Cass. Sez. III n. 1743 del 16 gennaio 2017 (Ud 20 set 2016)
Presidente: Rosi Estensore: Renoldi Imputato: Milani
Urbanistica.Violazione sigilli ed elemento psicologico

In tema di violazione dei sigilli, l'elemento soggettivo del reato è integrato dal dolo generico, per la cui sussistenza è sufficiente che il soggetto attivo si rappresenti e voglia realizzare la violazione dei sigilli apposti per legge o sulla base di un provvedimento dell'autorità competente per garantire la conservazione o l'identità di un bene, senza che sia necessario il fine specifico di recare un "vulnus" alla conservazione o all'identità della cosa sequestrata.

 RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del Tribunale di Avezzano in data 23/04/2010 M.G. era stato condannato, all'esito di giudizio abbreviato, alla pena, condizionalmente sospesa, di quattro mesi di reclusione e di 400,00 Euro di multa, oltre che al pagamento delle spese processuali, in quanto riconosciuto colpevole, previo riconoscimento delle attenuanti generiche, del reato di cui all'art. 349 c.p., comma 1, per essere entrato, in data (OMISSIS), nel terreno agricolo di sua proprietà sito in contrada (OMISSIS), e contraddistinto al foglio (OMISSIS), particella (OMISSIS) del NCT, sequestrato in data (OMISSIS) dal Giudice di Pace di Avezzano nell'ambito del procedimento penale n. 151/08 R.G. Mod. 21-bis ed aver proceduto al taglio delle erbacce che vi erano presenti, in violazione dei sigilli apposti dai Carabinieri del Comando Stazione di Scurcola Marsicana in data (OMISSIS).

2. Avverso la suddetta sentenza aveva proposto appello l'imputato, deducendo: che nel fascicolo del Pubblico ministero sarebbe stata presente un'ordinanza in data 11/06/2007 del sindaco del Comune di Scurcola Marsicana, con la quale sarebbe stato ordinato, a tutti i proprietari o titolari di diritti reali o personali di godimento su fondi o aree con vegetazione incolta ricadenti nel centro abitato, di provvedere al decespugliamento ed alla rimozione delle erbacce, al fine di evitare l'annidarsi della fauna, nociva per la salute pubblica; che a tale ordinanza il Primo Giudice non avrebbe minimamente fatto riferimento; che, dunque, l'imputato sarebbe stato tenuto ad agire nell'adempimento di un dovere, ai sensi dell'art. 51 c.p.; che la relativa causa di non punibilità avrebbe dovuto reputarsi sussistente anche soltanto a livello putativo, ben avendo potuto M., per proprio errore, ritenere di essere soggetto passivo dell'ordinanza sindacale; che, in ogni caso, la sentenza che aveva condannato M. per il reato di cui all'art. 633 c.p. nel procedimento penale nel cui ambito era stato disposto il sequestro preventivo del medesimo terreno ad opera del Giudice di Pace era stata annullata dalla pronuncia della Suprema Corte n. 25937/10 del 17/06-7/07/2010, la quale aveva dichiarato che il fatto non sussisteva; che, inoltre, con sentenza non ancora irrevocabile, il Giudice di Pace di Avezzano, nell'assolvere lo stesso M. da analoga fattispecie ex art. 633 c.p. contestata in relazione al medesimo terreno, aveva revocato il sequestro preventivo disposto dal Giudice di Pace il (OMISSIS); che, pertanto, l'imputato avrebbe dovuto essere assolto dal reato ascrittogli ai sensi degli artt. 51 o 52 c.p..

3. Con sentenza emessa in data 18/09/2014, la Corte d'appello di L'Aquila confermò la pronuncia di primo grado, condannando l'appellante alle spese di quel grado di giudizio.

4. Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso per cassazione lo stesso M., a mezzo del difensore fiduciario, deducendo cinque distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p..

Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. B), per inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale processuale e sostanziale in relazione all'art. 321 c.p.p. e art. 349 c.p..

Secondo la difesa di M., il delitto contestato richiederebbe il dolo specifico, consistente nel fine di recare un vulnus alla conservazione o all'identità della cosa sequestrata. Pertanto, avendo l'imputato fatto ingresso nel terreno al solo fine di procedere al taglio delle erbacce, il predetto dolo specifico sarebbe mancante.

Con il secondo motivo, il ricorrente censura la inosservanza e/o erronea applicazione degli artt. 51 e 52 c.p. per non aver correttamente valutato la sussistenza delle relative scriminanti anche dal punto di vista soltanto putativo. Ciò in quanto egli non si sarebbe accorto di avere fatto ingresso nel fondo sottoposto a sequestro, trattandosi di una enclave nei terreni di sua proprietà e, soprattutto, in quanto avrebbe ritenuto di ottemperare a un'ordinanza sindacale del Comune, la quale gli avrebbe imposto di procedere al taglio delle erbacce al fine di scongiurare il pericolo di incendi.

Con il terzo motivo, connesso al precedente, egli lamenta l'illogicità della sentenza nella parte in cui questa avrebbe subordinato l'eventuale sussistenza delle predette scriminanti alla presenza di un incendio in atto, ancora una volta senza considerare l'ipotesi della configurabilità di una scriminante putativa.

Con il quarto motivo, M. si duole del fatto che la sentenza, nell'evidenziare che la menzionata ordinanza sindacale era assai risalente nel tempo, non abbia nondimeno considerato che, nel frattempo, le erbacce erano considerevolmente cresciute e vi era, quindi, la necessità di procedere al taglio delle stesse.

Con il quinto e ultimo motivo, infine, il ricorrente, dopo aver posto in luce la definitiva assoluzione dagli addebiti ascrittigli nell'ambito del procedimento nel quale il fondo era stato sottoposto alla apposizione dei sigilli, sottolinea come dal suo proscioglimento per tali vicende deriverebbe il venir meno, fin dall'origine, delle esigenze cautelari che avevano giustificato l'emissione del provvedimento reale, con la conseguenza che il reato di cui all'art. 349 c.p., per cui oggi si procede, non sarebbe più configurabile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato e, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.

2. Giova preliminarmente rilevare che il secondo, il terzo, il quarto e il quinto motivo di impugnazione, sono inammissibili, risolvendosi gli stessi nella sostanziale riproposizione di identiche censure, già svolte in sede di appello, cui la Corte territoriale ha dato, complessivamente, adeguata e logica risposta. Costituisce, infatti, principio ormai consolidato nella elaborazione della Suprema Corte l'affermazione secondo cui "è inammissibile il ricorso per cassazione nel quale venga riproposta una questione che abbia già formato oggetto di uno dei motivi di appello sui quali la Corte si è pronunciata in maniera esaustiva, senza errori logico - giuridici" (così, ex plurimis, Sez. 2, n. 22123 in data 8/02/2013, dep. 23/05/2013, Panardi e altri, Rv. 255361).

2.1. Nel caso di specie la Corte d'appello aveva già esaustivamente risposto su tutte le questioni poste dall'odierno imputato, con i motivi menzionati, in sede di gravame; questioni che egli si è limitato a riproporre in questa sede, senza adeguatamente confrontarsi con le argomentazioni sviluppate dal giudice di secondo grado a confutazione delle sue precedenti censure.

La Corte territoriale, infatti, ha innanzitutto ricordato, in fatto, che a seguito della denuncia/querela ad opera di P.I., era stato avviato, nei confronti di M., il procedimento penale n. 151/08 Mod. 21 presso la Procura della Repubblica di Avezzano, in ordine al reato di cui agli artt. 81 e 633 c.p., in relazione al quale, in data (OMISSIS), i Carabinieri gli avevano sequestrato, in esecuzione di provvedimento di emesso dal Giudice di Pace di Avezzano in data (OMISSIS), il terreno agricolo più sopra menzionato, con nomina della stessa P. a custode giudiziario del fondo. In data (OMISSIS), la P. aveva quindi informato telefonicamente il Comando dei Carabinieri di Scurcola Marsicana del fatto che M. si trovava all'interno del terreno sequestrato intento a falciare l'erba; circostanza riscontrata poco dopo dagli operanti, ai quali M. aveva riferito di avere con ciò inteso fronteggiare il pericolo di incendio e di avere, comunque, richiesto apposita autorizzazione al sindaco di Scurcola Marsicana. Quest'ultimo, escusso a sommarie informazioni testimoniali, aveva però negato di aver mai parlato con M., nè di averlo autorizzato ad entrare nel terreno.

Alla luce di tali emergenze fattuali, la Corte ha correttamente affermato la responsabilità dell'imputato in relazione al reato in contestazione, avendo egli fatto ingresso in un fondo sottoposto a sequestro; circostanza, questa, che a cagione della apposizione di cartelli evidenzianti il relativo provvedimento doveva essergli certamente nota. Ed avendo il sindaco di Scurcola Marsicana escluso di avere autorizzato M. ad entrarvi, i giudici di secondo grado hanno logicamente ritenuto che non sussistessero elementi in grado di facoltizzare la condotta dell'imputato, posta in essere in violazione dei limiti imposti dall'autorità giudiziaria.

Sotto altro ma connesso profilo, i giudici di appello hanno escluso qualunque valenza scusante o comunque scriminante all'adozione dell'ordinanza sindacale n. 26 in data 11/06/2007, che avrebbe imposto ai titolari di diritti reali o personali sui terreni del comune di provvedere alla rapida eliminazione delle erbacce, così come al presunto pericolo di incendi o di invasioni di animali nocivi, che avrebbe imposto di provvedere con urgenza.

Quanto all'ordinanza sindacale, infatti, la Corte aquilana ha puntualmente rilevato come la stessa risalisse ad oltre due anni prima dei fatti oggetto di imputazione e con essa fissasse, per l'adempimento, un termine di trenta giorni dalla contestazione da parte degli organi preposti alla vigilanza, sicchè M. avrebbe avuto, in ogni caso, tutto il tempo di mettersi in regola e, qualora non lo avesse fatto, avrebbe comunque violato il termine fissato nell'ordinanza, non potendo, dunque, a distanza di oltre due anni e, soprattutto, dopo un sequestro preventivo, invocare la causa di giustificazione di cui all'art. 51 c.p..

Quanto, poi, al profilo relativo alla legittima difesa, la Corte ha logicamente osservato che, anche volendo ammettere una situazione di degrado tale da giustificare un intervento di pulizia, la situazione, peraltro provocata dallo stesso imputato, non avrebbe potuto, in assenza di incendi in corso al momento del fatto, essere di tale urgenza da impedire a M. di chiedere un'apposita autorizzazione ad entrare nel fondo da parte dell'Autorità giudiziaria competente.

Infine, la circostanza che l'imputato fosse stato assolto dal reato per il quale era stato disposto il sequestro preventivo del terreno e che, per tale motivo, il sequestro fosse stato revocato, non ha inciso, secondo il logico ragionamento della Corte abruzzese, sulla situazione fattuale e giuridica esistente alla data di commissione del fatto, atteso che il fondo era sottoposto ad un vincolo giudiziario esistente e del tutto legittimo, che dunque avrebbe richiesto un'apposita autorizzazione.

2.2. In definitiva, la complessiva motivazione resa dei giudici di secondo grado ha senz'altro spiegato, in maniera logica ed esauriente, le ragioni dell'infondatezza delle censure dedotte in sede di appello, addivenendo ad una puntuale enunciazione degli elementi che, per converso, rendevano corretta la pronuncia di primo grado, sia sul piano della congruità della ricostruzione fattuale che su quello della esattezza della ricostruzione giuridica, senza che le doglianze riportate nella nuova impugnazione, già in precedenza ineccepibilmente confutate, possano in alcun modo scalfire la compattezza logica dell'impianto argomentativo della pronuncia gravata.

3. Venendo, infine, al primo motivo di ricorso, è appena il caso di rilevare come la fattispecie incriminatrice contestata non si connoti affatto per la presenza del dolo specifico il quale, come noto, consiste nella proiezione finalistica della condotta tipica verso un risultato ulteriore e distinto rispetto agli elementi oggettivi del fatto-reato, senza che peraltro sia necessario, ai fini della integrazione della fattispecie, l'effettivo conseguimento del risultato avuto di mira. Ai fini, invece, della commissione del delitto di cui all'art. 349 c.p. è sufficiente che il soggetto attivo si rappresenti e voglia realizzare la violazione dei sigilli apposti, per legge o sulla base di un provvedimento dell'autorità competente, al fine di garantire la conservazione o l'identità di un bene; sicchè la fattispecie in esame è, senza dubbio alcuno, caratterizzata dalla necessaria presenza del dolo generico. Ne consegue, conclusivamente, la manifesta infondatezza anche del primo motivo di impugnazione.

4. Sulla base di quanto precede, il ricorso formulato da Giuseppe M. deve essere dichiarato inammissibile.

Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata in 2.000,00 Euro.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 20 settembre 2016.