| ORDINANZA N. 276 ANNO 2011 
 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori:  Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Alfio FINOCCHIARO, Franco  GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria  NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio  LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, 
 ha pronunciato la seguente ORDINANZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo  2-bis del decreto-legge 3 novembre 2008, n. 171 (Misure urgenti per il  rilancio competitivo del settore agroalimentare), convertito in legge,  con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 30 dicembre  2008, n. 205, promosso dal Giudice per le indagini preliminari del  Tribunale di Asti, con ordinanza del 13 gennaio 2011, iscritta al n. 66  del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell’anno 2011. Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 21 settembre 2011 il Giudice relatore Gaetano Silvestri. 
 Ritenuto che, con ordinanza deliberata il 13  gennaio 2011, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di  Asti ha sollevato, in riferimento agli articoli 11 e 117, primo comma,  della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art.  2-bis del decreto-legge 3 novembre 2008, n. 171 (Misure urgenti per il  rilancio competitivo del settore agroalimentare), convertito in legge,  con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 30 dicembre  2008, n. 205, nella parte in cui prevede che le «vinacce esauste ed i  loro componenti […] sono da considerare sottoprodotti soggetti alla  disciplina di cui alla sezione 4 della parte II dell’allegato X alla  parte quinta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152»; che il giudice a quo deve deliberare sulla richiesta di  archiviazione, presentata dal pubblico ministero in data 14 aprile 2010,  avente ad oggetto il procedimento instaurato nei confronti del titolare  di una distilleria, indagato, tra l’altro, per il reato previsto  dall’art. 256, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152  (Norme in materia ambientale), in relazione all’art. 214 del medesimo  decreto, perché «effettuava attività di recupero energetico dei rifiuti  prodotti dalla propria attività di distillazione, costituiti da vinacce  esauste, senza essere iscritto nel registro provinciale di recupero dei  rifiuti non pericolosi»; che il rimettente, dopo aver riferito che nella  richiesta di archiviazione il pubblico ministero ha formulato eccezione  di illegittimità costituzionale dell’art. 2-bis del d.l. n. 171 del  2008, per violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., afferma  di «condividere integralmente le motivazioni espresse dal P.M., che di  seguito si riportano»; che, secondo quanto si legge nell’atto di promovimento,  l’indagine in oggetto era iniziata a seguito di accertamenti compiuti  dall’Agenzia regionale di prevenzione e ambiente, dai quali era emerso  che la distilleria indicata aveva effettuato «fino al dicembre 2008, ed  effettua tutt’ora» il recupero energetico dei residui prodotti  dall’attività di distillazione, costituiti nella specie dalle vinacce  esauste; che il predetto materiale era considerato rifiuto  dell’industria agroalimentare, ai sensi del decreto del Ministro  dell’ambiente 5 febbraio 1998 (Individuazione dei rifiuti non pericolosi  sottoposti a procedure semplificate di recupero ai sensi degli artt. 31  e 33 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22), con la conseguenza che  l’utilizzazione dello stesso come combustibile doveva essere ritenuta  operazione di «recupero» di un rifiuto; che, sempre secondo la prospettazione trascritta  nell’ordinanza di rimessione, il quadro normativo di riferimento è  mutato con l’entrata in vigore della norma censurata, che ha  classificato alcuni residui di produzione della vinificazione e della  distillazione, tra cui le vinacce esauste, come «sottoprodotti soggetti  alla disciplina di cui alla sezione 4 della parte II dell’allegato X  alla parte quinta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152»; che tale mutamento ha imposto al pubblico ministero di  chiedere l’archiviazione del procedimento, quanto meno con riferimento  alla imputazione riguardante l’attività di combustione delle vinacce  esauste, e che, tuttavia, lo stesso inquirente ha ritenuto di «dover  prospettare […], preliminarmente rispetto al vaglio della richiesta di  archiviazione, una questione di legittimità costituzionale della norma  per contrarietà al diritto comunitario»; che, infatti, la norma censurata avrebbe introdotto una  «presunzione assoluta» di appartenenza delle vinacce esauste alla  categoria del sottoprodotto, con l’effetto di precludere l’accertamento  in concreto circa la ricorrenza dei requisiti richiesti dalla norma  generale – art. 183, comma 1, lettera p), del d.lgs. n. 152 del 2006 –  per poter qualificare come tale il residuo di produzione; che il legislatore nazionale avrebbe in tal modo  ingiustificatamente ridotto l’area di operatività della direttiva 5  aprile 2006, n. 2006/12/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del  Consiglio relativa ai rifiuti), che abroga e sostituisce la precedente  direttiva 15 luglio 1975, n. 75/442/CEE (Direttiva del Consiglio  relativa ai rifiuti); che è richiamata diffusamente la sentenza n. 28 del 2010  della Corte costituzionale, dichiarativa dell’illegittimità  costituzionale dell’art. 183, comma 1, lettera n), del d.lgs. n. 152 del  2006 – nel testo antecedente alle modifiche introdotte dall’art. 2,  comma 20, del d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4 (Ulteriori disposizioni  correttive ed integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152,  recante norme in materia ambientale) – nella parte in cui prevedeva che  «rientrano altresì tra i sottoprodotti non soggetti alle disposizioni  di cui alla parte quarta del presente decreto le ceneri di pirite […],  depositate presso stabilimenti di produzione dismessi, aree industriali e  non, anche se sottoposte a procedimento di bonifica o di ripristino  ambientale»; che nella citata pronuncia, dopo aver precisato che il  giudice nazionale non poteva disapplicare la norma interna in contrasto  con le direttive comunitarie, dovendo piuttosto sollevare l’incidente di  costituzionalità, la Corte costituzionale ha affermato che la  disciplina comunitaria non consente al legislatore nazionale di  impedire, introducendo presunzioni assolute, l’accertamento  dell’esistenza di sottoprodotto; che è richiamata anche la sentenza della Corte di  giustizia 18 dicembre 2007, in causa C-263/05, nella quale è stato  esaminato l’art. 14 del decreto-legge 8 luglio 2002, n. 138 (Interventi  urgenti in materia tributaria, di privatizzazioni, di contenimento della  spesa farmaceutica e per il sostegno dell’economia anche nelle aree  svantaggiate), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1,  della legge 8 agosto 2002, n. 178; che la disposizione indicata escludeva dall’ambito di  applicazione della disciplina dei rifiuti le sostanze o i materiali  residui di produzione, dei quali il detentore avesse deciso o avesse  l’obbligo di disfarsi, qualora gli stessi potessero essere e fossero  riutilizzati in un ciclo produttivo o di consumo, a condizione che non  fosse effettuato alcun trattamento preventivo e che gli stessi non  pregiudicassero l’ambiente, ovvero che l’eventuale trattamento  preventivo non configurasse un’operazione di recupero; che la Corte di giustizia, accogliendo il ricorso  proposto dalla Commissione contro la Repubblica italiana, ha evidenziato  tra l’altro come «[…] il fatto che una sostanza sia un materiale  residuale di produzione o di consumo costituisce un indizio che si  tratti di un rifiuto e la sola circostanza che una sostanza sia  destinata ad essere riutilizzata, o possa esserlo, non può essere  determinante per la sua qualifica o meno come rifiuto» (punto 49); che l’ordinanza di rimessione richiama ulteriormente la  sentenza n. 28 del 2010 nella quale la Corte costituzionale, con  riferimento al tema del sindacato di norme penali di favore, ha  affermato che «[…] la retroattività della legge più favorevole non  esclude l’assoggettamento di tutte le norme giuridiche di rango primario  allo scrutinio di costituzionalità: “Altro […] è la garanzia che i  principi del diritto penale-costituzionale possono offrire agli  imputati, circoscrivendo l’efficacia spettante alle dichiarazioni  d’illegittimità delle norme penali di favore; altro è il sindacato cui  le norme stesse devono pur sempre sottostare, a pena di istituire zone  franche del tutto impreviste dalla Costituzione, all’interno della quali  la legislazione ordinaria diverrebbe incontrollabile” (sentenza n. 148  del 1983 e sul punto, sostanzialmente nello stesso senso, sentenza n.  394 del 2006)»; che il rimettente conclude affermando che la questione  risulta «non manifestamente infondata e rilevante perché incide  direttamente sull’applicabilità della norma incriminatrice contestata  all’indagato»; che, con atto depositato il 10 maggio 2011, è  intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha  concluso per la declaratoria di inammissibilità, o, comunque, di non  fondatezza della questione; che, preliminarmente, la difesa statale eccepisce  l’inammissibilità della questione per insufficiente motivazione sulla  rilevanza, in quanto il rimettente si sarebbe limitato a segnalare che  la norma censurata impedisce di verificare in concreto se le vinacce  esauste – residui di produzione della distillazione – presentino i  requisiti necessari per essere qualificate come sottoprodotto, anziché  rifiuto, ma non avrebbe fornito alcun elemento per stabilire l’esito di  tale verifica; che, pertanto, la questione potrebbe risultare del tutto  priva di rilevanza qualora si accertasse che, nella specie, ricorrono i  requisiti del sottoprodotto come indicati nell’art. 184-bis del d.lgs.  n. 152 del 2006, introdotto dall’art. 12, comma 1, del decreto  legislativo 3 dicembre 2010, n. 205 (Disposizioni di attuazione della  direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19  novembre 2008 relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive); che il rilevato limite motivazionale emergerebbe,  secondo l’Avvocatura dello Stato, proprio dall’esame della sentenza n.  28 del 2010 della Corte costituzionale, ripetutamente richiamata dal  rimettente per l’asserita analogia delle questioni prospettate; che, nella indicata pronuncia, la declaratoria di  illegittimità costituzionale dell’art. 183, comma 1, lettera n), del  d.lgs. n. 152 del 2006, ha trovato fondamento non sul semplice  presupposto che la norma censurata sottraeva le ceneri di pirite dal  novero dei rifiuti, qualificandole come sottoprodotto, ma sul rilievo  che, nella circostanza specifica, il materiale in oggetto non possedeva i  requisiti del sottoprodotto, per essere in stato di abbandono da circa  trenta anni; che diversamente, nell’odierna questione, il rimettente  non avrebbe fornito gli elementi necessari per stabilire se le vinacce  esauste presentino o non i necessari requisiti; che la questione sarebbe comunque non fondata; che la difesa statale osserva come la prospettazione del  rimettente sia incentrata su una «indebita estensione» delle ragioni  poste a fondamento delle richiamate sentenze della Corte di giustizia e  della Corte costituzionale, risultando del tutto assente l’esame della  disciplina contenuta nella norma censurata, alla luce della normativa  comunitaria vigente; che, infatti, la circostanza che alcune norme emanate in  tema di sottoprodotto siano risultate in contrasto con le direttive  comunitarie non implicherebbe l’illegittimità di ogni norma che regoli  la stessa materia, né, in particolare, esimerebbe il giudice a quo  dall’onere di esaminarne il contenuto, per verificare se sussista  effettivo contrasto con i principi comunitari; che l’Avvocatura dello Stato evidenzia l’omissione, da  parte del rimettente, di qualsiasi riferimento alla direttiva 19  novembre 2008, n. 2008/98/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del  Consiglio relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive), entrata in  vigore il 12 dicembre 2008, che ha abrogato, tra le altre, la direttiva  2006/12/CE, richiamata come parametro interposto; che la direttiva 2008/98/CE reca la definizione di  sottoprodotto all’art. 5, il quale trova corrispondenza nell’art.  184-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, introdotto dal d.lgs. n. 205 del  2010, di recepimento della direttiva stessa; che dal raffronto tra la norma censurata e le  disposizioni richiamate emergerebbe l’insussistenza di qualsiasi  contrasto, in quanto le vinacce esauste costituiscono sottoprodotto se  ed in quanto ricorrano le condizioni dettate dal d.lgs. n. 152 del 2006; che pertanto è necessario che le predette vinacce  scaturiscano direttamente da un processo di produzione (la vinificazione  e la distillazione) il cui scopo primario non è la loro produzione, che  siano riutilizzate senza subire trattamenti anomali, ma solo  trattamenti di tipo meccanico-fisico, compreso il lavaggio con acqua o  l’essiccazione, che, infine, siano destinate alla combustione nel  medesimo ciclo produttivo; che, in definitiva, la difesa statale contesta l’assunto  del rimettente secondo cui la norma censurata avrebbe introdotto una  presunzione assoluta di appartenenza delle vinacce esauste alla  categoria del sottoprodotto, essendo, al contrario, tale appartenenza  condizionata alla verifica della effettiva ricorrenza dei requisiti  fissati dall’art. 184-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, di attuazione  della nozione comunitaria; che, pertanto, la norma censurata dovrebbe essere  interpretata ed applicata in modo costituzionalmente orientato,  conformemente alle nozioni di sottoprodotto comunitaria e interna, sopra  richiamate; che l’Avvocatura dello Stato conclude ribadendo la  differenza sostanziale tra la norma censurata e quella dichiarata  illegittima dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 28 del 2010:  in quel caso la norma oggetto di scrutinio conteneva effettivamente una  presunzione di appartenenza di un residuo di produzione alla categoria  dei sottoprodotti, anche nei casi in cui mancassero i requisiti per  qualificare quel residuo in detta categoria; ove invece riferita alla  norma oggetto dell’odierna questione, la motivazione della sentenza n.  28 del 2010 fornirebbe elementi a sostegno della non fondatezza delle  censure. Considerato che il Giudice per le indagini preliminari  del Tribunale di Asti dubita, in riferimento agli articoli 11 e 117,  primo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale  dell’art. 2-bis del decreto-legge 3 novembre 2008, n. 171 (Misure  urgenti per il rilancio competitivo del settore agroalimentare),  convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della  legge 30 dicembre 2008, n. 205, nella parte in cui prevede che le  «vinacce esauste ed i loro componenti […] sono da considerare  sottoprodotto soggetti alla disciplina di cui alla sezione 4 della parte  II dell’allegato X alla parte quinta del decreto legislativo 3 aprile  2006, n. 152»; che, secondo la prospettazione del rimettente, la norma  censurata ha escluso, con presunzione assoluta, il residuo di produzione  dell’attività di distillazione costituito dalle vinacce esauste dal  novero dei rifiuti, qualificandole sottoprodotto; che, di conseguenza, sarebbe impedita la verifica della  sussistenza delle condizioni enucleate dalla giurisprudenza comunitaria e  richiamate dal legislatore nazionale, all’art. 183, comma 1, lettera  p), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia  ambientale), per escludere un residuo di produzione dal novero dei  rifiuti; che pertanto la norma censurata si porrebbe in contrasto  con la nozione di rifiuto prevista dalla direttiva 5 aprile 2006, n.  2006/12/CE (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai  rifiuti), richiamata a parametro interposto; che il rimettente assume a riferimento del suo  argomentare la sentenza n. 28 del 2010 di questa Corte, con la quale è  stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 183, comma 1,  lettera n), del d.lgs. n. 152 del 2006, nel testo antecedente alle  modifiche introdotte dall’art, 2, comma 20, del decreto legislativo 16  gennaio 2008, n. 4 (Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del  d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale),  nella parte in cui prevedeva che «rientrano altresì tra i sottoprodotti  non soggetti alle disposizioni di cui alla parte quarta del presente  decreto le ceneri di pirite […], depositate presso stabilimenti di  produzione dismessi, aree industriali e non, anche se sottoposte a  procedimento di bonifica o di ripristino ambientale»; che, secondo il giudice a quo, la norma oggi censurata presenterebbe identico limite, e dunque violerebbe i medesimi parametri; che la questione deve essere dichiarata manifestamente  inammissibile per incompleta ricostruzione, e conseguente mancata  ponderazione, del quadro normativo; che il rimettente ha omesso qualsiasi riferimento alle  pur rilevanti modifiche normative, intervenute nella materia prima del  13 gennaio 2011, data in cui ha deliberato l’atto di promovimento; che, in particolare, la direttiva 2006/12/CE è stata  abrogata e sostituita dalla direttiva 19 novembre 2008, n. 2008/98/CE  (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai rifiuti e  che abroga alcune direttive), a far tempo dal 12 dicembre 2010; che la direttiva 2008/98/CE, all’art. 5, introduce la definizione comunitaria di sottoprodotto; che, in attuazione della predetta direttiva, è stato  emanato il decreto legislativo 3 dicembre 2010, n. 205 (Disposizioni di  attuazione della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del  Consiglio del 19 novembre 2008 relativa ai rifiuti e che abroga alcune  direttive), che ha modificato la definizione interna di sottoprodotto,  sia intervenendo sull’art. 183 del d.lgs. n. 152 del 2006, sia  introducendo, nel medesimo decreto legislativo, l’art. 184-bis; che inoltre, e con riferimento specifico alla disciplina  dettata per le cosiddette biomasse combustibili, l’art. 3, comma 30,  lettera d), del decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128 (Modifiche ed  integrazioni al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante  norme in materia ambientale, a norma dell’articolo 12 della legge 18  giugno 2009, n. 69) ha introdotto, nella disciplina dettata nella  sezione 4 della parte II dell’allegato X alla parte quinta del d.lgs. n.  152 del 2006, il paragrafo 1-bis, il quale prevede che «salvo il caso  in cui i materiali elencati nel paragrafo 1 derivino da processi  direttamente destinati alla loro produzione o ricadano nelle esclusioni  dal campo di applicazione della parte quarta del presente decreto, la  possibilità di utilizzare tali biomasse secondo le disposizioni della  presente parte quinta è subordinata alla sussistenza dei requisiti  previsti per i sottoprodotti dalla precedente parte quarta»; che, per giurisprudenza costante di questa Corte, la  questione sollevata in riferimento ad un quadro normativo non più  attuale deve essere dichiarata manifestamente inammissibile, per difetto  di motivazione sulla rilevanza, quando le modifiche normative siano  intervenute, come è nella specie, dopo l’instaurazione del giudizio  principale e anteriormente all’ordinanza di rimessione; che nel dedurre l’illegittimità costituzionale della  norma censurata in ragione della sua non conformità alla legislazione  comunitaria e nazionale, il giudice a quo aveva l’onere di tenere conto  delle sopravvenienze normative, sia ai fini della individuazione  corretta del parametro interposto, sia ai fini della valutazione della  incidenza delle sopravvenienze sulla norma censurata (ex plurimis,  ordinanze n. 315 del 2008 e n. 268 del 2006). Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11  marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi  davanti alla Corte costituzionale. 
 per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara la manifesta inammissibilità della questione  di legittimità costituzionale dell’art. 2-bis del decreto-legge 3  novembre 2008, n. 171 (Misure urgenti per il rilancio competitivo del  settore agroalimentare), convertito in legge, con modificazioni,  dall’articolo 1, comma 1, della legge 30 dicembre 2008, n. 205,  sollevata, in riferimento agli articoli 11 e 117, primo comma, della  Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di  Asti, con l’ordinanza indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 ottobre 2011. F.to: Alfonso QUARANTA, Presidente Gaetano SILVESTRI, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 21 ottobre 2011. Il Direttore della Cancelleria F.to: MELATTI |