Cass. Sez. III n. 5537 del 11 febbraio 2025 (CC 16 gen 2025)
Pres. Ramacci Rel. Mengoni Ric. Scotto
Urbanistica.Ambito di efficacia dell'ordine demolitorio

L'ordine di demolizione del manufatto abusivo, previsto dall'art. 31, comma nono, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, riguarda l'edificio nel suo complesso, comprensivo di eventuali aggiunte o modifiche successive all'esercizio dell'azione penale e/o alla condanna, atteso che l'obbligo di demolizione si configura come un dovere di "restitutio in integrum" dello stato dei luoghi e, come tale, non può non avere ad oggetto sia il manufatto abusivo originariamente contestato, sia le opere accessorie e complementari nonché le superfetazioni successive, sulle quali si riversa il carattere abusivo dell'originaria costruzione 


RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 3/8/2024, il Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Ischia, rigettava l’istanza con la quale Giosafatte Scotto Di Clemente aveva chiesto la revoca dell’ordine di demolizione disposto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli con riguardo alla sentenza emessa il 19/11/1993 dalla Pretura di Napoli, sezione distaccata di Ischia, irrevocabile il 15/12/1993.
2. Propone ricorso per cassazione l’istante, deducendo – con unico motivo – l’inosservanza e/o l’erronea applicazione dell’art. 31, comma 9, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Il Tribunale avrebbe confermato l’ordine di demolizione sebbene riferito non solo alle opere oggetto della sentenza, ma anche ad altre che, seppur abusive, sarebbero state realizzate successivamente, risultando dunque estranee al titolo esecutivo; la motivazione dell’ordinanza, al riguardo, risulterebbe apparente, e non terrebbe conto del fatto che le parti fabbricate “in aggiunta” sarebbero del tutto indipendenti dalle altre, così da dover essere sottratte alla demolizione. Questo dato, evidentemente decisivo, risulterebbe dalla consulenza del tecnico della difesa, ed anche quello nominato dal Pubblico Ministero avrebbe affermato che il fabbricato oggetto di sentenza risulterebbe fisicamente individuato e distinto rispetto ai corpi di fabbrica in ampliamento, alcuni dei quali del tutto autonomi e posizionati a distanza. In forza di questi elementi, e richiamata la giurisprudenza di questa Corte, si chiede l’annullamento dell'ordinanza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso risulta manifestamente infondato.
4. La questione posta dall’impugnazione - peraltro di puro merito e, dunque, di per sé inammissibile in questa sede - concerne le caratteristiche delle opere realizzate (ancora abusivamente) in epoca successiva alla sentenza, ed al rapporto di queste con le altre, oggetto del titolo medesimo; ebbene, la tesi sostenuta dalla difesa, secondo cui le “aggiunte” costituirebbero interventi del tutto indipendenti e distinti rispetto alla costruzione sanzionata con la pronuncia n. 360/1993, è stata smentita dal Tribunale con una motivazione del tutto solida, adeguata e fondata su dati oggettivi, dunque tutt'altro che carente come invece contestato.
4.1. In particolare, e richiamati dettagliatamente i dati tecnici dell'intervento originario e di quelli successivi, l'ordinanza ha menzionato gli esiti della consulenza tecnica promossa dal Pubblico Ministero, evidenziando che l'attuale fabbricato “è dunque il risultato di progressivi e complessivi interventi edilizi, accertati nel nucleo iniziale a cominciare dall'aprile 1990”. Quanto poi alla relazione tra gli stessi interventi, il Tribunale ha sottolineato - con argomento in fatto che questa Corte non è ammessa a sindacare – che “è evidente che le aggiunte, le modifiche, le tettoie e gli ampliamenti si sono sviluppati anche strutturalmente intorno al nucleo iniziale.” Più nello specifico, l'esame delle planimetrie e delle fotografie ha condotto il Tribunale ad accertare l'attuale presenza di un “organismo edilizio complesso, di notevoli dimensioni e strutturato a diversi livelli, anche terrazzati e collegati da scale esterne, le cui parti in aggiunta o ampliamento condividono i muri in appoggio. Si tratta di una struttura edilizia complessiva che mostra un evidente carattere di unitarietà, le cui parti correttamente sono state individuate come funzionalmente e strutturalmente connesse al nucleo originario, rispetto al quale volumi e ampliamenti sono stati realizzati in aderenza e con collegamenti intenzionali”.
4.2. L’ordinanza, di seguito, ha preso in esame anche la tesi difensiva secondo cui le aggiunte, eseguite in epoche diverse, non sarebbero state “concepite” in termini unitari rispetto alla costruzione originaria, ma del tutto autonomi. Sul punto, ed ancora con argomento solido e privo di vizi, il Tribunale ha quindi evidenziato che non occorreva un unico progetto originario per valutare come la realizzazione a fasi progressive fosse stata di fatto eseguita nel tempo, attraverso volumi ed ampliamenti accorpati al nucleo centrale per formare un unico organismo edilizio complesso.
4.3. Con questa motivazione, dunque, l’ordinanza ha fatto corretta applicazione del costante principio, qui da ribadire, in forza del quale l'ordine di demolizione del manufatto abusivo, previsto dall'art. 31, comma nono, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, riguarda l'edificio nel suo complesso, comprensivo di eventuali aggiunte o modifiche successive all'esercizio dell'azione penale e/o alla condanna, atteso che l'obbligo di demolizione si configura come un dovere di "restitutio in integrum" dello stato dei luoghi e, come tale, non può non avere ad oggetto sia il manufatto abusivo originariamente contestato, sia le opere accessorie e complementari nonché le superfetazioni successive, sulle quali si riversa il carattere abusivo dell'originaria costruzione (Sez. 3, n. 6049 del 27/9/2016, Molinari, Rv. 268831; successivamente, tra le molte non massimate, Sez. 3, n. 37245 del 17/4/2024, Russo; Sez. 3, n. 35006 del 12/6/2024, Di Massa; Sez. 3, n. 31821 del 12/7/2024, Cascone).
5. La motivazione dell'ordinanza, pertanto, risulta solida e completa, e non può essere in questa sede censurata con la reiterazione delle stesse questioni in fatto già sottoposte al Giudice dell'esecuzione e congruamente definite.
6. Il ricorso, dunque, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2025