Cass. Sez. III n. 26806 del 21 giugno 2023 (PU 16 mar 2023)
Pres. Ramacci Rel. Reynaud Ric. Bernardini
Urbanistica.Lottizzazione abusiva e concoprso nel reato del dirigente UTC
Sussiste la responsabilità a titolo di concorso nel reato di lottizzazione abusiva del dirigente dell'ufficio tecnico comunale che, con condotta commissiva sorretta da colpa cosciente, illegittimamente rilasci un titolo edilizio in forza del quale avvenga, o prosegua, una trasformazione del suolo integrante il reato colposo di lottizzazione abusiva materiale, avendo apportato un contributo causale rilevante, cosciente e consapevole, alla realizzazione dell'illecito urbanistico
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 22 ottobre 2021, la Corte di appello di Bari ha confermato la declaratoria di non doversi procedere emessa in primo grado per estinzione del reato di lottizzazione abusiva contestato a Ernesto Bernardini, essendo il medesimo estinto per prescrizione. Disattendendo il gravame proposto dal suddetto imputato, la Corte territoriale ha ritenuto che non fossero ravvisabili evidenti cause di proscioglimento nel merito ai sensi dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen.
2. Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del difensore fiduciario, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo, con due articolati motivi, la violazione di legge per inosservanza o erronea applicazione degli artt. 531 e 129 cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo si lamenta che la Corte territoriale, incorrendo anche nella violazione dell’art. 125, comma 3, cod. proc. pen., aveva sommariamente valutato soltanto il profilo della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, senza affrontare in alcun modo il primo motivo di appello, concernente l’insussistenza dell’elemento oggettivo.
In sintesi, si osserva che né la sentenza impugnata, né la stessa imputazione consentono d’individuare una qualsivoglia condotta illecita dell’imputato causalmente collegata al reato di lottizzazione abusiva fatto oggetto di contestazione ad una pluralità di persone. Quale responsabile dell’ufficio tecnico comunale – si allega – l’ing. Bernardini si era limitato ad esprimere un parere favorevole sul progetto di lottizzazione avanzato dal privato, contenente peraltro prescrizioni quale il previo rilascio della necessaria autorizzazione paesaggistica, e non aveva emesso alcun provvedimento autorizzatorio dell’intervento edilizio. Richiamando anche giurisprudenza di legittimità, il ricorrente sostiene che detta condotta non sarebbe nemmeno astrattamente suscettibile d’essere considerata illecita rispetto alla contravvenzione fatta oggetto di contestazione, essendo peraltro egli stato assolto già in primo grado, perché il fatto non sussiste, dal delitto di abuso di ufficio parimenti ascrittogli per la medesima vicenda.
2.2. Con il secondo motivo, ci si duole del mancato rilievo, anche ai sensi dell’art 47, ultimo comma, cod. pen., dell’errore in cui il ricorrente era incorso – al pari di 25 tecnici in diversa misura coinvolti nella vicenda in esame – nell’interpretare una disciplina urbanistica oscura e foriera di plurime, possibili, letture, come anche confermato dal giudice amministrativo che pure aveva successivamente proceduto all’annullamento per ritenuta illegittimità dei provvedimenti autorizzatori rilasciati con riguardo all’intervento di lottizzazione oggetto di processo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato, generico e comunque proposto in assenza di interesse.
2. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, l'imputato che – come nella specie –, senza aver rinunciato alla prescrizione, proponga appello avverso sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, è tenuto, a pena di inammissibilità, a dedurre specifici motivi a sostegno della ravvisabilità in atti, in modo evidente e non contestabile, di elementi idonei ad escludere la sussistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte sua, la configurabilità dell'elemento soggettivo del reato o di un illecito penale, affinché possa immediatamente pronunciarsi sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen., ponendosi così rimedio all'errore circa il mancato riconoscimento di tale ipotesi in cui sia incorso il giudice di primo grado (Sez. 3, n. 46050 del 28/03/2018, M, Rv. 274200). E lo stesso accade quando si tratti di ricorso per cassazione (Sez. 4, n. 8135 del 31/01/2019, Pintile, Rv. 275219), dovendosi reputare generica l’impugnazione che, in tal caso, non prospetti l'evidenza della causa di non punibilità specificamente invocata, in conformità alla previsione dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 18069 del 20/01/2022, Grosso, Rv. 283131).
3. Nel caso di specie, la sentenza impugnata dà brevemente conto della complessa vicenda che, anche con il concorso dell’odierno ricorrente quale responsabile dell’ufficio tecnico del Comune di Barletta, aveva portato all’approvazione di un piano di lottizzazione – e al rilascio dei permessi di costruire – per un imponente intervento di trasformazione urbanistica di territorio agricolo e paesaggisticamente vincolato, che prevedeva la realizzazione di 46 unità immobiliari residenziali per una complessiva volumetria di circa 25.000 mc. Si dà altresì atto che con conformi sentenze del T.A.R. e del Consiglio di Stato fu successivamente riconosciuta l’illegittimità, per violazione delle norme del P.R.G. e delle Norme Tecniche di Attuazione, dell’autorizzazione alla lottizzazione e la consequenziale illegittimità dei permessi di costruire, trattandosi di un intervento che aveva irrimediabilmente compromesso la destinazione agricola dell’area. A fronte dei profili di illegittimità degli atti adottati quali rilevati dal giudice amministrativo, la sentenza conclude nel senso della conferma della decisione di primo grado circa l’impossibilità di ravvisare l’evidenza di una causa di proscioglimento nel merito degli imputati – compreso l’odierno ricorrente – tenendo conto del fatto che i motivi proposti con il gravame attenevano sostanzialmente alla sussistenza dell’elemento soggettivo in reato contravvenzionale (come noto, punibile anche soltanto a titolo di colpa).
4. Ciò premesso, con riguardo alla doglianza svolta con il primo motivo di ricorso, il Collegio si limita a richiamare, condividendola, la recente decisione con cui questa Sezione ha affermato che sussiste la responsabilità a titolo di concorso nel reato di lottizzazione abusiva del dirigente dell'ufficio tecnico comunale che, con condotta commissiva sorretta da colpa cosciente, illegittimamente rilasci un titolo edilizio in forza del quale avvenga, o prosegua, una trasformazione del suolo integrante il reato colposo di lottizzazione abusiva materiale, avendo apportato un contributo causale rilevante, cosciente e consapevole, alla realizzazione dell'illecito urbanistico (Sez. 3, n. 8225 del 18/12/2020, dep. 2021, Pettina, Rv. 281097). E’ bensì vero che, nel caso di specie, non fu il ricorrente a rilasciare il provvedimento autorizzatorio, ma egli intervenne nel procedimento amministrativo rendendo il prescritto parere favorevole propedeutico all’adozione dell’atto finale, sicché – ferma la necessaria valutazione dell’incidenza causale di tale atto procedimentale rispetto all’adozione del provvedimento – non può dirsi in radice esclusa la possibilità di configurare una condotta commissiva causalmente connessa all’illecita trasformazione del territorio poi attuata in conformità agli atti amministrativi rilasciati dal comune e successivamente annullati per illegittimità dal giudice amministrativo.
Quanto alla doglianza svolta con il secondo motivo, la stessa contesta la decisione resa con doppia pronuncia conforme dai giudici di merito circa il mancato rilievo dell’insussistenza di un profilo colposo che, secondo il ricorrente, sarebbe “evidente”, nonostante gli specifici, e gravi, profili di illegittimità dell’azione amministrativa riassunti nella sentenza impugnata e ravvisati dal giudice amministrativo, anche qui con doppia decisione conforme nei due gradi di giudizio.
5. In questo quadro, reputa dunque il Collegio che la pur concisa motivazione non rivela né vizi di legittimità né di manifesta illogicità della motivazione e, quand’anche le contestazioni ancorate al vizio di motivazione – in particolare all’omessa, specifica, disamina del primo motivo di appello – potessero ritenersi fondate, anche alla luce delle articolate doglianze svolte nelle 29 pagine del ricorso, l’analisi della complessa vicenda non consentirebbe comunque, in questa sede, di ritenere evidente la sussistenza di una causa di proscioglimento nel merito, sicché l’eventuale accoglimento del ricorso imporrebbe l’annullamento della sentenza con un (inutile) rinvio alla Corte di appello di Bari.
Difetta in radice, pertanto, un concreto interesse che sul punto legittimi l’impugnazione proposta in questa sede di legittimità, dovendo farsi applicazione del principio, ripetutamente affermato dalla Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 224275). Nel ribadire recentemente tale principio in altra decisione, le Sezioni Unite di questa Corte – richiamando anche un risalente precedente (Sez. U, n. 17179 del 27/02/2002, Conti, Rv. 221403) – hanno in motivazione chiarito che l’art. 129 cod. proc. pen. «assolve a due funzioni fondamentali: la prima è quella di favorire l’imputato innocente, prevedendo l’obbligo dell’immediata declaratoria di cause di non punibilità “in ogni stato e grado del processo”, la seconda è quella di agevolare in ogni caso l’exitus del processo, ove non appaia concretamente realizzabile la pretesa punitiva dello Stato […] l’eventuale interesse dell’imputato a proseguire l’attività processuale, in vista di un auspicato proscioglimento con formula liberatoria di merito, sarebbe tutelato dalla possibilità di rinunciare alla prescrizione e deve bilanciarsi, alla luce della normativa vigente, con l’obiettivo, di pari rilevanza, della sollecita definizione del processo, che trova fondamento nella previsione di cui all’art. 111, secondo comma, Cost.» (Sez. U, n. 28954 del 27/04/2017, Iannelli). Per coltivare il suddetto interesse, il ricorrente avrebbe dunque dovuto rinunciare alla prescrizione.
6. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., oltre all'onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della cassa delle ammende della somma equitativamente fissata in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 16 marzo 2023.