Cass. Sez. III n. 19329 del 23 maggio 2025 (UP 15 gen 2025)
Pres. Ramacci Rel. Zunica Ric. PG in proc. Fenu
Urbanistica.Lottizzazione abusiva e messa alla prova
L’accertamento sul ripristino dello status quo che si richiede ai fini dell’ammissione alla prova nell’ambito del reato di lottizzazione abusiva si atteggia in termini non dissimili da quello che è ritenuto funzionale ad evitare la confisca delle aree, valendo cioè anche ai fini della legittimità della messa alla prova il principio elaborato dalla giurisprudenza, secondo cui, in tema di lottizzazione abusiva, a rendere superflua la confisca dei terreni, perché misura sproporzionata alla luce dei parametri di valutazione del principio di protezione della proprietà di cui all'art. 1 del Prot. n. 1 della C.E.D.U., è solo l’effettiva e integrale eliminazione di tutte le opere e dei frazionamenti eseguiti in attuazione dell’intento lottizzatorio, cui sia conseguita, in assenza di definitive trasformazioni del territorio, la ricomposizione fondiaria e catastale dei luoghi nello stato preesistente accertata nel giudizio
RITENUTO IN FATTO
1. Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza dell’8 marzo 2024, con la quale il Tribunale di Sassari, nell’ambito di un procedimento penale avente ad oggetto il reato di lottizzazione abusiva, commesso in Stintino, località Ezzi Mannu, in permanenza dal 2003 fino al 19 giugno 2021, dichiarava non doversi procedere nei confronti degli imputati Elena Fenu, Mario Mannu, Monica Pardini, Annalisa Pianti, Antonio Giovanni Umberto Porcu, Davide Zirulia, Debora Zirulia, Gavina Pianti e Maria Paola Solinas, per essersi il reato a loro ascritto estinto a seguito di esito positivo della messa alla prova.
2. L’impugnazione è affidata a un unico motivo, con il quale si deduce la violazione di legge, con riferimento sia all’ordinanza di ammissione alla prova, non comunicata, sia, di conseguenza, alla successiva sentenza di estinzione del reato.
Si evidenzia in particolare che, nel caso di specie, è mancato da parte del Tribunale il controllo, anche mediante le opportune verifiche istruttorie, circa l’eliminazione delle conseguenze del reato edilizio, non essendo stato dunque verificato il presupposto del venir meno degli effetti dannosi e pericolosi del reato, con violazione dell’art. 168 bis, comma 2, cod. pen., atteso che l’omissione di tale accertamento preclude il proscioglimento per esito positivo della messa alla prova.
3. Con memoria del 27 dicembre 2024, l’avvocato Salvatore Carlo Castronuovo, difensore degli imputati, ha chiesto il rigetto del ricorso, rilevando che il terreno in esame è stato totalmente e integralmente ripristinato nello status quo ante già a partire dal 9 dicembre 2023, come si evince dai documenti allegati, per cui le conseguenze dannose della condotta illecita sarebbero state eliminate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
1. In via preliminare, occorre innanzitutto rimarcare l’impugnabilità da parte del Procuratore generale della sentenza oggetto di ricorso, dovendosi richiamare in tal senso l’affermazione delle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 14840 del 27/10/2022, Rv. 284273), secondo cui, in tema di messa alla prova ex art. 168 bis cod. pen., il Procuratore generale è legittimato a impugnare, con ricorso per cassazione, per i motivi di cui all’art. 606 cod. proc. pen., l’ordinanza di ammissione alla prova ritualmente comunicatagli, e, in caso di omessa comunicazione della stessa, a impugnare quest’ultima unitamente alla sentenza di estinzione del reato per esito positivo della prova. Nel caso di specie, dunque, legittimamente è stata impugnata, insieme con l’ordinanza di ammissione alla prova, la sentenza che ha dichiarato estinto il reato, non risultando che sia stata preventivamente comunicata al Procuratore l’ordinanza di ammissione alla prova.
2. Ciò premesso, deve osservarsi che l’impugnazione è fondata nel merito.
Ed invero, ribadito che si procede in ordine al reato di lottizzazione abusiva, occorre rilevare che l’estinzione del reato è stata ricollegata esclusivamente al fatto che gli imputati hanno “seguito con regolarità e impegno il programma a suo tempo predisposto e ritenuto da questo giudice congruo e adeguato allo scopo”.
Tale programma, posto a fondamento del provvedimento di messa alla prova, era stato formulato in termini sostanzialmente identici per tutti gli imputati e comportava tra l’altro l’obbligo, per ciascuno di essi, di svolgere lavoro di pubblica utilità presso alcune associazioni, come l’ “Aispava”, l’associazione “San Damiano” o la “Compagnia Barracellare”, per sei o quattro ore a settimana.
Orbene, così impostata, l’ordinanza di ammissione alla prova non era legittima.
In proposito, deve infatti evidenziarsi che, come già precisato da questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 5910 del 11/01/2023, Rv. 284247), il provvedimento di ammissione alla prova di cui all’art. 464 bis cod. proc. pen. deve contenere necessariamente la prescrizione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato. Ciò invero si deduce dal dato letterale dell’art. 168 bis cod. pen., che precisa quale deve essere il contenuto della messa alla prova.
Il secondo comma di tale norma, infatti, prevede che «la messa alla prova comporta la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato. Comporta altresì l’affidamento dell’imputato al servizio sociale, per lo svolgimento di un programma che può implicare, tra l’altro, attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l’inosservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali». Il terzo comma del medesimo art. 168 bis cod. pen. dispone poi che «la concessione della messa alla prova è inoltre subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità», consistente in una prestazione non retribuita, la cui durata giornaliera non può superare le otto ore, affidata tenendo conto anche delle specifiche professionalità e attitudini lavorative dell’imputato, di durata non inferiore a dieci giorni, anche non continuativi, in favore della collettività, da svolgere (con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell’imputato) presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni, anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. Dunque, dal combinato disposto degli art. 168 bis cod. pen. e 464 bis cod. proc. pen., si evince che per il legislatore la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato (nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato) è elemento necessario e indefettibile per la concessione della messa alla prova, non surrogabile da altri. Invero, le prescrizioni dell’affidamento dell’imputato al servizio sociale e della prestazione di lavoro di pubblica utilità sono previste espressamente dalla legge come “aggiuntive” e non come alternative rispetto alla prestazione delle condotte dirette all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato: in tal senso è significativo che il secondo periodo del secondo comma dell’art. 168 bis cod. pen. stabilisca che la messa alla prova comporta «altresì» l’affidamento dell’imputato al servizio sociale, come pure è indicativo della voluntas legis il fatto che il terzo comma del medesimo art. 168 bis cod. pen. subordini «inoltre» la concessione della messa alla prova alla prestazione di lavoro di pubblica utilità. Del resto, sul versante processuale, gli art. 464 bis e 464 quinquies cod. proc. pen., nel disporre, da un lato, che il programma di trattamento allegato all’istanza di messa alla prova debba prevedere «in ogni caso» le prescrizioni comportamentali e gli altri impegni specifici che l’imputato assume anche al fine di elidere o di attenuare le conseguenze del reato e, dall’altro lato, che nell’ordinanza che dispone la sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice stabilisce il termine entro il quale le prescrizioni e gli obblighi relativi alle condotte riparatorie o risarcitorie imposti debbono essere adempiuti, confermano che la prestazione delle condotte dirette all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato resta un qualcosa di distinto rispetto all’affidamento al servizio sociale e alla prestazione di lavoro di pubblica utilità e costituisce una condizione autonoma e necessaria ai fini dell’ammissione alla prova e al buon esito della stessa.
2.1. Tanto precisato, deve rilevarsi che, nel caso di specie, l’ammissione alla prova degli imputati risulta viziata dal fatto che non è stato contemplato lo svolgimento delle condotte dirette all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato ai reati, essendosi prevista la sola prestazione di lavoro di pubblica utilità. A ciò deve aggiungersi che, procedendosi in ordine al reato di lottizzazione edilizia, gli obblighi riparatori avevano una loro specifica pregnanza, avendo la giurisprudenza di legittimità chiarito (cfr. Sez. 3, n. 36822 del 14/09/2022, Rv. 283664), con affermazione condivisa dal Collegio, che, in materia edilizia, la corretta applicazione, da parte del giudice, sia della sospensione del processo con messa alla prova sia della possibilità di pronunciare sentenza di proscioglimento ex art. 464 septies, cod. proc. pen., passa doverosamente per la preventiva verifica dell’avvenuta effettuazione, da parte dell’imputato, di condotte dirette a ripristinare l’assetto urbanistico violato con l’abuso, o mediante la sua piena e integrale demolizione, ovvero mediante la sua riconduzione, ove possibile, alla legalità, attraverso il rilascio di un legittimo titolo abilitativo in sanatoria.
Come correttamente evidenziato dal Procuratore generale, le condotte riparatorie sono pregiudiziali, in senso logico, anche se non necessariamente cronologico, rispetto allo svolgimento da parte dell’imputato del lavoro di pubblica utilità e alla verifica del suo positivo esito, e impongono al giudice di operare un corretto controllo, anche mediante le opportune e necessarie verifiche istruttorie, sul puntuale e integrale raggiungimento dell’obiettivo dell’eliminazione delle conseguenze del reato edilizio, non potendosi ammettere che venga dichiarata l’estinzione del reato, in presenza di abusi edilizi non completamente demoliti o non integralmente sanati, ricorrendone le condizioni, sul piano urbanistico.
In definitiva, l’accertamento sul ripristino dello status quo che si richiede ai fini dell’ammissione alla prova nell’ambito del reato di lottizzazione abusiva si atteggia in termini non dissimili da quello che è ritenuto funzionale ad evitare la confisca delle aree, valendo cioè anche ai fini della legittimità della messa alla prova il principio elaborato dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 12640 del 05/02/2020, Rv. 278765), secondo cui, in tema di lottizzazione abusiva, a rendere superflua la confisca dei terreni, perché misura sproporzionata alla luce dei parametri di valutazione del principio di protezione della proprietà di cui all'art. 1 del Prot. n. 1 della C.E.D.U., è solo l’effettiva e integrale eliminazione di tutte le opere e dei frazionamenti eseguiti in attuazione dell’intento lottizzatorio, cui sia conseguita, in assenza di definitive trasformazioni del territorio, la ricomposizione fondiaria e catastale dei luoghi nello stato preesistente accertata nel giudizio
3. Orbene, nella vicenda in esame, non essendo stata affatto compiuta la necessaria verifica circa l’eliminazione delle conseguenze scaturite dall’accertata lottizzazione abusiva, si impone l’annullamento senza rinvio sia dell’ordinanza di ammissione alla prova degli imputati, sia della successiva sentenza di estinzione del reato a loro ascritto, da ciò conseguendo la trasmissione degli atti al Tribunale di Sassari per l’ulteriore corso, restando solo da precisare, rispetto a quanto esposto dalla difesa degli imputati nella memoria del 27 dicembre 2024, che il dedotto ripristino dello stato dei luoghi non può ritenersi adeguatamente comprovato, atteso che in atti vi è solo una comunicazione di ottemperanza delle parti private inoltrata il 9 dicembre 2023 al Comune di Stintino, che tuttavia non risulta che vi abbia dato positivo riscontro, per cui la relativa tematica, anche alla luce della proiezione temporale della condotta, protrattasi fino al 19 giugno 2021, con dilatazione fino a questa data della permanenza del reato, dovrà essere evidentemente approfondita in sede di merito al fine di verificare l’eventuale eliminazione delle conseguenze scaturite dal comportamento illecito de quo.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Sassari per l’ulteriore corso.
Così deciso il 15.01.2025