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Sez. 3, Sentenza n. 9757 del 03/03/2004 (Cc. 23/01/2004 n.00081 ) Rv. 228009
Presidente: Papadia U. Estensore: Grillo C. Imputato: P.M. in proc. Pannone. P.M. Iacoviello F. (Conf.) (Rigetta, Trib.ries.Napoli, 27 febbraio 2003).
614001 SANITÀ PUBBLICA - IN GENERE - d.P.R. n. 203 del 1988 - Ambito di riferibilità - Individuazione - Fattispecie: fronte di cava.

CON MOTIVAZIONE

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Massima (Fonte CED Cassazione)

Al fine di definire l'ambito di applicabilità delle disposizioni in tema di immissioni nell'atmosfera, di cui al d.P.R. 24 maggio 1998 n. 203, come delineato dal D.P.C.M. 21 luglio 1989 (modificato dal d. P.R. 25 luglio 1991) la condizione che le dette immissioni inquinanti siano "convogliate o tecnicamente convogliabili" deve intendersi riferita sia agli impianti di pubblica utilità che a quelli industriali o di imprese artigiane, con la conseguenza che solo in presenza della detta caratteristica saranno applicabili le disposizioni del citato d.P.R. n. 203. (In applicazione di tale principio la Corte ha escluso la applicabilità della normativa de qua alle immissioni provocate da un fronte di cava in quanto non tecnicamente convogliabili).

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. PAPADIA Umberto - Presidente - del 23/01/2004
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere - SENTENZA
Dott. GRILLO Carlo M. - Consigliere - N. 81
Dott. VANGELISTA Vittorio - Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. FIALE Aldo - Consigliere - N. 19089/2003
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica di Nola;
avverso l'ordinanza del 27/2/2003 pronunciata dal Tribunale del riesame di Napoli;
nei confronti di:
PANNONE ANTONIO, nato ad Afragola il 13/10/1927;
- Sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Carlo M. Grillo;
- sentite le conclusioni del P.M., in persona del S. Procuratore Generale Dott. IACOVIELLO F.M., con le quali chiede il rigetto del ricorso;
la Corte osserva:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
Con provvedimento 3/2/2003, il G.I.P. presso il Tribunale di Nola disponeva il sequestro preventivo del "fronte di cava", oggetto di coltivazione da parte della ditta CE.CA s.r.l., sito nel Comune di Roccarainola, nonché di parte del piazzale sottostante allo stesso e di un pozzo a servizio della cava, ipotizzando -a carico del legale rappresentante della menzionata società, Pannone Antonio - i reati di cui agli artt. 12 e 25, comma 2, D.P.R. n. 203/1988 e 674 c.p., e ritenendo sussistente l'esigenza di prevenire l'aggravamento o la protrazione di essi.
Di tale provvedimento l'indagato chiedeva il riesame ed il Tribunale di Napoli, con l'ordinanza indicata in premessa, annullava il provvedimento di sequestro, non ritenendo applicabile alla fattispecie in esame l'art. 12 D.P.R. n. 203/1998, per non essere tecnicamente convogliabili le emissioni provenienti dalla zona di estrazione della pietra calcarea, e non ritenendo ipotizzabile la contravvenzione codicistica, non essendo stato riscontrato il superamento dei limiti imposti dalla legge.
Ricorre per Cassazione il Procuratore della Repubblica, deducendo l'erronea applicazione delle norme penali incriminatici; innanzi tutto, dell'art. 1 D.P.R. n. 203/1988 e dell'art. 1 D.P.C.M. 21/7/1989, perché l'applicabilità di detta normativa - per quanto riguarda gli impianti industriali di produzione di beni e servizi, come quello per cui si procede - non è sottoposta alla condizione della convogliabilità delle emissioni, che riguarda esclusivamente gli impianti di pubblica utilità, ma si riferisce a tutti gli impianti che possono dar luogo ad emissioni. In secondo luogo il ricorrente denuncia l'erronea applicazione anche dell'art. 674 c.p., per la cui configurabilità, trattandosi di reato di pericolo, è sufficiente che le emissioni superino il limite di normale tollerabilità, con riferimento all'art. 844 c.c., circostanza, peraltro, che non deve essere accertata dal giudice necessariamente mediante perizia, ben potendo questi basare il proprio convincimento su elementi probatori di diversa natura.
Con memoria depositata il 13/1/2004, la difesa critica l'assunto del ricorrente, in relazione ad entrambe le ipotesi contravvenzionali contestate, chiedendo il rigetto del gravame. All'odierna udienza, il P.G. conclude come sopra riportato.
Il ricorso non merita accoglimento.
- In ordine alla prima doglianza, ritiene il Collegio che l'espressione "emissioni inquinanti convogliate o tecnicamente convogliatali" di cui all'art. 1 D.P.C.M. 21/7/1989 (modificato dal D.P.R. 25/7/1991), che delinea l'ambito di applicazione del D.P.R. n. 203/1988, vada riferita - come si sostiene nell'impugnato provvedimento- sia agli impianti di pubblica utilità, sia a quelli industriali o di imprese artigiane. Non appare condivisibile, infatti, ne' sotto il profilo letterale ne' sotto quello logico, la lettura della norma proposta dal ricorrente, secondo cui la predetta espressione sarebbe riferita invece esclusivamente ai primi, non solo perché la struttura del periodo è tale da non legittimare una simile interpretazione, ma soprattutto perché il sostantivo "emissioni" è indubbiamente riferito ad entrambe le tipologie di impianto, che, in carenza di emissioni, si troverebbero certamente al di fuori dell'ambito applicativo del D.P.R. n. 203/1988. Quindi gli aggettivi "convogliate o tecnicamente convogliabili", che accompagnano il predetto sostantivo, sono necessariamente riferiti alle emissioni inquinanti anche degli impianti industriali, le quali, dunque, in tanto cadono sotto la disciplina del decreto presidenziale de quo, in quanto presentino la detta caratteristica. È pacifico, inoltre, che l'accertamento dell'effettivo convogliamento o della convogliabilità tecnica delle emissioni inquinanti di un impianto è questione di fatto ovviamente riservata al giudice del merito. Dopo questa premessa, esaminando il caso di specie, deve evidenziarsi che la violazione del decreto 203 è stata ipotizzata, come peraltro lo stesso P.M. puntualizza in chiusura del ricorso, solo con riferimento al "fronte di cava", e cioè all'insediamento ove vengono estratti i materiali lapidei, e non all'impianto di frantumazione e commercializzazione degli stessi. Orbene, con riferimento alla detta area ("fronte di cava"), a prescindere dalla problematica se essa possa o meno considerarsi "impianto" nel senso voluto dal legislatore, il Tribunale - con argomentazioni adeguate, logiche e corrette - ha condiviso la tesi difensiva, supportata dalle perizie dell'ing. Esposito e del geologo Guarnieri, secondo cui non è tecnicamente possibile, allo stato attuale delle conoscenze tecniche, convogliare le polveri prodotte nell'attività estrattiva dal brillamento di mine, trattandosi di emissioni "diffuse" che interessano superfici molto ampie, e per di più localizzate in posti sempre diversi, man mano che avanzano i lavori di coltivazione della cava. In altri termini, non sono conosciuti sistemi di captazione capaci di operare su superfici del genere, per cui le emissioni in questione non possono ritenersi "tecnicamente convogliabili", donde la inapplicabilità della disciplina del D.P.R. n. 203/1988. In ordine alle violazioni di detto decreto, quindi, non sussiste il fumus delicti.
- Per quanto concerne la seconda doglianza, relativa all'astratta ipotizzabilità della contravvenzione di cui all'art. 674 c.p., il provvedimento impugnato si basa sull'accertata circostanza che le emissioni de quibus non sono mai risultate -a seguito di "vari rilevamenti effettuati anche da soggetti pubblici"- superiori ai limiti di legge, per cui eventuale "fastidio alle persone" può trovare ristoro, a detta del Tribunale, solo in sede civilistica. Secondo il ricorrente, invece, la circostanza del mancato superamento degli standards di legge non esclude la sussistenza del reato, dovendosi far riferimento alla normale tollerabilità delle immissioni, secondo i parametri civilistici (art. 844 c.c.), ed inoltre lo stesso è ipotizzabile anche sulla base di dichiarazioni testimoniali, giacché è sufficiente l'attitudine delle emissioni a molestare le persone e non è richiesto un effettivo nocumento. Ricorda il Collegio che questa Corte ha sovente ravvisato, in caso di emissioni nell'atmosfera, l'elemento oggettivo del reato in questione, perché certamente esse possono ricondursi ad una delle tre tipologie indicate dalla norma (gas, vapori, fumo). Parimenti è stata ritenuta la loro capacità offensiva ("atte ad offendere o imbrattare o molestare persone"); le emissioni, infatti, possono essere idonee ad arrecare molestia alle persone, posto che la giurisprudenza ha sempre inteso estensivamente il concetto di molestie, sino a farvi rientrare tutte le situazioni di fastidio, disagio, disturbo e comunque di "turbamento della tranquillità e della quiete delle persone", che producono "un impatto negativo, anche psichico, sull'esercizio delle normali attività quotidiane di lavoro e di relazione" (tra molte: Cass. Sez. 1^, 4 febbraio 1994, n. 1293, Sperotto ed altro; Cass. Sez. 3^, 24 gennaio 1995, n. 771, Rinaldi; Cass. Sez. 1^, 22 gennaio 1996, n. 678, PM/Viale). Quindi può costituire molestia anche il semplice arrecare alle persone generalizzata preoccupazione ed allarme circa eventuali danni alla salute da esposizione a emissioni atmosferiche inquinanti (Cass. Sez. Ili, 7 aprile 1994, n. 6598, Gastaldi).
Il problema maggiore che pone la lettura della norma, già evidenziatosi dopo l'entrata in vigore della legge antismog del '66, e' però quello dell'interpretazione dell'inciso "nei casi non consentiti dalla legge"; si è avvertita cioè, innanzi tutto, l'esigenza di individuare il rapporto tra l'art. 674 c.p. e le discipline di settore, specificamente la L. n. 615/1966 ed il D.P.R. n. 203/1988, tenuto presente che il concorso tra norme speciali in materia ambientale e l'art. 674 c.p. è stato ritenuto possibile dalla Suprema Corte sia con riferimento all'inquinamento atmosferico (tra tante, oltre alla sentenza Gastaldi, già menzionata, anche:
Sez. 1^, 31 agosto 1994, n. 9357, Turino; Sez. 3^, 26 giugno 1985, n. 6249, Boni), sia con riferimento all'inquinamento idrico (Sez. 1^, 10 novembre 1998, n. 13278, Mangione).
L'orientamento giurisprudenziale quasi univoco, almeno fino a poco tempo fa (tra le decisioni più recenti: Cass. Sez. 1^, 24 novembre 1999, n. 12497, De Gennaro; Sez. 3^, 1^ ottobre 1999, n. 11295, Zompa ed altro; Cass. Sez. 1^, 21 gennaio 1998, n. 739, PM e Tilli; Sez. 1^, 11 aprile 1997, n. 3919, Sartor; Sez. 1^, 27 gennaio 1996, n. 863, Celeghin; Sez. 1^, 6 novembre 1995, n. 11984, Guarnero; Cass. Sez. 3^, 7 aprile 1994, n. 6598, Roz Gastaldi), è nel senso che, se rientra pacificamente nei "casi non consentiti dalla legge" il superamento della soglia delle emissioni fissata dalla normativa di settore, il regolare rilascio dell'autorizzazione amministrativa all'esercizio di una determinata attività ed il rispetto dei limiti tabellari non escludono di per sè la configurabilità della contravvenzione codicistica, in quanto le discipline antinquinamento non hanno legittimato qualsiasi emissione inferiore ai detti limiti. Pertanto, se l'attività, benché autorizzata, produca emissioni eccedenti i limiti di tollerabilità, alla luce dei parametri indicati dall'art. 844 cod. civ., ed eliminabili con opportuni accorgimenti tecnici, è configurabile il reato ex art. 674 c.p., in quanto non può ammettersi (e dunque è contra legem) l'esercizio conforme alla regola di un' attività produttiva implicante la sopportazione di inconvenienti che eccedono i limiti della normale tollerabilità. La legalità "formale" dell'attività ed il rispetto dei limiti tabellari prefissati non escludono, quindi, tout court la responsabilità penale dell'agente, essendo questi comunque obbligato a ricorrere alla "migliore tecnologia disponibile" per contenere al massimo possibile le emissioni inquinanti, al fine della tutela della salute umana e dell'ambiente, valori costituzionalmente garantiti;
l'inciso in esame, dunque, deve intendersi riferito non soltanto alla specifica normativa di settore, ma alla legge in generale, e quindi anche alle prescrizioni del codice civile (in particolare dell'art. 844).
L'orientamento giurisprudenziale riportato, benché quasi unanime (v. contra la remota ed isolata: Cass. Sez. 3^, 26 agosto 1985, n. 7765, Diliberto), è stato decisamente criticato in dottrina, sostenendosi che, se appare condivisibile non escludere la configurabilità della contravvenzione di cui all'art. 67 4 c.p. quando - nonostante il rilascio da parte della P.A. dell'autorizzazione ad esercitare un'attività e ad emettere determinate sostanze nell'atmosfera - non esistano precisi limiti tabellari fissati dalla legge o dall'autorità amministrativa, onde l'esigenza da parte del giudice di accertare in concreto le caratteristiche quali-quantitative delle emissioni per valutarne il rispetto della tollerabilità consentita dai principi ispiranti le leggi di settore ("stretta tollerabilità"), non altrettanto può affermarsi nel caso in cui l'ambito di liceità delle emissioni sia stato preventivamente valutato dalla P.A.. Infatti, innanzi tutto, la volontà del legislatore del 1988 è stata chiaramente quella di privilegiare, nella tutela dell'atmosfera contro l'inquinamento industriale, il ruolo della P.A., limitando lo spazio di intervento del giudice penale rispetto a quello riconosciutogli precedentemente dalla giurisprudenza; in secondo luogo, il richiamo - nell'art. 674 c.p.- ai "casi non consentiti dalla legge" rimarrebbe, interpretando la norma nel senso sopra indicato, completamente svuotato di contenuto. In tale direzione, cambiando indirizzo, si è pronunziata questa Corte Suprema (Sez. 1^, 7 luglio 2000, n. 8094, Meo), tanto da determinare una segnalazione di contrasto (n. 1125 del 20 ottobre 2000) da parte dell'Ufficio Massimario e Ruolo. Secondo questa innovativa decisione, l'espressione "nei casi non consentiti dalla legge" costituisce una precisa indicazione della necessità che l'emissione (di gas, vapori o fumi, atta a molestare le persone) avvenga in violazione delle norme che regolano l'inquinamento atmosferico, per cui, poiché la normativa contiene una sorta di presunzione di legittimità di quelle emissioni che non superino la soglia fissata dalle leggi speciali in materia, non basta - ai fini dell'affermazione di responsabilità in ordine al reato previsto dall'art. 674 c.p.- la considerazione che le emissioni siano astrattamente idonee ad arrecare fastidio, ma "è indispensabile la puntuale e specifica dimostrazione che esse superino gli standards fissati dalla legge"; quando invece le emissioni, pur essendo contenute nei limiti di legge, abbiano arrecato e arrechino concretamente fastidio alle persone, superando la normale tollerabilità, si applicheranno le norme di carattere civilistico contenute nell'art. 844 cod. civ..
In altri termini, secondo questa pronunzia, all'inciso in esame deve riconoscersi, contrariamente a quanto finora ritenuto, una valenza più rigida, che costituisca quasi uno spartiacque tra il versante dell'illecito penale e quello dell'illecito civile. Il Collegio ritiene di aderire a questo più recente orientamento, condividendo le motivazioni esposte nella menzionata sentenza ed evidenziando che ad analoga conclusione è pervenuta questa Corte, con riferimento però all'emissione di onde elettromagnetiche (Cass. Sez. 1^, 14 marzo 2002, n. 23066, Rinaldi; Sez. 1^, 12 marzo 2002, n. 15717, Pagano ed altri).
Ne consegue la non ipotizzabilità, nel caso in esame, neppure della contravvenzione di cui all'art. 674 c.p., donde il rigetto del ricorso.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2004.
Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2004