Cass. Sez. III n. 19871 del 28 maggio 2025 (UP 18 mar 2025)
Pres. Di Nicola Rel. Galanti Ric. Aliquò ed altri
Urbanistica.Articolo 95 TUE reato permanente

In tema di reati previsti dalla normativa antisismica, il reato di cui all’articolo 95 d.P.R. 380/2001, laddove ha ad oggetto la violazione degli obblighi di cui agli articoli 93 e 94 del decreto, costituisce una fattispecie «a consumazione prolungata» e in particolare un reato permanente, in cui la consumazione del reato prosegue in ragione della perduranza dell’offesa al bene giuridico tutelato, da identificarsi (a tutela della pubblica incolumità) nel controllo pubblico sulla costruzione di qualsiasi struttura realizzata nelle zone a «rischio sismico».


PREMESSO IN FATTO 

1. Con ordinanza del 13 marzo 2024, il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto condannava Lesina Nunzio, Lesina Franco e Lesina Renato (proprietari dell’immobile e committenti), nonché Aliquò Rocco (direttore dei lavori) in ordine ai delitti di cui agli artt. 93-95 (capo b) e 67-71 (capo c) d.P.R. 380/2001, alla pena di 8.500,00 euro di ammenda.
In particolare, ai tre proprietari e committenti e all’Aliquò quale direttore dei lavori, veniva contestato di avere realizzato opere edilizie in totale difformità rispetto al progetto presentato ai fini dei lavori in cemento armato e autorizzato dall’Ufficio del Genio Civile di Messina, nonché in sostanziale assenza del tecnico abilitato quale direttore dei lavori.
 
2. Avverso tale sentenza gli imputati propongono, tramite i rispettivi difensori, ricorso per cassazione.

3. Il ricorso di Rocco Aliquò.
3.1. Con il primo motivo lamenta difetto assoluto di motivazione della sentenza impugnata, che non ha tenuto conto della circostanza che l’Aliquò era stato indicato quale futuro direttore dei lavori, ma egli era un mero calcolista per le opere in cemento armato da realizzarsi e alla indicazione, negli atti depositati al Genio civile, dello stesso quale D.L. non ha mai fatto seguito una lettera di incarico, né una comunicazione di inizio lavori con indicazione dello stesso quale direttore lavori.
3.2. Con il secondo motivo lamenta violazione dell’articolo 157 cod. pen. essendo i reati comunque estinti per prescrizione alla data della sentenza di primo grado.

4. I ricorsi di Lesina Nunzio, Lesina Franco e Lesina Renato.
4.1. Con il primo motivo lamentano vizio di motivazione in riferimento all’articolo 157 cod. pen. e all’art. 129 cod. proc. pen. essendo i reati di cui agli artt. 93-95 d.P.R. 380/2001 estinti per prescrizione alla data della sentenza di primo grado.
4.2. Con il secondo motivo lamentano vizio di motivazione in riferimento all’articolo 157 cod. pen. e all’art. 129 cod. proc. pen. essendo i reati di cui agli artt. 67-71 d.P.R. 380/2001 estinti per prescrizione alla data della sentenza di primo grado.
4.3. Con il terzo motivo lamenta violazione di legge, vizio di motivazione e violazione di norme processuali quanto ai reati di cui agli artt. 67-71 d.P.R. 380/2001 in relazione alla omessa declaratoria di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, essendo emerso chiaramente che i lavori erano finiti nel 2018 (v. testi Sant’Angelo e Munafò).
4.4. Con il quarto motivo lamenta violazione di legge, vizio di motivazione e violazione di norme processuali quanto ai reati di cui agli artt. 93-95 d.P.R. 380/2001 in relazione alla omessa declaratoria di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, essendo emerso chiaramente che i lavori erano finiti nel 2018 (v. testi Sant’Angelo e Munafò).
4.5. Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano travisamento della prova e manifesta illogicità, posto che la direzione lavori da parte di tecnico abilitato emerge incontestabilmente dal verbale di sopralluogo del 18 maggio 2021.

RITENUTO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono inammissibili.

2. I ricorsi di Lesina Nunzio, Lesina Franco e Lesina Renato sono inammissibili.
2.1. I primi quattro motivi, che ruotano attorno al tema della prescrizione dei reati di cui ai capi b) e c), sono manifestamente infondati, per le ragioni che meglio si illustreranno nei paragrafi 4 e seguenti.
2.2. Il quinto motivo è manifestamente infondato, in quanto agli imputati è contestata altresì la realizzazione di opere in cemento armato in totale difformità rispetto al progetto presentato e autorizzato, circostanza su cui omettono di dedurre (appuntando la doglianza solo sull’assenza di un direttore dei lavori) e, anzi, a pagina 5 si dà atto del fatto che, per i lavori eseguiti nel piano cantinato, che da progetto doveva essere interrato ed era stato realizzato invece totalmente fuori terra, nessuna autorizzazione era stata richiesta.
Si richiama in proposito quella giurisprudenza secondo cui l’emersione di una «criticità» su una delle molteplici valutazioni concorrenti può non comportare l'annullamento della decisione per vizio di motivazione lì dove le restanti valutazioni offrano ampia e rassicurante tenuta del ragionamento ricostruttivo (Sez. 1, n. 20030 del 18/01/2024, Rossitto, Rv. 286492; Sez. 1, n. 12358 del 07/02/2024, Volzone, n.m.; Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M., Rv. 271227; Sez. 1, n.6922 del 11/05/1992, Rv. 190572; Sez. 4, n. 10116 del 28/09/1993, Rv. 195709; Sez. 1, n. 1495 del 02/12/1998, Rv. 212274), sulla base della c.d. «prova di resistenza» (ex multis, Sez. 4, n. 50817 del 14/12/2023, Stretti, Rv. 285533 - 01). 
Si evidenzia peraltro che, simmetricamente a quanto previsto per i reati c.d. «edilizi» (art. 44 lett. b, d.P.R. 380/2001), si deve ritenere che l’esecuzione di opere in zona sismica e/o con violazione delle norme sul cemento armato in «totale difformità» rispetto al progetto presentato e approvato equivalga all’esecuzione di lavori in assenza di titolo.

3. Il ricorso di Rocco Aliquò è inammissibile.
3.1. Quanto al primo motivo, la sentenza, a pagina 4, precisa che i lavori erano diretti dall’Ing. Rocco Aliquò, che figurava anche quale «calcolista» e collaudatore statico.
Per la realizzazione dell’intervento edilizio, erano stati ottenuti sia il permesso di costruire, che l’autorizzazione sismica. Tuttavia, in concreto, il manufatto realizzato presentava totali difformità rispetto al progetto depositato, essendo stato trasformato il piano interrato in un volume fuori terra.
L’articolo 29 d.P.R. 380/2001 stabilisce che (il corsivo è del Collegio) «il titolare del permesso di costruire, il committente e il costruttore sono responsabili, ai fini e per gli effetti delle norme contenute nel presente capo, della conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonché, unitamente al direttore dei lavori, a quelle del permesso e alle modalità esecutive stabilite dal medesimo. Essi sono, altresì, tenuti al pagamento delle sanzioni pecuniarie e solidalmente alle spese per l'esecuzione in danno, in caso di demolizione delle opere abusivamente realizzate, salvo che dimostrino di non essere responsabili dell'abuso». 
Ai sensi del comma 2, «il direttore dei lavori non è responsabile qualora abbia contestato agli altri soggetti la violazione delle prescrizioni del permesso di costruire, con esclusione delle varianti in corso d'opera, fornendo al dirigente o responsabile del competente ufficio comunale contemporanea e motivata comunicazione della violazione stessa. Nei casi di totale difformità o di variazione essenziale rispetto al permesso di costruire, il direttore dei lavori deve inoltre rinunziare all'incarico contestualmente alla comunicazione resa al dirigente».
Questa Corte ritiene che l'obbligo di vigilanza sulla conformità delle opere al permesso di costruire, gravante sul direttore dei lavori ai sensi dell'art. 29, comma 1, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, cui consegue la responsabilità penale del predetto nel caso di reati commessi da altri senza che intervenga la sua dissociazione ai sensi del comma 2 della medesima disposizione, permane sino alla comunicazione della formale conclusione dell'intervento o alla rinunzia all'incarico e non viene meno in caso di adozione dell'ordinanza di sospensione dei lavori, salvo che - e fintanto - che il cantiere sia sottoposto a sequestro. (Sez. 3, n. 38479 del 13/06/2019, Candido, Rv. 276762 – 01; Sez. 3, n. 34602 del 17/06/2010, Rv. 248328 - 01).
E’ stato anche affermato (Sez. 3, n. 7406 del 15/01/2015, Crescenzi, Rv. 262423 – 01), che «l'assenza dal cantiere non esclude la penale responsabilità per gli abusi commessi dal direttore dei lavori, sul quale ricade l'onere di vigilare sulla regolare esecuzione delle opere edilizie ed il dovere di contestare le irregolarità riscontrate, se del caso rinunziando all'incarico».
La responsabilità penale sussiste salva l'ipotesi d'esonero prevista dall'art. 29 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, in quanto il direttore dei lavori deve sovrintendere con continuità alle opere della cui esecuzione ha assunto la responsabilità tecnica. (Sez. 3, n. 14504 del 20/01/2009, Sansebastiano, Rv. 243474 - 01)
Nel caso di specie, la circostanza, peraltro labialmente dedotta, che non si sia dato corso alla formalizzazione di una lettera di incarico è circostanza assolutamente ininfluente, in quanto ciò che conta è che, per l’amministrazione preposta al controllo, fosse presente una figura professionale in grado di accertare, nella fase di esecuzione, la conformità delle opere realizzate al progetto approvato e questa figura professionale era proprio il direttore lavori, come comunicato all’amministrazione.
L’Aliquò, pertanto, ove avesse ritenuto di non dare corso alla sua prestazione d’opera professionale, avrebbe dovuto attivare la procedura di cui all’articolo 29, comma 2, d.P.R. 380/2001, il che non risulta dagli atti.
Correttamente evidenzia il Procuratore generale che l’imputato viene menzionato quale direttore dei lavori non solo nel verbale di sopralluogo, ma anche e soprattutto nella comunicazione fatta al genio civile; pertanto, l’onere della prova del venir meno dell’incarico professionale non spettava alla pubblica accusa, poiché risultava documentalmente il contrario.
In tal caso, la deduzione e allegazione di prova contraria non poteva che gravare sulla parte che vi ha interesse, in applicazione del principio di «vicinanza della prova», secondo cui l’imputato può acquisire o quanto meno fornire, tramite allegazione, tutti gli elementi per provare il fondamento della tesi difensiva (Sez. 2, n. 3883 del 19/11/2019, dep. 2020, Pomilio, Rv. 278679 - 03; Sez. 2, n. 6734 del 30/01/2020, Bruzzese, Rv. 278373 - 01).
3.2. Quanto al secondo motivo, esso è manifestamente infondato per le ragioni che si indicheranno al paragrafo che segue.

4. Tutte le doglianze relative alla intervenuta prescrizione del reato sono manifestamente infondate alla luce della natura permanente delle violazioni contestate, come meglio si chiarirà nei paragrafi che seguono, in cui il Collegio analizzerà partitamente la natura delle violazioni della normativa antisismica e di quella relativa agli interventi edilizi in cemento armato.
Preliminarmente, va disattesa la doglianza difensiva a mente della quale le opere sarebbero state concluse nel 2018; ed infatti, a pagina 3 della sentenza impugnata, si precisa come nel verbale di sopralluogo del 18 maggio 2021 si dia atto della presenza di un «fabbricato rustico in cemento armato in corso di realizzazione, ritratto anche nel compendio fotografico realizzato in detta circostanza e acquisito agli atti» (a pagina 4 si specifica poi che il piano cantinato, realizzato completamente fuori terra, presentava le «bucature» per porte e finestre, mentre l’altro piano risultava ancora privo di pareti, ossia le c.d. «tamponature»).
Trattasi di accertamento di fatto che non può essere ridiscusso in sede di legittimità con conseguente inammissibilità della doglianza. 

5. Ciò premesso, quanto alle violazioni relative alla normativa antisismica, il Collegio ritiene preliminarmente necessario evidenziare – per le ricadute pratiche che da ciò conseguono - come, per pacifica giurisprudenza (v. in proposito Sez. 3, n. 38717 del 10/05/2018, Rizzuti, Rv. 273835 – 01, rel. Di Nicola), gli obblighi previsti dagli artt. 93 e 94 T.U.E. sono finalizzati a consentire il «controllo preventivo» della pubblica amministrazione, per cui non rileva, ai fini della sussistenza del reato, l'effettiva pericolosità o meno della costruzione realizzata, in violazione degli adempimenti e in assenza delle prescritte autorizzazioni, perché le contravvenzioni previste dalla normativa antisismica, rientrando nel novero dei reati di pericolo presunto, puniscono inosservanze formali, con la conseguenza che neppure la verifica postuma dell'assenza del pericolo ed il rilascio del provvedimento abilitativo incidono sulla illiceità della condotta, in quanto gli illeciti sussistono in relazione al momento di inizio dell'attività (così Sez. 3, n. 5738 del 13/05/1997, Petroni, Rv. 208299). 
La normativa antisismica è infatti ispirata (v. Sez. 3, n. 50624 del 17/09/2014, Baldolini, n.m.; Sez. 3, n. 5738 del 13/05/1997, Petroni, Rv. 208299; Sez. 3, n. 3267 del 21/01/1981, De Mizio, Rv. 148362 - 01) alla necessità di preservare la pubblica incolumità in zone particolarmente soggette al verificarsi di movimenti tellurici: a tal fine, da un lato prescrive necessari obblighi burocratici (cui sono connesse violazioni «formali») e particolari prescrizioni tecniche costruttive (cui sono connesse violazioni «sostanziali»); dall'altro, costituisce un'anticipazione della tutela dell'interesse cui la norma incriminatrice appresta protezione (pubblica incolumità). 
In definitiva, la ratio della normativa antisismica fonda sulla necessità, rivolta a tutela dell'incolumità pubblica, di dettare i criteri che devono essere obbligatoriamente seguiti per la costruzione di qualsiasi struttura realizzata nelle parti del territorio nazionale individuate dalla normativa di settore come zone a rischio sismico, in modo da ridurre la tendenza della costruzione a subire un danno cui, a seguito di un evento sismico, la costruzione stessa, secondo un giudizio prognostico ex ante, rischierebbe comunque di essere sottoposta (Sez. 3, n. 38717 del 10/05/2018, Rizzuti, Rv. 273835 – 01, citata). 
A ciò consegue che detto rischio, nel caso di mancata conformazione delle costruzioni alle norme di settore, è destinato ad ampliarsi perché, a causa delle ricadute che dalla violazione della normativa antisismica scaturiscono, aumenta il pericolo di danno sulla incolumità delle persone che usano il bene o che con esso si trovino in contatto (Sez. 4, n. 10652 del 06/02/2024, B., Rv. 286012 - 02).
L’effettiva pericolosità della costruzione realizzata senza l'autorizzazione del genio civile e senza le prescritte comunicazioni è, pertanto, del tutto irrilevante ai fini della sussistenza del reato, come pure lo è la verifica postuma dell'assenza del pericolo (Sez. 3, n. 35615 del 16/06/2016, Ruscello, n.m.; Sez. 3, n. 27876 del 16/6/2015, Pro, Rv. 264201, Sez. 3, n. 48005 del 17/9/2014, Gulizi e altro, Rv. 261155, Sez. 3, n. 7893 del 11/1/2012, P.G. in proc. Cruciani e altri, Rv. 252750, Sez. 3, n. 41617 del 02/10/2007, Iovine, Rv. 238007).
Ne deriva che, ad eccezione dei soli interventi di semplice «manutenzione ordinaria», qualsiasi intervento edilizio in zona sismica (la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di precisare che, nelle zone sismiche, l'obbligo di informativa e di produzione degli atti progettuali non è limitato in relazione alle dimensioni e alle caratteristiche dell'opera, ma riguarda tutte le opere indicate dalla disposizione normativa, nessuna esclusa e dunque anche le opere c.d. «minori», perché diversamente verrebbe frustrato il fine di rendere possibile il controllo preventivo e documentale dell'attività edilizia nelle zone sismiche; v., ex plurimis, Sez. 3, n. 8140 del 06/07/1992, Di Scala, Rv. 191390), comportante o meno l'esecuzione di opere in conglomerato cementizio armato: a) deve essere previamente denunciato al competente ufficio al fine di consentire i preventivi controlli; b) necessita del rilascio del preventivo titolo abilitativo; c) il relativo progetto deve essere redatto da un professionista abilitato ed allegato alla denuncia di esecuzione dei lavori; d) questi ultimi devono essere parimenti diretti da un professionista abilitato conseguendone, in difetto, la violazione del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 95, (Sez. 3, n. 19185 del 14/01/2015, Garofano, Rv. 263376; Sez. 3, n. 48005 del 17/09/2014, Gulizzi, Rv. 261155; Sez. 3, n. 34604 del 17/06/2010, Todaro, Rv. 248330); ciascuna violazione, risolvendosi nell'inosservanza di specifiche prescrizioni, costituisce un titolo autonomo di reato (v. Sez. 3, n. 50624 del 17/09/2014, Baldolini, n.m.; Sez. 3, n. 30394 del 28/04/2016, Leccisotti, n.m.; Sez. 3, n. 51683 del 07/06/2016, Bonina, n.m.).
Così ragionando, il preavviso allo sportello unico (presso cui va depositato il progetto) adempie ad una fondamentale funzione informativa, in relazione all'attività da intraprendere, in modo da assicurare la vigilanza sulle costruzioni in zone sismiche e garantire la cooperazione fra le amministrazioni, coinvolte nel procedimento, e gli interessati (Sez. 3, n. 50624 del 17/09/2014, Baldolini, citata), così da consentire all’ente di controllo il rilascio del titolo autorizzativo.
In questo senso, le varie disposizioni si integrano tra loro: per un verso, infatti, la legge impone l’obbligo di rispettare la normativa tecnica (art. 83); per altro verso, impone l’obbligo di depositare presso lo sportello unico tutta la documentazione atta a verificarne il rispetto da parte degli enti preposti al controllo (art. 93) e il rilascio del titolo (art. 94).

6. Tanto premesso, e venendo ora al «core» dei motivi di ricorso, in ordine alla natura dei reati antisismici e al tempo necessario a prescrivere, si registrano nella giurisprudenza della Corte due distinti orientamenti.
6.1. Un primo orientamento ritiene che, in tema di legislazione antisismica, i reati di omessa denuncia dei lavori e presentazione dei progetti (artt. 93-95 T.U.E.) e di inizio dei lavori senza preventiva autorizzazione (artt. 94-95 T.U.E.), che è l’ipotesi contestata nel presente processo, abbiano natura di reati permanenti, la cui consumazione si protrae sino a che il responsabile, rispettivamente, non presenta la relativa denuncia con l'allegato progetto, non termina l'intervento oppure non ottiene la relativa autorizzazione (ex multis, Sez. 3, n. 11484 del 22/09/1995, Di Giovanni, Rv. 203019 – 01; Sez. 3, n. 444 del 21/11/1997, dep. 1998, Di Pietro, Rv. 209549 – 01; Sez. 3, n. 7873 del 19/03/1999, Guerra, Rv. 214501 - 01).
6.2. Tale orientamento, inizialmente prevalente, dalla fine del secolo scorso è stato contrastato a seguito di una pronuncia delle Sezioni Unite della Corte (Sez. U, n. 18 del 17/07/1999, Lauriola, Rv. 213932 – 01), che ha sposato l’opposto indirizzo. 
La Corte, in tale occasione, precisò in primo luogo che il reato di cui agli artt. 3 e 20 l. 64/1974 (omesso rispetto delle norme tecniche da osservarsi per i lavori edilizi in zona sismica) aveva natura permanente e che tale permanenza ha termine con la cessazione dei lavori di costruzione del manufatto. 
La Corte nella sua massima composizione ritenne invece che occorresse convenire con quella giurisprudenza delle Sezioni semplici che attribuivano ai reati di cui agli artt. 17, 18 e 20 (denuncia dei lavori, presentazione di progetto e autorizzazione) natura di reato istantaneo (per tutte: Sez. 3, n. 3505 del 10/11/1999, La Manna, Rv. 216382; Sez. 3, n. 12156 del 08/10/1998, La Spina, Rv. 212176 - 01; Sez. 3, n. 6318 del 22/04/1998, Grieco, Rv. 210968 - 01), o, tutt'al più, di reato istantaneo ad effetti permanenti (Sez. 3, n. 203 del 24/01/1994, Agnes, Rv. 198008 - 01), carattere questo, però, che non influisce sulla sua consumazione istantanea. 
Contestava l’opposta tesi ritenendo che, se la permanenza dei reati in esame, di natura omissiva, venisse a cessare soltanto con un facere del responsabile (cioè con la rimozione dell'opera contra legem, oppure con l'adempimento dell'obbligo, prima eluso), si richiederebbe all'autore del reato un «controagire», ovvero rimuovere la situazione antigiuridica provocata dal suo agire: affermazione questa che evoca la concezione c.d. «bifasica» del reato permanente, che imposta la condotta del reato permanente su due tempi: il primo di aggressione dell'interesse tutelato e il secondo di rimozione di tale illiceità. Ma tale concezione «bifasica», al pari di quella «pluralista», era stata da tempo abbandonata in dottrina ed in giurisprudenza, essendo stata privilegiata la nozione unitaria del reato permanente (Sez. U, n. 11021 del 13/07/1998, Montanari, Rv. 211385 - 01; Sez. U, n. 10 del 28/04/1999, Palma, Rv. 213303 - 01), in base alla quale la durata dell'offesa è espressa da una contestuale duratura condotta colpevole dell'agente (v. anche Corte costituzionale, sentenza n. 520 del 1987).
Per quanto concerne i reati omissivi, per riconoscere ad essi la natura permanente (e conseguentemente fissare il termine di cessazione) sarebbe necessario considerare attentamente la norma incriminatrice: da questa deve infatti risultare se, compiuta l'offesa nel momento della scadenza del termine, desumibile od indicato nella norma stessa, ne sia possibile configurare nel tempo la prosecuzione, essendo anche oltre quel termine operante il precetto di agire e rilevante penalmente la protrazione dell'omissione. In altri termini, deve persistere, malgrado la scadenza del termine, il dovere per il destinatario del precetto di assolvere l'obbligo, laddove tutte le norme in esame riferiscono il termine di presentazione della denuncia e dell'avviso a «prima dell'inizio dei lavori». 
Ed ancora, si deve fare attenzione a non confondere la permanenza con gli effetti permanenti del reato e del pari con l'interesse del soggetto passivo (pubblico o privato) ad ottenere ancora ciò che avrebbe dovuto costituire oggetto dell'adempimento.
L’indirizzo esegetico testé evidenziato fu poi seguito da Sez. 3, n. 23656 del 26/05/2011, Armatori, Rv. 250487; Sez. 3, n. 41854 dell'8/10/2008, Patanè Tropea, Rv. 241383; Sez. 3, n. 41858 dell'8/10/2008, Gifuni, Rv. 241424; Sez. 3, n. 3351/04 del 13/11/2003, Catanese, Rv. 227396, nonché, più di recente, Sez. 3, n. 20728 del 29/03/2018, Staiano, Rv. 273225; Sez. 3, n. 7889 del 27/01/2022, Lanteri, n.m..
6.3. Dopo l’entrata in vigore del d.P.R. 380/2001, tuttavia, le prevalenti pronunce della Corte hanno sposato il diverso e pregresso orientamento.
6.3.1. Sez. 3, n. 3069 del 05/12/2007, dep. 2008, Mirabelli, Rv. 238629 – 01, ad esempio, ha ritenuto che le norme della L. n. 64 del 1974, artt. 17, 18 e 20, sono state trasfuse nel testo unico approvato con d.P.R. n. 380 del 2001, artt. 93, 94 e 95, le quali prevedono che:
a) nelle zone sismiche, chiunque intenda procedere a interventi edilizi è tenuto a darne preavviso scritto allo sportello unico (che provvede a trasmetterne copia al competente ufficio tecnico della regione), presentando apposita domanda e allegando il progetto dei lavori con relazione tecnica (art. 93);
b) nelle stesse zone sismiche, ad eccezione di quelle a bassa sismicità specificamente determinate, i lavori edilizi non possono essere iniziati senza preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico della regione (art. 94). 
Ciò che, secondo la pronuncia in esame, non appariva condivisibile nella sentenza Lauriola, era la logica che sottendeva tutto il ragionamento e che è applicabile sia ai sistemi fondati sull'autorizzazione preventiva sia a quelli basati sul controllo successivo all'inizio dei lavori. 
Questa logica finisce, infatti, per confondere il criterio della persistenza dell'offesa del bene giuridico tutelato, connessa alla persistenza della condotta, che governa la distinzione tra reati permanenti e reati istantanei, col diverso criterio desunto dalla apertura formale di un procedimento amministrativo e comunque dalla possibilità di un controllo postumo, attivate dall'adempimento tardivo del contravventore.
Secondo la sentenza Mirabelli, la perduranza della condotta antigiuridica e la connessa protrazione della lesione all’interesse pubblico di vigilare sulla regolarità tecnica di ogni costruzione in zona sismica sussistono anche se (anzi proprio perché) l'amministrazione competente non ha aperto un procedimento formale o non ha attivato alcun controllo. Più specificamente, il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 93 e 95, permane sino a quando chi intraprende un lavoro edile in zona sismica non presenta la denuncia del lavoro con l'allegato progetto, ovvero non termina il lavoro medesimo. 
Sino a questo momento, infatti, persisterebbe la lesione o l'offesa al bene giuridico protetto, perché il competente ufficio tecnico regionale - non essendo informato dei lavori - non è messo in grado di controllarne la conformità alle norme tecniche stabilite al riguardo. 
Per la stessa ragione, sino a questo momento persiste il carattere antigiuridico della condotta mista (commissiva/omissiva) del contravventore, il quale potrà farla cessare solo interrompendo i lavori o presentando la denuncia anche dopo l'inizio dei medesimi. In altri termini, il dovere di agire imposto dall'art. 93 perdura nel tempo anche dopo l'inizio dei lavori, benché cominci a essere vincolante prima di tale inizio.
Il reato di cui al d.P.R. n. 380 del 2001, artt. 94 e 95, dunque, permane sino a quando chi intraprende un lavoro edile in zona sismica (che non sia di bassa sismicità) termina il lavoro ovvero ottiene la relativa autorizzazione. Sino a questo momento, infatti, persiste il carattere antigiuridico della condotta commissiva del contravventore, che prosegue lavori non autorizzati, così come perdura la lesione dell'interesse pubblico ad esercitare un preventivo controllo, perché il competente ufficio tecnico regionale non è messo in grado di verificare la conformità dei lavori alle norme tecniche di sicurezza stabilite per le zone sismiche di media o alta intensità. 
In conclusione, secondo l’arresto in esame, atteso che sono istantanei solo quei reati in cui la condotta tipica esaurisce la lesione del bene tutelato e sono permanenti quelli in cui la condotta volontaria del soggetto protrae nel tempo la lesione del bene, i reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 93, 94 e 95 devono ritenersi permanenti nel senso anzidetto.
6.3.2. Dopo una prima pronuncia adesiva (Sez. 3, 19/09/2008, n. 35912, Cancro, Rv. 241093 – 01), il tema è stato ampiamente ripreso da questa Sezione con la sentenza n. 17217 del 17/02/2011, Galletti, n.m., che ha confermato la natura permanente del reato già previsto dagli artt. 3 e 20 della legge n. 64/1974 (ed attualmente dagli artt. 83 e 95 del T.U. n. 380/2001), con la specificazione che, ai fini della prescrizione, tale permanenza ha termine con la ultimazione o la definitiva cessazione dei lavori di costruzione del manufatto.
La pronuncia parte dalla constatazione secondo cui la Corte costituzionale, con la sentenza n. 520 del 1987, nel dichiarare inammissibile la questione di costituzionalità degli artt. 3 e 20 della l. n. 64 del 1974, in relazione agli artt. 2 e 32 Cost. (per la mancata previsione, da parte del legislatore, della natura permanente di quel reato), ha evidenziato che la definizione del carattere permanente o istantaneo del reato non può dipendere da una espressa qualificazione del legislatore, ma deve dipendere dall'interpretazione del giudice il quale, solo se accerta che la lesione dell'interesse protetto è collegata ad una condotta perdurante nel tempo nella sua tipicità, può attribuire natura permanente al reato.
La sentenza evidenzia che l'autorizzazione non svolge unicamente il ruolo di rimozione di un ostacolo all'esercizio della facoltà di edificazione, ma è soprattutto rivolta a controllare la realizzabilità dell'edificazione medesima nel rispetto della normativa vigente; consegue a ciò che l'esigenza di controllo non cessa con la scadenza del termine fissato per la richiesta dell'autorizzazione, ma prosegue anche successivamente a tale momento, e aggiunge che, se il dies a quo è fissato per la regolare e tempestiva ottemperanza di una prescrizione che può essere adempiuta in modo utile anche se tardivo, non viene meno l'obbligo di agire dopo la scadenza del termine. 
Nelle fattispecie in esame apparirebbero così integrati entrambi i requisiti della permanenza, in quanto: 
a) la lesione dell'interesse pubblico tutelato ha carattere continuativo poiché, malgrado la scadenza del termine di legge, permangono pur sempre gli obblighi di informazione dell'autorità comunale, di presentazione dei progetti e di ottenimento dell'autorizzazione regionale, essendo anche oltre quel termine operante il precetto di agire e rilevante penalmente la protrazione dell'omissione; 
b) il protrarsi della lesione al bene giuridico protetto è imputabile ad una persistente condotta volontaria del soggetto, il quale continua a «produrre l'effetto» del reato sottraendosi al controllo dell'autorità competente. 
Tale soluzione, precisa la Corte, non costituisce riproposizione della c.d. concezione «bifasica» del reato permanente, poiché non si afferma l'obbligo per l'agente di «controagire», ma si evidenzia che la durata dell'offesa è espressa da una contestuale duratura condotta colpevole dell'agente medesimo, rilevandosi che, compiuta l'offesa nel momento della scadenza del termine indicato nella norma, ne è possibile configurare nel tempo la prosecuzione, persistendo, malgrado la scadenza del termine, il dovere per il destinatario del precetto di assolvere l'obbligo.
La sentenza Galletti precisa anche, approfondendo quanto si è visto al par. 5, che dopo l'entrata in vigore del D.P.R. n. 380 del 2001 non può essere altresì trascurata la valutazione dei rapporti di interazione tra la procedura di rilascio del permesso di costruire e quella rivolta al conseguimento dell'autorizzazione per l'edificazione nelle località sismiche.
L'art. 93 del d.P.R., infatti, apportando delle modificazioni semplificative alle procedure già richieste dalla L. n. 64 del 1974, artt. 17 e 19, ha configurato lo sportello unico come l'interlocutore necessario fra le amministrazioni coinvolte nel procedimento di rilascio del titolo abilitativo edilizio e chiunque intenda procedere alla realizzazione di costruzioni, riparazioni e sopraelevazioni nelle zone sismiche. È lo sportello unico, infatti, che, ricevuto il preavviso scritto di cui all'art. 93, cura gli incombenti necessari ai fini dell'acquisizione, anche mediante conferenza di servizi, delle autorizzazioni e certificazioni del competente ufficio tecnico della Regione per le costruzioni in zone sismiche e tali atti devono essere comunicati al Comune, subito dopo il rilascio, per i provvedimenti di propria competenza. Il preavviso adempie ad una funzione di controllo della progettazione e configura il primo atto di quel procedimento che, attraverso le successive fasi della presentazione dei progetti e del loro esame tecnico da parte degli uffici competenti, confluisce nel finale giudizio di eseguibilità dell'opera. 
In mancanza dell'acquisizione dell'autorizzazione regionale, il permesso di costruire non può essere rilasciato, sicché appare contraddittorio «il riconoscimento della natura permanente (fino all'ultimazione dei lavori) del reato di costruzione in carenza del titolo abilitativo edilizio ed il disconoscimento, invece, della medesima natura al reato di costruzione in assenza di quella autorizzazione che si pone quale presupposto indefettibile del permesso di costruire (nello stesso senso, sez. 3, 25 giugno 2008, n. 35912, Rv. 241093, e sez. 3, 5 dicembre 2007, n. 3069/2008, Rv. 238629; con riferimento alla normativa previgente, sez. 3, 19 marzo 1999, n. 7873, Rv. 214501)».
Tale sentenza concludeva nel senso che: 
- il reato di cui agli artt. 93 e 95 del D.P.R. n. 380/2001 (omesse denunzia dei lavori e presentazione dei progetti) permane sino a quando chi intraprende un lavoro edile in zona sismica non presenta la prescritta denuncia con l'allegato progetto ovvero non porta ad ultimazione il lavoro medesimo; fino al verificarsi delle condizioni anzidette, infatti, persiste la lesione del bene giuridico protetto, perché l 'ufficio tecnico regionale non è messo in grado di controllare la conformità delle opere alle norme tecniche stabilite al riguardo: il contravventore, inoltre, potrà fare cessare la condotta antigiuridica presentando la denuncia anche dopo l'inizio dei lavori (oltre che interrompendo i medesimi). Ne consegue, attesa la ratio della norma, che il dovere di agire imposto dall'art. 93 perdura nel tempo anche dopo l'inizio dei lavori, benché cominci ad essere vincolante prima di tale inizio;
- il reato di cui agli artt. 94, comma 1 e 95 del D.P.R. n. 380/2001 (inizio dei lavori senza preventiva autorizzazione scritta del competente ufficio tecnico della Regione) permane sino a quando chi intraprende un lavoro edile in zona sismica termina il lavoro ovvero ottiene la relativa autorizzazione. Nelle more il contravventore esegue e prosegue lavori non autorizzati in relazione ai quali l'ufficio tecnico regionale non ha verificato la conformità alle norme tecniche di sicurezza stabilite per le zone sismiche di media o alta intensità;
- il reato di cui agli artt. 94, comma 4 e 95, del D.P.R. n. 380/2001 (secondo cui «i lavori devono essere diretti da un ingegnere, architetto, geometra o perito edile iscritto nell'albo, nei limiti delle rispettive competenze»), ha del pari natura permanente, posto che la ratio legis della norma è rivolta ad evitare che - in considerazione della particolare delicatezza dell'edificazione in territori soggetti al fenomeno sismico e, quindi, a sollecitazioni telluriche che potrebbero compromettere la statica degli edifici – la realizzazione di interventi edilizi venga affidata a soggetti sprovvisti delle necessarie competenze tecnico-scientifiche, sicché il reato perdura oltre l'inizio della costruzione e per tutto lo svolgimento dell’attività costruttiva.
6.3.3. Sez. 3, n. 12235 del 11/02/2014, Petrolo, Rv. 258738 – 01, infine, nel ripercorrere il contrasto giurisprudenziale anzidetto, recupera la motivazione di Sez. 3, 19 marzo 1999, n. 7873, Guerra, Rv. 214501, secondo cui, nell'applicazione della legislazione antisismica, costituiscono reato permanente non solo le omissioni penalmente sanzionate concernenti le c.d. «prescrizioni tecniche», nelle quali la permanenza non cessa con l'esaurimento dell'attività edilizia, ma anche quelle riguardanti adempimenti relativi al controllo dell'attività costruttiva. 
La sentenza, che completa il quadro delineato dalle precedenti pronunce esaminate, sostiene che la condotta omissiva si protrae, determinando la permanenza del reato, «finché l'obbligo non si estingue perché l'adempimento di esso è divenuto definitivamente impossibile per ragioni di diritto, come la prescrizione, o di fatto, ad esempio perché diventato inutile essendosene esaurita la finalità». 
La formulazione del testo normativo, che parla di preavviso scritto ed esige, quindi, anche il deposito preventivo, in allegato, del progetto dell'edificio che si intende costruire, vale a individuare il momento consumativo del reato, (ma) non già la cessazione dell'obbligo di consentire il controllo dell'attività costruttiva anche dopo il suo inizio, controllo che risponde a indiscutibili esigenze di pubblico interesse, sicché deve ritenersi che alla consumazione del reato segua la permanenza dell'omissione criminosa finché l'adempimento dell'obbligo non si esaurisca, cioè almeno fino al completamento dell'attività costruttiva.
Importante tassello è stato infine aggiunto da Sez. 3, n. 3137 del 03/12/2013, dep. 2014, Maniscalco, n.m., che, nel confermare la natura permanente dei reati in parola, ha precisato che «grava sull'imputato che voglia giovarsi della causa estintiva, in contrasto o in aggiunta a quanto già risulta in proposito dagli atti di causa, l'onere di allegare gli elementi in suo possesso, dei quali è il solo a potere concretamente disporre, per determinare la data di inizio del decorso del termine di prescrizione, data che in tali ipotesi coincide con quella di esecuzione dell'opera incriminata (v., tra le tante: Sez. 3, n. 10562 del 17/04/2000 - dep. 11/10/2000, Fretto S., Rv. 217575)».
6.3.4. La giurisprudenza successiva, assolutamente prevalente, ha aderito a tale secondo orientamento (Sez. 3, n. 29737 del 04/06/2013, Vella, Rv. 255823; Sez. 3, n. 1145 del 08/10/2015 - dep. 14/01/2016, Stabile, Rv. 266015; Sez. 3, n. 35183 del 14/04/2016, Bollettin, n.m.; Sez. 4, n. 7800 del 11/02/2016, Maduli, n.m.; Sez. 3, n. 13731 del 22/11/2018, dep. 2019, Picano, Rv. 275189 – 01; Sez. 3, n. 49797 del 26/09/2019, Sepe, n.m.; Sez. 3, n. 17696 dell’11/01/2019, Villanova, n.m.; Sez. 3, n. 26836 del 08/09/2020, Ofria, Rv. 279882 - 01; Sez. 3, n. 2210 del 16/12/2021, dep. 2022, Amodeo, Rv. 282410 – 01; Sez. 3, n. 51290 del 21/11/2023, Bonanno, n.m.).

7. Il Collegio ritiene di dare continuità all’orientamento largamente maggioritario.
7.1. In riferimento alla qualificazione dei reati in parola in termini di reati «di durata», va osservato come autorevole dottrina abbia rilevato che il termine «consumazione» viene adoperato dal legislatore con un duplice significato. 
In una prima accezione, infatti, il termine «reato consumato» servirebbe a distinguere il reato tentato dal reato consumato in senso stretto. 
In una seconda accezione, invece, l’espressione sarebbe utilizzata dal legislatore ad altri fini, quali la fissazione della competenza territoriale, i fini prescrizionali e l’applicazione di provvedimenti di clemenza (indulto, amnistia).
In questi secondi casi, onde evitare confusione, occorrerebbe distinguere la nozione di «perfezione» dell’illecito penale (termine con cui dovrebbe indicarsi il momento in cui la fattispecie concreta è pienamente conforme al modello legale contemplato dalla norma incriminatrice) da quella della sua «consumazione» (che indicherebbe il momento nel quale  l’offesa si è esaurita e da cui incominciano a decorrere, ad esempio, i termini per la prescrizione o per l’applicazione di un provvedimento di clemenza). 
I due momenti, che nei reati c.d. «unisussistenti» (o istantanei) coincidono, sono invece separati nei reati «non unisussistenti» (quali i reati abituali, i reati permanenti, i reati aggravati dall’evento, ecc.).
Ai fini che qui interessano, la data di consumazione - in tale secondo caso - coinciderebbe con il momento in cui si verifica o – se prolungato nel tempo – si esaurisce l’evento, il quale, in senso giuridico, deve intendersi quale «offesa arrecata al bene giuridico protetto».
Dalla teoria della dissociazione tra momento perfezionativo e momento consumativo del reato, che la Corte aveva già sostanzialmente sposato (pur senza menzionarla) nella citata sentenza Galletti, la dottrina e la giurisprudenza hanno isolato il concetto di «reati a consumazione prolungata», i quali costituiscono una categoria di genere, all’interno della quale è possibile ricondurre diverse species, come il reato (necessariamente o eventualmente) permanente, il reato abituale, il «reato progressivo» (il quale si configura quando, a livello di fattispecie legali astratte, un reato contiene come elemento costitutivo o eventuale un reato minore e la modificazione del titolo del reato non consista nella intensificazione della medesima attività, ma trapassi ad un’attività diversa, per quanto connessa; v. Sez. 5, n. 18667 del 03/0212021, F., Rv. 281250 conf. Sez. 1, n. 16209 del 1978, Rv. 140675) e il delitto aggravato dall’evento, mentre da essi va tenuta invece dogmaticamente distinta l’ipotesi della c.d. «progressione criminosa», che si verifica nel caso in cui la progressiva e più grave offesa al medesimo bene giuridico protetto determina un mutamento della qualificazione giuridica del fatto, ma tale passaggio viene determinato da risoluzioni successive (v., sul punto, Sez. U, n. 15208 del 25/02/2010, Mills, Rv. 246583 – 01; Sez. 3, n. 33287 del 10/07/2024, Paparazzo, Rv. 286844 – 01, in tema di distinzione tra il reato di abbandono incontrollato di rifiuti e quello di discarica abusiva).
Come evidenziato in dottrina, la caratteristica comune di tale categoria di reati consiste nel fatto che si assiste ad un protrarsi, ad un reiterarsi o, talvolta, anche alla realizzazione di condotte alternative rispetto a quelle che sono necessarie e sufficienti per il perfezionamento della fattispecie delittuosa, in conseguenza delle quali si verifica, contestualmente, un protrarsi dell’offesa. Le diverse fattispecie che vi rientrano sarebbero quindi accomunate proprio dalla anzidetta scissione tra il momento perfezionativo (quello in cui viene integrato ciò che è necessario e sufficiente affinché sia configurabile una fattispecie penalmente rilevante) e il momento consumativo del reato (quando cessa la condotta ovvero essa finisce di alimentare il protrarsi dell’offesa) il quale, come rilevato da accorta dottrina, segna il punto conclusivo di una fase dotata di specifico rilievo giuridico. Dopo tale momento, è ben possibile che l’offesa permanga quale conseguenza del reato, ma non è più alimentata da una condotta (o un evento) che si protrae nel tempo.
Ed infatti, dalla consumazione (o «esaurimento») del reato vanno tenuti distinti gli «effetti» del reato stesso: ai fini della determinazione del momento consumativo non potrà pertanto tenersi conto, ad esempio, della cessazione dell’effetto antigiuridico del reato (come nel caso della restituzione delle cose rubate nel furto) ovvero della realizzazione dello scopo che il colpevole voleva con il reato raggiungere , anche se talvolta i due momenti possono coincidere (nel caso che qui occupa: l’ultimazione dei lavori).
Conclusivamente, nei reati a consumazione prolungata, il dies a quo del termine prescrizionale coincide (non con la perfezione ma) con la consumazione del reato.
7.2. La prima pronuncia in cui la Corte ha fatto uso di questa categoria dogmatica (Sez. 2, n. 4856 del 27/02/1984, Messina, Rv. 164375 – 01) ha ritenuto che quello «a consumazione prolungata» è un reato «che sin dall’inizio si prospetta nella volontà di chi intende commetterlo come un'azione che sfocia in un evento che continua a prodursi nel tempo, aumentando logicamente a mano a mano la propria entità. Quando l’azione esecutiva è idonea, ai sensi del secondo comma dell’art. 49 cod. pen., ed ha conseguito l’effetto causale che ne discende, colui che l'ha attuata con coscienza e volontà ne continua a rispondere, ove non ne interrompa egli stesso l'effetto, anche se questo, e cioè l’evento che continua a protrarsi nel tempo, poteva essere interrotto dalla stessa parte offesa. L’entità del danno subito va valutata unitariamente».
Ossequiando tale principio, la successiva Sez. 4, n. 9343 del 21/10/2010, dep. 2011, Valentini, Rv. 249809 – 01, ha distinto la fase della perfezione da quella della consumazione, sottolineando tuttavia che il reato permanente non va confuso con il reato istantaneo con effetti permanenti (es. l'omicidio), laddove la permanenza degli effetti non è ricollegabile alla perdurante volontà colpevole dell'agente, precisando che, in tema di danneggiamento (ambientale), laddove la «distruzione» od il «deterioramento» siano il frutto non di un unico atto, ma dalla ripetizione di condotte lesive, il reato vada inquadrato in quella categoria di delitti caratterizzati dal fatto che l'evento continua a prodursi nel tempo, sebbene con soluzione di continuità, e denominati «a consumazione prolungata» o a «condotta frazionata», ciò non in ragione della fattispecie tipica, ma delle «specifiche modalità con cui la condotta criminosa è posta in essere».
Sez. 4, n. 53456 del 15/11/2018, Fargetta, Rv. 274501 – 01, ha poi stabilito che esiste una categoria di delitti caratterizzati dal fatto che «l'evento continua a prodursi nel tempo, sebbene con soluzione di continuità, e denominati a “consumazione prolungata” o a “condotta frazionata”, ciò non in ragione della fattispecie tipica, ma delle specifiche modalità con cui la condotta criminosa è posta in essere». 
Sez. 5, n. 18667 del 03/02/2021, F., Rv. 281250 – 01, ha infine ritenuto che «reato progressivo è il reato a consumazione prolungata, quindi una categoria che comprende tutte le ipotesi in cui, dopo il momento perfezionativo, la condotta continua a protrarsi (in maniera permanente, reiterata, abituale) alimentando e aggravando l’offesa al bene protetto e, quindi, l’evento di danno», ed in cui il momento consumativo coincide con il compimento dell’ultimo atto che alimenta l’offesa.
7.2.1. Analizzando la casistica giurisprudenziale, tuttavia, è dato comprendere che con la locuzione «reati a consumazione prolungata» si intendeva descrivere fenomeni assai diversi tra loro.
Va in primo luogo enucleato all’interno del genus in parola il reato «a condotta frazionata», in cui si assiste alla reiterazione di condotte distinte ancorché ascrivibili ad una determinazione unitaria, da quello «a consumazione prolungata» in senso stretto. Rientrano nella prima categoria molti dei casi di cui la Corte si è occupata in tema di reati contro il patrimonio:
- Sez. 5, n. 18667 del 03/02/2021, F., Rv. 281250 – 01, laddove parlava di truffa «a consumazione prolungata», consistente nell'omesso pagamento periodico della tassa di circolazione riconducibile ad un unico originario comportamento omissivo generatore di effetti dannosi persistenti (nella specie, la simulata vendita della vettura, cui era conseguita, da parte dei competenti uffici, la falsa attestazione sui documenti di circolazione della proprietà di una terza persona, rivelatasi inesistente), con la conseguenza che il termine di prescrizione decorre dal momento in cui cessa la situazione di illiceità (così anche Sez. 2, n. 36278 del 16/09/2022, Mercurio, Rv. 283884 - 01);
- Sez. 3, n. 9196 del 09/01/2024, Puleri, Rv. 286019 – 01, laddove ha ritenuto che il delitto di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, di cui all'art. 2, comma 1-bis, d.l. 12 settembre 1983, n. 483, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, modificato dall'art. 3, comma 6, d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8, che ha introdotto la soglia di punibilità di euro diecimila annui, si configura come fattispecie connotata da progressione criminosa, nel cui ambito, superato il limite di legge, le ulteriori omissioni consumate nel corso del medesimo anno si atteggiano a momenti esecutivi di un reato unitario a consumazione prolungata, la cui definitiva cessazione coincide con la scadenza del termine previsto per il versamento dell'ultima mensilità, ossia con la data del 16 gennaio dell'anno successivo;
- Sez. 6, n. 12073 del 06/02/2020, Grecuccio, Rv. 278752 – 01, secondo cui il delitto di frode nelle pubbliche forniture, laddove riguardi contratti di somministrazione di beni o servizi, si realizza attraverso una pluralità di atti, senza tuttavia perdere la sua struttura unitaria, poiché ogni singolo inadempimento rappresenta soltanto l'aggravamento di un'offesa già inferta ed in essere, e perciò l'approfondimento di un disvalore della condotta già emerso e non, invece, un ulteriore autonomo momento di disvalore. Ad un tempo, però, ciascuna omissione, proprio perché contribuisce ad accentuare la lesione arrecata al bene giuridico protetto dalla norma, non può consistere in un mero post factum penalmente irrilevante. In siffatte ipotesi, dunque, il delitto di cui all'art. 356, cod. pen., assume la struttura di un reato «a consumazione prolungata», che si realizza attraverso condotte reiterate, e comunque plurime.
7.2.2. Altre pronunce, invece, utilizzano la locuzione di reati «a consumazione prolungata» per indicare ipotesi in cui l’offesa al bene giuridico viene approfondita non dalla reiterazione della condotta dell’agente, ma dal perdurare di una condotta esterna all’agente, che la approfondisce:
- Sez. 2, n. 37693 del 04/06/2014, D’Alessandro, Rv. 260782 – 01, ad esempio, in tema di usura, ha stabilito (pur parlando in modo indistinto di reato a condotta frazionata o a consumazione prolungata) che i pagamenti effettuati dalla persona offesa in esecuzione del patto usurario compongono il fatto lesivo penalmente rilevante, di cui segnano il momento consumativo sostanziale, e non sono qualificabili come post factum non punibile dell'illecita pattuizione» (conf.: Sez. 2, n. 40380 del 11/06/2015, Cardamone, Rv. 264887 – 01; in tema di usura: Sez. 5, n. 42849 del 24/06/2014, Lagala, Rv. 262308 – 01);
- Sez. 2, n. 53667 del 02/12/2016, Bellucci, Rv. 269381 – 01; Sez. 2, n. 57287 del 30/11/2017, Trivellini, Rv. 272250 - 01, ha stabilito che, in tema di frode in danno di enti previdenziali per ricezione indebita di emolumenti periodici, è configurabile il reato di truffa c.d. «a consumazione prolungata» quando le erogazioni pubbliche, a versamento rateizzato, siano riconducibili ad un originario ed unico comportamento fraudolento, mentre si configurano plurimi ed autonomi fatti di reato quando, per il conseguimento delle erogazioni successive alla prima, sia necessario il compimento di ulteriori attività fraudolente; ne consegue che, ai fini della prescrizione, nella prima ipotesi il relativo termine decorre dalla percezione dell'ultima rata di finanziamento, mentre nella seconda dalla consumazione dei singoli fatti illeciti.
- Sez. 2, n. 43745 del 03/10/2024, Diana, Rv. 287193 – 02, secondo cui integra il delitto di concorso in estorsione, e non quello di favoreggiamento reale, la condotta di colui che garantisce la regolare percezione del contributo mensile corrisposto dalla vittima di un'estorsione, posto che la rateizzazione del contributo dà luogo a un reato a consumazione prolungata o progressiva e che, in costanza di reato, qualsiasi ausilio fornito all'autore materiale risulta punibile a titolo di concorso, essendo finalizzato a tradursi in un sostegno per la protrazione della condotta criminosa.
Nei casi dianzi visti, la condotta tipica si esaurisce con la prima azione dell’agente di reato, segnando così il perfezionamento del reato (poiché è in quel momento che si ravvisano tutti gli elementi costitutivi richiesti dalla fattispecie), ma quando dalla condotta iniziale discende l’erogazione dilazionata di altre indebite elargizioni da parte della persona offesa, il momento consumativo del reato si sposta in avanti fino a comprendere l’ultima erogazione causalmente riconducibile all’originario comportamento antigiuridico. 
La ratio della norma risiede nel fatto che, con i versamenti successivi al primo, si avrebbe un approfondimento dell’offesa tale da giustificare la posticipazione del momento consumativo del reato. 
La particolarità dei delitti a consumazione prolungata «in senso stretto» risiede, in tali casi, nel fatto che l’autore del reato pone in essere un unico comportamento illecito dal quale derivano più effetti dilazionati nel tempo senza che questi siano la conseguenza di nuove e ulteriori condotte criminose.
7.3. In entrambi i casi dianzi esaminati si assiste alla aggressione perdurante ai beni giuridici tutelati dall’ordinamento dovute, nell’un caso, a condotte poste in essere dal reo, mentre, nell’altro, a condotte poste in essere da altri soggetti; altre volte ancora (e tale è il caso in esame), alla assenza di condotte commissive, ma tutti i casi esaminati hanno in comune l’elemento costituito dall’essersi l’offesa al bene giuridico protetto «esaurita», sotto il profilo sostanziale, in un momento cronologicamente successivo a quello in cui, per la prima volta, il fatto si è fatto sussumere in una norma incriminatrice, fuori dai casi «classici» di durata del reato nel tempo (tanto da indurre accorta dottrina a parlare di «durata post-consumativa» del reato) e dai casi in cui l’approfondimento dell’offesa determina il travaso in una fattispecie legale diversa (come nel reato progressivo e nei delitti aggravati dall’evento).
In ogni caso, tale durata post-consumativa (e in disparte l’ipotesi del reato abituale) può verificarsi: a) in ragione dell’espresso tenore letterale della norma; b) in ragione delle concrete modalità della condotta, la quale determina un protrarsi dell’evento in senso giuridico, ossia inteso quale offesa all’interesse protetto dalla norma (e tale sarebbe, in ipotesi, il caso che occupa il Collegio), come già evidenziato dalla citata pronuncia della Corte costituzionale n. 520 del 1987.
In tale secondo caso, tuttavia, occorre distinguere se tale prolungarsi dell’evento possa dipendere esclusivamente da condotte commissive dell’agente di reato (come nei casi dianzi esaminati al par. 7.2.2), ovvero se possa consistere anche in condotte omissive, ciò che conduce al nucleo dell’odierno thema decidendum.
Inoltre, occorre valutare se, non vertendosi in tema di reati di evento (inteso in senso naturalistico), bensì di mera condotta, sia possibile riferirsi all’evento in senso giuridico.
7.4. Il Collegio ritiene che a entrambe le domande possa essere data risposta affermativa.
7.4.1. Quanto al primo aspetto, va in primis evidenziato che i reati in esame, ossia effettuazione di lavori in zona sismica senza preavviso scritto allo sportello unico, progetto e tecnico abilitato (articolo 93 d.P.R. 380/2001) ovvero senza autorizzazione (art. 94 d.P.R. 380/2001) sono strutturalmente caratterizzati da una condotta «mista»: una condotta commissiva (l’inizio dei lavori), che costituisce, analogamente alla dichiarazione di fallimento nei reati di bancarotta prefallimentare, una condizione di esistenza del reato (in tal senso, Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266804 – 01, in motivazione, par. 18.1; Sez. F, n. 32779 del 13/08/2012, Lavitola, Rv. 253490 - 01), e una condotta omissiva (omesso preavviso o autorizzazione), solo con la quale si verifica l’esposizione a pericolo (e, quindi, si realizza l’offesa) dell’interesse tutelato.
La prima condotta, quella commissiva, si esaurisce con l’inizio dell’attività edilizia. Non però quella omissiva, che invece perdura, così come l’offesa al bene giuridico protetto, fino al momento in cui la condotta imposta dalla legge non viene tenuta o non si esaurisce l’attività edilizia. 
Ci si trova, in altre parole, in presenza di un reato che, inizialmente, è commissivo (salvo voler considerare l’inizio dei lavori un elemento estraneo alla fattispecie tipica), ma poi prosegue in forma omissiva permanente. In maniera non dissimile, del resto, Sez. 3, n. 36095 del 30/06/2016, Ercoli, Rv. 267917 – 01, ha ritenuto che «il reato di cui all'art. 75 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 - utilizzazione di un'opera in cemento armato o a struttura metallica prima del rilascio del certificato di collaudo - ha natura di reato permanente a condotta mista in quanto comprende, da un lato, un aspetto commissivo costituito dall'utilizzazione dell'edificio e, dall'altro, un aspetto omissivo, costituito dalla mancata richiesta di collaudo all'autorità competente, con la conseguenza che il momento di cessazione della condotta antigiuridica, da cui far decorrere il termine di prescrizione, coincide con il momento di dismissione dell'utilizzo dell'immobile ovvero con il collaudo». 
Tale notazione riverbera i suoi effetti sulla natura del reato. Come infatti già evidenziato da una risalente - ma mai superata - pronuncia della Corte (Sez. 3, n. 1028 del 07/07/1967, Lasagni, Rv. 105607 - 01), «in tema di differenze fra reati omissivi istantanei e reati omissivi permanenti, deve ritenersi sussistente la prima figura criminosa quando il dovere violato con l'omissione ha per contenuto un comportamento da prestarsi entro un determinato termine, trascorso il quale non è più nel potere dell'obbligato far cessare, sia pure tenendo il comportamento imposto dalla legge, lo stato antigiuridico provocato dalla condotta omissiva, di guisa che resta leso in modo definitivo l'interesse tutelato dalla norma di legge. Si ha invece la seconda figura criminosa, quando, non avendo il termine natura perentoria, ma indicativa, la sua scadenza segna l'inizio dello stato d'antigiuridicità, ma non preclude al soggetto la possibilità di determinare la cessazione, compiendo, sia pure tardivamente, ma efficacemente, quanto e richiesto dalla legge e, quindi, di rimuovere il pregiudizio nell'interesse del quale la norma e stata posta». 
In tal caso, la scadenza del termine (nel caso di specie, l’inizio dei lavori), che non preclude al soggetto obbligato la possibilità di eliminare la situazione antigiuridica mediante l'attuazione del comportamento prescritto, segna il momento iniziale di perfezione del reato, che si protrae per tutto il tempo in cui permane l'inosservanza dell'obbligo e, conseguentemente, la condotta antigiuridica sanzionata penalmente (così Sez. 3, n. 1084 del 04/04/1966, Menassero, Rv. 101766 - 01). 
Condotta che si esaurisce con l’ultimazione dei lavori e in relazione alla quale la (mera) permanenza dell’immobile abusivo costituisce un effetto della condotta stessa e, in ultima analisi, un post factum non punibile.
7.4.2. Quanto al secondo aspetto, tornando per un momento a quanto affermato al par. 5, se è vero, come è vero, che l’offesa al bene giuridico tutelato consiste nel non consentire agli organi preposti di operare la prescritta vigilanza sulle costruzioni in zone sismiche, non può dubitarsi del fatto che ci si trova di fronte ad un reato a consumazione prolungata. 
E ciò in quanto la condotta imposta dalla normativa antisismica non è una «monade» isolata, per cui l’inadempimento degli obblighi di comunicazione, deposito o  autorizzazione esaurisce il disvalore del fatto, ma si inserisce in un corpus normativo finalizzato a consentire agli organi di controllo il rispetto della normativa tecnica a tutela del rischio sismico, corpus normativo che si caratterizza, come visto, per l’accentramento nello sportello unico dell’edilizia delle competenze urbanistiche, il quale trasmette copia del progetto al competente ufficio tecnico regionale.
Non a caso, il comma 4 dell’art. 93 prevede che «i progetti relativi ai lavori di cui al presente articolo sono accompagnati da una dichiarazione del progettista che asseveri il rispetto delle norme tecniche per le costruzioni e la coerenza tra il progetto esecutivo riguardante le strutture e quello architettonico, nonché il rispetto delle eventuali prescrizioni sismiche contenute negli strumenti di pianificazione urbanistica», a testimoniare l’intima coerenza tra le disposizioni di cui agli artt. 93 e 94 e quella di cui all’articolo 83 del d.P.R. (la cui violazione costituisce pacificamente illecito permanente).
In tal senso, potrebbe avere senso recuperare il concetto di reato ad «evento perdurante», ma con il caveat che tale operazione non è ideologicamente sorretta dall’intento di evitare la prescrizione, quanto dalla perduranza dell’evento in senso giuridico del reato.
7.5. La soluzione caldeggiata sembra anche ricevere autorevole avallo dalle Sezioni Unite della Corte, che, nella sentenza Montanari (Sez. U, n. 11021 del 13/07/1998, Montanari, Rv. 211385 - 01), citata peraltro dalle Stesse Sezioni Unite Lauriola, nel ribadire la «natura unitaria» del reato permanente, hanno evidenziato (il corsivo è del Collegio) che il fatto che lo costituisce «non si esaurisce “uno actu” ed “uno tempore” ma si protrae nel tempo finché perdura la situazione antigiuridica dovuta alla condotta volontaria del reo e questi non la fa cessare»; pertanto, «nel reato permanente è possibile distinguere tra “commissione”, intesa come realizzazione del fatto tipico, “id est” dell'azione prevista per la integrazione della soglia minima della fattispecie astratta, ed il protrarsi nel tempo della situazione antigiuridica realizzata che perdura fino all'azione consumativa ultima: questa esaurisce l'illecito e segna il momento nel quale la permanenza viene a cessare, facendo giungere al termine il processo esecutivo che ha prodotto lo stato antigiuridico, fino ad allora sostanziatosi della condotta cosciente e volontaria del soggetto, cioè dell'azione colpevole che si protrae, protraendo l'offesa nel contemporaneo perdurare di tutti gli altri dati materiali e giuridici caratterizzanti la fattispecie (condotta, evento, rapporto di causalità, elemento psicologico, antigiuridicità ecc.)». 
Conformi a tale dictum sono le successive sentenze Sez. 1, n. 39189 del 09/07/2021, Iacolare, n.m.; Sez. 1, n. 37997 del 13/04/2021, Quirino, n.m., mentre Sez. 5, n. 1787 del 05/10/2023, dep. 2024, Silvestri, Rv. 285842 – 01, ha precisato che in tali casi si realizza una «permanente compressione del bene protetto», per effetto della quale «lo stato di consumazione perdura fino a quando si protrae la situazione antigiuridica realizzata».
A corredo di quanto sopra evidenziato, il Collegio sottolinea che la stessa categoria dogmatica cui la sentenza delle Sezioni Unite Lauriola ha fatto ricorso, ossia quella dei «reati istantanei con effetti permanenti», ha subito nel tempo una profonda revisione critica, essendosi sottolineato che tale categoria di reati sarebbe «immeritevole di assurgere a categoria autonoma, posto che quasi tutti i reati possono avere conseguenze dannose più o meno irreparabili e posto che l'esistenza di simili conseguenze varia da caso a caso, anche con riferimento alla medesima fattispecie di reato» (Sez. 3, n. 29508 del 04/04/2019, Schettino, Rv. 276359 - 01).
Va quindi riaffermato il principio secondo cui il reato di cui all’articolo 95 d.P.R. 380/2001, laddove ha ad oggetto la violazione degli obblighi di cui agli articoli 93 e 94 del decreto, costituisce una fattispecie «a consumazione prolungata» e in particolare un reato permanente, in cui la consumazione del reato prosegue in ragione della perduranza dell’offesa al bene giuridico tutelato, da identificarsi (a tutela della pubblica incolumità) nel controllo pubblico sulla costruzione di qualsiasi struttura realizzata nelle zone a «rischio sismico».
Tale controllo si esprime attraverso la verifica del rispetto da parte dell’interessato delle prescrizioni tecniche (parametro «sostanziale»).
Tale verifica, a sua volta, può essere consentita (solo) dall’adempimento da parte dell’interessato di precisi obblighi amministrativi (parametro «formale»). 
La consumazione del reato cessa o con l’adempimento da parte dell’interessato degli obblighi di legge o con l’ultimazione dei lavori: solo da quel momento, infatti, la condotta omissiva diventa un post factum non punibile.

8. Alla luce delle superiori considerazioni, i motivi di ricorso concernenti la prescrizione dei reati «antisismici» (primo e quarto motivo di ricorso di Lesina Nunzio, Lesina Franco e Lesina Renato, e secondo motivo di ricorso di Aliquò Rocco), che aderiscono ad una giurisprudenza ormai largamente minoritaria della Corte senza addurre ragioni di diritto che consentano di ribaltare l’indirizzo interpretativo prevalente, devono ritenersi manifestamente infondati.
In proposito, il Collegio evidenzia come (v. Sez. U., n. 32 del 22/11/2000, D.L., Rv. 217266 – 01; Sez. 2, n. 17281 del 08/01/2019, Delle Cave, Rv. 276916 – 01; Sez. 2, n. 19411 del 12/03/2019, Furlan, Rv. 276062 – 01) la «manifesta infondatezza» consiste, tra l’altro, nella «proposizione di censure caratterizzate da evidenti errori di diritto nell’interpretazione della norma posta a sostegno del ricorso, il più delle volte contrastata da una giurisprudenza costante e senza addurre motivi nuovi o diversi per sostenere l’opposta tesi, ovvero invocando una norma inesistente nell’ordinamento (solo per indicare le più frequenti ipotesi di applicazione dell’art. 606, comma 3, secondo periodo). 

9. Quanto al reato di cui all’articolo 71 d.P.R. 380/2001, in relazione all'art. 64, commi 2 e 3, stesso d.P.R., esso, assieme all’art. 72 d.P.R. n. 380 del 2001 (in relazione all'art. 65 stesso d.P.R., in relazione all'esecuzione di opere in conglomerato cementizio e all'omessa denuncia di realizzazione di tali opere), ripropone la disciplina della l. 5 novembre 1971, n. 1086 e mira alla salvaguardia della stabilità e della sicurezza di opere potenzialmente pericolose per l'incolumità pubblica (Sez. 3, n. 7889 del 27/01/2022, Lanteri, rel. Noviello, n.m.). 
La ratio dell'incriminazione trova, quindi, fondamento nel fatto che una irregolare esecuzione di opere in conglomerato cementizio potrebbe portare al collasso statico del manufatto e ciò può determinare il crollo della costruzione. Perciò l'oggetto giuridico dei reati in esame deve identificarsi nella pubblica incolumità, che esige un'anticipazione della tutela penale che è assicurata dalla previsione di uno specifico e preventivo controllo pubblico su tali attività costruttive, soprattutto qualora esse siano sottoposte al regime autorizzativo del permesso di costruire ma anche per quanto riguarda gli interventi minori, che del titolo autorizzativo non necessitino ma non per questo si sottraggono al regime di controllo predisposto per la realizzazione di tali lavori. 
Quanto alla natura del reato in questione, la giurisprudenza di questa Corte concorda nel ritenere che abbia natura permanente, cosicché la consumazione si protrae fino all'ultimazione dell'opera, o alla totale sospensione dei lavori a seguito di provvedimento autoritativo, o per desistenza volontaria dell'agente, consistente in un comportamento inequivoco (assente nel caso in esame) di definitiva cessazione della condotta antigiuridica (Sez. 3, n. 9275 del 18/10/2018, dep. 2019, D'Antoni, Rv. 275140 – 01, la quale ha tuttavia ritenuto che la data di ultimazione dei lavori coincidesse con la data del deposito in catasto della planimetria dell'immobile, atteso che a tale data l'immobile era comunque da ritenersi «terminato», anche in base alla giurisprudenza che individua tale termine quale momento di cessazione della permanenza dei reati di cui agli artt. 93 e 94, TU edilizia, in quanto ragionevolmente deve presumersi che, a tale data, i lavori fossero stati completati, non emergendo in atti prova della loro prosecuzione; Sez. 3, n. 49797 del 26/09/2019, Sepe, n.m.; Sez. 3, n. 17281 del 2014, Calcagni, non massimata), con la conseguenza che il termine di prescrizione decorre dal completamento dell'opera o dalla totale sospensione dei lavori a seguito di provvedimento autoritativo ovvero, ancora, dalla desistenza volontaria del soggetto agente, consistente in un comportamento inequivoco di definitiva cessazione della condotta antigiuridica. 
Le doglianze (secondo e terzo motivo di ricorso dei Lesina, secondo motivo di ricorso di Aliquò), che non si confrontano con la piana giurisprudenza della Corte, sono pertanto manifestamente infondate.

10. I ricorsi, conclusivamente, devono essere dichiarati inammissibili (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, n.m. sul punto; Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266).
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00 per ciascun ricorrente.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 18/03/2025.