Cass. Sez. III n. 5536 del 11 febbraio 2025 (CC 16 gen 2025)
Pres. Ramacci Rel. Mengoni Ric. Giuliano
Urbanistica.Inammissibilità di autorizzazione sismica in sanatoria

Il permesso di costruire in sanatoria non può essere rilasciato per le opere in zona sismica. La richiesta di autorizzazione ai fini sismici è sempre preventiva, non potendosi ammettere l’istituto dell’autorizzazione sismica in sanatoria.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 24/7/2024, il Tribunale di Nola dichiarava inammissibile l’istanza avanzata da Antonio Giuliano al fine di ottenere la revoca dell’ordine di demolizione disposto con sentenza dello stesso Ufficio del 20/11/2009, irrevocabile il 6/3/2010.
2. Propone ricorso per cassazione il Giuliano, deducendo – con unico motivo – la violazione degli artt. 31, 34 e 36, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380; vizio di motivazione. Premesso che il 22/3/2023 il ricorrente avrebbe ottenuto il permesso di costruire in sanatoria con riguardo a tutti gli abusi realizzati, si sostiene che il Tribunale avrebbe erroneamente interpretato il citato art. 31, in forza del quale l’effetto acquisitivo in capo al Comune avverrebbe soltanto rispetto alla parte dell’opera oggetto di abuso, e comunque l’area acquisita non potrebbe essere superiore a 10 volte la complessiva superficie utile abusivamente realizzata; l’ordinanza, dunque, sarebbe viziata, in quanto non considererebbe che la determina n. 26 del 22/1/2014, di acquisizione al patrimonio del Comune di Cicciano (Na), riguarderebbe soltanto la particella n. 332, ovvero circa 1/3 della proprietà del ricorrente, non l’intera consistenza. La norma, ancora, dovrebbe esser letta in combinato disposto con i successivi artt. 34 e 36, che prevederebbero la possibilità di sanatoria – ottenuta dal Giuliano – anche oltre la scadenza del termine di 90 giorni, dunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative, compresa l’acquisizione gratuita al patrimonio del Comune. Il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, infine, certamente richiederebbe la verifica di tutti i presupposti di legge, compreso il fatto che, in caso di pluralità di proprietari (come nella vicenda di specie), tutti abbiano presentato domanda di rilascio del titolo; ciò che, peraltro, emergerebbe con evidenza proprio dal titolo stesso, che avrebbe dunque riconosciuto al Giuliano la qualità di comproprietario.  

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso risulta infondato.
4. Il Tribunale di Nola ha dichiarato inammissibile l’incidente di esecuzione sollevato dal Giuliano, evidenziando – alla luce della costante giurisprudenza di legittimità, qui da ribadire – che questi era del tutto privo di interesse ad ottenere la revoca dell’ordine di demolizione di cui alla sentenza dello stesso Ufficio del 20/11/2009, in quanto non più titolare del bene coinvolto; il Giuliano, dunque, non era legittimato a proporre l’istanza.
4.1. L’ordinanza, in particolare, ha innanzitutto richiamato i passaggi essenziali della vicenda, da ritrovare non solo nella stessa pronuncia di condanna, ma anche nella determina n. 7 del 2014, con la quale il Comune di Cicciano aveva disposto la formale acquisizione dell’immobile abusivo al patrimonio dell’ente, attesa l’inottemperanza sia all’ordine di demolizione degli abusi contenuto nella sentenza di condanna del Giuliano, sia all’ordinanza di rimessione in pristino emessa dall’Amministrazione comunale il 28/9/2006.
4.2. Con riguardo alla delibera n. 7 del 2014, il Tribunale di Nola ha poi evidenziato – primo punto del ricorso – che la stessa non interessava invero l’intero novero degli abusi (particelle nn. 322 e 2060), ma soltanto una parte (particella n. 322), così che il Comune aveva proceduto alla formale acquisizione soltanto di 1/3 dell'immobile (ed il Giuliano rimaneva comproprietario delle altre parti).
4.3. Ebbene, dopo aver richiamato tutti questi elementi di fatto, peraltro non contestati, l’ordinanza ha ribadito che, a seguito dell'accertamento del carattere abusivo delle opere, il Comune aveva emesso il citato provvedimento del 28/9/2006, con il quale aveva ingiunto la demolizione di tutti gli abusi ed il ripristino dello stato dei luoghi; in questo provvedimento si dava atto della realizzazione dei manufatti in assenza di permesso di costruire e di DIA, e si preannunciava l'acquisizione dell'intero compendio illecito al patrimonio dell’ente in caso di inottemperanza. Questa ordinanza era stata ritualmente notificata all'interessato, il quale, tuttavia, non vi aveva dato seguito, come certificato dallo stesso Comune con atto del 5/1/2007.
5. Tutto ciò riportato e non contestato, il Tribunale di Nola ha correttamente sottolineato che il decorso infruttuoso dei 90 giorni dalla notifica dell'ordinanza di demolizione emessa dal Comune aveva comportato l'automatica – ed ope legis - acquisizione del bene al patrimonio indisponibile dell'ente. A partire da quel momento, dunque, l'interessato, non più titolare dell'immobile, vantava un interesse ad agire esclusivamente con riguardo alla demolizione, come peraltro affermato e ribadito dalla costante giurisprudenza di legittimità (per tutte, Sez. 3, n. 7399 del 13/11/2019, Calise, Rv. 278090, secondo cui in tema di reati edilizi, dopo l'acquisizione dell'opera abusiva al patrimonio disponibile del Comune, qualora il consiglio comunale non abbia deliberato il mantenimento del manufatto, ravvisando l'esistenza di prevalenti interessi pubblici, il condannato può chiedere la revoca dell'ordine di demolizione soltanto per provvedere spontaneamente all'esecuzione di tale provvedimento, essendo privo di interesse ad avanzare richieste diverse, in quanto il procedimento amministrativo sanzionatorio ha ormai come unico esito obbligato la demolizione della costruzione a spese del responsabile dell'abuso (successivamente, tra le molte non massimate, Sez. 3, n. 7720 del 30/3/2023, Amendola; Sez. 3, n. 4758 del 20/12/2023, Petrazzuolo; Sez. 3, n. 43833 del 12/10/2023, Perna+altri).
5.1. Ancora sul punto, ed ancora in adesione alla costante giurisprudenza, l’ordinanza impugnata ha poi evidenziato che sussiste incompatibilità tra l'acquisizione gratuita e l'ordine di demolizione emesso dal giudice con la sentenza di condanna soltanto se, con delibera consiliare, l'ente locale stabilisce di non demolire l'opera acquisita ai sensi dell'art. 31, comma 5, d.P.R. n. 380/2001, il quale prevede che «l'opera acquisita è demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell'abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l'esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell'assetto idrogeologico» (tra le molte, Sez. 3, n. 32976 del 6/7/2023, Accardo+altri): ebbene, questa circostanza non è stata neppure dedotta nel caso di specie.
6. Il Tribunale, di seguito, ha preso in esame anche l'avvenuto rilascio del permesso di costruire in sanatoria con riguardo alle medesime opere, escludendo - ancora con motivazione priva di vizi - che tale provvedimento potesse ritenersi preclusivo alla demolizione degli abusi. In particolare, è stato menzionato il costante principio in forza del quale il permesso di costruire in sanatoria, successivo all'acquisizione al patrimonio immobiliare del Comune, è illegittimo, in quanto emesso a favore di un soggetto che non era più titolare del bene, spettando al Comune di stabilire se mantenere o demolire l'opera (Sez. 3, n. 35484 del 15/12/2020, Trapanese).
6.1. Con la stessa sentenza, questa Corte ha peraltro affermato – con diretta incidenza anche nella vicenda in esame (seconda parte del motivo) – che l'art. 36, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001 stabilisce che il permesso di costruire in sanatoria può essere richiesto fino alla scadenza dei termini di cui agli artt. 31, comma 3, 33, comma 1, e 34, comma 1, stesso decreto e, comunque fino all'irrogazione delle sanzioni amministrative; ebbene, nel caso in esame questo termine risulta evidentemente superato, a fronte di un’ingiunzione a demolire emessa il 28/9/2006 (seguita  dalla determina di acquisizione al patrimonio comunale del 22/1/2014) e di una richiesta di permesso di costruire in sanatoria depositata soltanto il 13/5/2022, come risulta dallo stesso documento allegato al ricorso.
6.2. Ebbene, secondo l'insegnamento della giurisprudenza amministrativa, la presentazione della domanda di accertamento di conformità successiva alla emanazione dell'ordinanza di demolizione comporta che l'Amministrazione non può che constatare che l'istanza è stata presentata da chi non sia più proprietario, se essa è stata proposta dopo l'acquisizione ipso iure della proprietà ai sensi dell'art. 31, comma 3, del t.u. n. 380 del 2001, per il decorso del termine di novanta giorni, come nel caso in esame (Cons. St., Sez. VI, n. 5654 del 30/11/2017; Cons. St., Sez. VI, n. 5653 del 30/11/2017).
6.1.2. Anche questa Corte di cassazione, del resto, ha costantemente riconosciuto che i limiti temporali posti dall'art. 36, comma 1, d.P.R. n. 380 del 2001, alla facoltà del responsabile dell'abuso o dell'attuale proprietario del bene di chiedere il rilascio del permesso di costruire entro il termine di cui all'art. 31, comma 3, d.P.R. n. 380 del 2001, sono coerenti con le conseguenze dell'inutile spirare di tale termine, privando di legittimazione alla domanda, il loro inutile decorso, chi non è più proprietario del bene stesso (così, in motivazione, Sez. 3, n. 3261 del 17/11/2020). Una volta acquisita al proprio patrimonio, infatti, soltanto il Comune può stabilire, con deliberazione consiliare, l'esistenza di prevalenti interessi pubblici, sempre che l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici ed ambientali. La spoliazione di diritto della proprietà del bene, dunque, sottrae sostanza giuridica all'interesse vantato nei suoi confronti dal precedente proprietario, degradandolo a mero interesse di fatto che, nel privarlo della legittimazione ad agire in difesa del bene stesso, impedisce persino la restituzione in suo favore caso di dissequestro (Sez. 3, n. 1163 del 15/11/2016, Notarstefano, Rv. 268737; Sez. 3, n. 42637 del 26/09/2013, Rv. 258308; Sez. 3, n. 45705 del 26/10/2011, Rv. 251321; Sez. 3, n. 4962 del 28/11/2007, Rv. 238804).
6.1.3. Ne consegue, ulteriormente, che il rilascio di concessione o permesso in sanatoria ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 non presuppone, quale atto implicito, la rinuncia da parte del Comune al diritto di proprietà sull'opera abusiva già acquisita al suo patrimonio a seguito del decorso del termine di 90 giorni dalla notifica dell'ordine di demolizione, non essendovi coincidenza, sul piano della competenza, tra l'organo adottante l'atto presupponente (permesso in sanatoria) - ufficio tecnico comunale - e l'organo competente alla adozione dell'atto presupposto implicito (rinuncia al diritto di proprietà), da individuarsi in distinti e superiori organi comunali (Sez. 3, n. 3261 del 17/11/2020, Rv. 280870).
7. A tutto ciò peraltro si aggiunga, infine, che il permesso di costruire in sanatoria non avrebbe potuto comunque essere rilasciato, atteso il carattere sismico della zona sulla quale insiste l'abuso. Questo principio, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (tra le molte, Sez. 3, n. 2357 del 14/12/2022, Casà, Rv. 284058; Sez. 3, n. 54707 del 13/11/2018, Cardella, Rv. 274212), trova sostegno anche in quella amministrativa, secondo cui la richiesta di autorizzazione ai fini sismici è sempre preventiva, non potendosi ammettere l’istituto dell’autorizzazione sismica in sanatoria (invece rilasciata al Giuliano).
7.1. In particolare, il Consiglio di Stato, dopo alcune pronunce contrastanti (in senso contrario alla “sanatoria sismica”, tra le altre, Sez. 6, n. 3086 del 2021; Sez. 3, n. 4142 del 2021; in senso favorevole, Sez. 2, n. 3645 del 2024) ha da ultimo affermato (Sez. 6, n. 9355 del 2024) che l’istituto della autorizzazione sismica in sanatoria non è riconosciuto nel nostro ordinamento e che l’art. 94, d.P.R. n. 380 del 2001, persegue il fine di eseguire una vigilanza assidua sulle costruzioni riguardo al rischio sismico ed è espressione di un principio fondamentale in materia di governo del territorio; ne consegue che “la sussistenza di un evidente interesse pubblico legato all'incolumità pubblica, rispetto al quale l'interesse edificatorio del privato non può che essere recessivo, determina un assorbimento degli esiti relativi ad un permesso di costruire per l'assenza di un titolo attestante l'idoneità sismica dell'immobile, dovendo tale condizionamento riguardare anche l’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001.”
7.2. D’altronde, la stessa giurisprudenza amministrativa che ha ammesso la sanatoria sismica, peraltro richiamando il rischio di una - invero non condivisibile - interpretatio abrogans dell’art. 36 citato (attesa l’ampiezza delle zone sismiche sul territorio nazionale), ha rilevato, in senso evidentemente contrario, che “il d.P.R. n. 380 del 2001 non contempla espressamente alcuna procedura di sanatoria c.d. strutturale, ovvero riferita alla mancata denuncia preventiva o alla mancata richiesta di autorizzazione sismica di cui agli artt. 65, 93 e 94. A ben guardare, anzi, il controllo esercitato dall’amministrazione competente per gli interventi in zone sismiche è costruito dal legislatore in maniera preventiva, come si ricava da una serie di indici testuali contenuti nelle norme di riferimento. L’art. 65 del Testo unico, ad esempio, prevede che le opere siano denunciate «prima del loro inizio»; l’art. 93, a sua volta, impone a chiunque intenda procedere ad interventi nelle zone sismiche, di darne «preavviso» scritto allo sportello unico, che provvederà alla trasmissione al competente ufficio tecnico regionale; il successivo art. 94 infine si riferisce ad una «preventiva autorizzazione», sicché la procedura deve essere inequivocabilmente completata prima dell’esecuzione dell’intervento, nel rispetto delle formalità richieste”, (C.d.S., n. 3645 del 2024). Ed ha quindi aggiunto – ancora il Consiglio di Stato – che “la Corte costituzionale ha già ricondotto in più occasioni tali regole procedurali a principi fondamentali cui le Regioni possono dare solo attuazione di dettaglio, non in deroga, in quanto rispondono ad esigenze di unitarietà di regime, particolarmente pregnanti di fronte al rischio sismico, che «non tollera alcuna differenziazione collegata ad ambiti territoriali» (ex multis, sentenze n. 264 del 2019; n. 232 e n. 60 del 2017, n. 282 del 2016 e n. 300 del 2013). In tal modo infatti si garantisce infatti un capillare controllo sulle tecniche costruttive sul territorio caratterizzato da vulnerabilità sismica”; un controllo che, per contro, non sarebbe allo stesso modo assicurato ammettendo la sanatoria sismica.
7. Correttamente, pertanto, il Giudice dell'esecuzione ha rigettato la domanda del ricorrente, il quale, non essendo più proprietario del bene abusivamente realizzato, non era legittimato a chiedere il permesso di costruire in sanatoria, tantomeno a chiedere la revoca dell'ordine di demolizione.
8. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 16 gennaio 2025