Cass. Sez. III n. 20941 del 27 maggio 2021 (CC 10 feb 2021)
Pres. Lapalorcia Est. Gentili Ric. Lembo
Urbanistica.Demolizione e delibera comunale che dichiari la sussistenza di prevalenti interessi alla acquisizione della opera abusiva al patrimonio dell’ente pubblico
L’eccezionale ostacolo alla operatività dell’ordine giurisdizionale di demolizione dell’opera edilizia abusivamente realizzata costituito dalla adozione di una delibera comunale che dichiari la sussistenza di prevalenti interessi alla acquisizione della opera abusiva al patrimonio dell’ente pubblico, è sempre soggetta al sindacato che il giudice della esecuzione è chiamato a svolgere, sia pure sotto il profilo della sola legittimità e non certamente del merito della delibera, in relazione alla esistenza o meno delle specifiche esigenze che giustifichino tale scelta. Compito del giudice della esecuzione è verificare se il provvedimento comunale abbia adeguatamente ponderato, bilanciandolo con il contrapposto interesse al rispetto della legalità edilizia indubbiamente violato per effetto della realizzazione dell’immobile abusivo, se il mantenimento del manufatto si ponga o meno tuttora in insanabile contrasto con rilevanti interessi urbanistici ovvero se lo stesso violi preminenti interessi di carattere ambientale, culturale e paesaggistico ed, infine, se la destinazione attribuita dal Comune al manufatto sia tale da consentire effettivamente il soddisfacimento di un interesse pubblico.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Napoli, agendo in qualità di giudice dell’esecuzione, ha, con ordinanza del 13 marzo 2020, rigettato l’incidente di esecuzione promosso dal Comune di Capri, in persona del Sindaco pro tempore, volto ad ottenere la dichiarazione della “inesistenza giuridica ovvero la nullità o l’inefficacia” dell’ingiunzione a demolire un manufatto abusivo disposta in esecuzione della sentenza emessa in data 26 febbraio 1997 dalla Pretura di Napoli, Sezione distaccata di Capri, divenuta definitiva il successivo 19 aprile 1997, a carico di Cimitile Cortese Vittorio.
Il Tribunale, premesso che sia la legittimazione del Comune di Capri ad impugnare la predetta ingiunzione che le ragioni della impugnazione medesima poggiavano sul fatto che il manufatto in questione era, a seguito della inottemperanza da parte dell’interessato della ordinanza sindacale di demolizione emessa in data 3 aprile 1996, transitato nel patrimonio del Comune e che, con successiva delibera n. 60 del Consiglio comunale del 2 ottobre 2019 era stato dichiarato il prevalente interesse pubblico alla conservazione del manufatto, in quanto lo stesso, era stato destinato ad uso di edilizia residenziale sociale, ha, tuttavia, rilevato che siffatta delibera non poteva ritenersi ostativa alla demolizione del manufatto in quanto, per un verso, non era stata attribuita ad esso una effettiva destinazione ad uso pubblico, essendo l’immobile rimasto nella disponibilità del soggetto che, a suo tempo, aveva commesso l’abuso, senza che il medesimo abbia neppure corrisposto all’Amministrazione un’indennità di occupazione ed in quanto, per altro verso, nella citata delibera comunale non vi è alcuna valutazione in ordine alla assenza di contrasti fra il mantenimento dell’immobile ed altri interessi di carattere ambientale; sul punto, rileva, infatti, il Tribunale, non è stato acquisito il parere della competente Sovrintendenza ai beni culturali ed ambientali.
Essendo, pertanto, risultato viziato il provvedimento con il quale è stata dichiarata la esistenza di un prevalente interesse pubblico, il Tribunale ha rigettato l’incidente di esecuzione.
Ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Capri, in persona del Sindaco pro tempore, affidando le sue lagnanze ad un unico, articolato, motivo di impugnazione.
Infatti, con riferimento al vizio di motivazione ed al travisamento della prova, il ricorrente ha, in primo luogo contestato la apparenza della motivazione, essendo questa sviluppata attraverso la ripetizione degli argomenti inseriti nel parere reso dal Pm in merito alla originaria istanza di incidente di esecuzione.
Ha, successivamente, contestato la affermazione secondo la quale nella deliberazione comunale non emergerebbe un reale approfondimento della sussistenza dell’interesse pubblico preminente rispetto all’attuazione del provvedimento demolitorio, essendo detto interesse, correttamente rappresentato nelle premesse della delibera, nella esigenza di assicurare un’abitazione ai residenti nel predetto Comune, interessato da una profonda crisi di alloggi abitativi.
Ha, successivamente, il ricorrente rilevato che non poteva costituire un vizio della deliberazione in questione il fatto che in essa non fosse stata chiarita la sussistenza in capo all’occupante abusivo dei requisiti per potere accedere alla edilizia sociale; un siffatto accertamento, infatti, era compito degli organi operativi del Comune e non degli organi, quale il Consiglio comunale, dotati di responsabilità politica; peraltro, aggiungeva il ricorrente, la delibera non faceva alcun cenno a siffatta destinazione che, pertanto, costituiva una mera petizione di principio del Tribunale.
Infine, il ricorrente (con una argomentazione rubricata come quinta ma in realtà immediatamente successiva al terzo profilo di illegittimità dedotto) ha rilevato che ingiustificato era il profilo di illegittimità avente ad oggetto la mancata valutazione in ordine alla assenza di contrasti fra il prevalente interesse pubblico e i rilevanti interessi urbanistici ed ambientali, posto che la delibera de qua era stata adottata a seguito di relazione tecnica redatta dal responsabile dell’UTC di Capri, con la quale era asseverata la assenza di violazione di tali interessi di tipo ambientale ed urbanistico.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso ora in esame è infondato e, pertanto, lo stesso deve essere annullato.
Osserva, infatti, il Collegio che è ben vero che, sebbene esso abbia carattere eccezionale, costituisce fattore idoneo a bloccare la operatività dell’ordine di demolizione del manufatto abusivo impartito dal giudice penale contestualmente alla affermazione della illiceità penale, per contrasto con la disciplina edilizia ed urbanistica, della edificazione del predetto manufatto e alla conseguente condanna dell’autore dell’illecito, la adozione da parte del Comune nel cui territorio il manufatto insista di una delibera con la quale esso affermi la esistenza di un prevalente interesse pubblico la cui soddisfazione sarebbe inevitabilmente compromessa in caso esecuzione della demolizione in questione (cfr. nel senso indicato: Corte di cassazione, 21 gennaio 2019, n. 2582).
E’, tuttavia, altrettanto vero che spetta al giudice penale - nello svolgimento della sua funzione di applicazione della normativa volta a rendere effettiva la tutela dell’interesse pubblico al regolare svolgimento della attività edificatoria laddove la stessa comporti una qualche stabile trasformazione del territorio - il potere di verificare, sia pure con effetti esclusivamente incidentali, la correttezza dell’esercizio del potere attribuito alla autorità comunale.
Come è stato, infatti, osservato da questa Corte l’eccezionale ostacolo alla operatività dell’ordine giurisdizionale di demolizione dell’opere edilizia abusivamente realizzata costituito dalla adozione di una delibera comunale che dichiari la sussistenza di prevalenti interessi alla acquisizione della opera abusiva al patrimonio dell’ente pubblico, è, tuttavia, sempre soggetta al sindacato che il giudice della esecuzione è chiamato a svolgere, sia pure sotto il profilo della sola legittimità e non certamente del merito della delibera, in relazione alla esistenza o meno delle specifiche esigenze che giustifichino tale scelta (Corte di cassazione, Sezione III penale, 9 marzo 2016, n. 9864).
E’ stato, infatti, ulteriormente chiarito che è compito del giudice della esecuzione, in un caso quale è il presente, verificare se il provvedimento comunale abbia adeguatamente ponderato, bilanciandolo con il contrapposto interesse al rispetto della legalità edilizia indubbiamente violato per effetto della realizzazione dell’immobile abusivo, se il mantenimento del manufatto si ponga o meno tuttora in insanabile contrasto con rilevanti interessi urbanistici ovvero se lo stesso violi preminenti interessi di carattere ambientale, culturale e paesaggistico ed, infine, se la destinazione attribuita dal Comune al manufatto sia tale da consentire effettivamente il soddisfacimento di un interesse pubblico (cfr. al riguardo: Corte di cassazione, Sezione III penale, 21 gennaio 2019, n. 2582).
Nel caso in esame il Tribunale di Napoli ha correttamente escluso per i motivi che saranno di seguito precisati che il potere in questione fosse stato esercitato correttamente dalla amministrazione comunale caprese.
Esso ha, infatti, rilevato che l’immobile oggetto della delibera comunale, adottata questa solo in data 2 ottobre 2019, quindi singolarmente a distanza di oltre 20 anni sia dal passaggio in giudicato della sentenza con la quale l’ordine era stato impartito sia dall’ordine di demolizione a suo tempo emanato anche in sede amministrativa (la sentenza era, infatti, divenuta irrevocabile in data 19 aprile 1997 mentre il precedente ordine di demolizione amministrativo, rimasto inevaso, con il conseguente passaggio della titolarità del bene al patrimonio comunale era dell’aprile del 1996) e nell’imminenza della scadenza del termine dato dal Pm per l’esecuzione dell’ordine di demolizione di fonte giudiziaria, era sempre rimasto nella disponibilità esclusiva del soggetto che aveva realizzato l’abuso edilizio, il che appare logicamente contrastante con la attribuzione di finalità di interesse pubblico, generalmente coniugata con un uso del bene consentito ad una generalità di soggetti, al mantenimento della costruzione.
Ne può ritenersi che, come invece rivendicato dal ricorrente, la delibera che il Comune assume essere legittimamente incompatibile con l’abbattimento del manufatto, sia stata legittimamente adottata in considerazione della grave situazione di tensione abitativa riscontrabile nel Comune di Capri stante la prevalente destinazione ad uso turistico delle abitazioni ivi esistenti.
Infatti, la normativa invocata dal ricorrente Sindaco, costituita dall’art. 1, comma 65, della legge della Regione Campania n. 5 del 2013, prevede effettivamente che, per fare fronte a situazioni di difficoltà del tipo di quelle rappresentate nella citata delibera comunale n. 60 del 2 ottobre 2019, gli immobili acquisiti al patrimonio comunale (ed al riguardo è bene chiarire che la finalità di tale acquisizione non è quella di incrementare in maniera duratura il patrimonio comunale ma è quella di rendere possibile, anche in assenza della collaborazione del precedente proprietario oramai spossessato del bene, la demolizione del manufatto) possono essere eccezionalmente destinati prioritariamente a scopi di edilizia pubblica residenziale e di edilizia sociale e che nella scelta del soggetto cui assegnare l’immobile possa essere data precedenza a chi al tempo della acquisizione occupava l’immobile.
Ma ciò deve avvenire nel rispetto della normativa nazionale in materia di “housing sociale” e previa verifica del fatto che gli originari occupanti non dispongano di altra idonea soluzione abitativa.
Verifica quest’ultima pacificamente non eseguita e del cui svolgimento il ricorrente, affermando che siffatta mancanza non è addebitabile al Consiglio comunale deliberante, ha ritenuto onerati gli organi amministrativi del Comune dell’isola di Tiberio.
Rileva sul punto il Collegio che poco incide, ai fini della legittimità della delibera, la titolarità della competenza a svolgere gli atti prodromici alla sua assunzione; ciò che conta - onde rilevare la mancanza di uno degli elementi procedimentali che per legge debbono precedere l’assegnazione al fine pubblico connesso alla edilizia sociale di un immobile gravato dall’ordine giurisdizionale di demolizione in quanto abusivamente costruito - è il dato, incontroverso nel caso ora in esame, che tale verifica non sia stata compiuta.
Va, altresì, rilevato che, come segnalato nella ordinanza impugnata la delibera comunale con la quale è stata dichiarata la esistenza di un prevalente interesse pubblico, ostativo alla esecuzione dell’ordine di demolizione impartito con la più volte ricordata sentenza di condanna emessa in data 26 febbraio 1997 dalla Sezione di Capri della Pretura circondariale di Napoli, è illegittima anche per altri versi e, pertanto, essa, anche per tali motivi, non è atta ad impedire la esecuzione dell’ordine sopra richiamato.
Si osserva, infatti, che nella motivazione della ricordata ordinanza comunale, per come riportata nello stesso ricorso introduttivo del presente giudizio, si fa un generale riferimento alla esigenza del Comune di Capri di “fare fronte alla emergenza abitativa dei cittadini richiedenti, in possesso di determinati requisiti, cui va assicurato il diritto di abitare in una casa dignitosa e adeguata alle loro esigenze”; si richiama, quindi, il contenuto dell’art. 1, comma 65, della ricordata legge della Regione Campania n. 5 del 2013, nella parte in cui legittima (…a determinate condizioni, si ribadisce ora, la cui verifica non risulta essere stata mai eseguita…) l’assegnazione degli immobili acquisiti al patrimonio regionale al soggetto che ne godeva al momento del transito del cespite nel patrimonio pubblico; si rileva ancora che l’immobile del quale ora si tratta è stato acquisito al patrimonio pubblico sin dall’ottobre del 1996; si conclude che, pertanto, indubbiamente l’avvenuta destinazione del manufatto ad una attività di natura pubblicistica, rinvenibile nella destinazione ad edilizia sociale, lo rende immune dalla esecuzione della demolizione per effetto della sentenza di condanna del soggetto che lo realizzò.
Siffatta motivazione, come detto, presenta diverse criticità correttamente messe in luce nella ordinanza impugnata.
In primo luogo, essa fa riferimento ad una situazione di complessiva tensione abitativa esistente nel Comune di Capri e non segnala in quale modo siffatta tensione potrebbe essere risolta o quanto meno allentata, se non in misura in termini di economia generale del tutto irrilevante, ove esaminata in un quadro complessivo che concerna l’intera situazione comunale (e non facendo riferimento al particolare interesse del solo occupante l’immobile), attraverso la destinazione ad edilizia sociale del manufatto in questione.
Come questa Corte ha, infatti, già sostenuto, con motivazione che appare del tutto congrua e meritevole di essere, pertanto, ora confermata, la deliberazione comunale con la quale - essendo stata dichiarata la esistenza di un interesse pubblico prevalente sul ripristino del violato assetto pubblico urbanistico-edilizio del territorio – si intenda sottrarre l’opera abusiva alla demolizione prevista per legge quale conseguenza della sentenza penale di condanna per un reato collegato all’abusivismo edilizio non può fondarsi su valutazioni di carattere generale o riguardanti genericamente una situazione avente ad oggetto più edifici, ma deve dare conto delle specifiche esigenze che giustificano la scelta di conservazione del singolo manufatto oggetto della deliberazione (così: Corte di cassazione, Sezione III penale, 15 giugno 2017, n. 30170).
Nel caso in esame siffatta specifica motivazione non risulta sussistere, non potendosi ritenere che, come dianzi accennato, la situazione di dichiarata generale tensione abitativa presente sull’isola possa essere sensibilmente allentata per effetto della unica assegnazione riguardata dalla delibera comunale azionata dal Sindaco del Comune caprese in sede di opposizione alla esecuzione.
Vi è, infine da dire che, anche a prescindere da ogni altro pur significativo rilievo, la più volte richiamata delibera comunale appare viziata, e pertanto non idonea a costituire una insormontabile remora alla esecuzione del provvedimento giurisdizionale di demolizione del manufatto abusivo, laddove, come diligentemente segnalato nella ordinanza impugnata, essa è stata assunta senza alcuna preventiva verifica in ordine alla possibilità che la permanenza del manufatto non cozzi con “rilevanti interessi urbanistici ed ambientali”.
Ciò, tanto più vale ove si consideri che l’immobile in questione insiste in una zona, non solo sottoposta a vincolo idrogeologico e caratterizzata da una significativa sismicità, ma anche collocata in un ambito territoriale assoggettato a vincoli di carattere ambientale e paesaggistico.
Ciò considerato - tenuto conto che in merito alla insussistenza dei “rilevanti interessi” ostativi alla conservazione dell’immobile deve essere preventivamente acquisita la valutazione della autorità tutoria competente in relazione alla materia coinvolta, identificabile, con riferimento ai vincoli ultimi richiamati (come segnalato dal Tribunale di Napoli nella ordinanza impugnata) nella locale Sovraintendenza archeologica, alle belle arti ed al paesaggio – rileva il Collegio come del tutto congruamente il citato Tribunale abbia ritenuto che l’assenza di qualsivoglia positiva interlocuzione procedimentale fra l’organo deliberante comunale e quello preposto alla tutela dell’interesse pubblico coinvolto dalla deliberazione n. 60 del 2 ottobre 2019 rende quest’ultima illegittima è, pertanto, non tale da impedire l’ esecuzione dell’ordine di demolizione del manufatto in questione.
Né vale, come parrebbe sostenere la ricorrente difesa, che l’assenza di contrastanti “rilevanti interessi” possa essere desunta dalla relazione tecnica redatta dall’Ufficio tecnico del Comune di Capri allegata alla più volte ricordata deliberazione; infatti la mancanza della acquisizione del parere reso dall’organo tutorio, il cui contenuto è sostanzialmente quello di un “nulla osta”, rende manchevole di un indispensabile tratto procedimentale, l’intero iter che ha condotto alla adozione della succitata deliberazione comunale (sulla non surrogabilità del parere reso da parte della autorità competente alla tutela del vincolo in tema di compatibilità paesaggistica di un manufatto con il provvedimento comunale di autorizzazione si veda, infatti: Corte di cassazione, Sezione III penale, 20 luglio 2018, n. 34119).
Conclusivamente, il ricorso deve, per le ragioni esposte, essere rigettato ed il ricorrente va essere condannato, visto l’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2021