Cass. Sez. III n. 33783 del 3 settembre 2007 (Ud. 8 giu. 2007)
Pres. Vitalone Est. Fiale Ric. Del Genio
Urbanistica. Realizzazione piscina

La costruzione, ancorché interrata, di una piscina costituisce intervento già assoggettato a concessione edilizia ed attualmente a permesso di costruire, poiché essa crea nuova volumetria e trasforma in modo durevole l\'area impegnata dai relativi lavori

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello di Napoli, con sentenza del 18.7.1994, in parziale riforma della sentenza 30.6.1993 del Pretore di Sorrento:

a) ribadiva l'affermazione della responsabilità penale di D.G. A. in ordine ai reati di cui:

- alla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. c), (per avere, in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, senza la necessaria concessione edilizia, realizzato una piscina di circa 35,00 mq. - acc. in (OMISSIS));

- alla L. n. 431 del 1985, art. 1 sexies (per avere realizzato l'opera anzidetta senza la necessaria autorizzazione paesaggistica);

b) confermava la condanna dell'imputato - con le riconosciute circostanze attenuanti generiche ed essendo stati unificati i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. cod. pen. - alla pena complessiva di giorni 12 di arresto e lire 20 milioni di ammenda;

nonchè l'ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi, c) concedeva al condannato i doppi benefici di legge.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il D.G., il quale - sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione - ha eccepito:

- la mancata assunzione di una prova decisiva espressamente richiesta, rivolta ad ottenere l'espletamento di una perizia circa le effettive caratteristiche e la reale natura dell'opera realizzata, che - secondo la prospettazione difensiva - costituirebbe una vasca di raccolta delle acque, di ridotte dimensioni e con funzione essenzialmente ornamentale, servita da un impianto non di depurazione ma "di riciclo con depuratore" e ritualmente autorizzata dal Comune;

- la incongrua configurazione quale "piscina" dell'opera realizzata;

- la "improprietà dell'ordine di ripristino dello stato dei luoghi", in quanto sarebbe stata ritenuta illecita "non la vasca, ma la sua utilizzazione quale piscina";

- la insussistenza di entrambi i reati per l'evidente assenza di "interventi edilizi".

Tenuto conto della intervenuta presentazione da parte del ricorrente, in data 1.3.1995, di una domanda di "condono edilizio", L. n. 724 del 1994, ex art. 39, questa Corte - all'udienza del 3.3.1995 - ha disposto la sospensione del procedimento ai sensi della L. n. 47 del 1985, art. 38.

Il Comune di Massa Lubrense - con due relazioni del 28.5.2007, depositate dal difensore il 31.5.2007, attinenti a due distinte pratiche di condono il cui oggetto non viene però specificato - ha riferito che le pratiche sono "in fase di istruttoria finale per il definitivo rilascio della concessione edilizia in sanatoria".

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perchè parzialmente articolato in fatto e manifestamente infondato.

1. Va ribadita, anzitutto, la giurisprudenza costante di questa Corte Suprema, condivisa dai giudici amministrativi, secondo la quale la costruzione, ancorchè interrata, di una piscina costituisce intervento già assoggettato a concessione edilizia ed attualmente a permesso di costruire, poichè essa crea nuova volumetria e trasforma in modo durevole l'area impegnata dai relativi lavori vedi Cass., Sez. 3^: 29.4.2003, Agresti; 27.9.2000, Cimaglia; nonchè C. Stato: Sez. 5^, 25.11.1999, n. 1971 e Sez. 2^, 2.5.1990, parere n. 1092/89.

2. Quanto alla configurazione concreta come "piscina" (e non come "vasca ornamentale") del manufatto effettivamente realizzato in concreto, la motivazione della sentenza impugnata appare esauriente e corrispondente alle premesse fattuali acquisite in atti, in quanto esamina tutti gli elementi decisivi a disposizione e fornisce risposte coerenti alle obiezioni della difesa.

Le censure concernenti asserite carenze e discrasie argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione dei fatti e dell'attribuzione degli stessi alla persona dell'imputato, pertanto, non sono proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.

3. A norma dell'art. 603 c.p.p., comma 1, la rinnovazione dell'istruzione nel giudizio di appello ha natura di istituto eccezionale rispetto all'abbandono del principio di oralità nel secondo grado, ove vige la presunzione che l'indagine probatoria abbia raggiunto la sua completezza nel dibattimento già svoltosi.

A tale istituto di carattere eccezionale può farsi ricorso solo quando il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti ed un'impossibilità siffatta può sussistere quando i dati probatori già acquisiti siano incerti nonchè quando l'incombente richiesto rivesta carattere di decisività nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali suddette incertezze ovvero sia di per sè oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza.

L' errar in procedendo, in cui si sostanzia il vizio che l'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), ricomprende fra i motivi di ricorso per Cassazione, rileva pertanto - secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema - solo quando la prova richiesta e non ammessa, confrontata con le motivazioni addotte a sostegno della sentenza impugnata, risulti "decisiva", cioè tale che, se esperita, avrebbe potuto determinare una decisione diversa. Ciò comporta che la valutazione in ordine alla decisività della prova deve essere compiuta accertando se i fatti indicati dalla parte nella relativa richiesta fossero tali da potere inficiare le argomentazioni poste a base del convincimento dei giudici di merito e tanto non è dato ravvisare nella sentenza in esame.

Nella specie, la parte aveva chiesto la rinnovazione parziale del dibattimento per l'espletamento di una perizia circa le effettive caratteristiche e la reale natura dell'opera realizzata (avendo ottenuto autorizzazione comunale per la realizzazione di una vasca ornamentale).

La Corte di merito, a fronte di tale richiesta - dopo un approfondito esame delle emergenze dibattimentali - ha correttamente affermato (con argomentazioni ineccepibili sotto il profilo logico-giuridico) di poter escludere ogni incertezza allo stato degli atti.

Deve negarsi, in ogni caso, che l'accertamento peritale - per la sua natura di mezzo di prova neutro - possa ricondursi al concetto di "prova decisiva" la cui mancata assunzione costituisce motivo di ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., lett. d), in quanto il ricorso o meno ad una perizia è attività sottratta al potere dispositivo delle parti e rimessa essenzialmente al potere discrezionale del giudice, la cui valutazione, se assistita da adeguata motivazione, è insindacabile in sede di legittimità (vedi Cass.: Sez. 5^, 21.10.1999, n. 12027; Sez. 3^, 14.12.1998, n. 13086; Sez. 5^, 21.6.1997, n. 6074).

4. Il reato di cui alla L. n. 431 del 1985, art. 1 sexies - attualmente previsto dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 - è reato di pericolo e tale sua natura esclude dal novero delle condotte penalmente rilevanti soltanto quelle che si prospettano inidonee, pure in astratto, a compromettere i valori del paesaggio vedi tra le pronunzie più recenti, Cass., Sez. 3^: 29.11.2001, Zecca ed altro;

15.4.2002, P.G. in proc. Negri; 14.5.2002, Migliore; 4.10.2002, Debertol; 7.3.2003, Spinosa; 6.5.2003, Cassisa; 23.5.2003, P.M. in proc. Invernici; 26.5.2003, Sargentini; 5.8.2003, Mori; 7.10.2003, Fierro; 12.1.2007, Cesarano. Vedi pure, in proposito, Corte Cost., sent. n. 247 del 1997 ed ord. n. 68 del 1988.

Nelle zone paesisticamente vincolate è inibita, in assenza della prescritta autorizzazione, ogni modificazione dell'assetto del territorio, attuata attraverso lavori di qualsiasi genere consistenti sia in opere edilizie sia in altre attività antropiche (ad eccezione degli interventi edilizi consistenti nella manutenzione, ordinaria e straordinaria, nel consolidamento statico o restauro conservativo, nonchè dell'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale, purchè non vengano alterati lo stato dei luoghi e l'aspetto esteriore degli edifici nè l'assetto idrogeologico).

Nella fattispecie, tenuto conto delle caratteristiche oggettive dell'opera realizzata, è fuori discussione la configurazione di un'effettiva messa in pericolo del paesaggio, oggettivamente insita nella minaccia ad esso portata, valutabile e valutata come tale ex ante. Le opere medesime, già in astratto e prima della toro realizzazione, si prospettavano oggettivamente idonee a compromettere i valori paesistici e ciò in quanto esse intrinsecamente erano riconducibili a quell'attività di modificazione dell'assetto ambientate in relazione alla quale il regime autorizzatorio si pone come necessario ed ineludibile.

5. L'ordine di rimessione in pristino dello stato originario dei luoghi a spese del condannato, già previsto dalla L. n. 431 del 1985, art. 1 sexies, comma 2 (ed attualmente dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181), si pone come atto dovuto per il giudice, non suscettibile di valutazioni discrezionali e del tutto indipendente ed autonomo rispetto alle previsioni della disciplina urbanistica ed edilizia.

La Corte Costituzionale ha affermato che esso costituisce un obbligo a carico del giudice - imposto per la più incisiva tutela di un interesse primario della collettività per la salvaguardia del valore ambientale presidiato dalla norma che lo prevede - e si colloca su un piano diverso ed autonomo rispetto a quello dei poteri della Pubblica Amministrazione e delle valutazioni della stessa, configurandosi quale conseguenza necessaria sia dell'esigenza di recuperare l'integrità dell'interesse tutelato, sia del giudizio di disvalore che il legislatore ha dato all'attuazione di interventi modificativi del territorio in zone di particolare interesse ambientale (Corte Cost., sentenza 20.7.1994, n. 318).

6. La inammissibilità del ricorso non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione, per cui non può tenersi conto:

- della domanda di condono edilizio successivamente presentata dal ricorrente;

- della prescrizione dei reati Venuta eventualmente a scadere in epoca successiva alla pronuncia della sentenza impugnata ed alla presentazione del gravame (vedi Cass., Sez. Unite, 21.12.2000, a 32, ric. De Luca).

7. Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della stessa segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., l'onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1000,00.

P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 607, 615 e 616 c.p.p., dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento della somma di Euro mille/00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 8 giugno 2007.