Cass. Sez. III n. 10499 del 3 marzo 2017 (Ud 22 set 2016)
Presidente: Ramacci Estensore: Liberati Imputato: Berenato
Urbanistica.Comune e diritto al risarcimento del danno

Le violazioni urbanistico-edilizie determinano nei confronti dell'ente comunale un danno risarcibile, che si fonda sulla lesione dell'interesse giuridico alla integrità ed inviolabilità della sfera funzionale dell'ente medesimo, nonchè all'ordinata realizzazione del programmato assetto urbanistico del territorio.

 RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 9 ottobre 2015 la Corte d'appello di Messina ha confermato la sentenza del 14 febbraio 2014 del Tribunale di Messina, con cui Maria B. era stata condannata alla pena complessiva di mesi cinque di arresto ed Euro 26.000 di ammenda ed al risarcimento dei danni in favore del Comune di Messima, in relazione ai reati di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), (per avere proseguito i lavori di costruzione di un corpo aggiunto ad un preesistente fabbricato su una superficie di mq. 60 circa, in area sottoposta a vincolo ambientale e senza permesso di costruire), e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 10 e art. 44, lett. b), (per avere proseguito i lavori di costruzione suddetti in violazione dell'ordine di sospensione del 25 agosto 2005, notificatole il 6 ottobre 2005).

Nel disattendere il gravame proposto dall'imputata, la Corte d'appello, richiamando l'accertamento dei fatti compiuto dal Tribunale e la motivazione della sentenza impugnata, ha escluso l'esistenza di elementi per ritenere che il seminterrato realizzato dalla B. costituisse mero volume tecnico, non essendone neppure stata indicata la destinazione, ed anche che potesse essere considerato pertinenza dell'edificio preesistente, di cui, invece, costituiva ampliamento abusivo.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso la B., mediante il suo difensore, affidato a tre motivi.

2.1. Con il primo motivo ha denunciato vizio di motivazione in ordine alla reale natura e consistenza dell'opera abusiva, come già esposto con l'atto d'appello, affermando l'insufficienza e l'improprietà del richiamo da parte della Corte d'appello alla sentenza di primo grado, in quanto anche il primo giudice aveva travisato i fatti oggetto del giudizio. In particolare l'attività edilizia contestata doveva intendersi come riferita ad un manufatto della superficie di circa 50 mq., con copertura, diverso dal corpo aggiunto in ampliamento a fabbricato preesistente su una superficie di circa 60 mq.

2.2. Con il secondo motivo ha denunciato violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 10 e art. 44, lett. b), e vizio di motivazione, a proposito della valutazione della nuova opera quale ampliamento abusivo dell'edificio preesistente, in quanto l'intervento realizzato era inidoneo ad incidere sui parametri urbanistici, sulle volumetrie, sulla destinazione d'uso e sulla sagoma di quello esistente, soprattutto in considerazione della mancanza di una superficie abitativa utile in ampliamento di quella esistente, trattandosi di un vano interrato per serbatoio e autoclave con una tettoia per il ricovero di attrezzi da giardino, tanto che lo spazio sottostante alla tettoia era aperto su quattro lati e non aveva alcun collegamento materiale e funzionale con il manufatto abitativo.

2.3. Con il terzo motivo ha denunciato violazione dell'art. 538 c.p.p. e vizio di motivazione in ordine alla dedotta insussistenza di danno risarcibile a favore del Comune di Messina costituitosi parte civile, a proposito della quale nè il Tribunale nè la Corte d'appello avevano indicato il danno in concreto ed il criterio adottato per la sua liquidazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. Mediante il primo motivo la ricorrente ha denunciato vizio di motivazione, per l'omesso esame del proprio motivo d'appello relativo alla precisa individuazione dell'opera abusiva, ed all'accertamento della sua natura e della sua consistenza, giacchè, ad avviso della ricorrente, l'opera in corso di realizzazione nel 2011, di cui alla imputazione, doveva essere ricondotta a quella indicata nel verbale di sequestro eseguito il 14 settembre 2011, avente ad oggetto un seminterrato in corso di realizzazione ed un manufatto di circa 50 mq. con copertura, del tutto diversa dal corpo aggiunto in ampliamento a preesistente fabbricato su una superficie di mq. 60 circa di cui alla imputazione, con la conseguenza che detta opera avrebbe dovuto anche essere qualificata diversamente sul piano delle autorizzazioni che richiedeva, e che quindi avrebbe dovuto escludersene la illiceità.

Tale censura investe, sia pure attraverso la deduzione di un vizio di motivazione, la ricostruzione del fatto compiuta dai giudici del merito, che, invece, risulta, tenendo conto di quanto esposto nella sentenza di primo grado, alla quale quella di appello si è riportata esplicitamente, completa, quanto alla descrizione delle opere abusive, e corretta sul piano della loro qualificazione giuridica.

La Corte d'appello ha, infatti, espressamente richiamato la motivazione della sentenza di primo grado, quanto alla ricostruzione del fatto ed alla affermazione di responsabilità della B., prendendo in esame i nuovi rilievi sollevati dall'appellante a proposito della qualificazione delle opere, come vano tecnico (quanto al seminterrato) e pertinenza (quanto alla tettoia sorretta da pilastri e circondata da muro perimetrale), con procedimento che risulta corretto, in quanto, per effetto di tale rinvio e della corrispondenza delle decisioni di primo e di secondo grado, la struttura giustificativa delle due sentenze si salda, per formare un unico complessivo corpo argomentativo (cfr. Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595; conf. Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, Valerio, Rv. 252615).

3. Ora, sulla base di quanto risulta dalla sentenza di primo grado, non vi è, dunque, nessuna errata identificazione delle nuove opere realizzate dalla ricorrente, e neppure violazione di legge a proposito della loro qualificazione.

La contestazione riguarda, infatti, la prosecuzione dei lavori di costruzione di un corpo aggiunto ad un preesistente fabbricato, su una superficie di mq. 60 circa, in Contrada (OMISSIS), area sottoposta a vincolo paesaggistico, in assenza di permesso di costruire.

Come si ricava dalla sentenza di primo grado la ricorrente era già stata tratta a giudizio per la illecita realizzazione di tale corpo aggiunto, insistente su una superficie di circa mq. 60, e tale fatto era stato dichiarato estinto per prescrizione con sentenza del medesimo Tribunale di Messina del 19 maggio 2011.

In seguito, il 23 ottobre 2011, venne accertata la prosecuzione di tali lavori, in relazione al medesimo ampliamento, consistenti nel completamento al fino degli intonaci interni ed esterni, nella realizzazione dei pavimenti, degli impianti elettrico ed idrico e degli scarichi, nella posa degli infissi esterni e delle c.d. "opere morte". In riferimento a tali opere è stata affermata la responsabilità della ricorrente, trattandosi di nuova costruzione richiedente il permesso di costruire, ed in relazione ad esse la Corte d'appello ha confermato tale statuizione, evidenziando la genericità della deduzione della qualificazione delle stesse come volume tecnico e la correttezza della esclusione della loro natura pertinenziale, trattandosi di ampliamento di fabbricato preesistente.

Tali considerazioni non sono sindacabili sul piano del merito, essendo stata accertata in punto di fatto la natura di ampliamento del manufatto realizzato dalla ricorrente, e risultano corrette quanto alla esclusione della natura meramente pertinenziale dello stesso, in quanto non risulta che esso acceda ad un edificio preesistente legittimamente edificato, che abbia ridotte dimensioni, che sia suscettibile di destinazione autonoma e che non si ponga in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti (cfr. Sez. 3, n. 37257 del 11/06/2008, Alexander, Rv. 241278; Sez. 3, n. 39067 del 21/05/2009, Vitti, Rv. 244903; Sez. 3, n. 25669 del 30/05/2012, Zeno, Rv. 253064).

Ne consegue l'infondatezza del primo ed anche del secondo motivo di ricorso, mediante il quale erano state prospettate violazione di legge ed ulteriore vizio di motivazione a proposito della qualificazione come ampliamento di detto manufatto, essendo tale motivo volto a censurare un accertamento in fatto compiuto dai giudici di merito, sulla base del quale è stata, correttamente, esclusa la natura meramente tecnica o pertinenziale del manufatto di cui la ricorrente ha proseguito la realizzazione.

4. Infondato risulta, infine, anche il terzo motivo, mediante il quale sono stati denunciati ulteriori violazione di legge e vizio di motivazione, a proposito della esistenza di un danno risarcibile a favore del Comune di Messina, costituito parte civile, in quanto, secondo quanto risulta, anche a questo riguardo, dalla sentenza di primo grado, è stato, correttamente, ravvisato il diritto di tale ente al risarcimento del danno, liquidato equitativamente nella somma di Euro 2.000, in riferimento alla lesione del suo interesse alla realizzazione ed alla conservazione di un pretederminato assetto urbanistico, derivante dalla realizzazione dell'opera in mancanza di permesso di costruire.

Tali considerazioni risultano conformi al consolidato orientamento interpretativo di questa Corte, secondo cui il diritto al risarcimento del danno del Comune conseguente alla realizzazione di opere abusive si fonda sulla lesione dell'interesse giuridico all'integrità ed inviolabilità della sfera funzionale del Comune, nonchè all'ordinata realizzazione del programmato assetto urbanistico del territorio (cfr. Sez. 3, n. 13407 del 11/10/2000, Tedeschi, Rv. 219091; conf. Sez. 3, n. 26121 del 12/04/2005, Rosato, Rv. 231953, secondo cui "Le violazioni urbanistico-edilizie determinano nei confronti dell'ente comunale un danno risarcibile, atteso che incidono negativamente sull'interesse dell'ente pubblico al libero esercizio della propria posizione funzionale, così come su quello alla realizzazione del programmato sviluppo urbanistico. Trattasi di un danno a natura sia patrimoniale, qualora comporti nuovi oneri o la perdita concreta di utilità o di posizioni di vantaggio delle quali l'ente territoriale fruiva, che non patrimoniale, determinato dalla mancata o ritardata realizzazione dell'interesse pubblico").

Ne consegue la piena correttezza della valutazione compiuta dal Tribunale circa l'esistenza di un danno di carattere non patrimoniale, liquidato necessariamente in via di equità, derivante dalla realizzazione dell'opera abusiva da parte della B..

La relativa censura formulata con l'atto d'appello è stata disattesa implicitamente dalla Corte territoriale, in quanto essa era fondata sulla non necessarietà di autorizzazione per la realizzazione dell'opera e sulla conseguente insussistenza del reato, che sono stati esclusi dalla Corte d'appello, e con essi, di conseguenza, anche il rilievo dell'appellante relativo alla insussistenza dei presupposti per la liquidazione di un risarcimento a favore del Comune di Messina, con la conseguenza che non sussiste neppure il vizio di motivazione per omessa pronuncia lamentato dalla ricorrente, ricavandosi la ratio del rigetto di tale motivo di appello dal complesso della motivazione della sentenza di secondo grado, che ha ritenuto infondato il presupposto della richiesta di esclusione della condanna al risarcimento del danno a favore della parte civile.

5. In conclusione il ricorso in esame deve essere respinto, stante l'infondatezza di tutti e tre i motivi cui è stato affidato, e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma, il 22 settembre 2016.