Cass. Sez. III n. 11045 del 16 marzo 2015 (Ud 18 feb 2015)
Pres. Squassoni Est. Ramacci Ric. De Santis ed altro
Urbanistica.Silenzio della pubblica amministratore ed errore di diritto non scusabile

In campo urbanistico il silenzio dell'amministrazione competente successivo alla presentazione di una mera dichiarazione del privato, quale è la d.i.a. ed alla revoca di un'ordinanza di sospensione dei lavori, provvedimento cautelare avente natura provvisoria, non può ingenerare un errore di diritto scusabile quando l'attività professionale dell'agente presupponga la conoscenza della normativa di settore o se il suo comportamento sia sintomatico dell'inosservanza dell'obbligo di adeguata informazione, attraverso l'espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. SQUASSONI Claudia - Presidente - del 18/02/2015
Dott. GRILLO Renato - Consigliere - SENTENZA
Dott. ORILIA Lorenzo - Consigliere - N. 551
Dott. DI NICOLA Vito - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. RAMACCI Luca - rel. Consigliere - N. 12048/2014
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DE SANTIS ENRICO N. IL 20/03/1954;
PELLICCIA ANNA N. IL 31/12/1961;
avverso la sentenza n. 6574/2012 CORTE APPELLO di ROMA, del 05/04/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/02/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA RAMACCI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. IZZO Gioacchino, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio per il capo a);
rigetto nel resto;
udito il difensore avv. Monatosta M..
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Roma, con sentenza del 5/4/2013 ha riformato, riconoscendo agli imputati le circostanze attenuanti generiche e rideterminando la pena originariamente inflitta, la decisione con la quale, in data 10/6/2010, il Tribunale di Viterbo aveva affermato la responsabilità penale di DE SANTIS Enrico e PELLICCIA Anna per i reati di abuso edilizio e violazione del vincolo paesaggistico di notevole interesse pubblico, accertati in Viterbo il 5/11/2008 e commessi dal primo nella sua qualità di direttore dei lavori e, dalla seconda, quale proprietaria committente.
Avverso tale pronuncia i predetti propongono congiuntamente ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia. 2. Con un primo motivo di ricorso deducono la violazione di legge, osservando che, nell'imputazione, viene riportata la data di accertamento dei reati, la quale sarebbe diversa da quella della commissione degli stessi, avvenuta anni prima, come dimostrerebbe un'autocertificazione, sottoscritta da PELLICCIA Anna, della quale il giudice del merito, che avrebbe dovuto rilevare la prescrizione dei reati, non avrebbe tenuto conto.
3. Con un secondo motivo di ricorso evidenziano che, a seguito di presentazione di una D.I.A. in sanatoria e della conseguente revoca dell'ordine di sospensione dei lavori, cui non avrebbero fatto seguito altre iniziative delle competenti autorità, dovrebbe riconoscersi, nei confronti degli imputati, la sussistenza di una condizione di inevitabile ignoranza della legge penale, che avrebbe dovuto indurre la Corte territoriale a ritenere insussistente l'elemento soggettivo del reato.
Insistono, pertanto, nell'accoglimento del ricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Occorre rilevare, con riferimento al primo motivo di ricorso, che la questione concernente la data di commissione dei reati viene prospettata per la prima volta in questa sede di legittimità, non avendo formato oggetto delle censure mosse con l'atto di appello alla decisione di primo grado.
Tale questione, peraltro, viene articolata in maniera del tutto generica, con riferimento ad una non meglio specificata "autocertificazione proprietario" sottoscritta da PELLICCIA Anna il 4/12/2008 e nella quale si affermerebbe che le opere per cui è processo sarebbero state realizzate "in data anteriore al 2004; altre nel 2005 ed altre ancora, infine, nel 2006".
Di tale documento, proveniente da uno degli imputati e redatto in data successiva all'accertamento dei fatti, non è dato sapere neppure se sia stato acquisito agli atti del processo o, comunque, sottoposto all'attenzione del giudice del merito, poiché di ciò non si fa cenno in ricorso, ove si lamenta, altrettanto genericamente, la mancanza di accertamenti da parte del giudice sulla data di commissione del reato, accertamenti che il giudice del gravame non ha evidentemente effettuato perché non investito della questione con l'atto di gravame.
Va peraltro ricordato come questa Corte abbia già avuto modo di specificare che il principio del "favor rei", per cui, nel dubbio sulla data di decorrenza del termine di prescrizione, il momento iniziale va fissato in modo che risulti più favorevole all'imputato, va applicato solo in caso di incertezza assoluta sulla data di commissione del reato o, comunque, sull'inizio del termine di prescrizione, ma non quando sia possibile eliminare tale incertezza, anche se attraverso deduzioni logiche, del tutto ammissibili (Sez. 3, n. 7065 del 7/2/2012, Croce, non massimata; Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007 (dep. 2008), Cilia, Rv. 238850). 2. Ciò posto, deve rilevarsi, alla luce di tale condivisibile principio, che dalla semplice constatazione dell'avvenuta ultimazione delle opere abusive all'atto dell'accertamento non può meccanicamente scaturire una situazione di incertezza sulla data del commesso reato, ne' la stessa può essere rilevata sulla base di mere asserzioni dell'imputato, specie nel caso in cui, come nella fattispecie, queste vengano formulate in modo del tutto apodittico e generico.
Appare dunque evidente la manifesta infondatezza del motivo di ricorso esaminato.
3. A conclusioni non dissimili deve pervenirsi anche per ciò che concerne il secondo motivo di ricorso, del quale è pure evidente la estrema genericità, con richiami ad atti e documenti non meglio specificati ("DIA in sanatoria" e "revoca dell'ordinanza di sospensione lavori"), l'accesso ai quali, se presenti in atti, è del tutto precluso al giudice di legittimità.
Va in ogni caso rilevato come questa Corte abbia già specificato (Sez. 3, n. 23998 del 12/5/2011, P.M. in proc. Bisco, Rv. 250608) che la condotta colposa del reato di costruzione edilizia abusiva può consistere nell'inottemperanza all'obbligo di informarsi sulle possibilità edificatorie concesse dagli strumenti urbanistici vigenti, da assolversi anche tramite incarico a tecnici qualificati e che non rientra nell'ipotesi di ignoranza inevitabile l'erronea convinzione che un determinato intervento non necessiti di specifico titolo abilitativo (Sez. 3, n. 6968 del 2/5/1988, Rurali, Rv. 178593).
Più in generale, si è precisato che l'inevitabilità dell'errore sulla legge penale non si configura quando l'agente svolge una attività in uno specifico settore rispetto al quale ha il dovere di informarsi con diligenza sulla normativa esistente (Sez. 5, n. 22205 del 26/2/2008, Ciccone, Rv. 240440; Sez. 3, n. 1797 del 16/1/1996, Lombardi, Rv. 205384).
4. Nel caso in esame incombeva, pertanto, uno specifico onere di informazione, comunque non superabile sulla base della mancanza di ulteriori rilievi da parte delle autorità competenti dopo la presentazione di una mera dichiarazione del privato, quale è la denuncia di inizio attività (sulla cui natura v. Sez. 3, n. 41480 del 24/9/2013, Zecca, Rv. 257690) e la revoca di un provvedimento cautelare avente natura provvisoria, quale l'ordinanza di sospensione dei lavori, la cui emissione non ha alcuna incidenza diretta sulla sussistenza dell'intervento abusivo, spiegando i suoi effetti fino all'adozione e notificazione di provvedimenti definitivi come, ad esempio, l'ingiunzione alla demolizione.
Va ulteriormente rilevato che il ruolo di direttore dei lavori rivestito dal DE SANTIS presupponeva, da parte sua, la piena conoscenza della disposizioni urbanistiche e di tutela del paesaggio, considerato il settore professionale nel quale lo stesso è inserito. 5. Va conseguentemente affermato il principio secondo il quale in campo urbanistico il silenzio dell'amministrazione competente successivo alla presentazione di una mera dichiarazione del privato, quale è la d.i.a. ed alla revoca di un'ordinanza di sospensione dei lavori, provvedimento cautelare avente natura provvisoria, non può ingenerare un errore di diritto scusabile quando l'attività professionale dell'agente presupponga la conoscenza della normativa di settore o se il suo comportamento sia sintomatico
dell'inosservanza dell'obbligo di adeguata informazione, attraverso l'espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia.
6. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità - non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa dei ricorrenti (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) - consegue l'onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 1.000,00 per ciascuno di essi.
L'inammissibilità del ricorso per cassazione per manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e, pertanto, preclude la possibilità di dichiarare le cause di non punibilità di cui all'art. 129 c.p.p., ivi compresa la prescrizione intervenuta nelle more del procedimento di legittimità (cfr., da ultimo, Sez. 2, n. 28848 del 8/5/2013, Ciaffoni, Rv. 256463).

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 18 febbraio 2015.
Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2015