Sez. 3, Sentenza n. 18199 del 07/04/2005 Ud. (dep. 17/05/2005 ) Rv. 231526
Presidente: Zumbo A. Estensore: Petti C. Relatore: Petti C. Imputato: Tomassetti. P.M. Patrone I. (Diff.)
(Dichiara inammissibile, App. Torino, 18 Dicembre 2002)
EDILIZIA - COSTRUZIONE EDILIZIA - In assenza del permesso di costruire - Ulteriore inosservanza dell\'ordine di sospensione di lavori - Concorso fra le due violazioni - Possibilità - Fondamento.

La costruzione in assenza del preventivo permesso di costruire e la inosservanza dell\'ordine di sospensione dei lavori costituiscono due diverse ipotesi di reato che possono concorre stante la diversità degli interessi tutelati, atteso che la costruzione in assenza del permesso è lesiva dell\'interesse ad una ordinata pianificazione e trasformazione urbanistica del territorio, mentre l\'inosservanza dell\'ordine di sospensione è lesiva del potere di autotutela della P.A.. (massima Fonte CED Cassazione)

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. ZUMBO Antonio - Presidente - del 07/04/2005
Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere - SENTENZA
Dott. PETTI Ciro - Consigliere - N. 695
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. SARNO Giulio - Consigliere - N. 13726/2003
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
difensore di TOMASSETTI Valerio, nato a Casalicontrada (Ch) il 15 novembre del 1953;
avverso la sentenza della corte d\'appello di Torino del 18 dicembre 2002;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Ciro Petti;
sentito il P.M. nella persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio, il quale ha con concluso per l\'annullamento con rinvio;
sentito il difensore avv. GREPPI Giuseppe, il quale ha concluso per l\'accoglimento di ricorso;
letti il ricorso e l\'ordinanza denunciata.
Osserva quanto segue:
FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 18 febbraio del 2002, la corte d\'appello di Torino, in parziale riforma di quella pronunciata dal tribunale di Asti, concesse le circostanze attenuanti generiche, riduceva la pena inflitta a Tomassetti Valerio a mesi uno di arresto ed euro 6000,00 di ammenda, quale responsabile dei reati di cui all\'art. 20 lett. b) legge n. 47 del 1985 per avere, in totale difformità dalla concessione, che prevedeva la costruzione di un manufatto per ricovero attrezzi, edificato un fabbricato di circa 155 mq oltre ad un piano interrato nonché per avere, dopo l\'ordinanza di sospensione dei lavori emessa dal sindaco, proseguito le opere costruendo un muro perimetrale, effettuando lavori di tramezzatura al piano interrato ed altre opere. Reati accertati il 26 settembre del 1998. Nella sentenza impugnata il fatto veniva riassunto nella maniera seguente. Il 21 maggio del 1996, la Polizia Municipale di Castagnole di Canelli, in sede di sopralluogo presso l\'immobile di proprietà di Tomassetti Valerio, accertò che questi, titolare di concessione edilizia n. 3203 dell\'11.7.95, rilasciata il 24.7.95 per la costruzione di un ricovero attrezzi agricoli, aveva invece realizzato un fabbricato in totale difformità dalla concessione e dal piano regolatore, che non consentiva di edificare in zona agricola. Il manufatto era composto da un pianterreno e da un piano interrato chiuso da tutti i lati e non accessibile, presumibilmente usato come intercapedine del piano terra. Il 29 maggio del 1996 il sindaco emise ordinanza di sospensione dei lavori ed il 12 luglio successivo ordine di demolizione. Il 26 settembre del 1998, nel corso di un secondo sopralluogo, la Polizia Municipale accertò che i lavori erano continuati nonostante l\'ordine di sospensione. In particolare era stato realizzato un muretto dell\'altezza di circa un metro;era stato aperto un varco nella soletta per accedere al piano interrato tramite una scala e nel piano interrato erano state fatte delle tramezze in cemento,con ripartizione di tutta la superficie in tre vani. Sul posto c\'era una betoniera, dei fari per illuminare l\'area dei lavori, ed attrezzature da muratore. Il Tomassetti, presente al momento del sopralluogo, negò di avere violato l\'ordinanza sindacale, asserendo che si trattava soltanto di lavori di manutenzione della struttura esistente e che egli era stato costretto a costruire il muretto per impedire infiltrazioni di acqua provenienti dalla soletta sovrastante. Quanto alle altre opere, sostenne che esse erano state già edificate all\'epoca del primo sopralluogo.. Di conseguenza, in relazione ad esse, il reato doveva considerarsi prescritto. A fondamento della decisione il Collegio osservava che la tesi del prevenuto era contraddetta dalle testimonianze, dalla documentazione fotografica, e dalla logica: invero le caratteristiche strutturali del muretto, quali evidenziate dalla foto n. 2, portavano ad escludere che esso avesse funzione di mera manutenzione e di protezione dalle infiltrazioni d\'acqua e a ritenere invece che l\'opera fosse destinata a completare la struttura della costruzione;
che tale conclusione era ulteriormente avvalorata dalla presenza di travi in appoggio alla costruzione e di una betoniera nonché di fari per illuminare l\'area dei lavori ;che dalle risultanze processuali emergeva che il Tomassetti, dopo l\'ordinanza di sospensione dei lavori, aveva ripreso l\'attività\' costruttiva, che era in pieno svolgimento al momento del secondo sopralluogo;che la tesi del prevenuto in ordine alla non configurabilità della continuazione tra i due reati era infondata trattandosi di fatti dolosi preordinati al completamento dell\'opera;che il reato non si era prescritto avuto riguardo al periodo durante il quale il dibattimento era rimasto sospeso per impedimento dell\'imputato o del difensore;che l\'ordine di demolizione andava confermato.
Ricorre per Cassazione l\'imputato, tramite il proprio difensore, sulla base di quattro motivi.
DIRITTO
Con il primo motivo il difensore impugna l\'ordinanza della Corte con cui si era respinta l\'eccezione di nullità del decreto di citazione in appello. Il ricorrente assume che era stata più volte dichiarata la nullità del decreto di citazione a giudizio davanti alla corte d\'appello per le irritualità della notificazione, irritualità imputabili, secondo il difensore, a ritardi nel recapito delle cartoline di ricevimento; che in occasione della citazione per il 20 novembre del 2002 l\'ufficiale giudiziario aveva dichiarato "di non avere reperito il destinatario al domicilio dichiarato"; che in quest\'ultima circostanza la corte territoriale, dichiarata la nullità del decreto di citazione per omessa notificazione e preso atto della dichiarazione dell\'ufficiale giudiziario,aveva disposto che il decreto di citazione per l\'udienza del 18 dicembre del 2002 fosse notificato seduta stante al difensore presente in aula per mezzo del cancelliere; che l\'eccezione di nullità di tale notificazione, avanzata all\'udienza del 18 dicembre del 2002, era stata respinta dalla corte. Tanto premesso,deduce la violazione dell\'art.. 178 lett. c) c.p.p. e dell\'art. 161, quarto comma, c.p.p., con riferimento all\'articolo 606 lett. c) c.p.p.. Sostiene che l\'indicazione dell\'ufficiale giudiziario di non avere reperito il destinatario della citazione all\'indirizzo dichiarato, era del tutto insufficiente a far ritenere inidoneo un domicilio presso il quale erano state effettuate una serie di notificazioni in tempi ravvicinati. In tale situazione la Corte territoriale aveva il compito di verificare se il contenuto della relata di notifica fosse tale da determinare effettivamente la convinzione della intervenuta inidoneità del domicilio dichiarato dall\'imputato, ovvero se il suo mancato reperimento fosse semplice conseguenza di un errore dell\'Ufficiale Giudiziario incaricato della notifica, con conseguente necessità di provvedere a nuova notifica presso tale domicilio. La corte, invece, anziché accertare l\'impossibilità della notificazione al domicilio, aveva esternato un giudizio di inidoneità sopravvenuta del domicilio dichiarato, del tutto estraneo al contenuto dell\'art. 161 quarto comma, c.p.p., il quale prevede la notifica al difensore nel momento in cui è impossibile quella nel domicilio dichiarato o eletto.
Con il secondo motivo inquadrato nell\'ipotesi dell\'art. 606 lett. c) c.p.p. eccepisce la violazione dell\'art. 178 lett. c) c.p.p. e dell\'art. 148 c.p.p. Sostiene che illegittimamente il decreto di citazione a giudizio era stato notificato al difensore, presente in udienza a cura del cancelliere, posto che l\'art. 148 c.p.p. non prevede alcun potere di notifica in capo al cancelliere: gli organi delle notificazioni sono l\'ufficiale giudiziario, chi esercita le funzioni di ufficiale giudiziario (tipo messi di conciliazione) e la polizia giudiziaria su espresso incarico del giudice o del P.M.. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell\'art. 81, secondo comma c.p., e degli artt. 531 c.p.p., in relazione agli art. 20 lett. b) e 157 n. 5 e 158 c.p.., nonché difetto e
contraddittorietà della motivazione, il tutto con riferimento al mezzo d\'annullamento di cui all\'art. 606 lettere, b) ed e). Sostiene che le modifiche apportate al capo di imputazione all\'udienza del 10 dicembre 1998 integrano in realtà la contestazione di un nuovo fatto reato, la cui rilevanza doveva essere considerata in sè, unitamente alla contestata violazione dell\'ordine di sospensione dei lavori. All\'esito dell\'istruttoria doveva essere pacifica la modestia degli interventi eseguiti e la loro strumentalità per la conservazione dell\'immobile. Detti interventi potevano essere valutati, quanto a rilevanza penale, nell\'ambito della contestazione relativa all\'attività svolta dopo l\'ordine di sospensione dei lavori, ma in nessun modo potevano implicare un\' ulteriore condotta da inquadrare nel capo b) dell\'imputazione, cioè come opere costruite in totale difformità dalla concessione edilizia rilasciata e neppure come continuazione della condotta originariamente contestata. I giudici del merito, fuorviati dalla presenza nel piano interrato di manufatti non considerati all\'epoca del primo sopralluogo (quando tale piano era inaccessibile c.d. a causa di detta inaccessibilità), hanno inquadrato le opere realizzate in violazione dell\'ordine di sospensione come continuazione della condotta contestata a proposito dell\'abuso edilizio, con la conseguenza di una condanna per entrambe i capi di imputazione e della necessità di ordinare la rimessione in pristino dell\'edificio. In tal modo è stata affermata una continuazione tra contravvenzioni (abuso edilizio e violazione dell\'ordine di sospensione lavori), punite a titolo di colpa, del tutto inusuale ed avversata dalla prevalente giurisprudenza. La Corte d\'appello sul punto ha motivato in maniera illogica nella parte in cui ha ritenuto che la scala fosse stata costruita dopo la sospensione dei lavori, perché non si è resa conto
dell\'impossibilità tecnica di costruire la scala in epoca successiva alla realizzazione del piano interrato. La condotta relativa alla realizzazione delle opere in totale difformità dalla concessione era in realtà cessata con l\'ordine di sospensione dei lavori ed il sequestro del cantiere, poiché già in tale momento erano presenti tutte le opere poi rilevate al piano interrato. L\'intervento successivo all\'ordinanza di sospensione dei lavori non integra alcun reato, trattandosi di opere di mera manutenzione.
Con il quarto motivo deduce la violazione dell\'art. 20 lett. b della legge 47/85, in relazione alle opere constatate e contestate dopo la sospensione dei lavori; mancanza ed illogicità della motivazione in relazione all\'art. 606 lett. b) e c) c.p.p. Assume che con riferimento alla condotta successiva al sequestro, la motivazione della Corte d\'appello sarebbe carente e contraddittoria nella parte in cui nega la volontà dell\'imputato di limitare il proprio intervento alla conservazione dell\'esistente, mediante le opere provvisionali necessarie (muretto volto ad evitare infiltrazioni,copertura con teli di plastica e accesso al piano interrato, mediante apertura di un varco volto a consentire lo svuotamento dall\'acqua infiltratasi). L\'esistenza di una betoniera (non un camion con betoniera) non modifica la finalità dell\'opera poiché la betoniera in questione era necessaria per preparare una cariola di malta per volta da impiegare nell\'attività manutentiva. Non poteva quindi ravvisarsi l\'elemento materiale dell\'art. 20 lett. b) nella parte in cui punisce la prosecuzione dei lavori dopo l\'ordine di sospensione da parte dell\'autorità amministrativa. Una corretta interpretazione della norma conduce a ritenerla applicabile alla sola ipotesi in cui la prosecuzione dei lavori investa il manufatto principale.
Il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi. Premesso che non si dubita che quello indicato nel decreto di citazione a giudizio fosse il domicilio a suo tempo dichiarato, si rileva che la corte territoriale legittimamente sulla base della relata dell\'ufficiale giudiziario ha disposto la notificazione al difensore a norma dell\'articolo 161 c.p.p., essendo divenuta impossibile la notificazione al domicilio dichiarato. Invero la notificazione al domicilio dichiarato si considera impossibile quando non esiste più alcun collegamento tra la persona del destinatario ed il domicilio dichiarato. Nella fattispecie il presidente della corte,dopo avere constatato che diverse notificazioni del decreto di citazione a giudizio effettuate per mezzo del servizio postale erano risultate infruttuose perché la posta non veniva recapitata al domicilio dichiarato ne\' ritirata presso l\'ufficio postale a seguito di rituale avviso, ordinò che la notificazione fosse effettuata per mezzo dell\'ufficiale giudiziario. Questi,recatosi sul posto, nella relata di notifica non ha affermato (come si legge nel ricorso ed in parte anche nell\'ordinanza della corte) che il destinatario non era stato rinvenuto al domicilio dichiaratola ha precisato che "quel nominativo non era stato rinvenuto", il che sta a significare che non v\'era più alcun collegamento tra il nominativo del destinatario ed il domicilio dichiarato. L\'eccezione di nullità si fonda quindi su un\'erronea lettura della relata di notifica. Affermare invero che il destinatario dell\'atto non è stato trovato al domicilio dichiarato, potrebbe anche significare che lo stesso,pur conservando quella residenza,era temporaneamente assente in quel momento. Sostenere invece che il nominativo del destinatario non è stato rinvenuto al domicilio indicato nell\'atto significa che il destinatario non abitava più in quel luogo e quindi che non esiste più alcun collegamento tra la persona destinataria dell\'atto e quel domicilio. Quest\'ultima interpretazione è avvalorata dal fatto che in precedenza le notifiche effettuate al domicilio dichiarato per mezzo del servizio postale, come sopra precisato, avevano avuto esito negativo. Non sussistendo quindi alcun collegamento tra il domicilio dichiarato ed il nominativo del destinatario dell\'atto, legittimamente il decreto di citazione a giudizio è stato consegnato al difensore a norma dell\'art. 161 c.p.p.
Con riferimento al secondo motivo si osserva che contrariamente all\'assunto del ricorrente, il quarto comma dell\'articolo 148 dispone che "la consegna diretta dell\'atto all\'interessato da parte della cancelleria ha valore di notificazione". Trattasi, come sottolineato dalla dottrina, di un tipico esempio attuativo di quella semplificazione del sistema delle notificazioni alla quale la legge delega (art. 2 n. 9) ha fatto chiaro appello precettivo. In questa consegna diretta, alternativa alla notificazione, si realizza peraltro la completa identificazione tra conoscenza legale e conoscenza effettiva. Pertanto la consegna diretto dell\'atto, da parte della cancelleria, al difensore di fiducia destinatario della notificazione, si deve ritenere legittima perché ammessa dall\'ultimo comma dell\'articolo 148 c.p.p.
Con riguardo agli ultimi due motivi, premesso che in fatto la corte territoriale ha accertato che i lavori erano proseguiti anche dopo l\'ordinanza di sospensione, che non si trattava di opere di mera manutenzione e che sul punto la motivazione non presenta incoerenze logiche, si osserva che, secondo l\'orientamento di questa Corte, la costruzione in assenza di concessione e l\'inosservanza dell\'ordine di sospensione dei lavori costituiscono due diverse ipotesi di illecito penale che possono coesistere, dando luogo ad un concorso materiale di reati poiché violano distinti interessi penalmente tutelati:infatti ciascuna delle due violazioni presenta elementi obiettivi e subiettivi diversi rispetto all\'altra, poiché la costruzione in assenza di concessione è lesiva dell\'interesse ad un\'ordinata trasformazione urbanistica del territorio mentre l\'inosservanza dell\'ordine di sospensione dei lavori è lesiva del potere di autotutela della pubblica amministrazione in materia urbanistica (Cass. n. 11102 del 1988).
Il reato di prosecuzione dei lavori, nonostante l\'ordine di sospensione, ha natura permanente come il reato di costruzione senza concessione d\'attività criminosa inizia con la notificazione dell\'ordine e cessa con la cessazione dei lavori. Tra il reato in questione e quello di costruzione abusiva è configurabile la continuazione allorché sotto il profilo intenzionale i due fatti siano espressione di un unico disegno criminoso, come accertato dal giudice del merito nella fattispecie.
Va infine ribadito che, una volta emesso l\'ordine di demolizione da parte del sindaco, qualsiasi nuovo intervento sulla costruzione abusiva, deve considerarsi illecito, anche se trattasi di opere per le quali non è richiesto alcun titolo abilitativo (Cass.: 13 dicembre 1995 Mignacca).
L\'inammissibilità del ricorso impedisce di dichiarare la prescrizione maturata dopo la decisione impugnata secondo l\'orientamento di questa Corte (cfr da ultimo Cass. Sez. Un. n. 32 del 2000, De Luca) nonché di prendere in esame l\'istanza di condono prodotta all\'odierna udienza, giacché in caso d\'inammissibilità genetica dell\'impugnazione resta preclusa l\'applicabilità di disposizioni più favorevoli (Cass. sez. 3^ 979 del 2004). Dall\'inammissibilità del ricorso discende l\'obbligo di pagare le spese processuali e di versare una somma, che stimasi equo determinare in euro 500,00, in favore della Cassa delle Ammende, non sussistendo alcuna ipotesi di carenza di colpa del ricorrente nella determinazione della causa d\'inammissibilità secondo l\'orientamento espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 186 del 2000. P.Q.M.
LA CORTE
Letto l\'art. 616 c.p.p.;
DICHIARA inammissibile i ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro 500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 7 aprile 2005.
Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2005

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica Dott. ZUMBO Antonio - Presidente - del 07/04/2005 Dott. ONORATO Pierluigi - Consigliere - SENTENZA Dott. PETTI Ciro - Consigliere - N. 695 Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - REGISTRO GENERALE Dott. SARNO Giulio - Consigliere - N. 13726/2003 ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: difensore di TOMASSETTI Valerio, nato a Casalicontrada (Ch) il 15 novembre del 1953; avverso la sentenza della corte d\'appello di Torino del 18 dicembre 2002; udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Ciro Petti; sentito il P.M. nella persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio, il quale ha con concluso per l\'annullamento con rinvio; sentito il difensore avv. GREPPI Giuseppe, il quale ha concluso per l\'accoglimento di ricorso; letti il ricorso e l\'ordinanza denunciata. Osserva quanto segue: FATTO E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con sentenza del 18 febbraio del 2002, la corte d\'appello di Torino, in parziale riforma di quella pronunciata dal tribunale di Asti, concesse le circostanze attenuanti generiche, riduceva la pena inflitta a Tomassetti Valerio a mesi uno di arresto ed euro 6000,00 di ammenda, quale responsabile dei reati di cui all\'art. 20 lett. b) legge n. 47 del 1985 per avere, in totale difformità dalla concessione, che prevedeva la costruzione di un manufatto per ricovero attrezzi, edificato un fabbricato di circa 155 mq oltre ad un piano interrato nonché per avere, dopo l\'ordinanza di sospensione dei lavori emessa dal sindaco, proseguito le opere costruendo un muro perimetrale, effettuando lavori di tramezzatura al piano interrato ed altre opere. Reati accertati il 26 settembre del 1998. Nella sentenza impugnata il fatto veniva riassunto nella maniera seguente. Il 21 maggio del 1996, la Polizia Municipale di Castagnole di Canelli, in sede di sopralluogo presso l\'immobile di proprietà di Tomassetti Valerio, accertò che questi, titolare di concessione edilizia n. 3203 dell\'11.7.95, rilasciata il 24.7.95 per la costruzione di un ricovero attrezzi agricoli, aveva invece realizzato un fabbricato in totale difformità dalla concessione e dal piano regolatore, che non consentiva di edificare in zona agricola. Il manufatto era composto da un pianterreno e da un piano interrato chiuso da tutti i lati e non accessibile, presumibilmente usato come intercapedine del piano terra. Il 29 maggio del 1996 il sindaco emise ordinanza di sospensione dei lavori ed il 12 luglio successivo ordine di demolizione. Il 26 settembre del 1998, nel corso di un secondo sopralluogo, la Polizia Municipale accertò che i lavori erano continuati nonostante l\'ordine di sospensione. In particolare era stato realizzato un muretto dell\'altezza di circa un metro;era stato aperto un varco nella soletta per accedere al piano interrato tramite una scala e nel piano interrato erano state fatte delle tramezze in cemento,con ripartizione di tutta la superficie in tre vani. Sul posto c\'era una betoniera, dei fari per illuminare l\'area dei lavori, ed attrezzature da muratore. Il Tomassetti, presente al momento del sopralluogo, negò di avere violato l\'ordinanza sindacale, asserendo che si trattava soltanto di lavori di manutenzione della struttura esistente e che egli era stato costretto a costruire il muretto per impedire infiltrazioni di acqua provenienti dalla soletta sovrastante. Quanto alle altre opere, sostenne che esse erano state già edificate all\'epoca del primo sopralluogo.. Di conseguenza, in relazione ad esse, il reato doveva considerarsi prescritto. A fondamento della decisione il Collegio osservava che la tesi del prevenuto era contraddetta dalle testimonianze, dalla documentazione fotografica, e dalla logica: invero le caratteristiche strutturali del muretto, quali evidenziate dalla foto n. 2, portavano ad escludere che esso avesse funzione di mera manutenzione e di protezione dalle infiltrazioni d\'acqua e a ritenere invece che l\'opera fosse destinata a completare la struttura della costruzione; che tale conclusione era ulteriormente avvalorata dalla presenza di travi in appoggio alla costruzione e di una betoniera nonché di fari per illuminare l\'area dei lavori ;che dalle risultanze processuali emergeva che il Tomassetti, dopo l\'ordinanza di sospensione dei lavori, aveva ripreso l\'attività\' costruttiva, che era in pieno svolgimento al momento del secondo sopralluogo;che la tesi del prevenuto in ordine alla non configurabilità della continuazione tra i due reati era infondata trattandosi di fatti dolosi preordinati al completamento dell\'opera;che il reato non si era prescritto avuto riguardo al periodo durante il quale il dibattimento era rimasto sospeso per impedimento dell\'imputato o del difensore;che l\'ordine di demolizione andava confermato. Ricorre per Cassazione l\'imputato, tramite il proprio difensore, sulla base di quattro motivi. DIRITTO Con il primo motivo il difensore impugna l\'ordinanza della Corte con cui si era respinta l\'eccezione di nullità del decreto di citazione in appello. Il ricorrente assume che era stata più volte dichiarata la nullità del decreto di citazione a giudizio davanti alla corte d\'appello per le irritualità della notificazione, irritualità imputabili, secondo il difensore, a ritardi nel recapito delle cartoline di ricevimento; che in occasione della citazione per il 20 novembre del 2002 l\'ufficiale giudiziario aveva dichiarato "di non avere reperito il destinatario al domicilio dichiarato"; che in quest\'ultima circostanza la corte territoriale, dichiarata la nullità del decreto di citazione per omessa notificazione e preso atto della dichiarazione dell\'ufficiale giudiziario,aveva disposto che il decreto di citazione per l\'udienza del 18 dicembre del 2002 fosse notificato seduta stante al difensore presente in aula per mezzo del cancelliere; che l\'eccezione di nullità di tale notificazione, avanzata all\'udienza del 18 dicembre del 2002, era stata respinta dalla corte. Tanto premesso,deduce la violazione dell\'art.. 178 lett. c) c.p.p. e dell\'art. 161, quarto comma, c.p.p., con riferimento all\'articolo 606 lett. c) c.p.p.. Sostiene che l\'indicazione dell\'ufficiale giudiziario di non avere reperito il destinatario della citazione all\'indirizzo dichiarato, era del tutto insufficiente a far ritenere inidoneo un domicilio presso il quale erano state effettuate una serie di notificazioni in tempi ravvicinati. In tale situazione la Corte territoriale aveva il compito di verificare se il contenuto della relata di notifica fosse tale da determinare effettivamente la convinzione della intervenuta inidoneità del domicilio dichiarato dall\'imputato, ovvero se il suo mancato reperimento fosse semplice conseguenza di un errore dell\'Ufficiale Giudiziario incaricato della notifica, con conseguente necessità di provvedere a nuova notifica presso tale domicilio. La corte, invece, anziché accertare l\'impossibilità della notificazione al domicilio, aveva esternato un giudizio di inidoneità sopravvenuta del domicilio dichiarato, del tutto estraneo al contenuto dell\'art. 161 quarto comma, c.p.p., il quale prevede la notifica al difensore nel momento in cui è impossibile quella nel domicilio dichiarato o eletto. Con il secondo motivo inquadrato nell\'ipotesi dell\'art. 606 lett. c) c.p.p. eccepisce la violazione dell\'art. 178 lett. c) c.p.p. e dell\'art. 148 c.p.p. Sostiene che illegittimamente il decreto di citazione a giudizio era stato notificato al difensore, presente in udienza a cura del cancelliere, posto che l\'art. 148 c.p.p. non prevede alcun potere di notifica in capo al cancelliere: gli organi delle notificazioni sono l\'ufficiale giudiziario, chi esercita le funzioni di ufficiale giudiziario (tipo messi di conciliazione) e la polizia giudiziaria su espresso incarico del giudice o del P.M.. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell\'art. 81, secondo comma c.p., e degli artt. 531 c.p.p., in relazione agli art. 20 lett. b) e 157 n. 5 e 158 c.p.., nonché difetto e contraddittorietà della motivazione, il tutto con riferimento al mezzo d\'annullamento di cui all\'art. 606 lettere, b) ed e). Sostiene che le modifiche apportate al capo di imputazione all\'udienza del 10 dicembre 1998 integrano in realtà la contestazione di un nuovo fatto reato, la cui rilevanza doveva essere considerata in sè, unitamente alla contestata violazione dell\'ordine di sospensione dei lavori. All\'esito dell\'istruttoria doveva essere pacifica la modestia degli interventi eseguiti e la loro strumentalità per la conservazione dell\'immobile. Detti interventi potevano essere valutati, quanto a rilevanza penale, nell\'ambito della contestazione relativa all\'attività svolta dopo l\'ordine di sospensione dei lavori, ma in nessun modo potevano implicare un\' ulteriore condotta da inquadrare nel capo b) dell\'imputazione, cioè come opere costruite in totale difformità dalla concessione edilizia rilasciata e neppure come continuazione della condotta originariamente contestata. I giudici del merito, fuorviati dalla presenza nel piano interrato di manufatti non considerati all\'epoca del primo sopralluogo (quando tale piano era inaccessibile c.d. a causa di detta inaccessibilità), hanno inquadrato le opere realizzate in violazione dell\'ordine di sospensione come continuazione della condotta contestata a proposito dell\'abuso edilizio, con la conseguenza di una condanna per entrambe i capi di imputazione e della necessità di ordinare la rimessione in pristino dell\'edificio. In tal modo è stata affermata una continuazione tra contravvenzioni (abuso edilizio e violazione dell\'ordine di sospensione lavori), punite a titolo di colpa, del tutto inusuale ed avversata dalla prevalente giurisprudenza. La Corte d\'appello sul punto ha motivato in maniera illogica nella parte in cui ha ritenuto che la scala fosse stata costruita dopo la sospensione dei lavori, perché non si è resa conto dell\'impossibilità tecnica di costruire la scala in epoca successiva alla realizzazione del piano interrato. La condotta relativa alla realizzazione delle opere in totale difformità dalla concessione era in realtà cessata con l\'ordine di sospensione dei lavori ed il sequestro del cantiere, poiché già in tale momento erano presenti tutte le opere poi rilevate al piano interrato. L\'intervento successivo all\'ordinanza di sospensione dei lavori non integra alcun reato, trattandosi di opere di mera manutenzione. Con il quarto motivo deduce la violazione dell\'art. 20 lett. b della legge 47/85, in relazione alle opere constatate e contestate dopo la sospensione dei lavori; mancanza ed illogicità della motivazione in relazione all\'art. 606 lett. b) e c) c.p.p. Assume che con riferimento alla condotta successiva al sequestro, la motivazione della Corte d\'appello sarebbe carente e contraddittoria nella parte in cui nega la volontà dell\'imputato di limitare il proprio intervento alla conservazione dell\'esistente, mediante le opere provvisionali necessarie (muretto volto ad evitare infiltrazioni,copertura con teli di plastica e accesso al piano interrato, mediante apertura di un varco volto a consentire lo svuotamento dall\'acqua infiltratasi). L\'esistenza di una betoniera (non un camion con betoniera) non modifica la finalità dell\'opera poiché la betoniera in questione era necessaria per preparare una cariola di malta per volta da impiegare nell\'attività manutentiva. Non poteva quindi ravvisarsi l\'elemento materiale dell\'art. 20 lett. b) nella parte in cui punisce la prosecuzione dei lavori dopo l\'ordine di sospensione da parte dell\'autorità amministrativa. Una corretta interpretazione della norma conduce a ritenerla applicabile alla sola ipotesi in cui la prosecuzione dei lavori investa il manufatto principale. Il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi. Premesso che non si dubita che quello indicato nel decreto di citazione a giudizio fosse il domicilio a suo tempo dichiarato, si rileva che la corte territoriale legittimamente sulla base della relata dell\'ufficiale giudiziario ha disposto la notificazione al difensore a norma dell\'articolo 161 c.p.p., essendo divenuta impossibile la notificazione al domicilio dichiarato. Invero la notificazione al domicilio dichiarato si considera impossibile quando non esiste più alcun collegamento tra la persona del destinatario ed il domicilio dichiarato. Nella fattispecie il presidente della corte,dopo avere constatato che diverse notificazioni del decreto di citazione a giudizio effettuate per mezzo del servizio postale erano risultate infruttuose perché la posta non veniva recapitata al domicilio dichiarato ne\' ritirata presso l\'ufficio postale a seguito di rituale avviso, ordinò che la notificazione fosse effettuata per mezzo dell\'ufficiale giudiziario. Questi,recatosi sul posto, nella relata di notifica non ha affermato (come si legge nel ricorso ed in parte anche nell\'ordinanza della corte) che il destinatario non era stato rinvenuto al domicilio dichiaratola ha precisato che "quel nominativo non era stato rinvenuto", il che sta a significare che non v\'era più alcun collegamento tra il nominativo del destinatario ed il domicilio dichiarato. L\'eccezione di nullità si fonda quindi su un\'erronea lettura della relata di notifica. Affermare invero che il destinatario dell\'atto non è stato trovato al domicilio dichiarato, potrebbe anche significare che lo stesso,pur conservando quella residenza,era temporaneamente assente in quel momento. Sostenere invece che il nominativo del destinatario non è stato rinvenuto al domicilio indicato nell\'atto significa che il destinatario non abitava più in quel luogo e quindi che non esiste più alcun collegamento tra la persona destinataria dell\'atto e quel domicilio. Quest\'ultima interpretazione è avvalorata dal fatto che in precedenza le notifiche effettuate al domicilio dichiarato per mezzo del servizio postale, come sopra precisato, avevano avuto esito negativo. Non sussistendo quindi alcun collegamento tra il domicilio dichiarato ed il nominativo del destinatario dell\'atto, legittimamente il decreto di citazione a giudizio è stato consegnato al difensore a norma dell\'art. 161 c.p.p. Con riferimento al secondo motivo si osserva che contrariamente all\'assunto del ricorrente, il quarto comma dell\'articolo 148 dispone che "la consegna diretta dell\'atto all\'interessato da parte della cancelleria ha valore di notificazione". Trattasi, come sottolineato dalla dottrina, di un tipico esempio attuativo di quella semplificazione del sistema delle notificazioni alla quale la legge delega (art. 2 n. 9) ha fatto chiaro appello precettivo. In questa consegna diretta, alternativa alla notificazione, si realizza peraltro la completa identificazione tra conoscenza legale e conoscenza effettiva. Pertanto la consegna diretto dell\'atto, da parte della cancelleria, al difensore di fiducia destinatario della notificazione, si deve ritenere legittima perché ammessa dall\'ultimo comma dell\'articolo 148 c.p.p. Con riguardo agli ultimi due motivi, premesso che in fatto la corte territoriale ha accertato che i lavori erano proseguiti anche dopo l\'ordinanza di sospensione, che non si trattava di opere di mera manutenzione e che sul punto la motivazione non presenta incoerenze logiche, si osserva che, secondo l\'orientamento di questa Corte, la costruzione in assenza di concessione e l\'inosservanza dell\'ordine di sospensione dei lavori costituiscono due diverse ipotesi di illecito penale che possono coesistere, dando luogo ad un concorso materiale di reati poiché violano distinti interessi penalmente tutelati:infatti ciascuna delle due violazioni presenta elementi obiettivi e subiettivi diversi rispetto all\'altra, poiché la costruzione in assenza di concessione è lesiva dell\'interesse ad un\'ordinata trasformazione urbanistica del territorio mentre l\'inosservanza dell\'ordine di sospensione dei lavori è lesiva del potere di autotutela della pubblica amministrazione in materia urbanistica (Cass. n. 11102 del 1988). Il reato di prosecuzione dei lavori, nonostante l\'ordine di sospensione, ha natura permanente come il reato di costruzione senza concessione d\'attività criminosa inizia con la notificazione dell\'ordine e cessa con la cessazione dei lavori. Tra il reato in questione e quello di costruzione abusiva è configurabile la continuazione allorché sotto il profilo intenzionale i due fatti siano espressione di un unico disegno criminoso, come accertato dal giudice del merito nella fattispecie. Va infine ribadito che, una volta emesso l\'ordine di demolizione da parte del sindaco, qualsiasi nuovo intervento sulla costruzione abusiva, deve considerarsi illecito, anche se trattasi di opere per le quali non è richiesto alcun titolo abilitativo (Cass.: 13 dicembre 1995 Mignacca). L\'inammissibilità del ricorso impedisce di dichiarare la prescrizione maturata dopo la decisione impugnata secondo l\'orientamento di questa Corte (cfr da ultimo Cass. Sez. Un. n. 32 del 2000, De Luca) nonché di prendere in esame l\'istanza di condono prodotta all\'odierna udienza, giacché in caso d\'inammissibilità genetica dell\'impugnazione resta preclusa l\'applicabilità di disposizioni più favorevoli (Cass. sez. 3^ 979 del 2004). Dall\'inammissibilità del ricorso discende l\'obbligo di pagare le spese processuali e di versare una somma, che stimasi equo determinare in euro 500,00, in favore della Cassa delle Ammende, non sussistendo alcuna ipotesi di carenza di colpa del ricorrente nella determinazione della causa d\'inammissibilità secondo l\'orientamento espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 186 del 2000. P.Q.M. LA CORTE Letto l\'art. 616 c.p.p.; DICHIARA inammissibile i ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro 500,00 in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 7 aprile 2005. Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2005