Cass. Sez. III n.4974 del 31 gennaio 2008 (Cc 17 dicembre 2007)
Pres. Lupo Est. marini Ric. Spaccialbelli
Urbanistica. Lottizzazione abusiva e campeggio

Con la pronuncia in oggetto, relativa a ricorso avverso provvedimento di sequestro preventivo, la Corte ha ritenuto sussistere il “fumus” del reato di lottizzazione abusiva laddove una struttura adibita a campeggio, sia pure debitamente autorizzata, venga radicalmente mutata, per effetto di opere edilizie non autorizzate e di roulotte posizionate stabilmente a terra e, dunque, non più agevolmente trasportabili, in uno stabile insediamento abitativo di rilevante impatto negativo sull’assetto territoriale; ha in particolare precisato, quanto alla prospettata incompatibilità tra l’intervenuta autorizzazione alla attività di campeggio e la sua riconducibilità all’interno della norma di cui all’art. 44 lett. c) del dPR n. 380 del 2001, come detti interventi siano plausibilmente tali da privare l’area delle caratteristiche proprie di “campeggio”, per sua natura funzionale a servire turisti con permanenza temporanea e provvisti di mezzi ordinariamente trasportabili. (fonte Corte di cassazione)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Uditi i difensori, Avv. Renato ARCHIDIACONO e Giuseppe LA GRECA, che hanno concluso per l'accoglimento del ricorso.

RILEVA

Quale legale rappresentante della "Roma Gest Srl", società titolare del campeggio "Seven Star" situato sul litorale di Latina, il Sig. Spaccialbelli ricorre tramite i propri difensori avverso l'ordinanza 30 luglio 2007 con cui il Tribunale di Latina in sede di riesame ha confermato il sequestro preventivo dell'area su cui insiste il campeggio e dei relativi immobili e annessi ordinato dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Latina su istanza della locale Procura della Repubblica. Il sequestro è stato disposto in relazione all'ipotesi di reato di lottizzazione abusiva prevista dall'art.44, lett.c) del d.P.R. 6 giugno 2001, n.380.

Secondo la complessa e diffusa motivazione dell'ordinanza impugnata, il sequestro preventivo sarebbe giustificato sulla base delle risultanze degli accertamenti in loco compiuti dalla polizia giudiziaria e della consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero. Dagli atti di indagine, infatti, emergerebbe che in esito ad una complessa vicenda amministrativa i responsabili del campeggio non solo non avrebbero rimosso del tutto le accertate situazioni di contrasto con la normativa urbanistica ed edilizia, ma avrebbero dato corso alla trasformazione delle originarie ed essenziali caratteristiche del campeggio consentendo la creazione di vere e proprie unità abitative connotate di permanenza e stabilità; in tal modo avrebbero causato, in assenza di atti autorizzativi, una radicale e non temporanea trasformazione del territorio e così dato corso ad una vera e propria lottizzazione abusiva.

L'ampio e argomentato ricorso si articola su tre fondamentali motivi.

Con primo motivo si lamenta violazione dell'art.606, lett.b), c) ed e) c.p.p. in relazione agli artt.405, comma secondo e 407, comma terzo c.p.p, per essere il provvedimento cautelare fondato sugli esiti di un atto di indagine viziato da inutilizzabilità.

Rileva il ricorrente che il procedimento in cui sono stati svolti gli atti di indagine (n.2050/2005 RG PM) vedeva l'iscrizione come persona soggetta ad indagine della sola Sig.ra Cadoni Giuseppina in relazione alle violazioni previste dagli artt.44, lett.b) del d.P.R. 6 giugno 2001, n.380 e 181 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n.42. Le ipotesi di reato avanzate dalla procura della Repubblica riguardavano, dunque, presunte edificazioni eseguite senza autorizzazione in area soggetta a vincolo paesaggistico. Successivamente alla iscrizione dell'unica indagata, il pubblico ministero non avrebbe richiesto al giudice alcuna proroga del termine come previsto dall'art.406 c.p.p., con la conseguenza che tutti gli atti di indagine compiuti in epoca successiva sono travolti da radicale inutilizzabilità, ai sensi dell'art.407, comma terzo c.p.p. Tale dovrebbe essere la sorte della consulenza che il pubblico ministero ha disposto in data 26 febbraio 2007 e la cui relazione è stata depositata il 10 luglio 2007. Ora, sempre secondo la prospettazione difensiva, è evidente che solo le risultanze di tale consulenza fondano la iscrizione per ipotesi di lottizzazione abusiva del Sig. Spaccialbelli nel registro ex art. 335 c.p.p., avvenuta mediante la apertura di separato procedimento (n.6201/2007 RG PM), poi riunito all'originario proc.2050/2005, e, soprattutto, fondano le premesse del sequestro preventivo.

Da quanto esposto discenderebbe che la misura cautelare è fondata esclusivamente su un atto d'indagine inutilizzabile e che erroneamente il Tribunale di Latina ha omesso di disporre il suo annullamento.

Con secondo motivo il ricorrente contesta la sussistenza del "fumus" di reato. Lamenta, infatti, violazione e difetto di motivazione con riferimento agli artt.30 e 44 d.P.R. 6 giugno 2001, n.380 e art.1 della legge regionale Lazio n.34 del 1974.

Rileva, in particolare, che l'esistenza di una lottizzazione non è stata mai presa in considerazione dallo stesso pubblico ministero nel corso delle indagini compiute nel procedimento n.2050/2005 e che analoga valutazione è stata compiuta dalle autorità amministrative più volte intervenute, con la conseguenza che appare davvero assurdo che tale ipotesi venga avanzata dopo che il ricorrente ha provveduto a dare corso alla demolizione delle opere non conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia.

Venendo al contenuto della prospettata violazione, il ricorrente, rilevato che lo stesso giudice del riesame esclude la sussistenza di una lottizzazione contrattuale, contesta l'esistenza del fumus di una lottizzazione materiale: non vi è frazionamento dei lotti; non vi è la creazione di una pur minima base di tessuto urbano; esistono ormai solo strutture edilizie autorizzate e le altre sono caratterizzate da precarietà e rimovibilità; esiste, infine, una autorizzazione comunale all'esercizio dell'attività di campeggio.

Con terzo motivo il ricorrente lamenta violazione dell'art.321 c.p.p. per assenza del requisito del "periculum in mora". Lo stesso consulente del pubblico ministero ha accertato che il ricorrente ha proceduto ad effettuare la demolizione delle opere abusive e che non permangono strutture di campeggio in situazione di inamovibilità, così che non vi sono ragioni attuali di pericolo e la misura cautelare è carente nei suoi presupposti.

OSSERVA

1. Ritiene la Corte che il primo motivo di ricorso sia infondato nei termini che seguono.

Ha sostenuto la difesa in corso di discussione che si sarebbe in presenza di un esempio paradigmatico di violazione del divieto di utilizzazione degli atti di indagine previsto del comma terzo dell'art.407, il cui mancato riconoscimento da parte di questa Corte comporterebbe nei fatti l'abrogazione per via interpretativa della disposizione di legge.

La Corte non concorda con tale valutazione e ritiene che occorra esaminare i diversi aspetti chiamati in causa dalla vicenda: le regole di iscrizione della notizia di reato; il calcolo dei termini fissati dagli articoli 405-407 c.p.p.; la sussistenza della causa di inutilizzabilità degli atti di indagine.

1.1 - Rilevato che l'art.335 c.p.p. prevede la possibilità di plurime iscrizioni nell'ambito del medesimo procedimento, la giurisprudenza ha definito i criteri legali che presiedono alle iscrizioni successive a quella iniziale. Secondo i principi fissati dalla Corte di cassazione, che questo Collegio condivide, qualora nel corso delle indagini emergano nei confronti dell'indagato nuove circostanze che qualificano il reato inizialmente ipotizzato oppure ragioni per diversamente qualificare il fatto, il pubblico ministero è tenuto alla relativa iscrizione nel registro delle notizie di reato (art.335, comma secondo c.p.p.), ma il termine per le indagini decorre dalla data della iscrizione originaria. Quando, invece, emergano nuove ipotesi di reato nei confronti dell'indagato oppure elementi di reato nei confronti di una persona non ancora iscritta nel registro, il pubblico ministero deve procedere a nuova iscrizione, che viene considerata autonoma ai sensi dell'ultima parte del comma secondo dell'art.335 c.p.p. e comporta la decorrenza di autonomo termine per le indagini.

Sul punto si rinvia, per la giurisprudenza più recente, alle sentenze della Quarta Sezione Penale, n.32776 del 6 luglio-3 ottobre 2006, Meinero (rv 234822), e della Prima Sezione Penale, n.5484 del 10 gennaio-13 febbraio 2006, PM in proc. Genovese (rv 235100).

In sostanza, dunque, il calcolo dei termini di durata delle indagini non deve avere come unico riferimento la data della prima iscrizione nel registro, bensì dovrà essere riferito alla data della singola autonoma iscrizione.

1.2 - Così definita la decorrenza del termine iniziale richiamato dall'art.405, comma secondo c.p.p., occorre valutare quando sussiste violazione del termine massimo con riferimento agli atti di indagine compiuti, discendendo da tale violazione la sanzione della inutilizzabilità.

Punto di riferimento essenziale è rappresentato dalla decisione delle Sezioni Unite Penali n.16 del 21 giugno-30 giugno 2000, Tammaro (rv 216248), secondo la quale il termine di indagine fissato dalle disposizioni contenute negli artt.405-407 c.p.p. decorre dalla data della effettiva iscrizione e non dalla data in cui la notizia di reato avrebbe potuto essere iscritta; la decisione in ordine al momento dell'iscrizione, infatti, è rimessa al solo pubblico ministero, cui compete valutare quando emergano in concreto i presupposti dell'atto, e non è soggetta al sindacato del giudice. Da ciò discende, sempre secondo le Sezioni Unite, che l'eventuale valutazione giudiziale di tardività della iscrizione non comporta la inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti fino a quel momento.

Successive plurime decisioni della Corte hanno confermato la validità del principio fissato dalle Sezioni Unite nella parte che qui interessa, ribadendo che l'art.407, comma secondo c.p.p. non pone limiti alla utilizzazione degli elementi emersi prima della nuova iscrizione operata nel corso di accertamenti relativi ad altri reati (tra le altre si vedano: Quinta Sezione Penale, sentenza n.41131 dell'8 ottobre-30 ottobre 2003, Liscai, rv 227054; Prima Sezione Penale, sentenza n.22969 del 20 giugno-4 luglio 2006, Veneziano Broccia, rv 235244; Sesta Sezione Penale, n.2818 del 2 ottobre 2006-25 gennaio 2007, Bianchi, rv 235726).

Questa Corte rileva, peraltro, che, come accennato dal ricorrente, una parte della giurisprudenza più recente ha parzialmente riveduto i principi fissati dalla citata decisione delle Sezioni Unite Penali, affermando che non è sottratto del tutto al giudice il controllo sulle scelte del pubblico ministero in tema di iscrizione della notizia di reato, potendo il giudice valutare la tardività della iscrizione stessa e rideterminare il termine iniziale (si veda la sentenza della Quinta Sezione Penale, n.1410 del 21 settembre 2006-19 gennaio 2007, Boscarato, rv 236029).

Tuttavia, ai fini che qui interessano, la medesima decisione fissa due principi di assoluto rilievo:
a) il giudizio del giudice circa la tardività o meno dell'iscrizione operata dal pubblico ministero costituisce accertamento che, se congruamente motivato, non è censurabile davanti al giudice di legittimità;
b) resta fermo il principio che la tardiva iscrizione e la rideterminazione del termine iniziale possono incidere sulla utilizzazione delle indagini finali, ma non su quelle che precedono l'iscrizione per come avvenuta.

1.3 - Alla luce dei principi così affermati la Corte ritiene che nel caso in esame non sussistano i prospettati presupposti per l'annullamento dell'ordinanza impugnata. Il giudice del riesame ha congruamente motivato le ragioni che escludono la irregolarità della iscrizione, e l'accertamento tecnico in contestazione è stato disposto dal pubblico ministero ed effettuato anteriormente alla data in cui è stata per la prima volta disposta l'iscrizione del ricorrente nel registro previsto dall'art.335 c.p.p. Sul punto si veda la specifica motivazione a pag.3 dell'ordinanza.

1.4 - Rileva, infine, la Corte che l'ordinanza impugnata non meriti censura nella parte in cui ritiene che il reato di lottizzazione abusiva costituisca ipotesi di reato nuova e non riconducibile alle violazioni edilizie e paesaggistiche ipotizzate nell'originaria iscrizione nel proc. 2550 del 2005. Innanzitutto va rilevato che, a parere della Corte, le due tipologie di violazione differiscono sul piano normativo e sistematico quanto alla struttura del reato, al bene protetto e alle conseguenze che l'ordinamento fa conseguire all'accertamento della violazione. Originata nella sua autonomia grazie alle applicazioni che la giurisprudenza ha fatto della normativa allora in vigore, l'ipotesi di lottizzazione è stata successivamente codificata in maniera compiuta dagli artt.18 e 20, lett.c) della fondamentale legge n.47 del 1985 avendo ad oggetto gli interventi di abusiva "trasformazione" dei terreni che, come ben ha evidenziato la giurisprudenza, assumano un rilievo che supera la singola attività edificatoria e comportino modificazioni territoriali che avrebbero richiesto un piano particolareggiato di urbanizzazione.

In secondo luogo, va rilevato che nel caso in esame il pubblico ministero ha ipotizzato un complesso di condotte in parte significativa diverse rispetto a quelle oggetto della indagine iniziale. Ciò che oggi viene ipotizzato a carico del ricorrente non è solo la realizzazione di singoli abusi edilizi, partitamene identificabili e giuridicamente rilevanti, ma la realizzazione di una vera e propria lottizzazione attraverso quegli interventi ed ulteriori costruzioni nonché, condotta mai contestata prima, attraverso la trasformazione di strutture mobili (camper e roulotte) in vere e proprie unità abitative permanenti (si vedano sul punto le considerazioni relative al successivo motivo di ricorso).

Non sussiste, dunque, continuità di contestazione tra le ipotesi iniziali e quella che oggi fonda il sequestro preventivo, ed anche sotto tale profilo il primo motivo di ricorso dev'essere considerato non fondato.

2. Con il secondo motivo di ricorso si contesta la sussistenza del "fumus" di reato. Anche questo motivo è infondato e deve essere respinto.

2.1 - Afferma la difesa che la stessa destinazione delle strutture a campeggio escluderebbe in radice ed in via di principio la possibilità che venga posta in essere una condotta lottizzatoria. Il campeggio è per sua natura destinato ad ospitare strutture temporanee ed è dotato per questo di servizi e opere comuni, anche stabili, che rispondono a tale logica. Il complesso di queste strutture ed opere non può in alcun modo comportare quella trasformazione permanente e radicale del territorio che costituisce l'essenza e la ragione del reato ipotizzato dal pubblico ministero.

Una riprova indiretta di tale conclusione, a parere della difesa, non proviene soltanto dal fatto che né le iniziali indagini del pubblico ministero prevedevano ipotesi diverse da quelle delle violazioni edilizie e paesaggistiche né le amministrazioni locali hanno mai rifiutato, pur in presenza di ordini di demolizione, il rilascio delle autorizzazioni all'attività di campeggio, ma anche dalla circostanza che nessuna precedente decisione giudiziale ha configurato una ipotesi di lottizzazione riferita alla realizzazione di un campeggio.

Osserva, ancora il ricorrente, che erroneamente l'ordinanza impugnata opera un riferimento alle opere ed ai servizi comuni quasi costituissero opere di urbanizzazione non previste o autorizzate. E' sufficiente esaminare la legge 3 maggio 1985, n.59 della Regione Lazio per verificare che, come del resto inevitabile, tra i requisiti per il rilascio delle autorizzazioni a svolgere attività di campeggio vi è proprio la predisposizione di adeguate strutture di servizio comuni, quali la presenza di piazzole delimitate, strade di accesso e strade interne, servizi igienici ed allacciamenti alle reti idrica, elettrica e fognaria. Il rispetto di tali obblighi non può dunque rappresentare un elemento di illiceità e concorrere alla realizzazione del reato di lottizzazione abusiva.

2.2 - Ritiene la Corte che gli argomenti qui sintetizzati non siano dirimenti e che la prospettazione della difesa non possa essere condivisa.

In primo luogo si rileva che, circostanza certo non decisiva, esiste un risalente precedente giurisprudenziale che ha ritenuto sussistere il reato di lottizzazione abusiva in presenza della realizzazione di un campeggio in zona agricola e al di fuori delle previsioni degli strumenti urbanistici. Tale condotta è stata ritenuta integrare il reato in esame quando le consistenti dimensioni del campeggio, il corrispondente numero di ospiti e la presenza di infrastrutture destinate a servizi lascino intendere la realizzazione di un insediamento duraturo all'interno dell'assetto territoriale preesistente. Il riferimento è alla sentenza della Terza Sezione Penale, n.8933 del 29 aprile-27 ottobre 1983, Angiulli (rv 160873).

Deve osservarsi che un valore non secondario va attribuito a questa decisione ed ai principi in essa affermati tenendo conto del fatto che essa si fonda sulla interpretazione delle disposizioni contenute nella legge 17 Agosto 1942, n.17 (artt.8 e 41) e quindi su una disciplina antecedente la sistemazione della materia effettuata finalmente con gli articoli 18-20, lett.c) della legge 28 febbraio 1985, n.47 e antecedente gli sviluppi che la tutela del territorio e dell'ambiente hanno ricevuto attraverso la legislazione successiva, attraverso gli interventi della Corte costituzionale (il riferimento è alle decisioni in terna di legittimità delle leggi che introducono i c.d. "condoni edilizi", tra le altre le sentenze n.416 del 18 luglio 1995, n.344 del 10 novembre 1997, n.369 del 31 marzo 1998), attraverso l'elaborazione della dottrina e della giurisprudenza.

Afferma, dunque, la citata sentenza che può ravvisarsi in concreto una condotta lottizzatoria quando un'attività di campeggio assuma dimensioni consistenti e si componga anche di edifici di servizio che denotano una stabilità di realizzazione e producono un impatto rilevante sul territorio.

E' evidente che tali principi furono fissati dalla Corte in presenza di un complesso non autorizzato e realizzato in zona che non prevedeva tale tipologia di insediamento, ma ciò non toglie che la sentenza in allora si concentrò su due elementi fondamentali, che dovranno essere in questa sede ulteriormente valutati: la impropria stabilità dell'insediamento stesso e la rilevanza dell'impatto negativo sull'assetto territoriale.

2.3 - La lettura dell'art.l della legge 22 luglio 1974, n.34 della Regione Lazio in tema di lottizzazioni edilizie (G.U. n.290 del 7 novembre 1974 - B.U. Lazio n.21, suppl.ord. del 30 luglio 1974) conferma gli elementi essenziali del concetto di lottizzazione che sono propri della normativa nazionale. Si legge, infatti, che "sono lottizzazioni di terreno a scopo edilizio le utilizzazioni del suolo che, indipendentemente dal frazionamento fondiario e dal numero dei proprietari, prevedano la realizzazione contemporanea o successiva di una pluralità di edifici a destinazione residenziale, turistica, industriale o artigianale o commerciale, o comunque l'insediamento di abitanti o di attività in misura tale da richiedere la predisposizione o l'integrazione delle opere di urbanizzazione tecnica o sociale occorrenti per le necessità dell'insediamento".

In altri termini, costituiscono lottizzazione quegli interventi che mutano le caratteristiche dell'insediamento e/o del territorio in misura tale da far sorgere una non prevista esigenza di misure di urbanizzazione oppure da richiedere misure di urbanizzazione di entità maggiore o diversa rispetto a quelle previste. Vengono in rilievo, dunque, le caratteristiche del complesso dell'insediamento realizzato o realizzando e la loro conformità rispetto agli strumenti urbanistici ed alle concrete autorizzazioni. La giurisprudenza di legittimità è sul punto ormai assolutamente uniforme.

Merita, a tal proposito, ricordare che recentemente questa Sezione ha avuto più volte occasione di affermare, in sintonia con l'impostazione ora ricordata, che possono costituire lottizzazione anche quegli interventi che abbiano trasformato una realizzazione alberghiera in un complesso di autonome unità abitative. Si vedano le sentenza n.6990 del 29 novembre 2006-24 febbraio 2006, Ambrosiani (rv 233552), n.6936 del 7 novembre 2006-15 febbraio 2007, Cieri (rv 236075) e n.13687 del 28 febbraio-3 aprile 2007, Signori (rv 236340). Tali decisioni hanno evidenziato come il mutamento apportato senza autorizzazione si ponga in contrasto con l'esistente piano di lottizzazione, posto che un complesso di unità abitative comporta caratteristiche di destinazione e di concreto utilizzo profondamente diverse rispetto al complesso alberghiero inizialmente autorizzato.
In questa prospettiva la Corte ritiene che un insieme di interventi che snaturino le caratteristiche originarie di un campeggio, per quanto esso sia debitamente autorizzato, possano in linea di principio comportare, se complessivamente valutati, la violazione dell'art.44, lett.c) del citato d.P.R. n.380 del 2001.

2.4 - Occorre a questo punto verificare se la motivazione dell'ordinanza oggi impugnata meriti, nella parte in cui ritiene sussistente il "fumus" del reato di lottizzazione abusiva, le censure che le sono state dirette.

Afferma l'ordinanza (pag.4) che l'esistenza dell'autorizzazione all'attività di campeggio non comporta "alcuna ontologica incompatibilità tra la norma incriminatrice della lottizzazione abusiva e la situazione di fatto quale emergente dagli atti di indagine", in quanto le modifiche apportate nel tempo alle strutture del campeggio "privano l'area de qua delle caratteristiche necessarie a qualificarla in termini di campeggio".

Dato atto che i titolari del campeggio hanno provveduto a rimuovere (in attuazione dell'impegno di demolizione assunto unilateralmente nell'aprile 2006) le opere non autorizzate riscontrate in occasione del sopralluogo del Corpo Forestale dello Stato compiuto nel 2005, l'ordinanza osserva,

tuttavia, alle pagine 5 e 9 che gli accertamenti compiuti hanno messo in evidenza la permanenza di numerose "roulotte poggiate a terra...coperte da strutture in ferro con telo ombreggiante" nonché di manufatti, in parte "realizzati in assenza del prescritto titolo abitativo"; tali roulotte, secondo il Tribunale, debbono essere qualificate come vere e proprie unità abitative, tali essendo qualificate dalla giurisprudenza di legittimità. L'insieme di questa realtà è stata dal Tribunale considerata tale da dimostrate l'esistenza di uno "stravolgimento dell'originaria struttura campeggistica, da precaria e temporanea... in un insediamento abitativo stabile, sia per la permanenza nel tempo che per consistenza dei manufatti", con la conseguenza che le inopinate caratteristiche di stabilità dell'insediamento rendono inadeguate le opere strutturali ed i servizi esistenti, che debbono essere "proporzionati alla specifica capacità recettiva ed alla normale modalità di funzionamento di un campeggio", secondo quanto previsto dalla, legge regionale in tema di campeggi (il riferimento è alla legge 3 maggio 1985, n.59 della Regione Lazio, pubblicata in G.U. n.4, Serie speciale n.3 del 1° febbraio 1986 - B.U. Lazio n.13, Suppl.ord. n.1 del 10 maggio 1985).
Ritiene conclusivamente l'ordinanza che la situazione di fatto verificata dal consulente del pubblico ministero ancora nel marzo del 2007 sia non compatibile con la destinazione dell'area a campeggio, per sua natura funzionale a servire turisti con permanenza temporanea, e mai superiore all'anno, e provvisti di mezzi (camper e roulotte) trasportabili per via ordinaria, secondo quanto previsto anche dalla citata legge regionale n.59 del 1985. Tale discrasia risulterebbe confermata (pagine 10-11) dall'esistenza di manufatti privi di autorizzazione ed in contrasto sia con le prescrizioni della strumentazione urbanistica sia in violazione della cita normativa regionale in tema di campeggi. Con la conseguenza che la situazione di fatto, indicativa dell'esistenza di uno "stabile insediamento abitativo", appare riconducibile alle disposizioni in tema di lottizzazione.
L'impostazione adottata dal tribunale è stata contestata fermamente dal ricorrente, che ha evidenziato l'esistenza di aspetti contraddittori della motivazione; in particolare, il ricorrente segnala, da un lato, l'assenza di stabili edificazioni e improprie opere di servizio, e, dall'altro, la presenza di autorizzazioni amministrative che escluderebbero in radice il contrasto dell'insediamento con gli strumenti urbanistici e le previsioni di legge.
Osserva la Corte, su quest'ultimo aspetto, che il ragionamento della difesa prova troppo. La circostanza che il sindaco (nell'ambito delle previsioni dell'art.27 della citata legge regionale n.59 del 1985) abbia rilasciato l'autorizzazione a svolgere l'attività campeggistica per la stagione 2007 dimostra solo che le strutture sono state ritenute idonee a garantire la prestazione dei servizi previsti dalla legge regionale, ma non può in alcun modo escludere l'esistenza di diversi profili di illegittimità o illiceità di natura strutturale. Ed invero, come emerge sia dal testo dell'ordinanza del Tribunale del riesame sia dai contenuti del ricorso, la singola vicenda qui esaminata costituisce parte di un più vasto contenzioso concernente una serie di insediamenti adibiti a campeggio lungo il litorale di Latina. Si tratta di contenzioso che si è protratto nel tempo ed ha coinvolto aspetti diversi e assai complessi (da quelli legali e amministrativi, a quelli economici ed occupazionali), come dimostrano le vicende legate agli abusi edilizi inizialmente prospettati, ed alla successiva sequenza di ordini di demolizione da parte degli enti locali, di proposte di progressiva regolarizzazione da parte dei titolari dei campeggi, di richieste di autorizzazioni temporanee in prossimità dell'inizio delle stagioni turistiche, di demolizioni parziali, di realizzazione di nuove infrastrutture.
Tornando al primo aspetto di censura del ricorrente, e cioè l'erronea e contraddittoria valutazione del Tribunale in ordine alle opere abusive ed alle (necessarie) strutture di servizio, ritiene la Corte che la prospettazione dell'ordinanza impugnata non si ponga affatto in contrasto con le risultanze probatorie e non manifesti i lamentati vizi logici.
Come si è detto, la motivazione dà conto della diversa situazione di fatto riscontrata nel marzo 2007 rispetto al pregresso accertamento del Corpo Forestale dello Stato, ma fornisce di essa una lettura che contrasta con la prospettazione del ricorrente. Ritiene, cioè, il Tribunale, che la realtà descritta

dal consulente del pubblico ministero nel marzo 2007, comprensiva di opere edilizie non autorizzate e di roulotte posizionate stabilmente a terra, non più agevolmente trasportabili e quindi ormai trasformate in vere unità abitative dotate di strutture permanenti, comporti una immutazione radicale dell'originaria struttura del campeggio in uno stabile insediamento abitativo che integra il "fumus" del reato di lottizzazione non autorizzata.
2.5 - Ciò detto, non deve dimenticarsi che il controllo della Corte di cassazione in tema di misure cautelari reali è limitato dall'art.325 c.p.p. si soli vizi attinenti violazione di legge, il che significa che non spetta alla Corte il sindacato che abbia ad oggetto l'accertamento sul merito dell'azione e la fondatezza dell'accusa (si veda Sezioni Unite Penali, sentenza n.7 del 23 febbraio-4 maggio 2000). Tale principio non comporta (si veda l'ordinanza della Corte costituzionale n.151 del 2007) che alla Corte di cassazione spetti un controllo esclusivamente formale di rispondenza tra le prospettazioni dell'accusa e la fattispecie legale, dovendo tale controllo tenere in considerazioni le diverse prospettazioni difensive e accertare che sussista una effettiva motivazione in ordine al "fumus" del reato ipotizzato (si veda Sezione Prima penale, sentenza n.21736 del 11 maggio-4giugno 2007, Citarella, rv 236474); comporta, piuttosto, che una volta accertato che la decisione del tribunale del riesame sia coerente con le risultanze probatorie esposte, tenendo in considerazione anche la prospettiva difensiva, resta precluso alla Corte di cassazione il sindacato che vada oltre le risultanze "di immediato rilievo" (sentenza n.21736/2007 ora citata) e si spinga a valutare il merito della contestazione.
Sulla base di tale definizione dei confini del sindacato della giudice di legittimità, questa Corte deve rilevare che, per quanto sopra esposto, l'esistenza di un'attività autorizzata di campeggio non è incompatibile con la ipotesi di commissione del reato di lottizzazione abusiva e deve rilevare, altresì, che l'ordinanza impugnata ha motivato in modo immune da vizi logici e coerente col materiale probatorio esposto le ragioni per cui la situazione di fatto esistente in atti integrerebbe il "fumus" del reato di lottizzazione abusiva.
Per tali ragioni il secondo motivo di ricorso deve essere ritenuto non fondato.
3. Una volta ritenuto che l'ordinanza impugnata vada confermata nella parte in cui ritiene sussistente il "fumus" del reato di lottizzazione abusiva ai sensi dell'art.44, lett.c) del d.P.R. 6 giugno 2001, n.380, anche il terzo motivo di ricorso dev'essere respinto.
Il comma secondo del citato art.44 prevede in modo espresso che la confisca delle aree e delle opere interessate dall'intervento lottizzatorio abusivamente realizzato consegua all'accertamento del reato. Ritiene pertanto la Corte che l'ordinanza impugnata abbia correttamente motivato a pag.15 le ragioni che legittimano l'emanazione del sequestro preventivo (si vedano l'ordinanza della Terza Sezione Penale n. 292 del 26 gennaio-5 marzo 1998, Cusimano, rv 210282 e la sentenza della medesima Sezione, n.38728 del 7 luglio-4 ottobre 2204, Lazzara, rv 229610)..
Al rigetto del ricorso segue, ai sensi dell'art.616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali Così deciso in Roma il 17 Dicembre 2007