 Corte Costituzionale. Ord. 253 del 27 luglio 2011
Corte Costituzionale. Ord. 253 del 27 luglio 2011
Oggetto: Reati e pene - Attività di incenerimento di rifiuti in mancanza di autorizzazione integrata ambientale - Trattamento sanzionatorio - Arresto e ammenda anziché arresto o ammenda, come previsto, in relazione a condotte omogenee, da art. 16 d.lgs. n. 59 del 2005 - Conseguente preclusione dell'oblazione.
 ORDINANZA N. 253 ANNO 2011 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori:  Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Alfio FINOCCHIARO, Franco  GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe  TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO,  Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, ha pronunciato la seguente ORDINANZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo  19 del decreto legislativo 11 maggio 2005, n. 133 (Attuazione della  direttiva 2000/76/CE, in materia di incenerimento dei rifiuti), promosso  dal Tribunale di Trieste, in composizione monocratica, con ordinanza  del 15 dicembre 2010, iscritta al n. 49 del registro ordinanze 2011 e  pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie  speciale, dell’anno 2011. Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 6 luglio 2011 il Giudice relatore Gaetano Silvestri. Ritenuto che, con ordinanza deliberata il 15  dicembre 2010, il Tribunale di Trieste, in composizione monocratica, ha  sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24, secondo comma, e 27 della  Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 19  del decreto legislativo 11 maggio 2005, n. 133 (Attuazione della  direttiva 2000/76/CE, in materia di incenerimento dei rifiuti), «nella  parte in cui contempla la sanzione congiunta dell’arresto e dell’ammenda  e non invece le pene di cui all’art. 16 del decreto legislativo n. 59  del 2005 dell’arresto o dell’ammenda», per i reati connessi all’attività  di incenerimento di rifiuti; che dinanzi al rimettente pende un procedimento promosso  nei confronti dell’amministratore delegato di una società commerciale  dedita al trattamento di rifiuti e di altri responsabili di un impianto  di incenerimento, imputati di numerosi illeciti previsti dall’art. 19  del d.lgs. n. 133 del 2005; che, per quanto risulta dall’imputazione riportata  nell’ordinanza di rimessione, è contestato lo svolgimento, in assenza  delle prescritte autorizzazioni, dell’attività di incenerimento di  materiali assimilabili ai rifiuti urbani, di rifiuti speciali e di  rifiuti pericolosi; che sono inoltre contestate condotte di superamento dei  valori limite di emissione (art. 19, comma 8, del d.lgs. n. 133 del  2005), di protrazione dell’attività oltre il limite temporale fissato  dall’art. 16, comma 3, dello stesso d.lgs. n. 133 del 2005 (art. 19,  comma 5), di omissione della dovuta informazione alle autorità  competenti circa l’avvenuto superamento di determinati limiti di  emissione e di sospensione della registrazione dei valori inquinanti  (art. 19, comma 15); che, secondo quanto riferisce il giudice a quo, la  difesa degli imputati aveva sollecitato l’applicazione della diversa  disciplina sanzionatoria prevista dall’art. 16 del decreto legislativo  18 febbraio 2005, n. 59 (Attuazione integrale della direttiva 96/61/CE  relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento), il  cui contenuto, dopo l’abrogazione disposta dall’art. 4, comma 1, lettera  a), del decreto legislativo 29 giugno 2010, n. 128 (Modifiche ed  integrazioni al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme  in materia ambientale, a norma dell’art. 12 della legge 18 giugno 2009,  n. 69), risulta trasfuso nell’art. 29-quattuordecies del decreto  legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale),  introdotto dall’art. 2, comma 24, del citato d.lgs. n. 128 del 2010; che – precisa il giudice a quo – l’istanza difensiva era  finalizzata a rendere proponibile la domanda di oblazione ai sensi  dell’art. 162-bis del codice penale, posto che l’art. 16 del d.lgs. n.  59 del 2005 commina la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda,  diversamente dalla norma contestata, ove le pene indicate sono previste  congiuntamente; che la stessa difesa, per il caso di reiezione della  domanda appena citata, aveva prospettato una questione di legittimità  costituzionale della norma posta alla base delle imputazioni; che il rimettente riferisce di aver respinto l’istanza  di applicazione dell’art. 16 del d.lgs. n. 59 del 2005, in quanto  «l’accusa, così come formulata, non permetteva una diversa  qualificazione giuridica del fatto, ai fini dell’oblazione, in presenza  di condotte indifferenziate», ritenendo, invece, non manifestamente  infondato il dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 19 del  d.lgs. n. 133 del 2005; che il giudice a quo osserva in proposito come, ai fini  della individuazione del regime autorizzatorio dell’attività di  incenerimento dei rifiuti, l’art. 19 del d.lgs. n. 133 del 2005 contenga  un rinvio all’art. 4 dello stesso decreto, e quest’ultimo, a sua volta,  richiami la disciplina concernente l’autorizzazione integrata  ambientale (AIA), contenuta nel d.lgs. n. 59 del 2005; che dunque, prosegue il rimettente, sia l’art. 19 del  d.lgs. n. 133 del 2005, sia l’art. 16 del d.lgs. n. 59 del 2005,  considerano l’autorizzazione come precondizione per l’esercizio  dell’attività di incenerimento dei rifiuti, dettando le sanzioni per  l’ipotesi di esercizio in assenza di autorizzazione; che identica sarebbe la ratio delle due previsioni, cioè  quella di assicurare una valutazione preventiva circa «la sussistenza  delle condizioni di operatività in sicurezza di un impianto industriale,  nel rispetto ed a tutela dell’ambiente, subordinando a ciò il rilascio  da parte dell’autorità competente dell’autorizzazione integrata  ambientale all’esercizio dell’impianto», così come identica risulterebbe  la condotta sanzionata, ovvero l’esercizio di un impianto di  incenerimento di rifiuti senza autorizzazione; che, rileva ancora il giudice a quo, ciò è coerente con  la funzione dell’autorizzazione integrata ambientale, la quale ha  sostituito, assorbendole, le diverse autorizzazioni previste a tutela  dell’ambiente, per rispondere ad una esigenza di «unificazione che ha  radice nelle direttive comunitarie»; che, tuttavia, permangono diversità significative nel  trattamento sanzionatorio, in quanto l’art. 19 del d.lgs. n. 133 del  2005 «contempla pene congiunte dell’arresto e dell’ammenda, per un  evento qualificabile come esercizio dell’impianto senza autorizzazione»,  mentre l’art. 16 del d.lgs. n. 59 del 2005 prevede la pena alternativa  dell’arresto o dell’ammenda; che la scelta del legislatore di configurare nella norma  censurata un trattamento sanzionatorio più severo sarebbe «irrazionale  in quanto le due norme a confronto descrivono condotte omogenee e  indifferenziate, che ad un esame strutturale non denotano elementi di  specialità o di specialità reciproca, sicché l’unico elemento di  diversità pare essere quello della pena più severa contemplata nell’art.  19 del d.lgs. n. 133 del 2005»; che siffatta scelta, secondo il rimettente, determina un  pregiudizio del diritto di difesa degli odierni imputati, ai quali è  inibita la possibilità di ottenere l’oblazione, senza che il denunciato  vulnus possa essere rimediato in via interpretativa, «non vertendosi in  tema di qualificazione giuridica del fatto ma di identità di fatti,  lesivi di un identico bene giuridico, tuttavia puniti con pene  irragionevolmente differenziate»; che lo stesso rimettente esclude di poter risolvere la  rilevata contraddizione facendo ricorso ai principi che regolano la  successione delle norme penali, posto che nella specie mancherebbe il  presupposto del fenomeno successorio, e cioè l’abrogazione espressa o  tacita di una delle disposizioni incriminatrici, in quanto le norme  poste in comparazione coesistono immutate nel sistema normativo  ambientale; che tale ricostruzione sarebbe confermata dal recente  intervento legislativo, attuato con il d.lgs. n. 128 del 2010, che ha  riprodotto il contenuto dell’art. 16 del d.lgs. n. 59 del 2005 nell’art.  29-quattuordecies, del d.lgs. n. 152 del 2006, limitandosi a regolare  in maniera più articolata il procedimento di rilascio  dell’autorizzazione integrata ambientale, senza incidere in alcun modo  sulla disciplina contenuta nel d.lgs. n. 133 del 2005; che peraltro, secondo il giudice a quo, anche ragionando  nella prospettiva della successione tra norme incriminatrici, nella  specie dovrebbe trovare applicazione la disposizione che prevede il  trattamento di maggior rigore, e ciò in quanto le condotte realizzatesi  dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 133 del 2005 ricadrebbero nel  campo di applicazione del predetto decreto; che pertanto le questioni risulterebbero in ogni caso rilevanti; che in conclusione, secondo il rimettente, la norma  censurata comporterebbe un trattamento sanzionatorio irragionevolmente  differenziato rispetto a quello previsto dall’art. 16 del d.lgs. n. 59  del 2005, con lesione del diritto di difesa degli imputati, i quali non  possono accedere all’oblazione, e con violazione del principio di  necessaria finalizzazione rieducativa della pena, risultando  quest’ultima non proporzionata al disvalore del fatto; che, con atto depositato il 12 aprile 2011, è  intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ed ha  chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili, o, comunque,  non fondate; che la difesa dello Stato eccepisce preliminarmente  l’inammissibilità delle questioni aventi ad oggetto l’intero art. 19 del  d.lgs. n. 133 del 2005, anziché le sole disposizioni contenute nei  commi 1 e 2, concernenti il reato di esercizio dell’impianto di  incenerimento (o di coincenerimento) di rifiuti senza le prescritte  autorizzazioni; che, infatti, l’intera motivazione dell’ordinanza di  rimessione riguarderebbe esclusivamente il trattamento sanzionatorio  previsto dalle norme poste in comparazione per l’ipotesi di esercizio  dell’impianto in mancanza delle prescritte autorizzazioni, mentre  nessuna censura risulterebbe prospettata dal rimettente in riferimento  alle sanzioni previste per gli altri reati contestati nel giudizio  principale; che, secondo l’Avvocatura dello Stato, anche così  circoscritte le questioni sarebbero inammissibili, in quanto il  rimettente non avrebbe verificato la possibilità di sussumere le  fattispecie contestate in quelle previste dalla norma censurata e dalle  altre disposizioni che sanzionano l’attività di incenerimento di rifiuti  senza autorizzazione; che, peraltro, la corretta ricostruzione del quadro  normativo di riferimento consentirebbe di rilevare come la disciplina  generale configuri distinte ipotesi di reato contravvenzionale, in  ragione della natura dell’autorizzazione richiesta per l’esercizio  dell’impianto; che l’art. 16 del d.lgs. n. 59 del 2005 (oggi trasfuso  nell’art. 29-quattuordecies del d.lgs. n. 152 del 2006) riguarda  l’esercizio delle attività previste nell’allegato I al d.lgs. n. 59 del  2005 (oggi allegato VIII alla parte seconda del d.lgs. n. 152 del 2006)  in mancanza di autorizzazione integrata ambientale; che l’art. 279 del d.lgs. n. 152 del 2006 si riferisce, a  sua volta, all’esercizio di impianti in mancanza di altre  autorizzazioni, diverse dall’AIA, eventualmente prescritte; che, invece, il censurato art. 19, commi 1 e 2, del  d.lgs. n. 133 del 2005 non opera alcuna distinzione in base alla natura  dell’autorizzazione prescritta per l’esercizio dell’impianto,  diversificando il trattamento sanzionatorio soltanto in base alla  categoria di rifiuti, pericolosi o non, oggetto di incenerimento, e  rinviando, quanto al regime autorizzatorio, alle previsioni generali; che dunque, a parere della difesa statale, la norma  sanzionatoria applicabile nel processo a quo andrebbe individuata in  considerazione del tipo di autorizzazione di cui gli imputati avrebbero  dovuto munirsi per l’incenerimento dei rifiuti trattati: nella specie,  sia l’autorizzazione integrata ambientale, sia le altre autorizzazioni  prescritte per l’incenerimento di rifiuti assimilabili a quelli urbani,  speciali e pericolosi; che dalla ricostruzione del quadro normativo emergerebbe  con evidenza il carattere di specialità della normativa contenuta nel  d.lgs. n. 133 del 2005, confermato dalla circostanza che la relativa  disciplina è stata espressamente fatta salva sia con l’introduzione del  Testo unico ambiente, sia in occasione dei provvedimenti «correttivi»  sopravvenuti; che la normativa speciale, a differenza di quanto  affermato dal rimettente, non riguarderebbe indistintamente gli impianti  sottoposti ad autorizzazione integrata ambientale – cui si riferisce  l’art. 16 del d.lgs. n. 59 del 2005 – o le immissioni di sostanze in  atmosfera – cui si riferisce l’art. 279 del d.lgs. n. 152 del 2006 –,  bensì l’esercizio dei soli impianti di incenerimento (e coincenerimento)  di rifiuti e le conseguenti immissioni in atmosfera di sostanze che  derivano dall’incenerimento (e coincenerimento), con la sola distinzione  riferita alla pericolosità, o non, dei rifiuti da trattare; che la particolare natura degli impianti in esame e  delle immissioni dagli stessi prodotte giustificherebbe l’adozione di  una disciplina differenziata, oltretutto imposta dalla direttiva 4  dicembre 2000, n. 2000/76/CE (direttiva del Parlamento europeo e del  Consiglio sull’incenerimento dei rifiuti), che si caratterizza anche per  un trattamento sanzionatorio più rigoroso; che dunque non potrebbe definirsi manifestamente  irragionevole la scelta di maggiore severità che connota l’art. 19 del  d.lgs. n. 133 del 2005, dato che la norma sanziona l’esercizio di  impianti di incenerimento (o coincenerimento) in assenza delle  prescritte autorizzazioni; che peraltro, e conclusivamente, l’Avvocatura dello  Stato osserva come l’ambito di applicazione dell’art. 16 del d.lgs. n.  59 del 2005, richiamato in comparazione, sia circoscritto alla mancanza  di autorizzazione integrata ambientale ed agli «impianti di  incenerimento dei rifiuti urbani definiti nella direttiva 89/369/CEE […]  e nella direttiva 89/429/CEE […]», secondo l’indicazione contenuta  nell’allegato I allo stesso decreto legislativo, sicché mancherebbe  anche la coincidenza di condotte sanzionate che il rimettente pone alla  base della comparazione. Considerato che il Tribunale di Trieste, in composizione  monocratica, dubita, in riferimento agli articoli 3, 24, secondo comma,  e 27 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’articolo  19 del decreto legislativo 11 maggio 2005, n. 133 (Attuazione della  direttiva 2000/76/CE, in materia di incenerimento dei rifiuti), «nella  parte in cui contempla la sanzione congiunta dell’arresto e dell’ammenda  e non invece le pene di cui all’art. 16 del decreto legislativo n. 59  del 2005 dell’arresto o dell’ammenda», per i reati connessi all’attività  di incenerimento di rifiuti; che, secondo la prospettazione del rimettente, il  trattamento sanzionatorio di maggior rigore, previsto dalla norma  censurata, risulterebbe privo di giustificazione – stante l’identità di  ratio e di condotte incriminate con la norma richiamata in comparazione –  nonché lesivo del diritto di difesa, in quanto preclude la domanda di  oblazione ai sensi dell’art. 162-bis del codice penale; che, inoltre, la norma censurata violerebbe il principio  di necessaria finalizzazione rieducativa della pena, per l’asserita  sproporzione tra la sanzione e il disvalore del fatto; che, preliminarmente, si deve precisare che le questioni  sollevate hanno ad oggetto le previsioni contenute nei commi 1 e 2  dell’art. 19 del d.lgs. n. 133 del 2005, le quali sanzionano le condotte  di esercizio di impianto di incenerimento (e coincenerimento) in  assenza delle prescritte autorizzazioni, la cui violazione risulta  contestata nel procedimento principale unitamente a quella di altre  previsioni in materia di incenerimento dei rifiuti; che in tal senso depone l’intero argomentare del  rimettente, basato sulla comparazione tra l’art. 19 citato e l’art. 16  del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59 (Attuazione integrale  della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate  dell’inquinamento), avuto riguardo al regime autorizzatorio degli  indicati impianti ed alle relative sanzioni; che, nel merito, le questioni risultano manifestamente infondate; che il rimettente, muovendo da una erronea ricostruzione  del quadro normativo di riferimento, non rileva come l’intera  disciplina contenuta nel d.lgs. n. 133 del 2005, in materia di  incenerimento dei rifiuti, si ponga in termini di specialità rispetto  alla disciplina generale riguardante gli impianti di smaltimento e di  recupero dei rifiuti, contenuta negli artt. 208 e ss. del decreto  legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), e  rispetto a quella riguardante i soli impianti di incenerimento di  rifiuti urbani, sottoposti all’autorizzazione integrata ambientale, già  contenuta nel d.lgs. n. 59 del 2005, oggi trasfusa nel Titolo III-bis  del d.lgs. n. 152 del 2006; che il d.lgs. n. 133 del 2005, emanato in attuazione  della direttiva 4 dicembre 2000, n. 2000/76/CE (direttiva del Parlamento  europeo e del Consiglio sull’incenerimento dei rifiuti), stabilisce i  requisiti degli impianti di incenerimento (e coincenerimento) dei  rifiuti e le condizioni di esercizio degli stessi, rinviando al regime  autorizzatorio previsto dalle richiamate disposizioni generali per la  valutazione di conformità dei singoli impianti alle prescrizioni  (requisiti e condizioni) in esso contenute; che la stessa normativa speciale, all’art. 19, commi 1 e  2, configura come reati contravvenzionali le condotte di esercizio di  impianti di incenerimento (e coincenerimento) dei rifiuti in assenza  delle prescritte autorizzazioni, distinguendo a seconda che l’attività  abbia ad oggetto rifiuti pericolosi o non, e prevedendo in entrambi i  casi la pena congiunta dell’arresto e dell’ammenda, con differenti  valori edittali; che, diversamente, la norma richiamata in comparazione,  contenuta nell’art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 59 del 2005 (oggi  trasfuso nell’art. 29-quattuordecies del d.lgs. n. 152 del 2006),  sanziona con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda  l’esercizio, in assenza di autorizzazione integrata ambientale, delle  attività di cui all’allegato I al citato decreto legislativo (oggi  allegato VIII alla parte seconda del d.lgs. n. 152 del 2006), tra le  quali rientra quella svolta dagli impianti di incenerimento dei rifiuti  urbani (punto 5.2. dell’allegato); che lo stesso art. 16 del d.lgs. n. 59 del 2005, al  comma 10 (oggi art. 29-quattuordecies, comma 10, del d.lgs. n. 152 del  2006), stabilisce che «per gli impianti rientranti nel campo di  applicazione del presente decreto, dalla data di rilascio  dell’autorizzazione integrata ambientale, non si applicano le sanzioni,  previste da norme di settore, relative a fattispecie oggetto del  presente articolo»; che, pertanto, anche in riferimento all’attività di  incenerimento di rifiuti urbani in assenza di autorizzazione integrata  ambientale, la specialità della norma censurata sembra imporre  l’applicazione delle più rigorose sanzioni ivi previste, a seconda della  classificazione dei rifiuti come pericolosi o non; che dunque – ed a prescindere dal rilievo che il  rimettente non ha proceduto all’esame delle fattispecie sottoposte al  suo giudizio, onde verificarne la sussumibilità anche nella previsione  contenuta nell’art. 16 del d.lgs. n. 59 del 2005 – la evidenziata  eterogeneità delle fattispecie normative poste a raffronto rende  improponibile la stessa comparazione istituita (ex plurimis, ordinanze  n. 41 del 2009 e n. 109 del 2004); che la scelta legislativa di sanzionare con particolare  rigore l’attività di incenerimento dei rifiuti svolta in assenza di  autorizzazione non può dirsi manifestamente irragionevole, attesa la  necessità di garantire che tale attività si svolga nel rispetto delle  condizioni di esercizio e nell’osservanza delle prescrizioni tecniche,  dettate dallo stesso d.lgs. n. 133 del 2005 allo scopo di evitare o di  limitare gli effetti negativi dell’incenerimento (e del coincenerimento)  dei rifiuti sull’ambiente; che, pertanto, le questioni sollevate appaiono, sotto ogni profilo, manifestamente non fondate. Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11  marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi  davanti alla Corte costituzionale. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di  legittimità costituzionale dell’articolo 19, commi 1 e 2, del decreto  legislativo 11 maggio 2005, n. 133 (Attuazione della direttiva  2000/76/CE, in materia di incenerimento dei rifiuti), sollevate, in  riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 27 della Costituzione,  dal Tribunale di Trieste, in composizione monocratica, con l’ordinanza  indicata in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 luglio 2011. F.to: Alfonso QUARANTA, Presidente Gaetano SILVESTRI, Redattore Gabriella MELATTI, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2011. Il Direttore della Cancelleria F.to: MELATTI
 
 
                    




