Cass. Sez. III n. 20665 del 4 giugno 2025 (CC 14 mag 2025)
Pres. Ramacci Est. Noviello Ric. De Pascale
Urbanistica.Inammissibilità sanatoria parziale 

Ogni forma di sanatoria (sia edilizia ex art. 36 del DPR 380/01 che relativa alla disciplina del condono) né può essere parziale (perché altra parte di un immobile non risponde ai requisiti di legge per la stessa) né può essere interessata da interventi edili di "riduzione per demolizione" per ricondurre l'immobile in parametri legali. Anche l'art.36-bis TUE se da una parte, alle date condizioni, consente interventi edilizi successivi, specificamente impartiti, necessari per assicurare l'osservanza della normativa tecnica di settore relativa ai requisiti di sicurezza e alla rimozione delle opere che non possono essere sanate ai sensi del presente articolo, comunque non consente una sanatoria parziale, ossia relativa solo ad una parte dell'opera abusiva, lasciando intatta altra parte della stessa.

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza di cui in epigrafe, il tribunale di Nola adito dal P.M. del tribunale di Napoli per la revoca della disposta sospensione dell'ordine di
demolizione di cui alla sentenza n. 125/1997 del 10.06.1997 del Pretore di Nola, accoglieva la domanda e revocava la ordinanza di sospensione prima citata
2. Avverso la predetta ordinanza De Pascale Rosa, mediante il proprio difensore ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un solo motivo di
impugnazione.
3. Si rappresentano vizi di cui all'art. 606 comma 1 lett. a) d) ed e) cod. proc. pen. e si valorizza una intervenuta richiesta, avanzata dal Responsabile del Servizio "Urbanistica e Ambiente" del Comune di Terzigno, diretta a sollecitare l'amministrazione comunale affinché richieda un parere pro veritate volto a verificare la possibilità del <ripristino delle condizioni di condonabilità di immobili abusivi oggetto di demolizione giudiziaria. Si sostiene che tale istanza conferirebbe alla istanza di sospensione della demolizione a suo tempo proposta e accolta, della De Pascale, "il carattere dell'attualità" con ripristino delle "condizioni per la rivisitazione, concreta ed attuale delle probabilità di sanatoria
di immobili". In questo modo la richiesta di sospensione apparirebbe, in altri termini, attuale, e meritevole di accoglimento. Si contesta poi la ordinanza anche nella parte di motivazione che riguarda la violazione della normativa antisismica come dato ostativo alla sanatoria osservandosi come i profili di sismicità andrebbero verificati piuttosto con accertamento tecnico nell'ambito della procedura di condono. Conseguentemente si afferma che la ordinanza impugnata dovrebbe anche per tali ultimo motivi essere annullata facendo rivivere quella precedente di sospensione della demolizione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile siccome generico. 
Si premette che i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili «non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato» (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568) e le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l'atto di impugnazione risiedono nel fatto che il ricorrente non può trascurare le ragioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425). 
La ricorrente non ha tenuto conto di tale principio. 
Essa non si confronta con le argomentazioni di cui alla ordinanza, e muta quindi la doverosa prospettiva del ricorso, che è quella di individuare passaggi motivazionali ritenuti deficitari, spiegare la tipologia di vizio da cui ciascuna argomentazione sarebbe affetta, e illustrare le ragioni del vizio di volta in volta indicato. 
A tale ultimo riguardo è altresì significativo anche il dato per cui solo nella rubrica del motivo si citano vizi da cui sarebbe affetta la ordinanza, senza che nel corpo del motivo si proceda poi alla specifica analitica illustrazione di ciascuno di essi.
E infatti, la ricorrente si limita solo a citare una mera richiesta che un funzionario comunale avrebbe rivolto, indistintamente, alla "amministrazione comunale", affinché quest'ultima a sua volta valuti la possibilità di rivolgersi, presumibilmente ad un giurista, per ottenere un parere sulla possibilità del "ripristino delle condizioni di condonabilità". E in base a tale dato si sostiene che in tal modo emergerebbe la concreta e attuale possibilità di sanatoria non già dello specifico immobile della De Pascale, ma, più genericamente, di "immobili realizzati più di trent'anni fa". Senza spiegare peraltro le ragioni giuridiche che potrebbero suffragare il citato "ripristino delle condizioni di condonabilità".
E' palese, dunque, la genericità del motivo, che peraltro rivendica, da quanto è dato forse intuire, la possibilità che immobili non condonabili secondo i parametri di legge (si pensi in particolare a quello volumetrico oltre che a quello temporale) possano diventare condonabili attraverso interventi edili ex post che li riconducano entro tali parametri. 
Se tale fosse l'ipotesi di cui alla citata richiesta del funzionario comunale di Terzigno, è utile ribadire, anche per evitare ogni eventuale inutile dispendio di spese di denaro pubblico, come si tratti di ipotesi più volte esclusa in giurisprudenza, posto che va ribadito che in tema di condono
edilizio, la volumetria eccedente i limiti previsti dall'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, ai fini della condonabilità delle opere abusive ultimate entro il 31 dicembre 1993 non è suscettibile di riduzione mediante demolizione eseguita successivamente allo spirare di detto termine, integrando la stessa un intervento, oltre che di per sé abusivo, volto ad eludere la disciplina di legge (fattispecie in tema di invocata revoca dell'ordine di demolizione delle opere abusive). (Sez. 3, n. 43933 del 14/10/2021, Medusa, Rv. 282163 - 01). 
Più in generale, sussiste il principio per cui ogni forma di sanatoria (sia edilizia ex art. 36 del DPR 380/01 che relativa alla disciplina del condono) né può essere parziale (perché altra parte di un immobile non risponde ai requisiti di legge per la stessa) né può essere interessata da interventi edili di "riduzione per demolizione" per ricondurre l'immobile in parametri legali. 
E' in questa prospettiva che, tra l'altro, si è sostenuta l'irrilevanza - tanto con riferimento alla cd. "sanatoria" urbanistica ex art. 36 del DPR 380/01 che con riferimento all'istituto del condono - del rilascio sopravvenuto di un nulla osta paesaggistico condizionato alla esecuzione di prescrizioni finalizzate a riportare l'opera abusiva nell'alveo delle condizioni di legge sananti.
Circa le ragioni della inammissibilità, rispetto in particolare alla procedura di condono, del nulla osta paesaggistico condizionato alla esecuzione di prescrizioni e più in generale di un condono subordinato a demolizioni di parte del manufatto da condonare, occorre premettere che l'art. 39 della L. 23 dicembre 1994, n. 724, prevede l'applicabilità delle disposizioni in materia di condono edilizio dettate dalla L. 28 febbraio 1985, n. 47 e ss.mm.ii. «alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 dicembre 1993 e che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria, ovvero, indipendentemente dalla volumetria iniziale o assentita, un ampliamento superiore a 750 metri cubi».
Il chiarissimo tenore della disposizione citata consente la sanatoria delle sole opere ultimate che possedessero, alla data indicata del 31 dicembre 1993, i requisiti da essa previsti, non essendo ovviamente consentito intervenire successivamente sugli immobili abusivi, per renderli conformi alla disciplina in parola. 
Le uniche possibilità di successivo intervento sugli stessi, non incompatibili con il condono, sono quelle previste dall'art. 35, comma 14, L. n.
47 del 1985 (che disciplina modesti lavori di rifinitura delle opere abusive) e dall'art. 43, quinto comma, della stessa legge, che consente le opere
strettamente necessarie a rendere gli edifici funzionali qualora i manufatti non siano stati completati per effetto di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali (per analoghi rilievi cfr., nella giurisprudenza amministrativa, Cons. St., sent. n. 665 del 01/02/2018). 
Ammettere lavori, di qualsivoglia tipo, che modifichino il manufatto abusivo, al fine di rendere sanabile, dopo la scadenza del termine finale stabilito dalla legge per la condonabilità delle opere, ciò che certamente in quel tempo non lo sarebbe stato, costituisce indebito aggiramento della disciplina legale, poiché sposta arbitrariamente in avanti nel tempo il termine finale previsto dalla legge per ottenere il condono edilizio, addirittura legittimando ulteriori interventi abusivi.
Si tratta di un principio che, lo si ribadisce, vale per ogni tipo di intervento che tenda a mutare lo stato dei luoghi alla data ultima prevista per le tre discipline delle tre forme di condono edilizio succedutesi nel tempo, al fine di fare rientrare nell'ambito dell'ammissibile ciò che ammissibile a quella data non appare ai fini del condono. Così che interventi di ogni tipo, sull'opera abusiva da condonare, persino se imposti a fini paesaggistici con il nulla osta che dovrebbe completare la procedura di condono, incontrano comunque l'ostacolo per cui l'autorità deputata al relativo rilascio non può imporre alcuna modifica cui condizionare la propria autorizzazione. Dovendosi limitare a verificare la sussistenza, alla data
ultima imposta per legge, dei requisiti che consentono il rilascio dell'atto di competenza.
Tanto si impone non solo alla luce della lettera della disciplina, come sopra evidenziato, ma anche considerando la natura e quindi la ratio dell'istituto del condono.
E va altrettanto ribadito che le predette considerazioni, mutatis mutandis, valgono anche in rapporto alle opere abusive che si vogliano sanare ex art. 36 del DPR 380/01, nel senso che il requisito di doppia conformità va verificato rispetto all'opera come realizzata e accertata, senza che si possa condizionare la sanatoria ad interventi postumi, attraverso cui far rientrare attualmente l'opera nei parametri urbanistici attuali. Tanto più che rilevando per tale ultimo istituto il requisito della "doppia conformità", nel senso che l'immobile abusivo delle essere rispettoso delle regole urbanistiche ed edilizie sia al momento della sua realizzazione che al momento della domanda di sanatoria, l'intervento correttivo, siccome realizzato ex post rispetto alla domanda, non renderebbe mai comunque l'immobile conforme, al momento della sua realizzazione, ai parametri urbanistici vigenti.
Solo di recente, e in misura limitata, è stata introdotta una deroga al predetto principio generale di non configurabilità di sanatorie "condizionate". Infatti, ai sensi dell'art. 36 bis del DPR 380/01 di cui alla novella introdotta con D.L. 69/2024, convertito con legge 105/2024 è previsto, al primo comma, che "in caso di interventi realizzati in parziale difformità dal permesso di costruire o dalla segnalazione certificata di inizio attività nelle ipotesi di cui all'articolo 34 ovvero in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività nelle ipotesi di cui all'articolo 37, fino alla scadenza dei termini di cui all'articolo 34, comma 1 e comunque fino all'irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell'abuso o l'attuale proprietario dell'immobile possono ottenere il permesso di costruire e presentare la segnalazione certificata di inizio attività in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica vigente al momento della presentazione della domanda, nonché ai requisiti prescritti dalla disciplina edilizia vigente al momento della realizzazione. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alle variazioni essenziali di cui all'articolo 32". 
Il successivo secondo comma dispone altresì, come sopra anticipato circa la possibilità sottoporre a condizione di successivi interventi, l'opera da sanare nell'ambito di tale specifica ipotesi, che " in sede di esame delle richieste di permesso in sanatoria lo sportello unico può condizionare il rilascio del provvedimento alla realizzazione, da parte del richiedente, degli interventi edilizi, anche strutturali, necessari per assicurare l'osservanza della normativa tecnica di settore relativa ai requisiti di sicurezza e alla rimozione delle opere che non possono essere sanate ai sensi del presente articolo. Per le• segnalazioni certificate di inizio attività presentate ai sensi del comma 1, lo sportello unico individua tra gli interventi di cui al secondo periodo del presente comma le misure da prescrivere ai sensi dell'articolo 19, comma 3, secondo, terzo e quarto periodo, della legge 7 agosto 1990, n. 241, che costituiscono condizioni per la formazione del titolo ".
Va comunque precisato che la predetta disciplina, da ultimo richiamata, se da una parte, alle date condizioni, consente interventi edilizi successivi,
specificamente impartiti, necessari per assicurare l'osservanza della normativa tecnica di settore relativa ai requisiti di sicurezza e alla rimozione delle opere che non possono essere sanate ai sensi del presente articolo, comunque non consente una sanatoria parziale, ossia relativa solo ad una parte dell'opera abusiva, lasciando intatta altra parte della stessa.
Quanto all'ulteriore argomentazione formulata in ordinanza sul piano della ostatività al condono anche della disciplina in materia sismica da considerare rispetto a quella precedente e principale che, per quanto sopra osservato, la ricorrente non ha provveduto a specificamente contrastare, deve ritenersi che la relativa censura sia irrilevante in questa sede, siccome comunque inidonea ad intaccare la validità motivazionale della ordinanza impugnata.
2. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso in Roma, il 14 maggio 2025.