegnare un procedimento speciale e più rapido, senza previa concertazione con i soggetti aventi competenza in materia ambientale. Anzi, la difesa della Regione – con indubbia lealtà processuale – riconosce nella sostanza che, se la disposizione censurata esaurisse la disciplina del procedimento, come ritiene l’Avvocatura dello Stato e come sembrerebbe essere sulla base di una lettura testuale della stessa, la norma sarebbe effettivamente lesiva della competenza esclusiva del legislatore statale in materia di tutela dell’ambiente e, come tale, incostituzionale nella parte in cui non prevede il necessario previo procedimento di verifica di assoggettamento a VAS. La difesa della Regione chiede, invece, che di tale disposizione sia data un’interpretazione costituzionalmente orientata nel senso che non è esclusa – e quindi trova applicazione – l’ordinaria procedura di verifica di assoggettamento alla VAS, quale regolata dal codice dell’ambiente.

3.4.− In effetti, soccorre in proposito il generale canone dell’interpretazione adeguatrice che consente di superare la censura di incostituzionalità.

Non solo nel giudizio incidentale di costituzionalità, in cui vi è il giudice rimettente, chiamato a interpretare la disposizione censurata, primo e diretto destinatario dell’interpretazione adeguatrice in ipotesi accolta da questa Corte, ma anche nel giudizio in via principale opera tale canone interpretativo in quanto, come nella fattispecie in esame, è ben possibile che la disposizione censurata venga all’esame di un giudice comune in una controversia ordinaria.

Pertanto, se c’è una possibilità di interpretazione conforme a Costituzione, la questione di legittimità costituzionale è infondata nei termini di tale interpretazione.

3.5.− Nella fattispecie sussiste – come giustamente deduce la difesa della Regione − la possibilità dell’interpretazione adeguatrice della disposizione censurata.

Innanzi tutto, nella legge regionale impugnata c’è una disposizione chiave − l’art. 39 – che prevede che «[p]er quanto non disposto dalla presente legge si applica la normativa statale vigente in materia».

Non è una disposizione di stile, priva di sostanziale portata normativa, ma una norma di raccordo sistematico, con automatico rinvio alla legislazione statale, in piena sintonia con i limiti di competenza del legislatore regionale, anche ad autonomia differenziata, in una materia – quale quella della tutela dell’ambiente − che appartiene alla competenza esclusiva del legislatore statale.

Da tale norma di rinvio discende, con riferimento alla disposizione censurata, un canone generale interpretativo, per cui la mancata previsione di un adempimento o di una prescrizione − quale il previo procedimento di verifica di assoggettamento a VAS, secondo le disposizioni contenute negli artt. 12 e seguenti del d.lgs. n. 152 del 2006 − non significa sua esclusione.

Inoltre, a conforto di ciò, c’è da considerare che il riferimento al «rapporto ambientale», contenuto nel secondo comma della disposizione impugnata, può essere letto non già in termini generici – come un documento contenente valutazioni sull’impatto ambientale del Piano – ma in termini specifici e tecnici secondo la definizione che ne dà l’art. 5 cod. ambiente – recante, appunto, le medesime definizioni utilizzate nel codice dell’ambiente – che, al comma 1, lettera f), specifica che il «rapporto ambientale» è «il documento del piano o del programma redatto in conformità alle previsioni di cui all’articolo 13»; ossia è il documento redatto all’esito del procedimento di verifica di assoggettamento a VAS.

Quindi, da una parte, può ritenersi che le norme del codice dell’ambiente, la cui applicazione non sia esclusa dalla legge regionale espressamente o per irriducibile incompatibilità, trovino applicazione unitamente alle norme regionali. D’altra parte, il riferimento testuale al «rapporto ambientale», contenuto nella disposizione impugnata, al secondo comma, significa che è richiamato quello specifico documento previsto dall’art. 13 cod. ambiente e con esso è richiamato – e trova applicazione – il previo procedimento di verifica di assoggettamento a VAS previsto dal codice dell’ambiente.

Così interpretata la disposizione censurata, in termini costituzionalmente orientati, e anche tenendo conto della necessaria conformità alla citata direttiva 2001/42/CE, si ha che non solo la legittimità del Piano deve ritenersi condizionata dalla sopra richiamata attività di scoping nella preliminare fase di verifica dell’assoggettabilità a VAS, ma anche che il «rapporto ambientale», previsto dal comma 2 dell’art. 13 impugnato, deve dare conto di quanto sia emerso in tale fase, soprattutto attraverso i pareri dei soggetti che hanno competenza in materia ambientale.

La disposizione impugnata, così interpretata, si sottrae alle censure del ricorrente e la questione di costituzionalità può essere dichiarata non fondata.

4.− La seconda questione di costituzionalità ha ad oggetto l’art. 15, comma 4, della impugnata legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 34 del 2017, che fissa i criteri localizzativi regionali degli impianti di recupero e smaltimento dei rifiuti.

La disposizione impugnata stabilisce che «ai fini della salvaguardia delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano erogate a terzi mediante impianto di acquedotto che riveste carattere di pubblico interesse, le discariche per rifiuti pericolosi e per rifiuti non pericolosi sono localizzate a distanza superiore a tremila metri dai punti di captazione posti a valle delle stesse, rispetto alla direzione dei flussi di alimentazione della captazione».

Quindi, per le discariche da collocarsi a monte dei punti di captazione delle acque in questione deve essere osservata una distanza superiore a tremila metri.

Ad avviso del ricorrente il legislatore regionale avrebbe previsto un unico criterio di localizzazione che escluderebbe la possibilità di valutare caso per caso il sito di localizzazione, con riferimento alle singole captazioni o derivazioni, tenendo conto delle indicazioni contenute nello stesso art. 94 del cod. ambiente.

4.1.− La questione non è fondata.

L’art. 94 cod. ambiente reca la disciplina delle aree di salvaguardia delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano, prevedendo che, su proposta degli enti di governo dell’ambito, le Regioni, per mantenere e migliorare le caratteristiche qualitative di dette acque, individuano, tra le altre, le aree di salvaguardia distinte in zone di tutela assoluta e zone di rispetto.

La citata norma statale stabilisce che la zona di tutela assoluta è costituita dall’area immediatamente circostante le captazioni o derivazioni e che essa, in caso di acque sotterranee e, ove possibile, di acque superficiali, deve avere un’estensione di almeno dieci metri di raggio dal punto di captazione, deve essere adeguatamente protetta e deve essere adibita esclusivamente a opere di captazione o presa e a infrastrutture di servizio. La zona di rispetto è costituita, invece, dalla porzione di territorio circostante la zona di tutela assoluta da sottoporre a vincoli e destinazioni d’uso tali da tutelare qualitativamente e quantitativamente la risorsa idrica captata. In tale zona è vietato l’esercizio di alcune attività, tra le quali sono ricomprese quelle concernenti la gestione di rifiuti.

In particolare, e per ciò che rileva in questo giudizio di costituzionalità, la disposizione statale prevede che, in assenza dell’individuazione da parte delle Regioni o delle Province autonome della zona di rispetto ai sensi del comma 1 dell’art. 94, la medesima ha un’estensione di duecento metri di raggio rispetto al punto di captazione o di derivazione.

Ebbene, la disposizione regionale, nel prevedere la localizzazione delle discariche a una distanza superiore a tremila metri, nella specifica ipotesi di impianti collocati a monte dei punti di captazione delle acque, ha dettato un criterio più rigoroso rispetto a quello previsto dal codice dell’ambiente, non riducendo, ma anzi innalzando i livelli di tutela.

Infatti, non si tratta di un criterio unico ed esaustivo, che sostituisce la valutazione caso per caso richiesta dall’art. 94 del d.lgs. n. 152 del 2006. La norma regionale prevede uno specifico e molto particolare criterio di localizzazione che di per sé non esclude l’applicazione degli altri criteri previsti dall’art. 94 del decreto legislativo citato, integrati dalle Linee guida adottate in sede dell’accordo tra Stato e Regioni del 12 dicembre 2002; criteri questi ultimi che, quindi, trovano parimenti applicazione in ragione della già richiamata clausola di salvezza dell’art. 39 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 34 del 2017, per cui, in generale, si applicano le disposizioni del codice dell’ambiente per quanto non espressamente disposto dalla normativa regionale.

L’art. 15, comma 4, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 34 del 2017, non apporta una deroga ai criteri di cui alla disposizione statale (art. 94 cod. ambiente), ma individua un criterio aggiuntivo per la localizzazione degli impianti di recupero e smaltimento dei rifiuti a monte dei punti di captazione di acque destinate al consumo umano, così elevando lo standard di tutela dell’ambiente quando viene in rilievo il più specifico aspetto della tutela della salute in relazione alla prevenzione del rischio di inquinamento delle falde acquifere.

5.− La terza questione ha ad oggetto l’art. 23 della legge regionale suddetta, relativamente alla decadenza dell’autorizzazione unica in caso di violazione delle sue prescrizioni cui non sia seguito, da parte del gestore inadempiente, l’adeguamento prescritto dalla relativa diffida.

Il ricorrente censura la citata disposizione in quanto afferma che essa prevede «procedure di intervento da parte dell’autorità competente in caso di inosservanza delle prescrizioni autorizzative almeno in parte differenti da quanto stabilito dall’art. 208, comma 13, del d.lgs. n. 152 del 2006».

5.1.− Vi è una preliminare eccezione di inammissibilità della censura, sollevata dalla difesa della Regione, la quale adduce la carenza delle ragioni addotte nel ricorso.

Il ricorso introduttivo, seppur redatto con motivazione piuttosto succinta sul punto, è nondimeno ammissibile perché, nel suo contenuto essenziale, è idoneo a identificare la questione posta.

L’art. 23, espressamente indicato quale norma impugnata nel ricorso e nella delibera di autorizzazione a proporre lo stesso, si riempie di contenuto anche considerando la disciplina recata dal precedente art. 22, comma 3, che il ricorso prende espressamente in esame.

La stretta ed evidente connessione intercorrente tra le due disposizioni consente di ritenere che l’impugnazione riguardi, nella sostanza, il loro combinato disposto, pur essendo il ricorso indirizzato solo nei confronti dell’art. 23.

La questione è quindi ammissibile.

5.2.− Nel merito, la medesima questione non è fondata.

L’art. 208 cod. ambiente prevede che i soggetti che intendono realizzare e gestire nuovi impianti di smaltimento o di recupero di rifiuti, anche pericolosi, devono presentare apposita domanda alla Regione competente per territorio, allegando il progetto definitivo dell’impianto e la documentazione tecnica prevista, per la realizzazione del progetto stesso, dalle disposizioni vigenti in materia urbanistica, di tutela ambientale, di salute, di sicurezza sul lavoro e di igiene pubblica. A seguito dell’espletamento dell’analitica procedura descritta ai commi 2, 3, 4, 5, 6 e 7, la Regione competente procede al rilascio dell’autorizzazione unica o con il diniego motivato della stessa.

Nel caso di rilascio, l’art. 208 del decreto legislativo citato, al comma 11, individua le condizioni e le prescrizioni necessarie per garantire l’attuazione della tutela dell’ambiente.

La medesima disposizione stabilisce, poi, al comma 13 – norma interposta asseritamente violata dalla disposizione regionale censurata – che, in caso di inosservanza delle prescrizioni dell’autorizzazione, l’autorità competente procede, secondo la gravità dell’infrazione: a) alla diffida, stabilendo un termine entro il quale devono essere eliminate le inosservanze; b) alla diffida e contestuale sospensione dell’autorizzazione per un tempo determinato, ove si manifestino situazioni di pericolo per la salute pubblica e per l’ambiente; c) alla revoca dell’autorizzazione in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate violazioni che determinino situazioni di pericolo per la salute pubblica e per l’ambiente.

Si tratta, dunque, di una disposizione che sanziona le inosservanze meno gravi con la diffida cosiddetta semplice, e le inosservanze che danno luogo a situazioni di pericolo per la salute della collettività e per l’ambiente con la diffida e contestuale sospensione, nonché con la revoca dell’autorizzazione nel caso di perdurante inadempimento.

A fronte di questa disciplina statale, le censure del ricorrente si appuntano sulla asserita differente disciplina regionale in tema di conseguenze dell’inosservanza delle prescrizioni contenute nell’atto di diffida rispetto a quelle previste a livello statale.

La disposizione regionale (art. 22) stabilisce che l’autorizzazione unica è sospesa in vari casi, elencati distintamente, e, in particolare, in caso di situazione di pericolo temporaneo per la salute pubblica causata dall’esercizio dell’attività dell’impianto. In tali casi, la struttura regionale competente in materia di gestione dei rifiuti diffida il soggetto titolare dell’autorizzazione unica a far cessare la causa dell’inadempimento o della violazione, assegnandogli un termine per provvedere.

In relazione ad altre ipotesi di inadempimento, diverse da quelle di cui al comma 1, è prevista (dal comma 3 dell’art. 22) la sanzione della diffida cosiddetta semplice, ossia senza la contestuale sospensione dell’attività.

Qualora il soggetto titolare dell’autorizzazione unica non ottemperi entro il termine assegnato nell’atto di diffida, la disposizione da ultimo citata prevede che sia ordinata la sospensione dell’attività autorizzata per un periodo massimo di dodici mesi. Se, poi, entro tale periodo, non cessa la causa che ha determinato l’emanazione del provvedimento di sospensione, la struttura regionale competente in materia di gestione dei rifiuti provvede ai sensi dell’articolo 23, comma 1, lettera c), disponendo la decadenza dell’autorizzazione unica.

5.3.− Così articolato il procedimento sanzionatorio previsto dalla disposizione regionale impugnata, può ritenersi che quest’ultima non esorbiti dal limite costituito, come parametro interposto, dal citato art. 208, comma 13, del cod. ambiente.

Lo schema e la sequenza del regime sanzionatorio della censurata disposizione regionale e di quella simmetrica statale sono analoghi.

C’è l’iniziale diffida ad opera della struttura regionale competente al rilascio dell’autorizzazione unica, con cui è contestata una inadempienza al soggetto titolare dell’autorizzazione. C’è la sospensione dell’attività autorizzata in caso di mancata tempestiva ottemperanza alle prescrizioni contenute nell’atto di diffida. C’è, infine, la decadenza/revoca dell’autorizzazione unica in caso di perdurante inadempimento.

Vi è, invero, una qualche asimmetria, denunciata dal ricorrente, che però non è tale da compromettere il complessivo e sostanziale rispetto della citata disposizione del codice dell’ambiente da parte della impugnata disposizione regionale.

5.4.− Innanzi tutto questa asimmetria non c’è nel caso in cui l’inadempienza del gestore abbia determinato una situazione di pericolo per la salute pubblica e per l’ambiente. Infatti, la disposizione statale prevede la diffida con contestuale sospensione dell’autorizzazione per un tempo determinato (art. 208, comma 13, lettera b). A fronte di ciò, la disposizione regionale prevede, ove vi sia una situazione di pericolo temporaneo per la salute pubblica causata dall’esercizio dell’attività dell’impianto, la sospensione dell’autorizzazione unica (art. 22, comma 1) con diffida al soggetto titolare dell’autorizzazione a far cessare la causa dell’inadempimento o della violazione, e assegnazione di un termine per provvedere (art. 22, comma 2).

Ove persista l’inadempienza dopo la scadenza del termine per adempiere, la disposizione statale prevede che l’autorità competente proceda, «secondo la gravità dell’infrazione», alla «revoca dell’autorizzazione in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate violazioni che determinino situazione di pericolo per la salute pubblica e per l’ambiente» (art. 208, comma 13, lettera c). La disposizione regionale, parimenti, prevede la decadenza dell’autorizzazione unica in caso di inosservanza delle prescrizioni o delle condizioni stabilite dall’autorizzazione unica che abbiano cagionato pericolo o danno per l’ambiente o per la salute pubblica (art. 23, comma 1, lettera b), e in caso di decorrenza del periodo di sospensione senza che il titolare dell’autorizzazione abbia rimosso la causa che ha determinato l’emanazione del provvedimento di sospensione (art. 23, comma 1, lettera c).

Lo schema sanzionatorio della disposizione regionale ripete, quindi, quello della disposizione statale nell’ipotesi di maggiore rilevanza: quello della situazione di pericolo per la salute pubblica causata dall’esercizio dell’attività dell’impianto.

5.5.− Invece, l’allineamento non è così puntuale nel caso di altre situazioni parimenti riconducibili a inadempienze del gestore.

La disposizione regionale (art. 22, comma 3) prevede che, qualora il soggetto titolare dell’autorizzazione unica non ottemperi entro il termine assegnato nell’atto di diffida, sia dapprima ordinata la sospensione dell’attività autorizzata per un periodo massimo di dodici mesi. Qualora, entro tale periodo, non sia cessata la causa che ha determinato l’emanazione del provvedimento di sospensione, solo allora la struttura regionale competente in materia di gestione dei rifiuti provvederà ad adottare decadenza, ai sensi del medesimo art. 23, comma 1, lettera c).

Invece, la disposizione statale (art. 208, comma 13, lettera c) fa conseguire la revoca dell’autorizzazione direttamente allo spirare del termine previsto dalla diffida in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con quest’ultima.

Nella sua essenzialità lo schema è lo stesso: scadenza del termine previsto dalla diffida e conseguente decadenza/revoca dell’autorizzazione.

È come se l’unico termine per adempiere, previsto dalla diffida secondo la disposizione statale, fosse articolato dalla disposizione regionale in due segmenti temporali che, unitamente considerati, sono equivalenti al primo senza che la maggiore flessibilità della disposizione regionale, insita nel doppio termine per adeguarsi, possa ridondare in violazione della corrispondente disposizione del codice dell’ambiente. La quale peraltro è, in realtà, solo apparentemente più rigorosa, perché la revoca dell’autorizzazione è comunque adottata − come prescrive testualmente l’art. 208, comma 13, citato – «secondo la gravità dell’infrazione»; ciò che introduce parimenti un elemento di flessibilità.

Sicché, anche questa terza disposizione (art. 23) della impugnata legge regionale non si pone in contrasto con la disposizione del codice dell’ambiente, evocata dal ricorrente a parametro interposto.

6.− In conclusione, la questione di costituzionalità dell’art. 13 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 34 del 2017 non è fondata, nei sensi di cui sopra, perché della stessa è possibile dare un’interpretazione adeguatrice secondo cui trovano applicazione le disposizioni del codice dell’ambiente indicate a parametro interposto.

Le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 15, comma 4, e 23 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 34 del 2017 non sono fondate perché non violano le disposizioni del codice dell’ambiente indicate a parametro interposto.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 20 ottobre 2017, n. 34 (Disciplina organica della gestione dei rifiuti e principi di economia circolare), promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in relazione all’art. 13 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), e all’art. 4 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), dal Presidente del Consiglio dei Ministri con il ricorso indicato in epigrafe;

2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 15, comma 4, e 23 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 34 del 2017, promosse, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione, rispettivamente, agli artt. 94 e 208, comma 13, del d.lgs. n. 152 del 2006, e all’art. 4 dello statuto reg. Friuli-Venezia Giulia, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 ottobre 2018.