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TRIBUNALE DI NOLA Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari proc. 18932 Nuova pagina 2

 

ORDINANZA  di IMPUTAZIONE COATTA

- artt. 409 c.p.p. -

 

Il Giudice, dott. Elia Taddeo,

letti gli atti del procedimento penale sopra emarginato, nei confronti di:

Romano Angelo Antonio, identificato in atti.

indagato per il reato di cui all’art.51, co.3°, D.L.vo 22/97, accertato in Brusciano l’11.12.2001.

Esaminata la richiesta di archiviazione presentata dal Pubblico Ministero, e visto il proprio decreto di fissazione di camera di consiglio;

sentite le parti intervenute all’udienza del 24.04.2003, e vista la documentazione prodotta dalla difesa alla disposta udienza camerale;

OSSERVA

Preliminarmente, deve rilevarsi che nella richiesta di archiviazione il P.M. sosteneva che gli autori dello sversamento di rifiuti erano rimasti ignoti; tale assunto non è condivisibile, visto che si tratta di rifiuti abbandonati su area di proprietà comunale in base ad ordinanza contingibile ed urgente adottata prima, e reiterata poi, da soggetti che hanno retto il Comune di Brusciano.

Passiamo alla ricostruzione dei fatti.

L’11.12.01 la P.G. procedeva al sequestro d’urgenza (poi convalidato da questo Gip) di un’area, di proprietà del Comune di Brusciano, che era stata adibita - con ordinanza, ex art.13 D. L.vo 22/97, del Commissario Straordinario nominato per il Comune di Brusciano - a sito provvisorio di stoccaggio dei rifiuti solidi urbani, a seguito della sussistenza di una situazione, eccezionale ed urgente, di necessità di tutelare la salute pubblica e l’ambiente, nonché dell’impossibilità di provvedere altrimenti (noti fatti del sequestro della discarica Paenzano2 di Tufino).

In tale area, però, oltre agli RSU stoccati, vi erano altri cumuli di rifiuti (anche pericolosi), che il Comune abbandonava in maniera incontrollata; per la precisione, il sopralluogo ARPAC del 28.02.2002 consentiva di individuare ben tre gruppi di rifiuti collocati (sempre nell’ambito della medesima area) in diverse zone: zona A): RSU (in ingente quantità); zona B): rifiuti ingombranti domestici (in ingente quantità); zona C): rifiuti speciali e pericolosi.

Come già evidenziato nell’ordinanza-decreto di convalida ed emissione di sequestro preventivo della suddetta area, deve ricordarsi la possibilità per il giudice ordinario di sindacare, e disapplicare, l’atto amministrativo illegittimo che possa determinare una lesione di diritti soggettivi (cfr. Cass. sez. un. 17.02.1987 n.3, Giordano); tale principio deve ritenersi pienamente applicabile (cfr., tra le altre, Cass. 23.3.1994 n.3511, Cerchiara; Cass. 15.11.1999 n.2304, Aloise) anche nei confronti delle ordinanze contingibili ed urgenti ex art.13 d. lgs.22/97, le quali – solo se legittime – acquistano il valore di scriminanti speciali rispetto a condotte normalmente costituenti reato (es. discarica non autorizzata; smaltimento non autorizzato di rifiuti). Tale principio deve ritenersi particolarmente rilevante in una materia come quella in questione, ove l’art.2 D. L.vo 22/97 fissa il principio dell’effettività della protezione ambientale, ponendo la salute e l’ambiente come valori assolutamente prioritari, e non disponibili, neppure da soggetti pubblici con provvedimenti che operino un bilanciamento discrezionale degli interessi che acquistano rilievo nel caso di specie. Il tutto nel solco di quella recente giurisprudenza che, sempre più, accorda tutela incondizionata ai diritti fondamentali riconosciuti dalle norme precettive (e, di certo, non meramente programmatiche) della Costituzione (salute art.32; ambiente art.9); diritti soggettivi, cioè, insuscettibili di essere affievoliti dalla P.A. sulla base della considerazione di altri confliggenti interessi.

Di conseguenza, nel momento in cui il pubblico amministratore individua –nell’ambito di un’ordinanza contingibile ed urgente – le speciali forme di gestione dei rifiuti di cui all’art.13 D. L.vo 22/97, in quello stesso momento deve dimostrare di aver valutato il prioritario interesse alla garanzia di un elevato livello di tutela della salute e dell’ambiente (art.13 co.1°, citato); ciò è espressamente previsto in evidente ossequio all’art.2 citato (nonché all’art.5 del medesimo decreto legislativo: lo smaltimento deve essere effettuato in condizioni di sicurezza). Ne consegue, che la norma di cui all’art.13 deve essere letta nel senso che, dovendosi garantire tale elevato livello di tutela, nell’emettere l’ordinanza non è sufficiente verificare la sussistenza di tutti i presupposti di legge per l’attivazione del potere extra ordinem, ma occorre operare in modo tale che, in concreto, tale potere sia esercitato in maniera compatibile e rispettosa delle esigenze ambientali e della salute.

Ne deriva per il giudice penale un più penetrante dovere di controllo sul rispetto di quei limiti, e quei vincoli, che presiedono al potere di emanazione dell’ordinanza; un controllo, cioè, sulla legittimità della stessa complessivamente intesa, al fine di garantire i diritti alla salute ed all’ambiente, che costituiscono i beni tutelati dalle norme penali in materia di rifiuti, e che potrebbero essere lesi da un’ordinanza ex art.13 che non si faccia carico di procedere, in concreto, alla garanzia di quell’elevato livello di tutela (cfr. Cass. sez. III 25.10.2000 (ud. 19.9.00), Bartone, in Ambiente n.3/2001, pg.287, 288; Cass., sez. III, 14.4.98 n.377, P.M. in Proc. Rizzi, in CED 210511).

In altri termini, ove si accerti che la P.A., nell’individuare la particolare forma di gestione dei rifiuti indicata nell’ordinanza contingibile ed urgente, non si è, però, preoccupata di garantire, in concreto, condizioni di tutela della salute e dell’ambiente – determinando, di conseguenza, un rischio per l’acqua, il suolo, l’aria ecc., o, addirittura, un rischio di inquinamento dei siti – dovranno configurarsi gli estremi, non solo del reato di smaltimento non autorizzato di rifiuti (art.51, co.1°, d. lgs.22/97), ma, eventualmente, anche quello di cui all’art.51 bis d. lgs.22/97 per inquinamento o pericolo di inquinamento, oppure ancora, in presenza dei relativi requisiti, quello di discarica abusiva di cui all’art.51, co.3°, medesimo decreto.

Tutto ciò non significa sindacare il merito amministrativo, ossia il tipo di scelta di smaltimento adottata in via d’urgenza e necessità da parte della P.A., bensì controllare se la stessa si è fatta carico, in concreto, di adeguare la sua scelta alle prioritarie esigenze di salute ed ambiente.

Orbene, nell’ordinanza ex art. 13 in questione non era disposto alcunché di concreto per evitare i rischi prima ricordati; ed, infatti, il Commissario Straordinario (dott. Di Martino) si limitava ad assegnare in maniera generica all’UTC il compito di individuare tutti gli interventi ritenuti necessari a garantire la salvaguardia dell’ambiente, dimostrando, così, di non aver direttamente, e concretamente, provveduto all’adozione delle misure che dovevano garantire l’elevato livello di tutela di salute ed ambiente (v. punto n.2 dell’ordine contenuto nell’ordinanza citata del 22.01.01).

Tale colposa condotta del Commissario Straordinario, il quale in sostanza affidava ad altri quanto doveva essere da lui puntualmente specificato, consentiva – a chi provvedeva, poi, alle operazioni materiali – la realizzazione di uno stoccaggio provvisorio dei rifiuti solidi urbani del Comune di Brusciano in aperta violazione dell’art.2 co.2 d. lgs.22/97, in quanto compiuto, anzitutto in un’area già adibita dal Comune all’abbandono incontrollato di rifiuti anche pericolosi (così aggravando le condizioni di un’area comunale ove già si provvedeva ad un illecito smaltimento di rifiuti anche pericolosi), e poi con modalità che potevano recare pregiudizio all’ambiente.

In particolare, i rifiuti venivano riversati (si ripete: a causa della colposa condotta del Commissario che non fissava condizioni precise a tutela della salute e dell’ambiente, in modo da vincolare gli esecutori materiali dello smaltimento) con modalità che presentavano, chiaramente, rischi per il suolo interessato, per l’aria e per la salute delle persone (parte dei rifiuti, infatti, veniva scaricata direttamente sul terreno non impermeabilizzato, e senza alcuna protezione del suolo; i rifiuti, inoltre, non erano stati coperti).

A fronte dell’illegittimità dell’ordinanza ex art.13 D. Lgs.22/97 del Comune di Brusciano, e quindi dell’impossibilità per la stessa di svolgere la funzione di causa speciale di giustificazione, residua una condotta di illecito smaltimento che, avendo portato all’abbandono di un’ingente quantità di rifiuti in un’ampia area già interessata da altri fenomeni di abbandono incontrollato di rifiuti (anche pericolosi) da parte del medesimo Comune, ha determinato la creazione di una vera e propria discarica abusiva. Ed, infatti, l’area, recintata e dotata di cancello d’ingresso, era molto ampia, e da tempo era adibita dal Comune ad illecita attività di smaltimento di rifiuti, la cui quantità era, ormai, ingente; la realizzazione di tutto ciò, inoltre, richiedeva, evidentemente, un’organizzazione tutt’altro che rudimentale di mezzi e persone destinate alla gestione di un’attività che, nonostante le sicure intenzioni non criminose del Comune, era stata posta in essere in assenza delle necessarie autorizzazioni, ed in modo sicuramente colposo.

Non si ignora l’esistenza di giurisprudenza della suprema corte che limita la verifica sui requisiti di legittimità dell’ordinanza all’accertamento formale dell’esistenza di una motivazione adeguata, lasciando, così, intendere che il giudice penale non possa sindacare il bilanciamento degli interessi operato dal Sindaco nell’esercizio del suo potere discrezionale. Tale giurisprudenza, però, non appare condivisibile, in quanto: da un lato, non consente quel penetrante controllo dell’A.G. sull’azione della P.A., permettendo, così, alla stessa di poter negativamente incidere su diritti fondamentali della persona; dall’altro lato, finisce per ritenere che l’ordinanza ex art.13 possa derogare, non solo alla necessità dell’autorizzazione regionale per la scelta di smaltimento adottato, ma anche al fondamentale principio dell’effettività della protezione ambientale (di cui all’art.2 D. Lgs.22/97), che pone la salute e l’ambiente come valori assolutamente prioritari.

Tanto ritenuto in diritto, occorre, però, evidenziare in ordine alla posizione dell’indagato che tutto questo avviene anteriormente all’elezione dello stesso a Sindaco di Brusciano, risalente al maggio 2001.

Successivamente alla sua elezione, l’indagato, pur essendo ben consapevole dello stato dell’area, non adottava alcun provvedimento concreto per eliminare lo stato di fatto; solo in data 29.10.01 (ossia dopo la scadenza dei sei mesi di durata legale ordinaria ex art.13 co.1° d. lgs.22/97), il Sindaco del Comune di Brusciano, dr. Romano, prendeva l’iniziativa di reiterare l’originaria ordinanza ex art.13.  Dagli atti emerge, altresì, che l’indagato non ha compiuto altri atti di illecito smaltimento; ed, infatti, risulta che l’ultimo atto di riversamento di rifiuti nell’area risale al marzo 2001.  In sostanza, l’unico atto adottato dal Sindaco (che, per il resto, si è attivato per la rimozione dei rifiuti a seguito dell’intervento dell’A.G. che sequestrava il sito) è stata la reiterazione di un’ordinanza illegittima, ossia un atto che (indipendentemente dalla questione della possibilità di reiterare un provvedimento dopo il venir meno della sua efficacia temporale) non può che essere illegittimo, mirando a far proseguire gli effetti di un precedente provvedimento a sua volta illegittimo.

Ne consegue che l’indagato non ha, in alcun modo, inciso con la sua condotta sulla creazione della discarica; ed, infatti, la giurisprudenza prevalente della suprema corte ritiene che, di regola, i reati in materia di discarica abusiva possano essere compiuti solo con condotte di natura commissiva, dovendosi, invece, escludere responsabilità penale in presenza di comportamenti meramente omissivi ed inerti, per quanto consapevoli dello stato di fatto, a fronte della realizzazione del reato da parte di terzi (cfr., giurisprudenza prevalente a partire da Cass. sez. un. 28.12.1994 n.12753, Zaccarelli). Sul punto, pertanto, gli atti andranno trasmessi in Procura con notizia di reato a carico del Commissario Straordinario, e quanti con lui hanno concorso, o cooperato, per la realizzazione e la gestione della discarica.

La condotta omissiva ed inerte dell’indagato, però, non può andare esente da rilievi di carattere penale; ed, infatti, nel momento in cui assumeva la carica di Sindaco, il Romano si trovava di fronte ad una situazione di pericolo di inquinamento di un’area di proprietà comunale, creata dai precedenti rappresentati dell’ente territoriale. Tutto ciò doveva indurlo ad attivarsi per eliminare tale pericolo che – vedremo poi – era concreto ed attuale. L’indagato, invece, contribuiva, con la sua condotta inerte ed omissiva (fatta di iniziale inerzia assoluta e, successivamente, di una proroga illegittima dell’iniziale ordinanza ex art.13, che in nulla modificava lo stato del sito), ad aggravare il pericolo concreto ed attuale di inquinamento; ed, infatti, è nozione di comune esperienza quella secondo la quale, più passa il tempo di deposito diretto sul suolo di rifiuti non inerti (ossia suscettibili di significative trasformazioni fisiche, chimiche o biologiche) più aumenta il pericolo che gli stessi rilascino sostanze inquinanti. In altri termini, mentre l’inerzia dell’indagato non lo rende responsabile per la discarica abusiva, la sua inerzia ha contribuito ad aggravare lo stato di pericolo concreto ed attuale di inquinamento; in particolare, la situazione di pericolo creata anche dall’indagato, doveva indurlo ad attivare gli adempimenti procedimentalizzati dall’art.17, co.2°, lett.a), b), c), D. Lgs.22/97, ed, invece, l’indagato assumeva una condotta del tutto inattiva, quando avrebbe dovuto, viceversa, “darsi subito da fare, sin dall’elezione, per rimuove la fonte di pericolo”. Ciò induce a configurare, a carico dell’indagato, la responsabilità per il reato di cui all’art.51 bis D. Lgs.22/97; sul punto, non è fuori luogo ricordare che la giurisprudenza dalla suprema corte ha ritenuto che la contravvenzione in questione sia un reato omissivo di pericolo presunto che si consuma ove il soggetto non proceda all’adempimento dell’obbligo di bonifica secondo le cadenze procedimentali di cui all’art.17 decreto citato (cfr. Cass., sez.III, 28 aprile – 7 giugno 2000 n.1783, Pizzuti, in Cassazione Penale, del settembre 2002 n.957).

In ordine all’esistenza del pericolo richiesto dalla citata norma incriminatrice, la sentenza citata recita: “…per ritenere sussistente detto pericolo occorrerà pure la presenza di valori di concentrazione prossimi a quelli limite in modo da escludere ogni dubbio circa la latitudine del precetto, ancorando a dati teoricamente e scientificamente certi la possibilità del superamento di detti limiti” (cfr. Cass., sez.III, 28 aprile – 7 giugno 2000 n.1783, Pizzuti, in Cassazione Penale, del settembre 2002, n.957, a pg.2883 della rivista).

Passando al caso di specie, occorre considerare che gli esami compiuti dall’ARPAC hanno dimostrato che i valori delle sostanze inquinanti presenti nell’area (pur non superandoli) erano molto vicini ai limiti massimi di tollerabilità (oltre i quali vi è inquinamento); anzi, il valore del Rame nel rapporto di prova R.G.7117 del 23.05.02 era pari al limite massimo, ossia 120 mg/Kg s.s. (in pratica da 121 mg/Kg il sito doveva ritenersi inquinato). Altro elemento da considerare, che pure contribuisce a definire il quadro di pericolo concreto ed attuale, è dato dalla tracimazione del percolato da uno dei pozzetti raccolta (v. relazione sopralluogo ARPAC del 28.02.2002).

Non è fuori luogo ricordare, infine: 1) che nella procedura attivata, il thema decidendum che investe il GIP non si modella sulla base di una specifica domanda, bensì sulla base delle risultanze processuali, donde da queste il giudice può trarre elementi per disporre la formulazione dell’imputazione in ordine ad ulteriori fatti costituenti reato (così: Cass.11.5.94, Rubino); 2) che in caso di imputazione coatta del GIP, il P.M. non è tenuto all’avviso di conclusione indagini ex art.415 bis c.p.p. (v., tra l’altro, ordinanza della Corte Costituzionale 19.11.2002 n.460, in D&G n.44 del 14.12.02, pg.67).

P.Q.M.

Dispone, ai sensi dell’art.409 co. 5° cpp, che il P.M., entro dieci giorni, formuli, nei confronti dell’identificato Romano Angelo Antonio, l’imputazione per il reato di cui all’art.51 bis D Lgs.22/97, in relazione alla condotta omissiva indicata in parte motiva.

Dispone la trasmissione degli atti in Procura sede, al fine di valutare la sussistenza del reato di discarica abusiva nei confronti Commissario Straordinario del Comune di Brusciano (dott. Di Martino), nonché di quanti altri abbiano in concreto contribuito a tale illecito.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di competenza

Nola, 08.05.2003

                                         

                                             Il Giudice

 

                                                                             dott. Elia Taddeo            

 

 

 

 

Depositato in Cancelleria il _____________________