TAR Campania (NA), Sez. VI, n. 5509, del 4 dicembre 2013
Urbanistica.Ordinanza demolizione e indicazione area sedime abuso errata

La giurisprudenza ha chiarito che, nei casi in cui si applica l’art. 31 T.U. DPR 380/2001, l’errata o incompleta indicazione dell’area di sedime non influisce sulla legittimità dell’ordinanza.  (Segnalazione e massima a cura di F. Albanese).

N. 05509/2013 REG.PROV.COLL.

N. 00152/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 152 del 2009, integrato da motivi aggiunti, proposto da: 
Salvatore Coppola, rappresentato e difeso dall'avv. Emanuele D'Alterio, con domicilio eletto presso Emanuele D'Alterio in Napoli, viale Gramsci N.19;

contro

Comune di Serrara Fontana in persona del Sindaco p.t., non costituito;

per l'annullamento

quanto al ricorso principale,

delle ordinanze n. 78 del 15.09.2008 e n.79 del 19.09.2008, emesse dal Comune di Serrara Fontana, con cui si ingiungeva la demolizione di numerosi manufatti edificati alla via Fondolillo;

quanto al ricorso per motivi aggiunti,

dei due verbali del comando di Polizia Municipale, del 14.03.2009, con cui si era accertata la mancata ottemperanza alle predette ordinanze di demolizione



Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 novembre 2013 il dott. Luca Cestaro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;



FATTO

1.1. Con ricorso ritualmente notificato e depositato, COPPOLA Salvatore impugnava le ordinanze n. 78 del 15.09.2008 e n.79 del 19.09.2008, emesse dal Comune di Serrara Fontana, con cui si ingiungeva la demolizione di numerosi manufatti edificati alla via Fondolillo (tra di essi, un manufatto di forma irregolare di circa mq 40,00 e un ampliamento di un manufatto di circa 60 mq con chiusura dei perimetrali allo stato grezzo), tutti edificati alla via Fondolillo.

1.2. In particolare, il ricorrente esponeva in ricorso le seguenti censure, meglio descritte nella parte in diritto: 1) violazione e falsa applicazione del D.L. 269/2003 conv. in L. 326/2003; 2) violazione e falsa applicazione dell’art. 31 co. 2 del D.P.R. 380/2001; 3) violazione e falsa applicazione delle leggi 241/1990e 127/1997; 4) eccesso di potere, difetto di motivazione, sviamento.

1.3. Con ricorso per motivi aggiunti, poi, parte ricorrente impugnava i due verbali del comando di Polizia Municipale con cui si era accertata la mancata ottemperanza alle richiamate ordinanze di demolizione.

1.4. In conclusione, il ricorrente chiedeva l’annullamento dei provvedimenti impugnati con il ricorso principale e con il ricorso per motivi aggiunti.

1.5. Nessuno si costituiva per il Comune intimato.

1.6. All’esito dell’udienza di trattazione del 06.11.2013, il Collegio tratteneva la causa in decisione.

DIRITTO

2.1. È opportuno esaminare prioritariamente il ricorso principale.

3.1. Con la prima censura, il ricorrente fa presente di aver presentato due domande di condono per le opere oggetto delle ordinanze con conseguente illegittimità delle stesse che non ne avrebbero tenuto conto.

3.2. La censura è infondata in punto di fatto.

3.3. La lettura del provvedimento, infatti, evidenzia come il Comune abbia effettuato numerosi accessi al fondo ove sono stati commessi gli abusi, accertando l’esecuzione delle opere - per lo più, allo stato grezzo - in epoca successiva alla scadenza del termine per presentare la domanda di condono.

3.4. Inoltre, va rammentato che il processo amministrativo, pur se sono previsti alcuni poteri di acquisizione officiosa delle prove da parte del Giudice, è fondato sul principio dispositivo dell’onere della prova, di talché spetta a chi agisce in giudizio indicare e provare i fatti, ogni volta che non ricorra quella disuguaglianza di posizioni tra Amministrazione e privato, che giustifica l'applicazione del principio dispositivo con metodo acquisitivo; tale principio, peraltro, «non può, comunque, mai ridursi ad un’assoluta e generale inversione dell'onere della prova e comunque non consente al giudice amministrativo di sostituirsi alla parte onerata quando la ricorrente non si trovi nell'impossibilità di provare il fatto posto a base della sua azione» (Consiglio Stato, sez. V, 10 novembre 2010, n. 8006).

3.5. Simili argomentazioni hanno trovato, peraltro, definitiva consacrazione nel codice del processo amministrativo che all’art. 64 dispone che «spetta alle parti l’onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni» e che i poteri di acquisizione officiosi riguardano le sole «informazioni» e i «documenti utili ai fini del decidere che siano nella disponibilità della pubblica amministrazione».

3.6. Orbene, da quanto precede, risulta che, in ossequio al principio dispositivo, parte ricorrente avrebbe dovuto dimostrare la riconducibilità dei manufatti oggetto dell’ordinanze impugnate alle domande di condono asseritamente presentate.

3.7. Tale dimostrazione è mancata del tutto e, anzi, il ricorrente si è limitato a produrre il frontespizio della domanda di condono a fronte di due ordinanze che, è bene ricordarlo, attingono molteplici opere abusive la cui edificazione è stata verificata in svariati accessi da parte della polizia municipale e del servizio tecnico comunale (nell’ordinanza n. 78 sono richiamati i seguenti accertamenti: rel. n. 5662 e n. 7599 del 18.07.2006; verbale n.23/LE del 03.05.2007 assunto a n. prot. 5347, rel. n. 7564 del 30.07.2008. Nell’ordinanza n. 79, invece, sono richiamati: verbale n. prot. 1582 del 01.02.2007; verbale 22/LE del 03.05.2007 assunto a prot. 5344; rel. n. 7655 del 30.07.2008). Alla precisione dei provvedimenti sanzionatori, quindi, ha fatto da riscontro un’assoluta genericità delle prove fornite dal ricorrente, circostanza che, per quanto sopra detto, induce a respingere senza esitazione la presente censura.

4.1. La seconda censura riguarda l’asserita violazione dell’art. 31 co. 2 D.P.R. 380/2001 (T.U. ed.) per non essersi indicata l’area di sedime da acquisire la patrimonio comunale.

4.2. Il mezzo è del tutto in conferente in quanto, nell’occasione, il Comune ha correttamente (e inequivocamente, essendo la norma riportata nell’intestazione) fatto applicazione dell’art. 27 del medesimo T.U. ed. disponendo la ‘demolizione ad horas’ del manufatto siccome edificato in zona sottoposta a vincolo paesaggistico (la norma in questione recita: «il dirigente o il responsabile, quando accerti l'inizio o l'esecuzione di opere eseguite senza titolo su aree assoggettate, da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche vigenti o adottate, a vincolo di inedificabilità, o destinate ad opere e spazi pubblici ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché in tutti i casi di difformità dalle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi. Qualora si tratti di aree assoggettate alla tutela di cui al regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3267, o appartenenti ai beni disciplinati dalla legge 16 giugno 1927, n. 1766, nonché delle aree di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, il dirigente provvede alla demolizione ed al ripristino dello stato dei luoghi, previa comunicazione alle amministrazioni competenti le quali possono eventualmente intervenire, ai fini della demolizione, anche di propria iniziativa»).

4.3. Il profilo denunciato, quindi, non ha alcun rilievo nel caso di specie, fermo rimanendo che la giurisprudenza ha chiarito che, nei casi in cui si applica l’art. 31 T.U. ed., l’errata o incompleta indicazione dell’area di sedime non influisce sulla legittimità dell’ordinanza (T.A.R. Napoli Campania sez. II, 06 settembre 2013, n. 4199; v., anche, T.A.R. Napoli Campania sez. VI, 04 luglio 2013, n. 3492; Tar Campania, questa sesta sezione, 16 giugno 2011, n. 3194, 11 maggio 2011, n. 2624; Tar Lazio, Roma, sez. I, 07 marzo 2011, n. 2031; Tar Puglia, Lecce, sez. III, 09 dicembre 2010, n. 2809).

5.1. In merito alla terza censura, relativa al mancato rispetto delle cd. garanzie procedimentali di cui alla L. 241/1990, va ribadito il costante orientamento della Sezione secondo cui l’abusività delle opere realizzate e la concomitante insistenza sul territorio interessato del vincolo paesistico, impongano la demolizione delle opere senza che residui alcun margine di discrezionalità in capo all’amministrazione (cfr. art. 27 co. 2 D.P.R. 380/2001).

5.2. Ebbene, la doverosità del provvedimento rende recessivo l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 L. 241/1990; tale obbligo, infatti, non si applica ai provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, considerato il loro carattere doveroso (cfr., art. 21 octies L. 241/90 e, in giurisprudenza, ex multis, T.A.R. Campania, VI sez., n. 3706/2012; Consiglio Stato sez. V, 19 settembre 2008, n. 4530; T.A.R. Napoli Campania sez. IV, 02 dicembre 2008, n. 20794 e Tar Campania, Napoli, sez. IV, 16 giugno 2000 n. 2147).

5.3. Va aggiunto che la mancata indicazione del responsabile del procedimento, pure specificamente lamentata da parte ricorrente, non integra alcuna ragione di illegittimità del provvedimento costituendo una mera irregolarità a cui la stessa L. 241/1990 pone rimedio radicando la relativa responsabilità in capo al dirigente (art. 5 co. 2 L. 241/1990).

6.1. Con il quarto mezzo, parte ricorrente censura l’assenza di motivazione in merito all’interesse pubblico alla demolizione anche in rapporto all’interesse del privato e alle concrete ragioni di contrasto con la normativa urbanistica.

6.2. Va ribadito, in proposito, che la vincolatezza del provvedimento di demolizione comporta che sia superflua e non dovuta una puntuale motivazione sull’interesse pubblico alla demolizione, sull’effettivo danno all’ambiente o al paesaggio (o, ancora, sulla proporzionalità in relazione al sacrificio imposto al privato); è, infatti, sufficiente evidenziare la violazione del regime vincolistico e l’avvenuta costruzione in assenza del titolo abilitativo, ciò che nel caso di specie è avvenuto (cfr., ex multis, T.A.R. Campania Napoli, sez. VI n. 9718 del 4 agosto 2008 e n. 3588 dell’11.07.2013). Anche tale censura è, pertanto, infondata.

7.1. Passando al ricorso per motivi aggiunti, esso è rivolto avverso i due verbali con cui la polizia municipale ha accertato l’inottemperanza ai suddetti ordini di demolizione.

7.2. L’infondatezza palese del ricorso per motivi aggiunti consente di tenere in disparte l’evidente inammissibilità dello stesso, che andrebbe affermata in ragione del costante orientamento giurisprudenziale, condiviso dalla sezione, secondo cui l'atto con cui il Comune accerta l'inottemperanza ad ordine di demolizione di un'opera edilizia abusiva ha efficacia meramente dichiarativa, limitandosi ad esternare e formalizzare effetti già verificatisi in base allo stesso ordine (T.A.R. Campania – Napoli, questa sezione, Sent. n. 08989/2009. In argomento si vedano anche: Cons.giust.amm. Sicilia, sez. giurisd., 15 febbraio 1999, n. 31; cfr. anche, ex multis, T.A.R. Campania Salerno, sez. II, 08 ottobre 2004 , n. 1904, T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 07 maggio 2008 , n. 3548).

8. Infatti, ad eccezione della prima censura che si esaminerà a breve, tutte le censure sono relative all’ “illegittimità derivata” dei verbali rispetto alle ordinanze di demolizione da intendersi quali provvedimenti presupposti. È evidente che l’infondatezza delle ragioni addotte per affermare l’illegittimità delle ordinanze demolitorie, determini l’eguale infondatezza delle medesime argomentazioni spese nei confronti dei verbali in questione.

9.1. La prima censura, invece, è relativa alla pretesa impossibilità di procedere alla demolizione a cagione del perdurante sequestro penale dei manufatti.

9.2. Tale argomentazione è parimenti infondata. Infatti, l'esistenza di un sequestro penale sul manufatto abusivo oggetto di ingiunzione comunale di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi non rientra tra gli impedimenti assoluti, tali da non consentire di dare esecuzione all'ingiunzione, atteso il disposto dell'art. 85 disp. att. c.p.p. («quando sono state sequestrate cose che possono essere restituite previa esecuzione di specifiche prescrizioni, l'autorità giudiziaria, se l'interessato consente, ne ordina la restituzione impartendo le prescrizioni del caso e imponendo una idonea cauzione a garanzia della esecuzione delle prescrizioni nel termine stabilito»). Il ricorrente, quindi, è tenuto ad assumere un comportamento diligente nell’attivarsi al fine di consentire il dissequestro finalizzato ad eseguire la demolizione (per l’affermazione del principio, v. T.A.R. Napoli sez. VI 06/06/2013 n. 2980; Consiglio di Stato sez. VI 09/07/2013 n. 3626).

10.1. Quanto precede dimostra l’infondatezza del ricorso principale e di quello per motivi aggiunti.

10.2. Nulla per le spese in ragione della mancata costituzione del Comune intimato.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso e sul ricorso per motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li respinge.

Nulla per le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 6 novembre 2013 con l'intervento dei magistrati:

Renzo Conti, Presidente

Umberto Maiello, Consigliere

Luca Cestaro, Primo Referendario, Estensore

 

 

 

 

 

 

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 04/12/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)