TAR Friuli Sez. I n. 134 del 24 aprile 2017
Rifiuti.Interdittiva antimafia

L’emissione della misura interdittiva antimafia pare preclusa dal fatto che, in assenza di diverse e/o ulteriori valutazioni, la condanna a pena condizionalmente sospesa non può costituire in alcun caso, di per sé sola, motivo per l'applicazione di misure di prevenzione, né d'impedimento all'accesso a posti di lavoro pubblici o privati tranne i casi specificamente previsti dalla legge, né per il diniego di concessioni, di licenze o di autorizzazioni necessarie per svolgere attività lavorativa. Il Giudice amministrativo, accogliendo la tesi della difesa, applica il principio della prevalenza del Codice Penale e conferisce privilegio al precetto dell’art. 166, comma 2, c.p. (segnalazione di G. TAPETTO)


Pubblicato il 24/04/2017

N. 00134/2017 REG.PROV.COLL.

N. 00188/2016 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 188 del 2016, proposto da:
Ecosol Friuli s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Paolo Dell'Agnolo e Remo Anzovino, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Alessandra Dapas in Trieste, via Coroneo 31/2;

contro

Ministero dell'Interno - U.T.G./Prefettura di Pordenone, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Trieste, presso la quale è, del pari, per legge domiciliato in Trieste, piazza Dalmazia 3;

nei confronti di

Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Trieste, presso la quale è, del pari, per legge domiciliato in Trieste, piazza Dalmazia 3;

per l'annullamento e/o declaratoria di nullità, previa sospensione cautelare

- della comunicazione antimafia interdittiva prot. n. 0012430 dd. 28.04.2016, notificata il 29.04.2016, nonché di ogni altro atto comunque connesso per presupposizione e/o consequenzialità, anche se non conosciuto;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno - Prefettura di Pordenone e del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 aprile 2017 la dott.ssa Manuela Sinigoi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

La società Ecosol Friuli s.r.l., impresa autorizzata al recupero e alla preparazione per il riciclaggio di materiale plastico per la produzione di materie prime plastiche e resine sintetiche, iscritta, sin dal 2002, all’Albo nazionale gestori ambientali – sezione regionale presso la CCIAA di Trieste, nella categoria 2 (raccolta e trasporto di rifiuti non pericolosi), classe F (quantità annua complessivamente trattata inferiore a 3.000 tonnellate), ha contestato la legittimità, invocandone l’annullamento, previa sospensione cautelare, della comunicazione antimafia interdittiva prot. n. 0012430 dd. 28.04.2016 emessa dalla Prefettura di Pordenone, a seguito della quale la Sezione regionale per il Friuli Venezia Giulia dell’Albo Nazionale Gestori Ambientali ha avviato nei suoi confronti il procedimento disciplinare di cancellazione dell’iscrizione.

La ricorrente – che espone che il provvedimento gravato è stato emesso in applicazione dell’art. 67, comma 8, del d.lgs. n. 159/2011 per la riscontrata sussistenza di una sentenza di condanna ex art. 444 c.p.p. per il reato di cui agli artt. 110 c.p. e 260 del d.lgs. 152 del 2006 a carico dell’amministratore unico e legale rappresentante della società, sig. Ugo Sandre (GUP Tribunale di Trieste n. 520/2014 in data 07.07.2014) – lamenta, in particolare, che l’Autorità procedente ha trascurato di considerare che, con la detta sentenza, nel frattempo divenuta definitiva, al signor Sandre, pur essendo stata inflitta la pena, concesse le attenuanti generiche, di un anno di reclusione, è stato, tuttavia, concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena medesima.

Il ricorso è affidato ai seguenti mezzi:

1. “Violazione di legge (art. 25 Cost., art. 11 Preleggi, art. 2 c.p. , art. 1 legge n. 689/1981, art. 1 legge n. 241/1990). Eccesso di potere”.

Secondo la ricorrente la misura interdittiva avrebbe carattere afflittivo e sanzionatorio (andrebbe qualificata quale sanzione accessoria o sanzione amministrativa interdittiva) e non potrebbe, in quanto tale, essere applicata a fatti verificatisi prima dell’entrata in vigore della norma di cui è stata fatta applicazione nel caso specifico e ciò in virtù del principio di irretroattività della norma penale. Incide anche sulla tutela dell’affidamento.

2. “Violazione di legge per falsa applicazione dell’art. 166 c.p.. Falsa e/o errata applicazione dell’art. 67 d.lgs. n. 159/2011. Eccesso di potere per difetto di istruttoria”.

Secondo la ricorrente la sospensione condizionale della pena disposta nel caso specifico sarebbe ostativa all’emissione della misura interdittiva de quo e ciò in base al disposto dell’art. 166, c. 2, c.p., che preclude, tra l’altro, che la condanna a pena condizionalmente sospesa possa costituire, di per sé sola, motivo per il diniego di autorizzazioni, iscrizioni e simili necessarie per svolgere attività lavorativa.

3. “Violazione di legge per falsa e/o errata applicazione dell’art. 67, commi 1 e 8, del d.lgs. n. 159/2011. Nullità per difetto assoluto di attribuzione ex art. 21-septies l. 241/1990 – Eccesso di potere per manifesta illogicità e erronea e travisata valutazione dei presupposti. In subordine, questione di legittimità costituzionale dell’art. 67 del Codice antimafia in relazione agli artt. 2, 3, 25 e 41 della Costituzione, nonché all’art. 7 CEDU”.

La ricorrente deduce che il giudizio di pericolosità sociale necessariamente sotteso alla emissione della misura interdittiva non avrebbe potuto prescindere dall’esito di analogo giudizio già formulato nei confronti del signor Sandre in sede penale, conclusosi – rammenta – con la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.

Rileva, inoltre, che il signor Sandre non è stato destinatario di alcuna misura di prevenzione (tra l’altro incompatibile con la sospensione condizionale della pena), il che non consente di ritenere integrata la fattispecie di cui all’art. 67, comma 8, del d.lgs. n. 159/2011, che, nel rinviare ai commi 1, 2 e 4, richiede anche tale ulteriore presupposto.

Per le argomentazioni già svolte nell’ambito del primo motivo di gravame, prospetta, infine, il possibile conflitto della norma applicata nel caso specifico con i principi di cui agli artt. 2, 25 e 41 della Costituzione e 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, anche in relazione al contrasto con l’art. 166 c.p, quanto meno sotto il profilo della ragionevolezza e proporzionalità.

4. “Violazione di legge (artt. 84 e 88 d.lgs. n. 159/2011, nonché art. 3 legge n. 241/1990). Eccesso di potere per difetto di istruttoria, carenza di motivazione, manifesta illogicità, travisamento dei fatti e dei presupposti per l’adozione della comunicazione antimafia interdittiva. Violazione del principio di proporzionalità”.

La ricorrente contesta la sussistenza delle condizioni per l’emissione dell’interdittiva antimafia e ritiene, anzi, di essere in possesso di tutti i requisiti per poter ottenere la relativa certificazione. Lamenta, inoltre, il difetto di istruttoria, il travisamento dei fatti e la carenza di motivazione, nonché la violazione del principio di proporzionalità.

Il Ministero dell’Interno, costituito, ha controdedotto nel merito e concluso per la reiezione del ricorso e della preliminare istanza incidentale di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato.

Il controinteressato Ministero della Tutela del Territorio e del Mare si è costituito con memoria di stile.

Dopo l’avvenuta concessione a parte ricorrente della misura cautelare invocata (ord. caut. n. 49 in data 13 luglio 2016), la causa è stata chiamata alla pubblica udienza del 5 aprile 2017, in vista della quale la ricorrente e il Ministero intimato hanno affidato alle rispettive memorie le loro conclusive difese. Hanno, poi, fatto seguito le relative repliche.

Celebrata l’udienza, l’affare è stato introitato per la decisione.

Il ricorso è fondato per le ragioni già sinteticamente evidenziate nella fase cautelare, che qui di seguito si ribadiscono e ulteriormente sviluppano.

Il Collegio ritiene, invero, che assuma carattere dirimente la disposizione di cui all’art. 166, comma 2, c.p., laddove, nel disciplinare gli effetti della sospensione condizionale della pena, stabilisce, a chiare lettere, che “la condanna a pena condizionalmente sospesa non può costituire in alcun caso, di per sé sola, motivo per l'applicazione di misure di prevenzione, né d'impedimento all'accesso a posti di lavoro pubblici o privati tranne i casi specificamente previsti dalla legge, né per il diniego di concessioni, di licenze o di autorizzazioni necessarie per svolgere attività lavorativa”.

Orbene, non pare potersi dubitare del fatto che l’interdittiva impugnata, andando ad incidere, precludendola, sull’iscrizione della società ricorrente all’Albo nazionale dei gestori ambientali di cui all’art. 212, comma 5 e ss., del d.lgs. 3 aprile 1992, n. 152, si traduce, di fatto, in un impedimento ad ottenere (in caso di richiesta di “nuova” iscrizione per una categoria e/o classe diverse da quelle attuali) o, comunque, a mantenere (in caso di avvio, come nella fattispecie in esame, di procedimento disciplinare di cancellazione) un’autorizzazione di natura personale necessaria allo svolgimento di attività lavorativa.

Si rammenta, invero, che, a norma di legge, “l'iscrizione all'Albo è requisito per lo svolgimento delle attività di raccolta e trasporto di rifiuti, di bonifica dei siti, di bonifica dei beni contenenti amianto, di commercio ed intermediazione dei rifiuti senza detenzione dei rifiuti stessi…” (comma 5) e che “l'iscrizione deve essere rinnovata ogni cinque anni e costituisce titolo per l'esercizio delle attività di raccolta, di trasporto, di commercio e di intermediazione dei rifiuti; per le altre attività l'iscrizione abilita allo svolgimento delle attività medesime” (comma 6).

L’art. 10, comma 2, lett. f), del d.m. 3 giugno 2014, n. 120 stabilisce, poi, che per l’iscrizione all’Albo non devono sussistere nei confronti dei soggetti richiedenti “le cause di divieto, di decadenza o di sospensione di cui all'articolo 67 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159”.

Ecco, dunque, che non può assolutamente trascurarsi di considerare la portata della sospensione condizionale della pena agli effetti di cui all’art. 67 del d.lgs. n. 159/2011.

Infatti, è ben vero che l’art. 67, comma 8, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 stabilisce che le disposizioni dei commi 1, 2 e 4 (ovvero quelle che precludono alle persone alle quali sia stata applicata con provvedimento definitivo una delle misure di prevenzione previste dal libro I, titolo I, capo II l’ottenimento di licenze, autorizzazioni e simili o, in genere, di altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio, o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali e/o che ne prevedono la decadenza di diritto al verificarsi del medesimo presupposto) “si applicano anche nei confronti delle persone condannate con sentenza definitiva o, ancorché non definitiva, confermata in grado di appello, per uno dei delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale”.

Così come è vero che il legale rappresentante della società ricorrente, sig. Ugo Sandre, è stato condannato ex art. 444 c.p.p. per un reato rientrante tra quelli considerati ex lege“ostativi” al loro ottenimento.

E’ altrettanto vero, però, che l’Autorità, nell’applicazione di tale norma, non può prescindere di prendere in considerazione, nel caso concreto, la portata della disposizione penale dianzi indicata, essendo evidente che la disciplina dettata dal codice penale non può essere in alcun modo derogata da una norma dettata per altre finalità, che non si pone rispetto ad essa in rapporto di specialità, ma, anzi, necessariamente la presuppone.

Va da sé, quindi, che, laddove sia stato concesso, come nel caso in esame, il beneficio in questione, l’emissione della misura interdittiva antimafia pare, in effetti, preclusa dal fatto che, in assenza di diverse e/o ulteriori valutazioni, “la condanna a pena condizionalmente sospesa non può costituire in alcun caso, di per sé sola, motivo per l'applicazione di misure di prevenzione, né d'impedimento all'accesso a posti di lavoro pubblici o privati tranne i casi specificamente previsti dalla legge, né per il diniego di concessioni, di licenze o di autorizzazioni necessarie per svolgere attività lavorativa”.

In definitiva, il II motivo di gravame è fondato.

Assorbite tutte le ulteriori doglianze svolte, dal cui eventuale accoglimento parte ricorrente non potrebbe, in ogni caso, trarre alcuna ulteriore utilità, il ricorso va, pertanto, accolto, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura indicata in dispositivo nei rapporti tra il Ministero dell’Interno e la ricorrente. Possono essere, invece, compensate per il resto.

Ai sensi di legge, il Ministero intimato sarà, inoltre, tenuto a rimborsare alla ricorrente (all’atto del passaggio in giudicato della sentenza), ai sensi dell’art. 13, comma 6 bis.1, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, come modificato dall’art. 21 della L. 4 agosto 2006, n. 248, il contributo unificato nella misura versata.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia, Sezione I, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie per le ragioni di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.

Condanna il Ministero dell’Interno al pagamento a favore della ricorrente delle spese di lite, che vengono liquidate in complessivi € 1.500,00, oltre IVA e CPA. Le compensa per il resto.

Dà atto che il Ministero sarà, inoltre, tenuto a rimborsare alla ricorrente medesima (all’atto del passaggio in giudicato della sentenza), ai sensi dell’art. 13, comma 6 bis.1, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, come modificato dall’art. 21 della L. 4 agosto 2006, n. 248, il contributo unificato nella misura versata.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 5 aprile 2017 con l'intervento dei magistrati:

Oria Settesoldi, Presidente

Manuela Sinigoi, Consigliere, Estensore

Alessandra Tagliasacchi, Referendario

         
         
L'ESTENSORE        IL PRESIDENTE
Manuela Sinigoi        Oria Settesoldi