Corte dei Conti Sez. II giurisdizionale centrale appello
sentenza n. 85 del 10.03.2015
Rifiuti.Gestione del Commissario straordinario 

-per le fattispecie dannose connesse alla gestione del Commissario straordinario e appartenenti – quale quella di specie - alla giurisdizione della Corte dei conti non si rinviene alcuna deroga alla regola generale posta dall’art. 2, lett. b), della legge n. 658 del 1984 (che ha istituito la Sezione giurisdizione per la regione Sardegna) e richiamata dall’art. 1, comma 3, del decreto legge n. 453 del 1993, convertito nella legge n. 19 del 1994; regola secondo cui appartengono alla cognizione della Sezione regionale «i giudizi … di responsabilità … riguardanti … gli amministratori e funzionari, impiegati e agenti di uffici e organi dello Stato e di enti pubblici aventi sede o uffici nella regione, quando l’attività di gestione di beni pubblici si sia svolta nell’ambito del territorio regionale, ovvero il fatto da cui deriva il danno siasi verificato nel territorio della regione».
--Deve, innanzitutto, escludersi che la materia dell’informazione ambientale - nel senso ampio inteso dall’appellante - rientrasse tra le competenze del Commissario di Governo per l’emergenza rifiuti in Campania.
-la devianza rispetto ai fini istituzionali già di per sé segnala la dannosità della spesa sostenuta dal Commissario straordinario per la costituzione della società mista Protezione Ambiente e Natura (P.A.N.) s.p.a., cui venne affidata la realizzazione del Call Center Ambientale S.O.S. Ambiente.
-In definitiva, il Commissario delegato per l’emergenza rifiuti in Campania ha sborsato oltre 3.900.000,00 euro di cui oltre 3.600.000,00 per coprire le spese sostenute da una società rimasta sostanzialmente inattiva. E’, quindi, evidente che tale esborso integra un danno erariale, non risultando in alcun modo dagli atti che la società finanziata con denaro pubblico abbia conseguito una qualche utilità.
-Tali risultanze escludono l’esimente – invocata dall’appellante - dell’errore professionale scusabile; e ciò per la semplice considerazione che – come argomentato sub 4 e 5 - le ordinanze sull’emergenza rifiuti e sul risanamento ambientale non si prestano a dubbi di sorta e, quindi, un fraintendimento quale quello in cui sarebbe incorso l’appellante non potrebbe che essere imputato a negligenza e imperizia gravi.
- E’ ovvio, peraltro, che l’evento dannoso è stato originato da condotte poste in essere in qualità di Commissario – e, quindi, quale delegato dal Presidente del Consiglio dei Ministri ai sensi della legge n. 225 del 1992 - e consiste nella spendita di denaro di pertinenza statale (e non regionale) quali certamente sono i fondi messi a disposizione del Commissario delegato per finanziare le misure dirette a fronteggiare l’emergenza (segnalazione e massima a cura Avv. M.BALLETTA)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE II GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO

composta dai magistrati:

            Stefano IMPERIALI                                    Presidente

            Angela SILVERI                                          Consigliere relatore

            Luigi CIRILLO                                            Consigliere

            Daniela ACANFORA                                 Consigliere

            Marco SMIROLDO                                     Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi d’appello promossi

1)      da BASSOLINO ANTONIO, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Giuseppe Abbamonte, Felice Laudadio e Francesco Gaetano Scoca e con questi elettivamente domiciliato in Roma, Via Alessandro III n. 6

2)      dal Procuratore regionale per la Campania

avverso

la sentenza della Sezione giurisdizionale per la Regione Campania n. 4174/07 del 27 dicembre 2007.

Visti gli atti d’appello, iscritti al n. 31747 e al n. 31748 del registro generale, nonchè gli altri atti e i documenti di causa.

Uditi nella pubblica udienza del 2 dicembre 2014 il relatore, Consigliere Angela Silveri, l’Avv. Roberto De Masi (delegato dall’Avv. Felice Laudadio) e il P.M. in persona del Vice Procuratore Generale Cinthia Pinotti.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

            Con atto di citazione del 27 dicembre 2006 la Procura regionale per la Campania conveniva in giudizio Antonio BASSOLINO chiedendone la condanna al pagamento, in favore dell’erario, dell’importo di euro 3.921.304,17 (o della diversa somma determinata dal Collegio) oltre rivalutazione monetaria.

            Nell’atto di citazione veniva ricostruita la complessa vicenda della costituzione della Società Protezione Ambiente e Natura s.p.a. (PAN) da parte del Commissario di Governo per l’emergenza rifiuti nella Regione Campania (incarico all’epoca rivestito da BASSOLINO); vicenda che traeva origine dall’ordinanza n. 601 del 21 dicembre 2001 con la quale veniva approvato il progetto denominato “Call Center Ambientale – SOS.A – S.O.S. Ambiente”, presentato dal Consorzio Sviluppo Tecnologie Ambientali di Napoli (STA). Si riferivano, altresì, gli esiti degli accertamenti condotti dal Servizio Ispettivo dell’Ispettorato Generale di Finanza, Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, nonché gli accertamenti condotti dalla Guardia di Finanza, su delega della Procura.

            Conclusivamente, si contestava al convenuto il danno conseguente alla illegittima approvazione del progetto presentato dalla STA e alla costituzione della PAN; danno consistente nelle perdite subite dalla società, attestato dai plurimi bonifici effettuati dal Commissario di Governo per ripianare le perdite. Tale danno veniva imputato a colpa grave del Commissario, non ritenendo che costituisse circostanze esimente l’esigenza di assumere e stabilizzare lavoratori socialmente utili, non essendo stata perseguita la finalità di risolvere le problematiche emergenziali in materia ambientale. Al riguardo la Procura osservava che i poteri attribuiti al Commissario trovano giustificazione nell’emergenza e, «in funzione di quest’ultima, anche una naturale limitazione, dettata dalla ragione stessa della particolare legittimazione dell’intervento straordinario».

            Il convenuto si costituiva in giudizio con memoria depositata il 23 ottobre 2007, chiedendo il proscioglimento da ogni addebito per insussistenza del nesso eziologico e dell’elemento soggettivo; evidenziava, in particolare, che l’approvazione del progetto STA relativo alla istituzione di un call center ambientale rappresentava un compito istituzionale obbligatorio, finalizzato al superamento definitivo dello stato di emergenza e ad un ritorno alla normalità; chiedeva, inoltre, che il contraddittorio fosse integrato chiamando in giudizio gli amministratori dell’ARPAC, dell’Amministrazione provinciale di Napoli e di altri Enti per le omissioni che avrebbero condotto al malfunzionamento della società PAN.

            La Sezione Campania, con la sentenza n. 4174/07 del 27 dicembre 2007, ha respinto l’istanza di integrazione del contraddittorio e – previa riduzione dell’addebito - ha condannato Antonio BASSOLINO al pagamento, in favore della Regione Campania, della somma di euro 3.200.000,00 comprensiva della rivalutazione monetaria, oltre gli interessi dalla pubblicazione della sentenza al soddisfo. La sentenza contiene ampie argomentazioni: sulla illegittimità dell’ordinanza n. 601 del 2001 con la quale veniva approvato il progetto per la creazione del call center SOS.A; sulla non riconducibilità dell’iniziativa all’art. 10 del decreto legislativo n. 468 del 1997 concernente l’occupazione dei soggetti già impegnati nei lavori socialmente utili; sull’esistenza del danno nella misura indicata nell’atto di citazione; sul nesso di causalità; sulla sussistenza della colpa grave.

            La sentenza è stata impugnata da BASSOLINO, con il patrocinio degli Avv.ti Giuseppe Abbamonte e Felice Laudadio, con appello notificato alla Procura regionale il 31 dicembre 2007; l’appello è stato depositato il 25 gennaio 2008. La sentenza è stata, altresì, impugnata dal Procuratore regionale per la Campania, con appello notificato a BASSOLINO il 16 gennaio 2008 (presso il domicilio eletto in secondo grado); tale appello è stato depositato il 12 febbraio 2008.

            Questi i motivi di gravame, dedotti dall’appellante principale.

  1. Error in procedendo – violazione art. 3, comma 2 bis, 2 ter e 2 quater d.l. 30.11.2005 n. 245 – difetto di competenza.

Sostiene che la sentenza sarebbe nulla in quanto pronunciata da giudice privo di competenza; osserva che l’imputazione di responsabilità concerne funzioni assolte nella qualità di Commissario di Governo delegato per l’emergenza rifiuti in Campania e riguardano il rapporto di servizio da questi intrattenuto con l’Amministrazione Centrale. Richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 237 del 2007 concernente l’art. 3, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater, del d.l. n. 245 del 2005 e la competenza in materia del TAR Lazio; sostiene, conclusivamente, che competente a decidere sulla vertenza era la Sezione Lazio, «stante la natura inderogabile della relativa competenza funzionale e territoriale, in quanto tale rilevabile anche d’ufficio».

  1. Violazione della legge n. 20 del 1994, dell’art. 107 c.p.c. e 47 del R.D. n. 1038 del 1933, del principio generale della personalità della responsabilità; violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 111 della Costituzione.

            L’appellante sostiene che la sentenza ha omesso – appiattendosi sulle tesi di parte attrice e pretermettendo i puntuali rilievi svolti da parte convenuta – di valutare le altre condotte alle quali era esclusivamente imputabile l’assenza di commesse in favore della società P.A.N. Sostiene l’erroneità della scelta di respingere la richiesta di integrazione del contraddittorio, che ha condotto a difetto di motivazione e all’omesso esame della dinamica di atti e documenti allegati al giudizio.

  1. Error in iudicando, violazione di svariate norme di legge, nonché dei principi generali degli atti normativi e di interpretazione degli atti amministrativi; violazione degli artt. 2697, 2700 e 2701 c.c.; motivazione erronea; omesso esame di punti decisivi della controversia.

Osserva che nel punto 3 della sentenza i primi giudici si sono soffermati ad elencare «molteplici anomalie» che avrebbero caratterizzato il procedimento di approvazione del progetto denominato Call Center Ambientale. Sostiene che tali presunte irregolarità sarebbero da imputare a soggetti diversi dall’appellante e, comunque, sarebbero del tutto irrilevanti, tenuto conto che l’ordinanza n. 601 del 2001 integra «un atto preparatorio e programmatorio, dal quale non derivano obblighi vincolanti in capo alla struttura commissariale, men che meno, sotto il profilo dell’indebito esborso di danaro pubblico»; l’ordinanza è atto di indirizzo, con il quale non è stato adottato alcun progetto, ma solo la proposta di progetto presentata da S.T.A.; è soltanto con la convenzione che l’Amministrazione Straordinaria ha assunto obblighi giuridici e ha adottato impegni di spesa previa adeguata valutazione del progetto elaborato da S.T.A., costituente allegato della stessa convenzione. A tal fine l’appellante indica analiticamente i passaggi motivazionali dell’ordinanza n. 601/2001, nonché altri atti del procedimento che hanno condotto alla convenzione.

Analoghe considerazioni svolge con riguardo all’altra presunta anomalia concernente la protocollazione della convenzione n. 94 del 2001, osservando che – ove sussistente – sarebbe addebitabile ad altri soggetti. Evidenzia comunque che, se l’atto causativo del danno è da individuarsi solo nell’ordinanza n. 601/2001, sono del tutto irrilevanti le presunte incongruenze concernenti la registrazione della convenzione; se, invece, tali incongruenze concorrono alla produzione del danno, non si comprende perché non si sia considerato che «ogni impegno per la Struttura Commissariale nasce … solo con la convenzione, della quale … il progetto STA costituisce specifico allegato». Sottolinea l’illogicità e la contraddittorietà della sentenza per aver assunto un evento successivo (le presunte anomalie nella registrazione della convenzione) «come sintomo inequivocabile (??) del procedimento di formazione di un atto precedente».

Evidenzia, altresì, che il giudizio di anomalia formulato in sentenza è viziato da una inammissibile violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 2701 e 2697 c.c., tenuto conto che le risultanze del protocollo e della convenzione stipulata in forma pubblica amministrativa «vantano … fede privilegiata, con la conseguenza che le stesse fanno prova fino a querela di falso»; con l’ulteriore conseguenza che, in difetto della proposizione della querela di falso, «era inibito al Collegio Territoriale finanche nutrire dubbi sull’attendibilità ed autenticità delle risultanze del registro di repertoriazione delle convenzioni».

Altrettanto erronea e priva di motivazione è la conclusione cui sono giunti i primi giudici sulla «valutazione sommaria dell’iniziativa progettuale», che sarebbe suffragata dal reperimento di varie versioni del progetto. Osservano che si trattava di tre pagine mancanti e che, comunque, la questione è irrilevante se si ritiene – come ritenuto nell’impugnata sentenza – che ogni impegno a carico della struttura commissariale origina solo dalla stipulazione della convenzione di cui il progetto costituisce specifico allegato.

Contesta, inoltre, che – come affermato in sentenza – si sia voluto intendere il potere commissariale come legibus solutus, essendo stato sottolineato soltanto che il Commissario si era mantenuto nei limiti costituzionali ed ordinamentali, che la stessa sentenza non chiarisce «dove ed in che misura risultino essere stati debordati».

  1. Error in iudicando; violazione di altre svariate norme di legge, nonché di direttive comunitarie; motivazione erronea; omesso esame di punti decisivi della controversia.

L’appellante procede ad una analitica contestazione della sentenza con riguardo alle motivazioni contenute nel punto 3.2 concernente l’elemento oggettivo della responsabilità. Deduce, in sintesi, che: a) rientrava tra i compiti istituzionali del Commissario Straordinario la formazione e l’informazione ambientale, trattandosi di attribuzioni previste dall’ordinanza ministeriale n. 3011 del 21.10.1999 (art. 1, comma 6, che ha inserito un comma 1.16 all’ordinanza n. 2948/99); b) tale competenza non era limitata dal riferimento, contenuto nell’ordinanza, «ai fini del superamento dell’emergenza», dovendosi invece ritenere che il legislatore fosse consapevole che solo con la formazione e l’informazione ambientale poteva essere definitivamente superato lo stato d’emergenza; c) i primi giudici hanno fatto leva su irrilevanti dati formali (quali l’oggetto sociale della PAN), trascurando il disposto dell’art. 2 della legge n. 195 del 2005 (che ha dato attuazione alla direttiva comunitaria richiamata nell’ordinanza n. 601/2001), che fa riferimento ad ogni tipo di informazione ambientale latamente intesa; d) manca in sentenza l’indicazione di «quali siano stati i progetti e le attività poste in essere dalla società mista e preordinate ad erogare informazioni ambientali in settori estranei alla competenza commissariale»; e) la sentenza contrasta con la Relazione sulla gestione degli interventi negli anni 1999 e 2000, ove si fa riferimento alle attività di ricognizione o di diffusione di informazioni o notizie utili per la formazione della cultura della raccolta differenziata; f) le disposizioni successive confermano che la materia dell’informazione ambientale è determinante per il superamento del contesto emergenziale; cita l’art. 2 della legge n. 290 del 2006 (rectius, del decreto legge n. 263 del 2006) che fa riferimento alla «Carta di Aalborg»; g) l’iniziativa non contrasta con la Convenzione internazionale di Aarhus (ratificata con legge n. 180 del 2001) né con la Direttiva Europea 90/313/CEE, non potendo affermarsi che gli obiettivi di accesso all’informazione ambientale siano affidati soltanto al Ministero dell’Ambiente; h) l’iniziativa commissariale è legittima, anche con riferimento alla conformità alle previsioni dell’art. 10 del decreto legislativo n. 468 del 1997 (non modificato dalla legge n. 81 del 2000) sull’occupazione dei soggetti già impegnati nei lavori socialmente utili (LSU), avendo il socio privato S.T.A. gestito un precedente progetto LSU; per tale aspetto la sentenza è affetta da vizio di extrapetizione con violazione dell’art. 112 c.p.c., trattandosi di dato che non era stato contestato nell’atto di citazione; comunque, il ricorso ai progetti di stabilizzazione dei soggetti applicati in LSU - «per l’attuazione di interventi di propria competenza» - è previsto dall’ordinanza ministeriale n. 2560 del 1997, che contempla anche la possibilità di adottare lo strumento della costituzione di una società mista; i) nella specie sussistevano tutti i requisiti richiesti dalla normativa: la società CID Software, consorziata S.T.A., era stata impegnata nella realizzazione di un progetto LSU, analogo a quello commissionato da Italia Lavoro nel 1999 e preordinato alla gestione di un call-center nel settore del Servizio sanitario regionale, con scadenza al 31.12.2001 e con impegno di 32 unità di personale; nella convenzione-quadro n. 94/2001 si dava atto della necessità «dell’esecuzione di servizi aggiuntivi» citando la gestione del c.d. progetto SIRENETTA, riconoscendo la ricorrenza del presupposto richiesto dall’art. 10 del d.lgs. n. 468 del 1997; essendo citato nella convenzione quadro, è indiscutibile che il progetto SOS Ambiente preesistesse rispetto alla costituzione della società mista; l) in definitiva, poiché il servizio di informazione ambientale rientra «pacificamente» tra i compiti della struttura commissariale, non era prevedibile ex ante l’inutilità dell’iniziativa, specie se rapportata all’omesso coinvolgimento ab initio di ulteriori soggetti istituzionali che non hanno aderito per comportamenti ostativi; m) non configura negligenza il mancato accertamento sulla preventiva disponibilità di altri soggetti pubblici, non essendo ciò richiesto dall’ordinanza n. 2948 del 1999 che vincola il Commissario all’attuazione incondizionata della informazione ambientale; n) la gestione asseritamente «fallimentare» della PAN è stata accentrata sull’appellante ancorchè lo stesso non abbia mai esercitato poteri di gestione del consorzio; il danno sarebbe da imputare in via esclusiva agli amministratori del consorzio avente una struttura autonoma e, comunque, è stato violato il canone della personalità della responsabilità amministrativa e della parziarietà dell’obbligo risarcitorio sancito dalla legge n. 20/94; o) in definitiva, va esclusa l’antigiuridicità della condotta; va escluso, altresì, il nesso causale con i pretesi danni che sono ascrivibili esclusivamente agli amministratori del consorzio.

  1. Errore in iudicando; violazione di altre svariate norme di legge; motivazione erronea; omesso esame di punti decisivi della controversia.

Con questo motivo l’appellante ribadisce l’insussistenza del rapporto di causalità, nella considerazione che: l’ordinanza n. 601/2001 era pienamente legittima; il Commissario straordinario ha onorato tutti gli impegni assunti con la convenzione n. 94 del 2001; eventuali perdite societarie, che il Commissario è stato costretto a ripianare in quanto socio pubblico di maggioranza, sono dovute esclusivamente a responsabilità altrui, oltre che alla normale alea del rischio societario; solo con l’ampliamento dell’oggetto sociale della PAN, avvenuto nel 2005, al Commissario di Governo è stato consentito l’affidamento delle commesse concernenti i cosiddetti piani di caratterizzazione.

  1. Error in iudicando; violazione di altre svariate norme di legge; motivazione erronea; omesso esame di punti decisivi della controversia.

Con questo motivo di gravame l’appellante ribadisce la non sussistenza della colpa grave, osservando che l’affermazione contenuta in sentenza deriva da «una valutazione deviata della vicenda» tanto che i primi giudici si sono avvalsi del classico teorema del «non poteva non sapere», essendo stato omesso di considerare che: il Commissario straordinario era titolare di poteri di deroga alla normativa vigente ed ha assunto una «ordinanza c.d. libera che per sua natura rende inconfigurabile, anche alla luce dei poteri di deroga connessi, i parametri ordinari di definizione della colpa grave»; i compiti di informazione erano inclusi tra i poteri commissariali; tali funzioni afferivano al superamento della condizione emergenziale; non esistevano atti o comportamenti qualificabili in termini di irrazionalità. La sentenza ha, comunque, omesso di considerare l’esistenza di contrasti giurisprudenziali sulla normativa di riferimento e, quindi, la ricorrenza dell’errore professionale scusabile che esclude la colpa grave.

  1. Violazione dell’art. 52 del r.d. n. 1214 del 1934 e dell’art. 97 c.p.c.; ulteriore error in iudicando.

Ribadisce che la sentenza è erronea per non aver correttamente valutato la normativa in materia di stabilizzazione dei LSU «ed esercita, coerente nell’errore, il potere riduttivo in ambiti di totale irrilevanza pur riconoscendo il merito di perseguire finalità di stabilizzazione dei LSU». Sarebbe, inoltre, iniqua la condanna alle spese di giudizio.

L’appellante principale ha chiesto, conclusivamente, che la sentenza sia dichiarata nulla per incompetenza della Sezione giurisdizionale della Campania e che, in accoglimento dell’appello, la sentenza sia riformata con conseguente proscioglimento da ogni addebito.

L’appellante incidentale ha impugnato la sentenza con esclusivo riferimento alla parte in cui i primi giudici hanno individuato il soggetto danneggiato nella Regione Campania. Nel gravame si osserva che il Commissario di Governo per l’emergenza rifiuti nella Regione Campania è organo statale, delegato dal Presidente del Consiglio dei Ministri ai sensi della legge n. 225 del 1992 (istitutiva del Servizio nazionale di protezione civile); si osserva, altresì, che non deve suscitare fraintendimenti la circostanza che nella vicenda emergenziale campana sia stato nominato quale Commissario il Presidente regionale, il quale peraltro – quale Commissario – ha gestito fondi di natura erariale; e, infatti, nell’atto di citazione non era stata indicata la Regione Campania quale ente danneggiato, essendo stata richiesta la condanna in favore dell’erario; si osserva, infine, che i mandati di pagamento provengono dal Commissario straordinario. Chiede, conclusivamente, che sia confermata la responsabilità dell’appellato con condanna al pagamento dell’importo indicato in sentenza in favore dello Stato.

La Procura generale, nelle conclusioni depositate l’8 ottobre 2008, ha chiesto – previa riunione con l’appello incidentale – il rigetto dell’appello principale. A tal fine ha evidenziato che: 1) l’eccezione di incompetenza territoriale è infondata, tenuto conto delle disposizioni recate dall’art. 2, lett. b), della legge n. 658 del 1984 richiamate dal d.l. n. 453 del 1993 conv. In legge n. 19 del 1994, nonché di quanto affermato dalle Sezioni Riunite nella sentenza n. 4/2002/QM; 2) i primi giudici hanno valutato negativamente alcuni aspetti procedurali; peraltro, sono pervenuti alla condanna non basandosi su tali ragioni, ma tenendo conto degli aspetti salienti delle scelte illecite ed esaminando tutti gli elementi posti a fondamento della domanda, ivi compresi gli impropri richiami a normative europee ed a convenzioni internazionali; 3) come esaurientemente argomentato dai primi giudici, si è trattato di una iniziativa esorbitante dai poteri emergenziali, talmente fallimentare da provocare la fuoriuscita del socio privato e illegittimamente sovrapposta rispetto alle funzioni attribuite ad altri uffici.

Con atto depositato il 28 novembre 2008 si è costituito in giudizio l’Avv. Franco Gaetano Scoca, cui è stata conferita procura ad litem in aggiunta agli Avv.ti Abbamonte e Laudadio.

Con memoria depositata l’11 novembre 2014 l’appellante principale ha ampiamente ripercorso i motivi di gravame confermandone le conclusioni. Ha, in particolare, evidenziato che la fondatezza della eccezione di incompetenza territoriale è comprovata dall’appello incidentale proposto dal Procuratore regionale per la Campania, laddove si evidenzia che il soggetto danneggiato è esclusivamente l’Amministrazione centrale dello Stato; cita al riguardo l’art. 2, comma 1 lett. a) della legge n. 658 del 1984. Ha, altresì, ribadito che – come affermato nell’impugnata sentenza – il progetto effettivamente realizzato non è quello approvato dal Commissario, ma quello affidato alla PAN dall’ARPAC con delibera n. 690 del 30.12.2002; dal che consegue l’erroneità della pronuncia anche per il rigetto della richiesta di integrazione del contraddittorio.

Alla pubblica udienza del 2 dicembre 2014 l’Avv. Roberto De Masi ho posto l’attenzione sui seguenti aspetti: 1) la materia della formazione e dell’informazione ambientale rientrava tra i compiti istituzionali del Commissario Straordinario, secondo quanto previsto dall’ordinanza ministeriale n. 3011 del 1999 che ha integrato con un 16° punto la precedente ordinanza n. 2948 del 1999, ed essendo attinente con i compiti emergenziali da raggiungersi anche tramite una idonea informazione sulla raccolta differenziata; 2) la sentenza è fortemente contraddittoria, in quanto afferma la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta del Commissario e l’evento dannoso, pur dando atto che il progetto PAN effettivamente realizzato è quello approvato dall’ARPAC; 3) tutta la responsabilità per colpa grave è stata concentrata sul Commissario, senza valutare che le azioni della società erano state cedute ad altre amministrazioni pubbliche, il cui rilevantissimo contributo causale è stato completamente ignorato. Ha, quindi, confermato le conclusioni rassegnate con l’appello anche con riferimento al difetto di competenza territoriale.

Il Pubblico Ministero ha, innanzitutto, dedotto che l’eccezione di incompetenza territoriale è inammissibile, essendo stata proposta per la prima volta in appello; rammenta al riguardo che il regime di tale eccezione è difforme da quello previsto per la questione di giurisdizione, dovendo essere sollevata dalla parte non oltre la prima udienza e potendo essere rilevata d’ufficio dal giudice solo in primo grado. Ha, comunque, osservato che, come evidenziato nelle conclusioni scritte, si tratta di eccezione manifestamente infondata, sussistendo tutti i criteri di collegamento stabiliti dalla legge. Nel merito ha evidenziato in particolare che: come evidenziato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 127 del 1995, il potere d’ordinanza del Commissario straordinario ha presupposti rigorosi; nel caso di specie il potere è stato utilizzato per un’attività di informazione che era estranea rispetto all’investitura riguardante attività operative; il fine dell’assunzione dei lavoratori socialmente utili - astrattamente legittimo – è stato perseguito per un’attività esorbitante dai poteri emergenziali; la costituzione della società, con dispendio di oltre sei miliardi di lire, è stata la conditio sine qua non del danno. Ha chiesto, quindi, il rigetto dell’appello nel merito. Per l’appello incidentale si è riportato alle conclusioni scritte.

            In replica l’Avv. Roberto De Masi ha ribadito che l’ordinanza del 1999 attribuiva al Commissario di Governo anche l’attività di informazione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

  1. Va, innanzitutto, disposta la riunione in rito, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., dei gravami promossi avverso la stessa sentenza della Sezione Campania n. 4174/07 del 27 dicembre 2007.
  2. Ancora in rito va data priorità all’eccezione d’incompetenza territoriale, che l’appellante principale ha proposto per la prima volta in questo grado di giudizio.

2.a       L’eccezione – come dedotto dal Pubblico Ministero in sede dibattimentale - è inammissibile ai sensi dell’art. 345, comma 2, c.p.c., essendo stata proposta per la prima volta in appello e non trattandosi di eccezione che possa essere rilevata d’ufficio dal giudice del gravame.

Rileva, al riguardo, il Collegio che certamente si tratterebbe (in via di mera ipotesi) d’incompetenza territoriale inderogabile; e ciò nella considerazione che nel giudizio di responsabilità amministrativa, rimesso alla cognizione della Corte dei conti, è prevista la presenza obbligatoria del Pubblico Ministero. A tale forma d’incompetenza si applica, quindi, la disciplina recata dall’art. 38, comma 1, c.p.c. secondo cui (nel testo applicabile ratione temporis) «l’incompetenza per materia, quella per valore e quella per territorio nei casi previsti nell’articolo 28 sono rilevate, anche d’ufficio, non oltre la prima udienza di trattazione». E’ noto, infatti, che tra i «casi previsti nell’articolo 28» sono compresi quelli indicati «nei nn. 1, 2, 3 e 5 dell’art. 70» e, cioè, i casi in cui è obbligatorio l’intervento in causa del Pubblico Ministero.

Dalla circostanza che si tratti (sempre in via di mera ipotesi) d’incompetenza territoriale inderogabile non discende, quindi, che il difetto di competenza sia rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio e che non soggiaccia alle preclusioni previste per il giudizio d’appello dall’art. 345, comma 2, c.p.c.

In realtà, dal chiaro disposto dell’art. 38, comma 1, (ora trasfuso, senza sostanziali modifiche, nel comma 3 dello stesso art. 38) risulta che la rilevabilità d’ufficio dell’incompetenza territoriale inderogabile è soggetta alla preclusione della prima udienza di trattazione (l’incompetenza è rilevata «anche d’ufficio, non oltre la prima udienza di trattazione»). La regolamentazione del difetto di competenza inderogabile per territorio differisce, pertanto, da quella sulla giurisdizione, il cui difetto – ai sensi dell’art. 37 c.p.c. e salva la formazione del giudicato implicito - «è rilevato, anche d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo».

In sostanza, a norma dell’art. 38 comma 1 c.p.c., il rilievo officioso dell’incompetenza per territorio è ammesso solo entro la prima udienza di trattazione e, quindi, palesemente è precluso al giudice dell’appello. Dal che consegue che la parte può impugnare la decisione di primo grado per ragioni di incompetenza territoriale inderogabile solo ove l’incompetenza sia stata dalla stessa parte tempestivamente eccepita in primo grado; diversamente, incorre nella preclusione dettata dall’art. 345 comma 2 c.p.c., secondo cui nel giudizio d’appello «non possono proporsi nuove eccezioni, che non siano rilevabili anche d’ufficio» (così: C. conti, SS.RR. n. 43 del 1997 e Sez. II n. 497 del 2013; Cass., Sez. III n. 4021 del 2001 e Sez. Lav. n. 22055 del 2006).

Questo è quanto si verifica nel caso di specie, tenuto conto che l’eccezione di incompetenza territoriale è stata proposta per la prima volta in appello.

2.b      In ogni caso, reputa il Collegio di dover sottolineare – anche in ragione del rilievo economico della fattispecie in discussione - che l’eccezione è manifestamente infondata, ricorrendo nel caso all’esame tutti i requisiti previsti dalla normativa di settore per l’incardinazione del giudizio dinanzi alla Sezione giurisdizionale per la Campania.

            Sul punto è sufficiente evidenziare che – diversamente da quanto sostenuto dall’appellante - non hanno alcun rilievo le disposizioni recate dall’art. 3, commi 2-bis, 2-tere 2-quater, del decreto legge n. 245 del 2005 convertito con modificazioni dalla legge n. 21 del 2006, che prevedono la competenza del TAR Lazio (sede di Roma) a conoscere della legittimità delle ordinanze e dei provvedimenti adottati dal Commissario delegato per l’emergenza rifiuti nella regione Campania.

            In effetti per le fattispecie dannose connesse alla gestione del Commissario straordinario e appartenenti – quale quella di specie - alla giurisdizione della Corte dei conti non si rinviene alcuna deroga alla regola generale posta dall’art. 2, lett. b), della legge n. 658 del 1984 (che ha istituito la Sezione giurisdizione per la regione Sardegna) e richiamata dall’art. 1, comma 3, del decreto legge n. 453 del 1993, convertito nella legge n. 19 del 1994; regola secondo cui appartengono alla cognizione della Sezione regionale «i giudizi … di responsabilità … riguardanti … gli amministratori e funzionari, impiegati e agenti di uffici e organi dello Stato e di enti pubblici aventi sede o uffici nella regione, quando l’attività di gestione di beni pubblici si sia svolta nell’ambito del territorio regionale, ovvero il fatto da cui deriva il danno siasi verificato nel territorio della regione».

            In sostanza, come risulta ben chiaro dalla norma, nei giudizi di responsabilità amministrativa la Sezione giurisdizionale regionale competente si individua avendo riguardo alla sede dell’ufficio o dell’organo (anche se trattasi di ufficio o organo statale) e prendendo in considerazione il luogo in cui si è svolta la gestione ovvero il luogo in cui si è verificato il danno.

            Orbene, nel caso all’esame non vi è dubbio – e non lo mette in discussione neppure l’appellante – che l’ufficio del Commissario straordinario avesse sede in Campania, che l’attività di gestione di cui è causa si sia svolta nel territorio campano, ove si è anche verificato il fatto da cui è derivato il danno a questi imputato. E’ pacifico, quindi, che la Sezione territoriale competente fosse la Sezione giurisdizionale per la regione Campania, essendo, tra l’altro, a tal fine del tutto indifferente accertare quale fosse l’ente danneggiato e, cioè, se la stessa regione Campania (come affermato in sentenza), ovvero lo Stato (come dedotto dalla Procura regionale, appellante incidentale).

  1. Procedendo all’esame degli altri motivi di gravame osserva, preliminarmente, il Collegio che l’appellante principale ha contestato ogni passaggio motivazionale dell’impugnata sentenza, sostenendo in sostanza che – diversamente da quanto ritenuto dai primi giudici – la materia della formazione e dell’informazione ambientale rientrava tra i compiti istituzionali assegnati al Commissario di Governo per l’emergenza rifiuti nella Regione Campania, ai sensi di quanto previsto dalla normativa di settore e, in specie, dalle ordinanze ministeriali n. 2948 e n. 3011 del 1999. Ha, quindi, chiesto – modulando una articolata serie di motivi d’appello – l’integrale riforma della sentenza, con conseguente affermazione della legittimità dell’operazione che ha condotto alla costituzione della Società Protezione Ambiente e Natura (PAN) s.p.a. e all’approvazione del progetto denominato «Call Center Ambientale – SOS.A – S.O.S. Ambiente», presentato dal Consorzio Sviluppo Tecnologie Ambientali di Napoli (STA). In definitiva, ha chiesto di essere prosciolto da ogni addebito per insussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo della responsabilità.

            L’appellante incidentale ha impugnato la sentenza con esclusivo riferimento alla parte in cui il soggetto danneggiato è stato individuato nella Regione, anziché nello Stato; ha chiesto, quindi, la parziale riforma della pronuncia, con conseguente condanna dell’appellato al pagamento, in favore dello Stato, dell’intera somma indicata in sentenza.

            Debbono, pertanto, esaminarsi innanzitutto i motivi di gravame dedotti dall’appellante principale; tali motivi vanno valutati congiuntamente, nella considerazione che – pur essendo articolati, nella generalità, deducendo specifiche violazioni di norme sostanziali o processuali – sono tutti volti ad affermare la legittimità dell’iniziativa adottata dal Commissario di Governo ed a spostare verso altri soggetti, non convenuti in giudizio, la responsabilità del danno erariale.

            L’appello è, nel suo complesso, privo di fondamento per le ragioni che di seguito si illustrano.

  1. Deve, innanzitutto, escludersi che la materia dell’informazione ambientale - nel senso ampio inteso dall’appellante - rientrasse tra le competenze del Commissario di Governo per l’emergenza rifiuti in Campania.

            Non vi è dubbio che, per effetto della modificazione integrativa dell’ordinanza del Ministro dell’Interno n. 2948 del 1999 disposta dall’ordinanza ministeriale n. 3011 del 1999, le attribuzioni del Commissario delegato – come da questi sostenuto in tutte le difese scritte ed orali – includessero (secondo quanto previsto dall’art. 2, comma 1, punto 1.16 del provvedimento) «la formazione e l’informazione ambientale, e la promozione del rispetto dei valori naturali ed ambientali». Peraltro, è altrettanto indubbio – come ben evidenziato dai primi giudici nell’impugnata sentenza – che tale attribuzione non poteva in alcun modo legittimare un’iniziativa quale quella intrapresa dal Commissario, trattandosi di competenza strettamente collegata al raggiungimento degli obiettivi posti a fondamento della delega e dei connessi poteri straordinari, necessitati dalla «situazione di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e del risanamento ambientale».

Sul punto non possono nutrirsi dubbi di sorta.

In effetti, la disposizione sulla formazione e l’informazione ambientale si inserisce nell’art. 2 dell’ordinanza n. 2948 del 1999 quale indicazione di un ulteriore mezzo - rispetto a quelli già elencati nell’originario testo dello stesso art. 2 - che il Commissario delegato deve utilizzare per i dichiarati «fini del superamento dell’emergenza». Si aggiunge cioè (in via esemplificativa): alla realizzazione della raccolta differenziata dei rifiuti urbani; alla realizzazione di piazzole per lo stoccaggio delle frazioni di rifiuti; all’adeguamento o alla realizzazione degli impianti di preparazione dei materiali, di produzione di compost, di trattamento dei rifiuti ingombranti, di recupero dei beni durevoli di uso domestico; all’adozione di misure per favorire il riciclaggio e il recupero da parte del sistema industriale; alla realizzazione di adeguati sistemi di trasporto dei rifiuti non differenziati agli impianti di produzione del combustibile. La disposizione è, quindi, volta inequivocabilmente ad autorizzare l’utilizzo, da parte del Commissario straordinario, di strumenti idonei a consentire il raggiungimento dell’obiettivo del superamento dell’emergenza rifiuti mediante la formazione di una cultura del rispetto dell’ambiente.

La funzionalizzazione della formazione e dell’informazione ambientale al superamento dell’emergenza è, quindi, inequivocabilmente attestata proprio dalla circostanza che la disposizione in argomento integra uno specifico punto dell’ordinanza n. 2948 del 1999, la quale disciplina «ulteriori misure concernenti gli interventi intesi a fronteggiare la situazione di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e del risanamento ambientale, idrogeologico e di regimazione idraulica». Del resto anche l’ordinanza n. 3011 del 1999, che ha disposto l’inserimento del punto nell’ordinanza n. 2948/1999, è rubricata «ulteriori disposizioni per fronteggiare l’emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e per il collegato risanamento ambientale».

A non diverse conclusioni si perviene facendo riferimento alle ulteriori competenze in materia di «risanamento ambientale» indicate nelle menzionate ordinanze (quali, talune specifiche attività di bonifica di siti contaminati), trattandosi comunque di competenze riferite ad una situazione emergenziale.

  1. Orbene, risulta chiaramente dagli atti di causa - ed è attestato dallo stesso fallimento dell’operazione che ha condotto alla approvazione del progetto di Call Center Ambientale e alla costituzione della società P.A.N. – che l’attività formativa ed informativa alla base del progetto esorbitava dalle funzioni commissariali che, per la loro stessa natura “straordinaria”, erano pacificamente circoscritte (per tutto quanto detto sub 4) al superamento dell’emergenza.

            La devianza dai (pur ampi) poteri emergenziali emerge, innanzitutto, dall’ordinanza con la quale il Commissario straordinario ha approvato il progetto di Call Center Ambientale. Dalle motivazioni di tale provvedimento (l’ordinanza n. 601 del 21 dicembre 2001) risulta, invero, che con quel progetto – per la cui realizzazione veniva prevista la costituzione di una società consortile e l’impiego di almeno 100 lavoratori socialmente utili (LSU) – si intendeva far fronte all’«obbligo istituzionale di attivare … un complesso sistema d’informazione integrato informatico da mettere a servizio ed a supporto delle esigenze della P.A. e, in particolar modo, dei Cittadini residenti e dell’U.E.». A tal fine nell’ordinanza n. 601/2001: «la questione rifiuti» è appena accennata quale problema complesso avente riflessi sul più generale «problema “difesa ambiente”»; si fa riferimento alle direttive europee in materia ambientale e agli obblighi derivanti dalla Convenzione di Aarhus con riguardo all’«accesso alle informazioni ambientali su richiesta». Tutto ciò al fine dichiarato di approvare un progetto che – come ivi indicato – aveva l’obiettivo di realizzare «una struttura di supporto, finalizzata alla riduzione dei tempi di accesso dei cittadini alle strutture di competenza ambientale ed al miglioramento dell’efficienza nell’erogazione dei servizi» e che - come emerge dagli elenchi delle pagine 7 ed 8 dello stesso progetto - riguardava l’informazione in ogni settore di rilievo ambientale (atmosfera, clima ed emissioni in aria; acque interne e marino costiere; conservazione della natura; rifiuti; agenti fisici; suolo e siti contaminati) e ineriva a tutti i «temi SINAnet», quali: clima, qualità dell’aria, qualità dei corpi idrici, ambiente marino costiero, inquinamento da sostanze pericolose, biodiversità, paesaggio, degradazione del suolo, inquinamento acustico, produzione rifiuti, gestione rifiuti, produzione imballaggi.

In sostanza, nel progetto approvato dal Commissario straordinario l’attenzione ai temi ambientali riguardava anche il problema dei rifiuti e del risanamento ambientale, ma tale problema era considerato soltanto quale uno dei molteplici elementi significativi della qualità dell’ambiente. Dal che consegue che – come evidenziato dai primi giudici - le risorse pubbliche affidate al Commissario straordinario per fronteggiare e risolvere l’emergenza in Campania sono state inopinatamente destinate a finanziare iniziative del tutto estranee alla risoluzione di quella situazione emergenziale.

  1. Ancora circa l’illiceità dell’iniziativa e a fronte degli specifici motivi di gravame mossi dall’appellante principale, deve evidenziarsi che non ha alcun rilievo accertare se effettivamente sussistano le anomalie evidenziate dai primi giudici in ordine al procedimento di approvazione del progetto, quali la stessa mancanza del progetto al momento della sua approvazione o la non completa corrispondenza tra le diverse stesure dell’elaborato. Trattasi, appunto, di “mere” anomalie che, in sé e per sé considerate, non segnalano elementi di devianza dai poteri conferiti al Commissario delegato, ma che costituiscono (questo sì) un sicuro sintomo di una mancata ponderazione sulla legittimità e sulla stessa fattibilità di un’iniziativa il cui indubbio rilievo economico avrebbe dovuto, di per sé, segnalare l’esigenza di valutazioni non affrettate. Va, invero, evidenziato che nell’ordinanza n. 601/2001 l’impegno finanziario a carico del Commissario veniva indicato in sei miliardi di lire (pari ad euro 3.098.741,39).

            Altrettanto privo di pregio è l’assunto secondo cui l’evento lesivo per l’erario non sarebbe imputabile al Commissario, avendo questi provveduto all’emanazione dell’ordinanza n. 601 del 2001 che integra – secondo l’appellante - «un atto preparatorio e programmatorio, dal quale non derivano obblighi vincolanti in capo alla struttura commissariale, men che meno, sotto il profilo dell’indebito esborso di danaro pubblico».

            In realtà, anche ammettendo che l’ordinanza avesse le indicate caratteristiche di atto preparatorio e programmatorio, tali connotazioni non varrebbero comunque ad escludere la responsabilità del Commissario straordinario il quale provvide, non solo all’emanazione di quell’ordinanza “programmatoria”, ma anche alla stipula della convenzione n. 94 del 31 dicembre 2001 con il Consorzio Sviluppo Tecnologie Ambientali (S.T.A.).

Con tale convenzione – della cui valenza operativa non può di certo dubitarsi (e, in effetti, non ne dubita neppure l’appellante) – il Commissario di Governo approva nuovamente il progetto denominato «Call Center Ambientale – SOS.A – S.O.S. Ambiente» presentato dal Consorzio e, a sua volta, il Consorzio si impegna a provvedere alla realizzazione delle strutture previste nel progetto anche mediante l’assunzione di almeno 100 lavoratori socialmente utili. Nella stessa convenzione: si conferma l’impegno finanziario a carico del Commissario delegato di euro 3.098.741,39, comprensivo della quota di partecipazione al capitale sociale della società mista da costituire; si fa riferimento alla normativa statale sull’impiego dei lavoratori impegnati nei lavori socialmente utili; si prevede l’obbligo del Consorzio di eseguire a perfetta regola d’arte la realizzazione del progetto, nonché di costituire una società a capitale misto a maggioranza pubblica; si prevede l’obbligo del Commissario di indicare i responsabili della parte pubblica della rappresentanza nella società mista e di individuare, d’intesa con il responsabile della parte privata, i lavoratori LSU da impegnare nelle attività di progetto.

            Anche con riferimento alla convenzione l’appellante afferma l’insussistenza – o, comunque, l’irrilevanza - delle anomalie procedurali indicate nell’impugnata sentenza (quali, un presunto errore nella protocollazione). Senonchè anche con riguardo a tali questioni deve evidenziarsi che le anomalie sono state segnalate dai primi giudici quale spia sintomatica della avventatezza e della frettolosità di una decisione che – oltre ad esorbitare dai poteri del Commissario - impegnava l’ufficio commissariale a sostenere spese di assoluto rilievo senza che ne fosse stata previamente accertata l’utilità e la congruenza con l’obiettivo di superamento dell’emergenza. In realtà, come evidenziato dai primi giudici (mediante richiamo agli esiti della Relazione Territoriale sulla Campania redatta nel 2006 dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse), «l’emergenza, pure invocata, sembra essere riferibile piuttosto alla necessità di assumere e stabilizzare una folta schiera di lavoratori socialmente utili che all’urgenza di avviare il call-center ambientale».

            In definitiva, le difese appaiono del tutto pretestuose laddove evidenziano presunte illogicità motivazionali dell’impugnata sentenza, quando in realtà i primi giudici sono giunti ad affermare l’illiceità dell’iniziativa commissariale con argomenti connotati da estrema coerenza e previa valutazione di tutti gli atti di causa.

            Né può in qualche modo apprezzarsi il richiamo agli artt. 2701 e 2697 c.c. - sulla fede privilegiata degli atti pubblici - che l’appellante utilizza per affermare che «era inibito al Collegio Territoriale finanche nutrire dubbi sull’attendibilità ed autenticità delle risultanze del registro di repertoriazione delle convenzioni». E’ evidente, infatti, che – come già evidenziato - le anomalie (a prescindere o meno dalla loro effettiva esistenza) non hanno influito sulla valutazione di illiceità dell’operazione se non ai limitati fini di segnalare elementi sintomatici di una scarsa ponderazione decisionale; senonchè l’inadeguata ponderazione risulta evidente – come anche affermato dai primi giudici – dal brevissimo volgere di tempo in cui l’iniziativa è maturata ed è divenuta operativa e, comunque, emerge con chiarezza dalla incongruenza con i poteri commissariali.

            Sul punto deve, ancora, evidenziarsi che – diversamente da quanto sostenuto dall’appellante – la liceità dell’iniziativa non può essere recuperata neppure valorizzando le disposizioni successive ai fatti di causa, quali il decreto legislativo n. 195 del 2005 («attuazione della direttiva 2003/4/CE sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale») o il decreto legge n. 263 del 2006 convertito dalla legge n. 290 del 2006 («misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania»).

            E’ vero che, come rileva l’appellante, entrambi i plessi normativi recano disposizioni sull’informazione ambientale. E’ altrettanto vero che - ai sensi dell’art. 2 del d.l. n. 263 del 2006 conv. dalla legge n. 290 del 2006 - «Il Commissario delegato … adotta, con propria ordinanza, le misure volte ad assicurare l’informazione e la partecipazione dei cittadini in conformità ai principi della "Carta di Aalborg"»; peraltro, a mente della stessa disposizione, le iniziative d’informazione sono da attuare «in collaborazione con il Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in conformità alle disposizioni del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195, e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica». In ogni caso è evidente che il tema dell’informazione ambientale è disciplinato in stretta funzionalizzazione con l’obiettivo del superamento dell’emergenza rifiuti in Campania e, quindi, la richiamata disposizione non può di certo legittimare ex post un’iniziativa che – per le ragioni sopra ampiamente esplicitate – esorbita del tutto dalla problematica dell’emergenza.

            A non diverse conclusioni conduce la “Relazione sulla gestione degli interventi straordinari in materia di smaltimento dei rifiuti in Campania” approvata dalla Sezione centrale di controllo di questa Corte con deliberazione n. 7/2002, dalla quale (come evidenziato dai primi giudici) si evince che l’organo di controllo ha censurato la circostanza che le ordinanze ministeriali avessero affidato al Commissario delegato anche «rilevanti interventi di bonifica ambientale», nonché «la formazione e l’informazione ambientale». Senonchè, tali osservazioni non erano, di certo, dirette ad avallare un ampliamento della materia della formazione e dell’informazione ambientale a tutte le questioni attinenti all’ambiente, quale quello in concreto operato dal Commissario delegato, essendo invece palesemente volte a lamentare un travalicamento delle ordinanze ministeriali dai rigidi limiti fissati dalla legge n. 225 del 1992 («istituzione del Servizio Nazionale della Protezione Civile») e, in specie, dall’art. 5 della stessa legge; travalicamento che, peraltro, poteva trovare una sua giustificazione solo riferendo quelle competenze in materia di formazione e informazione ambientale – come risulta dalle ordinanze n. 2948 e n. 3011 del 1999 – in stretta connessione con la problematica dell’emergenza rifiuti e del risanamento ambientale.

  1. Le considerazioni fin qui esposte sulla illiceità dell’iniziativa intrapresa dal Commissario di Governo conducono anche ad affermare la sussistenza dell’elemento oggettivo della responsabilità, risultando infondati i corrispondenti motivi di gravame dedotti dall’appellante principale.

Deve, innanzitutto, evidenziarsi che la devianza rispetto ai fini istituzionali già di per sé segnala la dannosità della spesa sostenuta dal Commissario straordinario per la costituzione della società mista Protezione Ambiente e Natura (P.A.N.) s.p.a., cui venne affidata la realizzazione del Call Center Ambientale S.O.S. Ambiente.

            In effetti, come rilevato dai primi giudici, l’oggetto sociale indicato nello statuto (art. 3) rispecchia fedelmente l’ampio spettro di funzioni che, come previsto nell’ordinanza n. 601/2001 e nella convenzione stipulata con il Consorzio S.T.A., dovevano essere affidate ad una società mista a prevalente partecipazione pubblica. La società P.A.N. ha, infatti, per oggetto «la gestione, la progettazione, la realizzazione e l’erogazione del servizio istituzionale dell’informazione ambientale a carico e di interesse della Pubblica Amministrazione nonché di tutte le altre attività connesse, conseguenti, collegate o funzionali a tali servizi»; in particolare, doveva occuparsi del «trattamento delle informazioni che devono essere divulgate a cura delle Autorità pubbliche e degli altri Organismi responsabili della divulgazione» e della «gestione delle applicazioni delle modalità pratiche destinate a garantire la messa a disposizione effettiva dell’informazione», garantendo «a nome e per conto della P.A. il dovere di risposta». Per raggiungere tali obiettivi la società poteva (sempre secondo quanto previsto dall’art. 3): «effettuare studi di progettazione, realizzazione, messa in opera e gestione operativa di sistemi, anche informativi, mirati alla razionalizzazione delle potenzialità già in esercizio, alla produzione di sistemi operativi …; concorrere alla progettazione, messa in opera ovvero alla gestione operativa di strutture logistiche attrezzate, impianti speciali, apparecchiature elettroniche …; curare la manutenzione di sistemi telematici ed informativi, strumentali per l’erogazione dei servizi …; prestare servizi di assistenza tecnica e funzionale, l’addestramento e la formazione … nonché ogni altra attività o servizio per l’innovazione amministrativa che prevede anche l’impiego delle tecnologie dell’informazione da parte delle imprese, amministrazioni ed enti pubblici …; svolgere studi, ricerche di nuove tecnologie e nuovi processi …».

            In sostanza, l’oggetto sociale – come esattamente evidenziato dai primi giudici – «è di amplissimo respiro» e non contiene «alcuno specifico riferimento al superamento della situazione emergenziale dei rifiuti nella regione campana». Il che conferma che le risorse pubbliche affidate al Commissario delegato per fronteggiare l’emergenza rifiuti in Campania sono state destinate a finanziare iniziative del tutto estranee al superamento della situazione emergenziale.

            L’elemento oggettivo della responsabilità emerge, poi, chiaramente dalle ragioni che hanno condotto al fallimento dell’iniziativa.

            Sul punto deve evidenziarsi che l’iniziativa della costituzione della società mista P.A.N. – oltre ad esorbitare palesemente dai poteri commissariali – è stata adottata dal Commissario straordinario in completa solitudine, senza che venissero previamente acquisiti la disponibilità e l’interesse di altri settori della Pubblica Amministrazione a partecipare ad una intrapresa che, per la sua stessa amplissima finalità, come risultante da tutti gli atti sopra esaminati, presupponeva (quanto meno) il coordinamento con gli enti istituzionalmente preposti alla protezione e all’informazione ambientale.

            In sostanza la spendita di consistenti quantità di denaro pubblico non è stata supportata da alcuna preventiva valutazione sulla concreta proficuità di un’iniziativa che – si ribadisce – esulava dai poteri commissariali, ma che comunque non può escludersi che potesse risultare utile ove fosse stata preceduta da intese con le altre istituzioni pubbliche. In altri termini non si tratta di una mera responsabilità “formale” per travalicamento dalle proprie competenze istituzionali, ma si tratta di danno effettivo e concreto determinato dal fallimento dell’iniziativa.

            Sul punto gli atti di causa sono chiarissimi.

            La copiosa documentazione del fascicolo di primo grado attesta, invero, che:

            - la notizia del progetto di un Call Center Ambientale venne diramata soltanto dal Consorzio S.T.A. con una nota del mese di dicembre del 2001 pervenuta, oltre che al Commissario per l’emergenza rifiuti, ad alcuni assessorati della Regione Campania e all’ARPAC (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Campania);

            - in esito a tale nota l’ARPAC manifestò la sua adesione al progetto con deliberazione n. 335 del 28.12.2001 per un impegno di spesa di lire 400.000.000 (pari ad euro 206.582,76);

            - non risulta dagli atti – né l’appellante ha dedotto alcunchè al riguardo – che il Commissario abbia acquisito pareri o che, comunque, abbia ricercato la collaborazione di altri organi pubblici prima di intraprendere l’iniziativa dell’approvazione del progetto di Call Center Ambientale e, soprattutto, prima di pervenire alla costituzione della società mista P.A.N.;

            - attendibilmente proprio in ragione del mancato preventivo coordinamento con altri uffici pubblici competenti nella materia ambientale, l’offerta di cessione gratuita di quote delle azioni sociali non è andata a buon fine né nei confronti della Provincia di Napoli né dell’ARPAC; in particolare, la Guardia di Finanza ha accertato che «nessuna delle cessioni disposte si è perfezionata per mancata adozione della relativa attività deliberativa da parte dei soggetti cessionari» (cfr. all. 5G alla relazione del 10 ottobre 2006);

            - dando seguito all’adesione al progetto manifestata con deliberazione n. 335 del 28.12.2001 l’ARPAC, con deliberazione n. 690 del 30.12.2002, ha affidato alla società P.A.N. «l’incarico per la realizzazione del progetto Call Center Ambientale – S.O.S.A. (S.O.S. Ambiente)», approvando l’offerta tecnico-economica presentata dalla società nel mese di ottobre 2002, ed ha riconosciuto alla P.A.N., per la progettazione esecutiva, un compenso onnicomprensivo di euro 206.582,76 (pari, cioè, all’importo impegnato con la deliberazione del 2001);

            - il Call Center Ambientale è risultato funzionante soltanto dal 1° settembre 2003 all’8 ottobre 2003 (vedi pag. 4 della relazione della Guardia di Finanza del 10.10.2006 e, in all. 10, il prospetto dei «dati operativi informambiente» forniti dalla P.A.N.);

            - nel corso del 2004 la società P.A.N. ha intrapreso azione giudiziaria contro il Commissario delegato per l’emergenza rifiuti e il Presidente del Consiglio dei Ministri chiedendo un risarcimento danni quantificati al 30 giugno 2004 in € 3.219.477,68;

- in particolare la società lamentava che: «nonostante la comunicazione inviata dalla PAN il 19.02.2002 … di ultimazione della fase di realizzazione del Call Center e delle attività connesse … il Commissario non ha provveduto a porre in essere gli adempimenti necessari all’avvio della fase successiva della convenuta gestione del progetto approvato consistente ne “Il servizio di gestione del Sistema denominato S.I.R.E.N.E.T.T.A”»; «a seguito di bando del progetto di stabilizzazione degli LSU denominato “Call Center Ambiente”» era stata costretta «per evidenti motivi di ordine sociale … ad assumere il personale dal 1 luglio 2003», con i conseguenti oneri quantificati in € 1.126.559,79 sino al 28 febbraio 2004 e in € 963.284,20 nel periodo 1°.3/30.6.2004; aveva sostenuto spese «per il fitto della sede ove sono allocati i dipendenti assunti per le attività connesse al Call Center, per oneri condominiali, per utenze … per complessivi € 99.459,48», «per consulenze e collaborazioni varie € 480.000,00», «per spese generali … € 550.174,21»;

-           con nota del 22 settembre 2006 la società ha dichiarato di rinunciare al giudizio; la rinuncia fa seguito agli ordinativi di pagamento emessi in data 3 agosto 2005 dal Commissario di Governo in favore della Capitalia Leasing & Factoring s.p.a., quale cessionaria della società P.A.N., per gli importi di euro 3.167.457,27 (quale quota capitale) e di € 253.833,50 (per spese, commissioni bancarie e interessi passivi); detti bonifici seguono ad altri pagamenti effettuati, nel corso del 2003 per il tramite della Pomigliano Ambiente s.p.a. in favore della società P.A.N. per complessivi euro 500.000,00.

            In definitiva, il Commissario delegato per l’emergenza rifiuti in Campania ha sborsato oltre 3.900.000,00 euro di cui oltre 3.600.000,00 per coprire le spese sostenute da una società rimasta sostanzialmente inattiva. E’, quindi, evidente che tale esborso integra un danno erariale, non risultando in alcun modo dagli atti che la società finanziata con denaro pubblico abbia conseguito una qualche utilità.

La difesa dell’appellante ha molto insistito, sia in primo che in secondo grado, sulla legittimità dell’assunzione dei lavoratori socialmente utili (LSU) e, quindi, sotto tale profilo, sull’assenza del danno addebitato dalla Sezione territoriale. A tal fine ha evidenziato che il ricorso ai progetti di stabilizzazione dei soggetti applicati in LSU - «per l’attuazione di interventi di … competenza» del Commissario delegato all’emergenza rifiuti nella regione Campania - è previsto, tra l’altro, dall’ordinanza ministeriale n. 2560 del 1997, che contempla anche la possibilità di adottare lo strumento della costituzione di una società mista.

            Il Collegio non intende mettere in discussione tale assunto che, effettivamente e a prescindere dalla particolarità del caso concreto, potrebbe trovare rispondenza (in via teorica) nelle disposizioni richiamate dall’appellante. Peraltro, ciò che l’appellante trascura è che il ricorso agli LSU (come evidenziato dalla Procura attrice nell’atto di citazione e dalla Sezione territoriale nell’impugnata sentenza) presuppone comunque l’applicazione di tale personale (non diversamente da qualunque altro tipo di personale) ad attività che siano programmate per il raggiungimento degli obiettivi fissati dalle norme e, quindi, nella specie, per raggiungere la finalità di fronteggiare e superare l’emergenza rifiuti in Campania.

In sostanza, la ratio della normativa sull’impiego di soggetti da adibire a lavori socialmente utili non è di certo l’assunzione fine a se stessa, al solo scopo di dare protezione sociale a persone altrimenti disoccupate, bensì quella di promuovere l’occupazione in lavori che sono «socialmente utili» in quanto diretti a sopperire ad esigenze della collettività. Ed è ovvio che l’assunzione è legittima – e, quindi, non produttiva di danno erariale – solo se si tratti effettivamente di un lavoro «socialmente utile» e vi sia una proporzione fra l’attività «socialmente utile» da svolgere e il numero dei lavoratori ad essa applicati; elementi che nel caso all’esame sono risultati del tutto carenti, tenuto conto che la società P.A.N. a prevalente partecipazione pubblica è stata costituita pressochè all’unico scopo di stabilizzare il personale LSU e - fatta eccezione per il progetto commissionato dall’ARPAC - è rimasta sostanzialmente priva di commesse.

  1. Pochi cenni sono sufficienti per confutare le argomentazioni difensive circa la pretesa insussistenza dell’elemento soggettivo della responsabilità. In effetti la colpa grave emerge da quanto fin qui argomentato sulla illiceità e la dannosità dell’iniziativa commissariale, che risulta intrapresa non solo in palese violazione dei limiti dei poteri emergenziali, ma anche omettendo una qualunque seria ponderazione sulle implicazioni che ne sarebbero derivate alla finanza pubblica. Sono significativi, al riguardo, l’estrema frettolosità delle deliberazioni e il mancato coordinamento con altre amministrazioni pubbliche per operazioni di particolare delicatezza (quali la costituzione di una società e l’assunzione di un gran numero di LSU) soprattutto in ragione del consistente impegno economico che ne derivava per l’azionista pubblico.

L’appellante sostiene che i primi giudici sarebbero pervenuti alla affermazione della sua grave colpevolezza ricorrendo al “classico teorema” del «non poteva non sapere». Senonchè, risulta chiaramente dall’impugnata sentenza che la Sezione territoriale ha vagliato la condotta del convenuto sotto ogni profilo rilevante ai fini di una ponderata valutazione, pervenendo ad affermare che «la sussistenza … della colpa grave è testimoniata dal fatto che egli non poteva non essere consapevole della propria investitura, quale organo commissariale, finalizzata alla gestione dell’emergenza …»; il che sta semplicemente a significare che il grado della colpa è stato valutato – secondo i pacifici principi giurisprudenziale in materia – tenendo conto del grado di consapevolezza che è presumibile ritenere sussistente nell’agente in ragione della professionalità, della competenza e delle specifiche attribuzioni e, quindi, quale grado di scostamento tra la condotta esigibile e la condotta in concreto tenuta.

Si tratta di valutazioni che il Collegio condivide integralmente in quanto trovano pieno avallo nelle risultanze di causa di cui si è già dato ampiamente conto. Tali risultanze escludono l’esimente – invocata dall’appellante - dell’errore professionale scusabile; e ciò per la semplice considerazione che – come argomentato sub 4 e 5 - le ordinanze sull’emergenza rifiuti e sul risanamento ambientale non si prestano a dubbi di sorta e, quindi, un fraintendimento quale quello in cui sarebbe incorso l’appellante non potrebbe che essere imputato a negligenza e imperizia gravi.

  1. Va, infine, escluso che alla produzione del danno abbiano concorso altri soggetti non chiamati in giudizio; dal che consegue l’infondatezza dei motivi di gravame dedotti dall’appellante principale sulla mancata integrazione del contraddittorio e sull’addebito del danno in via esclusiva all’unico convenuto in giudizio.

9.a       Circa la prima questione, si osserva innanzitutto che – secondo pacifica giurisprudenza e come esattamente evidenziato dai primi giudici – nella generalità delle ipotesi di responsabilità amministrativa non ricorre la situazione di litisconsorzio necessario disciplinata dall’art. 102 c.p.c., che notoriamente va circoscritta alle azioni costitutive plurisoggettive o alle azioni di condanna aventi ad oggetto prestazioni che, rispetto a più coobbligati, siano da considerare indivisibili o inscindibili. Pertanto, non sussisteva alcun obbligo di chiamare in giudizio soggetti diversi da quello convenuto dalla Procura regionale.

La chiamata in causa di altri soggetti sarebbe potuta avvenire per ordine del giudice, come previsto dall’art. 47, 2ª parte, del R.D. n. 1038 del 1933, secondo cui «l’intervento (del terzo) può essere anche ordinato dalla sezione, d’ufficio, o anche su richiesta del procuratore generale o di una delle parti»; previsione che è assimilabile a quella recata dall’art. 107 c.p.c., a mente del quale «il giudice, quando ritiene opportuno che il processo si svolga in confronto di un terzo al quale la causa è comune, ne ordina l’intervento».

E’ noto, peraltro, che – a prescindere dalla discussa compatibilità di tale istituto con il principio di terzietà e imparzialità del giudice sancito dall’art. 111, comma 2, della Costituzione – l’intervento iussu iudicis può essere disposto sulla base di valutazioni discrezionali dei giudici di primo grado che tengano conto della specificità del caso concreto. Nella specie, la Sezione territoriale ha motivato sulla inopportunità della chiamata in giudizio di altri soggetti ai sensi degli artt. 107 c.p.c. e 47 del R.D. n. 1038 del 1933, trattandosi di domanda risarcitoria che «risulta promossa con l’intera intestazione del debito erariale al solo convenuto» e, comunque, non essendo precluso al giudice di «pronunciarsi nel merito della riferibilità al convenuto dell’integrale somma riportata nell’atto introduttivo del giudizio, ovvero di altra somma che costituisca (eventualmente) danno erariale in rapporto alla condotta tenuta come fonte della “singola responsabilità” nel senso indicato dalla legge».

9.b      Circa l’addebito in via esclusiva all’unico convenuto, osserva il Collegio che in effetti – come evidenziato dai primi giudici e come risulta da quanto fin qui argomentato (in particolare, sub 7) – l’iniziativa della costituzione della società mista e del Call Center Ambientale è stata adottata dal Commissario delegato in totale solitudine, senza che sia stato neppure tentato di acquisire la disponibilità e l’interesse di altri settori della Pubblica Amministrazione.

            Non vi è dubbio, quindi, che l’evento lesivo sia imputabile esclusivamente all’appellante, il quale – diversamente da quanto da questi sostenuto – mantenne la posizione di dominus della situazione anche dopo che la società venne costituita. In effetti, le azioni in mano pubblica (il 51% del pacchetto azionario) continuarono ad essere detenute dal Commissario delegato, non essendo andata a buon fine neppure la parziale cessione a titolo gratuito ad altre amministrazioni pubbliche.

In proposito è significativo che con ordinanza n. 228 del 17 giugno 2002 il Commissario delegato provvide ad approvare lo schema di convenzione tra lo stesso Commissario e la società mista P.A.N. e dalla convenzione emergono chiaramente gli obblighi e i poteri intestati al socio pubblico che, tra l’altro, «si impegna ad individuare … le attività interessate agli interventi da affidare alla S.p.A. …» (art. 1); attività che, invece, non vennero mai individuate. Per tale ragione, tenuto conto delle inadempienze e della conseguente pressochè totale inattività della società, questa convenne in giudizio per risarcimento danni proprio il Commissario delegato e la rinuncia al giudizio avvenne solo dopo che il Commissario effettuò il pagamento degli importi di euro 3.167.457,27 e di euro 253.833,50 (che si aggiunsero ai 500.000,00 euro già in precedenza liquidati).

            E’ altresì significativo il contenuto dell’atto di citazione con il quale nel 2006 il Consorzio S.T.A. (socio privato della P.A.N.) ha convenuto in giudizio il Commissario di Governo per l’Emergenza Bonifiche e Tutela delle Acque per la Regione Campania (sorto per scissione dall’originario Commissario straordinario rifiuti, bonifiche e tutela delle acque), ove si evidenziano le ragioni delle consistenti perdite della società che sono indicate, tra l’altro, nel «ritardo nel conferimento di commesse per la stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili, in particolare le “commesse S.O.S. Ambiente”», nella «mancata formalizzazione di acquisizione di quote della Provincia di Napoli … e della Regione Campania», nel «mancato conferimento di ulteriori commesse, come da Convenzioni sottoscritte …».

9.c       Conclusivamente, non ravvisandosi altri responsabili che abbiano concorso alla produzione del danno, l’impugnata sentenza deve essere confermata anche con riguardo all’imputazione dell’intero danno al Commissario delegato per l’emergenza rifiuti.

  1. La sentenza merita conferma anche sul punto della riduzione dell’addebito. Deve, al riguardo, evidenziarsi che tale capo di pronuncia è stato fatto oggetto di gravame solo dalla parte privata la quale lamenta che vi sarebbe una incongruenza tra l’aver affermato l’illiceità dell’assunzione dei lavoratori LSU e l’aver, poi, utilizzato tale assunzione quale elemento significativo per ridurre l’addebito ai sensi dell’art. 52 del R.D. n. 1214 del 1934.

            La lamentata illogicità, in realtà, non sussiste, avendo i primi giudici valorizzato, prudenzialmente e condivisibilmente, la circostanza che l’iniziativa del Commissario – pur palesemente esorbitante dai poteri emergenziali e produttiva di danno erariale «per la sostanziale inutilità per la collettività dell’impiego degli LSU chiamati a partecipare al progetto cd. SOSA» – è stata ispirata da «finalità di stabilizzazione occupazionale … meritevole, per le ragioni solidaristiche sottostanti, di dare luogo ad equitativa riduzione dell’addebito da € 3.921.304,17 ad € 3.200.000,00, importo comprensivo di rivalutazione monetaria».

            In definitiva, la condanna va confermata nella misura di euro 3.200.000,00 comprensiva della rivalutazione monetaria intercorsa dalla data dell’evento dannoso fino alla pubblicazione della sentenza di primo grado; a tale importo vanno aggiunti – come stabilito dai primi giudici – gli interessi legali da calcolarsi dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado al soddisfo.

  1. Del tutto destituita di fondamento è, infine, la doglianza dell’appellante principale sulla condanna alle spese di giudizio che nell’impugnata sentenza sono state liquidate in euro 835,08.

E’ evidente, infatti, che l’addebito consegue alla soccombenza, essendo stato soltanto erroneamente menzionato (probabilmente per mero errore materiale) l’art. 97 c.p.c. che disciplina la responsabilità per le spese in ipotesi di più soccombenti, anziché l’art. 91 c.p.c. che riguarda il caso generale dell’unica parte soccombente.

Ovviamente, all’integrale rigetto dell’appello consegue la condanna dell’appellante principale al pagamento delle spese anche di questo grado di giudizio, come liquidate in dispositivo.

  1. La sentenza deve, invece, essere parzialmente riformata – in accoglimento dell’appello incidentale proposto dal Procuratore regionale – con riguardo alla individuazione del soggetto danneggiato.

In effetti, la condanna disposta dai primi giudici «in favore della Regione Campania» è frutto di un palese equivoco, attendibilmente originato dalla circostanza che il convenuto cumulava – nel periodo in cui si sono svolti i fatti – le funzioni di Presidente della Regione Campania con quelle di Commissario di Governo per l’emergenza rifiuti in Campania. E’ ovvio, peraltro, che l’evento dannoso è stato originato da condotte poste in essere in qualità di Commissario – e, quindi, quale delegato dal Presidente del Consiglio dei Ministri ai sensi della legge n. 225 del 1992 - e consiste nella spendita di denaro di pertinenza statale (e non regionale) quali certamente sono i fondi messi a disposizione del Commissario delegato per finanziare le misure dirette a fronteggiare l’emergenza.

Del resto, la documentazione in atti attesta – senza ombra di dubbio – che i pagamenti in favore della società P.A.N. (integranti il danno di cui è causa) provengono tutti dal Commissario di Governo.

In definitiva, l’impugnata sentenza deve essere parzialmente riformata e, per l’effetto, deve essere disposta la condanna di Antonio BASSOLINO al pagamento di euro 3.200.000,00 (oltre interessi legali come previsto in sentenza) in favore dello Stato, anziché in favore della Regione Campania.

P.Q.M.

La Corte dei conti, Sezione Seconda Giurisdizionale Centrale

1)      RESPINGE l’appello, iscritto al n. 31747, proposto da Antonio BASSOLINO avverso la sentenza della Sezione giurisdizionale per la Regione Campania n. 4174/07 del 27 dicembre 2007;

2)      ACCOGLIE l’appello, iscritto al n. 31748, proposto dal Procuratore regionale per la Campania e, per l’effetto, in riforma della sentenza della Sezione giurisdizionale per la Regione Campania n. 4174/07 del 27 dicembre 2007 dispone la condanna di Antonio BASSOLINO al pagamento di euro 3.200.000,00 (oltre interessi legali come previsto in sentenza) in favore dello Stato, anziché in favore della Regione Campania;

3)      CONDANNA Antonio BASSOLINO al pagamento delle spese che si liquidano, per questo grado di giudizio, in euro 477,76___________ euro (quattrocentosettantasette/76).

            Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 2 dicembre 2014.

            L'ESTENSORE                                       IL PRESIDENTE

         (Angela SILVERI)                                   (Stefano IMPERIALI)

f.to Angela SILVERI                                               f.to Stefano IMPERIALI

            Depositata in Segreteria il 10 mar. 2015

                                                                       IL DIRIGENTE

(dott.ssa Daniela D’Amaro)

f.to Daniela D’Amaro